L’offerta di capitali per iniziative e progetti che intendono realizzare impatto sociale sta aumentando in modo consistente, sia se si guarda all’ammontare delle risorse che al numero e alle caratteristiche dei soggetti finanziatori. Ma questa crescita contribuisce a influenzare forme e modelli di imprenditorialità sociale? E quali azioni di capacity building possono essere messe in campo per favorire un matching efficace tra domanda e offerta, incrementandone l’effetto e valorizzando le peculiarità organizzative e identitarie dei diversi attori dell’imprenditorialità sociale? Una prima risposta a questi interrogativi è individuabile nei dati del Tiresia Social Impact Outlook che contiene i risultati di un’indagine che ha coinvolto organizzazioni a impatto sociale italiane e finanziatori.
The supply of resources for initiatives and projects that intend to achieve a social impact is growing significantly, both looking at the amount resources and the number and characteristics of the lenders. Does this growth contribute to influence forms and patterns of social entrepreneurship? And what capacity building actions can be employed to promote an effective matching between supply and demand, increasing their effect and enhancing the organizational and identity peculiarities of the different actors of social entrepreneurship? An first answer to these questions can be found in the data from the Tiresia Social Impact Outlook which contains the results of a survey that involved over 2,500 Italian companies in the third sector and 50 financial institutions.
DOI: 10.7425/IS.2017.10.05
Negli ultimi vent’anni i bisogni sociali sono cresciuti in complessità e interdipendenza reciproca. La riduzione della spesa in welfare operata da molti governi (Jensen et al., 2017; Misuraca et al., 2018), unita alle conseguenze della crisi economica, ha mostrato i limiti degli approcci più tradizionali nell’affrontare le grandi sfide sociali del nostro tempo.
Di conseguenza lo sviluppo di un’economia ad impatto sociale alternativa – e complementare – ai paradigmi tradizionali, e socialmente innovativa[1], sta acquisendo un ruolo sempre più centrale nell’agenda politica europea e internazionale. La Commissione Europea riporta la presenza di oltre 2 milioni di imprese sociali e solidali in Europa[2]. In Italia più di 9mila organizzazioni rispondono ad una definizione ampia di “forme organizzative ad impatto sociale”, intendendo tutte le imprese in grado di attuare attività di impatto sociale senza fini di lucro – “unendo motivazione sociale ed economica “ (Emerson, Twersky, 1996) – e le organizzazioni tipiche del terzo settore produttivo (principalmente le cooperative sociali)[3].
È inoltre fondamentale riconoscere che le organizzazioni che perseguono un obiettivo di impatto sociale si trovano immerse in un intricato sistema di relazioni con altri attori. La loro identità ontologica “ibrida” (Busenitz et al., 2016) – perseguendo sia obiettivi sociali che economici – contribuisce alla complessità delle loro reti relazionali (Defourny, Nyssens, 2010). Questa stessa unicità suggerisce di analizzare e valutare le dinamiche di queste organizzazioni attraverso una prospettiva ecosistemica.
Adner et al. (2010) definiscono l’ecosistema come un costrutto analitico “in grado di rendere le interdipendenze, sia competitive che cooperative (Brandenburger, Nalebuff, 1997; Afuah, 2000) più esplicite”; mentre per Misuraca et al. (2018) l’ecosistema è “un complesso sistema adattivo in cui i diversi fenomeni sono interconnessi”. Nell’ecosistema gli attori sono inseriti in una serie “di reti e partnership” che rappresentano l’unità di analisi di base.
L’approccio ecosistemico, grazie alla sua natura olistica, ha acquisito un ruolo di primo piano nella ricerca sulla gestione strategica dell’impresa sociale e sullo sviluppo dell’innovazione sociale. La Commissione Europea (Georghiou, 2018) ha recentemente tracciato un quadro per la definizione di un ecosistema europeo capace di promuovere l’imprenditoria sociale e l’innovazione sociale, riconoscendo che l’obiettivo dell’impatto sociale ha caratteristiche peculiari ed uniche. L'ecosistema dell'impatto è composto da tutti quei soggetti che sono in grado di endogeneizzare l’elemento dell’impatto sociale nei propri modelli di innovazione, in quelli imprenditoriali così come negli strumenti finanziari e nelle pratiche manageriali. Georghiou (2018) sottolinea, in effetti, quanto – per favorire lo sviluppo dell’innovazione sociale e l’imprenditoria sociale – “il nocciolo della questione” sia rappresentato dai “mezzi a disposizione”; così come dai “modelli di business, di gestione e dalle forme di finanziamento”. Di conseguenza, una relazione generativa tra organizzazioni ad impatto sociale e operatori finanziari rappresenta la chiave di volta per lo sviluppo dell’intero ecosistema. E in definitiva, l’interazione e la corrispondenza tra domanda e offerta di capitali per investimenti ad impatto sociale divengono una caratteristica chiave in grado di determinare la forza e la capacità di resilienza dell’intero ecosistema.
In linea con questo approccio, in questo paper presentiamo i risultati di un sondaggio ed una serie di interviste (Tiresia Social Impact Outlook) condotte nel 2018 ad una varietà di operatori del mercato del capitale ad impatto sociale nel contesto italiano. I risultati sono inquadrati in un approccio ecosistemico: tale prospettiva suggerisce di concentrarsi sulla struttura di allineamento (alignment) dei membri dell’ecosistema come elemento cruciale per assicurare la realizzazione della proposta di valore. Pertanto l’obiettivo sarà studiare la struttura di allineamento dell’ecosistema dell’impatto in Italia, evidenziandone i principali punti di forza e di debolezza.
In questa sezione descriviamo i principali elementi teorici della prospettiva ecosistemica. Particolarmente interessante nel definire l’idea di “ecosistema dell’impatto” è il punto di vista proposto da Adner, che non solo rivisita la tradizionale definizione di ecosistema, ma pone particolare enfasi sul ruolo della strategia all’interno dello stesso.
Nel suo primo lavoro (2006), Adner sottolinea come sia fondamentale utilizzare il concetto di ecosistema soltanto laddove necessario, cioè in quelle situazioni in cui la costruzione di una tale struttura complessa “consenta alle aziende di creare valore che nessuna singola impresa avrebbe potuto creare in modo isolato” (Adner, 2006). Un’affermazione che sembra ben applicarsi all’ecosistema dell’impatto, inteso come quell’insieme composto da imprese sociali e finanza ad impatto. La value proposition dell’ecosistema dell’impatto, difatti, è la generazione di impatto sociale e, considerando l’ampiezza e la complessità dei problemi sociali che le organizzazioni ad impatto sociale si propongono di affrontare, difficilmente questa tipologia di valore potrebbe essere prodotta da singole organizzazioni che agiscono “in solitaria”. Gli investitori e le imprese ad impatto possono quindi essere considerati come attori parte di un ecosistema in quanto le loro azioni sono mosse da un obiettivo primario condiviso, cioè la generazione di un beneficio per la società.
La seconda ragion d’essere di un ecosistema “è lo sviluppo o implementazione di un prodotto o servizio che possa essere classificato come un’innovazione”. Nel caso dell’ecosistema dell’impatto, i soggetti si impegnano ad implementare il paradigma di blended value che può essere considerato esso stesso a tutti gli effetti un’innovazione.
Negli scritti più recenti (2017) Adner sposta l’attenzione da un’idea di ecosistema percepita come “affiliazione”, derivante dalla prima definizione sviluppata da Moore (1993), a quella di ecosistema come “struttura”. La prima prospettiva, che ha avuto ampio utilizzo principalmente nel settore high tech, si concentra su un gruppo di soggetti che sono interconnessi, studiandone le interazioni finalizzate a sviluppare ed implementare un determinato prodotto o servizio. Adner capovolge il punto di vista: l’ecosistema diventa una configurazione di attività necessarie per implementare una determinata proposizione di valore. La nuova definizione pone l’accento non tanto sui singoli attori, ma al contrario l’ecosistema coincide con la struttura che permette di allineare le azioni di un insieme di partner che devono necessariamente interagire affinché una determinata proposizione di valore venga implementata (Adner, 2017).
Il cuore della nuova definizione è quindi l’alignment structure, da considerarsi come l’obiettivo finale della creazione dell’ecosistema. Di conseguenza, la strategia dell’ecosistema consiste nell’azione stessa di ricerca di una struttura in cui tutti i partner siano soddisfatti dei propri ruoli e dell’assetto delle attività. In altre parole, allineare gli attori significa portarli ad avere una visione condivisa del futuro che desiderano, delle azioni e del contributo necessario per realizzarlo.
L’allineamento degli attori dell’ecosistema dell’impatto, come proxy di un funzionamento sano dell’ecosistema stesso, è quindi oggetto di analisi del presente lavoro.
Per analizzare lo stato di allineamento degli attori dell’ecosistema dell’impatto è stata utilizzata una metodologia mista, quantitativa e qualitativa, applicata ad un singolo caso, l’ecosistema italiano. I dati raccolti riguardano quindi le imprese sociali italiane, come intese di seguito, ed i soggetti che all’interno del mercato finanziario italiano dichiarano di voler supportare economicamente tali organizzazioni.
Sul fronte della domanda di capitali, l’analisi dei dati riguarda le imprese italiane che mirano ad avere un impatto sociale. I dati sono stati raccolti implementando un’indagine su larga scala tramite l’utilizzo di questionari. La popolazione target è costituita dalle imprese italiane che in base a normative diverse – cooperative sociali (L. 381/1991), imprese sociali (d.lgs. 155/2006), start up innovative a vocazione sociale SIaVS (d.lgs. 179/2002), società benefit (d.lgs. 1882/2015) – possiedono una “certificazione” della propria volontà di generare un beneficio per la società. Queste ultime ammontano a 9.294 unità (Fonti: Aida – Bureau Van Dijk, accesso maggio 2017; Registri delle Camere di Commercio, accesso maggio 2017), così suddivise: 8.000 cooperative sociali, 1.087 imprese sociali, 117 start up innovative a vocazione sociale, 90 società benefit.
Alla popolazione target è stato applicato il metodo della campionamento randomizzato e stratificato, generando un campione di 3.753 organizzazioni. Le variabili di controllo utilizzate per definire i livelli di stratificazione sono state la localizzazione geografica, lo status legale e la dimensione dell’organizzazione misurata come numero di dipendenti. A fronte di un livello di confidenza del 95%, in tal modo si è raggiunto un margine di errore di -1.25/+1.25.
Lo strumento di raccolta dati è stato un questionario composto da 48 domande riguardanti: profilazione e dimensione dell’organizzazione, modello di business, gestione delle risorse umane, esperienza del fondatore e modelli di governance; impatto sociale generato; ambiente esterno; struttura finanziaria ed attività di raccolta fondi.
Il questionario è stato somministrato online tramite il software SurveyMonkey, inviandolo agli indirizzi e-mail pubblicamente disponibili sui siti web delle organizzazioni. L’invio è stato accompagnato da una cover letter riassuntiva degli obiettivi della ricerca, richiedendo che il questionario fosse compilato dal fondatore oppure da un rappresentante dell’organo dirigenziale dell’organizzazione. La compilazione è rimasta aperta da metà maggio 2017 ad ottobre 2017. A partire da luglio 2017, per incrementare il tasso di risposta, i molteplici invii via e-mail sono stati integrati da un follow up telefonico. Al termine dell’attività, sono stati raccolti 479 questionari compilati completamente che corrispondono ad un tasso di risposta del 12%.
I dati sono stati analizzati utilizzando delle tecniche di statistica descrittiva, cluster analisi e association analisi.
Sul lato dell’offerta di capitali – ossia dei soggetti finanziatori di imprese ad impatto sociale – è stata utilizzata la metodologia qualitativa dell’analisi tematica, che consiste nella strutturazione ed interpretazione dei dati raccolti in considerazioni teoriche, tramite l’identificazione dei principali temi ricorrenti. Ogni tema rappresenta un pattern che viene identificato all’interno dei dati e che risulta essere informativo rispetto alla domanda di ricerca (Braun, Clarke, 2006; Dixon-Woods et al., 2005). L’analisi tematica rappresenta quindi un metodo flessibile dal punto di vista teorico per mappare un ambito intellettuale scomponendole in temi principali e sottotemi (Attride-Stirling, 2001; Braun, Clarke, 2006).
Il campione analizzato include tutti i finanziatori ad impatto all’interno del mercato italiano che abbiano mostrato un pubblico interesse ed impegno nel supportare imprese con impatto sociale. I soggetti identificati sono stati 63; una seconda fase di screening desk ha ridotto il campione a 46 soggetti che a tutti gli effetti potevano definirsi finanziatori ad impatto nel mercato italiano; di questi, 32 organizzazioni hanno preso parte alla ricerca, così suddivisi: 1 compagnia di assicurazione, 7 banche, 3 family office, 5 fondazioni, 11 SGR/venture capital, 5 organizzazioni di intermediazione specializzata.
I dati sono stati raccolti tramite interviste semistrutturate tra gennaio ed aprile 2018 e sono stati integrati con documenti pubblicamente disponibili oppure direttamente forniti dalle organizzazioni. La documentazione è stata in seguito analizzata con il metodo dell’analisi tematica utilizzando la codificazione deduttiva.
Per quanto riguarda la profilazione anagrafica delle organizzazioni campionate, un primo dato rilevante è la distribuzione geografica. La maggioranza delle imprese ad impatto sociale sembra essere situata nelle regioni meridionali (42%) e nelle regioni settentrionali (41%); forme organizzative fortemente ibride come le società benefit si trovano principalmente nelle aree del Nord. Un’altra caratteristica interessante è la prevalenza di realtà con dimensioni ridotte; il 55% delle organizzazioni ha meno di 10 dipendenti, mentre solo il 3% possiede più di 250 dipendenti. E la ridotta dimensione dell’imprese può rappresentare un fattore in grado di influenzare negativamente il processo di acquisizione di capitali.
Una volta profilate le organizzazioni, si è passati all’analisi delle diverse dimensioni che permettono di valutare l’investment readiness delle imprese ad impatto, che può essere considerata come proxy in grado di esprime un primo livello di allineamento degli attori dell’ecosistema.
Nell’analisi che segue il concetto di investment readiness è operazionalizzato come una variabile multidimensionale, costituita dalle seguenti dimensioni:
Il rafforzamento delle competenze organizzative e manageriali è identificato in letteratura come una necessità primaria per le imprese sociali (Smith et al., 2012). Le organizzazioni ad impatto sociale, però, sono spesso caratterizzate da meccanismi di comunicazione e di controllo informali e partecipativi. Al contempo si ritrovano a fronteggiare un’elevata complessità determinata dalla necessità di gestire un grande numero di stakeholder con interessi differenti, spesso anche divergenti.
Un ulteriore elemento distintivo di queste organizzazioni è la struttura di governance inclusiva che tende a rappresentare il più possibile le diverse categorie di stakeholder rilevanti per le attività dell’organizzazione (European Commission, 2015). Coerentemente con questo framework, possiamo considerare come competenze organizzative di base: il livello di strutturazione del board, l’esistenza di una struttura organizzativa ben articolata, la presenza di almeno un fondatore con precedenti esperienze in ambito aziendale o in attività imprenditoriali.
I dati del Tiresia Social Impact Outlook rivelano come, nella maggior parte dei casi, le competenze organizzative siano medio-basse (43%); le organizzazioni che mostrano capacità più elevate sono principalmente SIaVS, seguite da cooperative sociali, mentre le imprese sociali ex lege e le società benefit mostrano livelli inferiori di questo tipo di competenze.
Le possibili determinanti dei risultati sono molteplici; solo il 34% delle cooperative sociali e il 48% delle imprese sociali ha un fondatore con precedenti competenze manageriali (le imprese sociali mostrano anche un basso grado di strutturazione interna); al contrario, la grande maggioranza delle organizzazioni ha più di un livello organizzativo ed un terzo ha più di tre livelli organizzativi.
Per quanto riguarda la governance del board, è interessante osservare che soltanto meno di un quinto delle organizzazioni dispone di finanziatori e investitori all’interno del consiglio di amministrazione.
La sostenibilità economico-finanziaria dell’organizzazione è anche funzione della sua capacità di creare e mantenere una visione strategica a lungo termine. Le competenze strategiche appaiono quindi come un’ulteriore dimensione chiave dell’investment readiness.
In questo senso, una fonte fondamentale di vantaggio competitivo per le organizzazioni – e di resilienza per l’ecosistema – è la capacità di personalizzare prodotti o servizi. Il legame con il singolo beneficiario e l’elemento “relazionale” sono, di fatti, intrinseci in gran parte dei prodotti delle organizzazioni a impatto sociale.
Inoltre, anche un buon sistema di monitoraggio è un elemento cardine di una sana strategia a lungo termine. I risultati della valutazione e del monitoraggio dell’impatto sociale possono, infatti, essere la base per un processo di miglioramento dei processi organizzativi interni.
Infine, un tema fondamentale è quello della crescita; posto che l’obiettivo di un’organizzazione ad impatto sociale sia la massimizzazione del valore sociale positivo generato, la crescita degli outcome (a prescindere dalla crescita dimensionale dell’organizzazione stessa) e la sua quantificazione sono strumenti fondamentali per raggiungere tale obiettivo.
Definita questa cornice, consideriamo il perseguimento di uno specifico piano di crescita una competenza strategica fondamentale; sia tratta di una crescita perseguibile, ad esempio, attraverso lo sviluppo di un nuovo prodotto o servizio, lo sviluppo di partnership, franchising, acquisizioni e fusioni, l’adesione ad associazioni di categoria, l’attività di advocacy a livello nazionale, la co-creazione con clienti e beneficiari di un prodotto o servizio, nonché la definizione e l’implementazione di pratiche e strumenti per misurare l’impatto sociale generato.
Dai risultati dell’indagine Tiresia Social Impact Outlook emerge che, generalmente, le competenze strategiche delle organizzazioni intervistate sono elevate (nel 49% dei casi). Le alte capacità strategiche sono più frequenti tra le società benefit (68%) e le imprese sociali ex lege. Analizzando le suddette variabili, è possibile attribuire un buon livello di competenze strategiche alla diffusione dell’adozione di strategie di crescita e di co-creazione tra le organizzazioni.
Il potere trasformativo della tecnologia rappresenta, anche nel campo sociale, un motore di sviluppo per l’ecosistema dell’impatto in un contesto altamente dinamico come quello contemporaneo. La protezione e la gestione della proprietà intellettuale appaiono, quindi, una problematica che interessa anche le organizzazioni a impatto sociale. Anzi, la questione si complica; infatti, la necessità di accrescere quanto più possibile l’impatto generato e raggiungere il maggior numero di beneficiari, utilizzando anche strategie di disseminazione e capacity building di altri soggetti non direttamente controllate dall’organizzazione o legate al suo modello di business, può apparire in contrasto con l’opportunità di utilizzare la protezione della proprietà intellettuale come fonte di reddito.
A loro volta, forme di protezione della proprietà intellettuale potrebbero essere determinanti per risolvere il problema della mancanza di garanzie che spesso rende più complesso l’accesso ai finanziamenti per le organizzazioni ad impatto sociale (Buckingham et al., 2012). Pertanto, nell’analisi vengono considerate come variabili chiave per valutare l’intensità tecnologica dell’organizzazione: la presenza di concessioni di proprietà intellettuale rivolte sia all’organizzazione da terzi, sia a terzi dall’organizzazione (licensing in and out); la proprietà del marchio; la proprietà di brevetti; e più in generale l’adozione di politiche per la gestione della proprietà intellettuale.
Il livello di intensità tecnologica delle organizzazioni intervistate appare generalmente basso (nel 73% dei casi). Questa percentuale può essere spiegata dal peso elevato rivestito dalle cooperative sociali nel campione e nelle popolazione. Le cooperative sociali mostrano infatti un livello di intensità tecnologica basso nel 76% dei casi. Al contrario, le SIaVS, seguite dalle società benefit, sembrano mostrare un livello generalmente più elevato di intensità tecnologica: circa due quinti delle SIaVS intervistate hanno un’intensità tecnologica che risulta media o alta. Tra le variabili considerate, i fattori determinanti i bassi livelli di intensità tecnologica sono essenzialmente la percentuale di organizzazioni che hanno brevetti depositati (solo il 3%) o che possiedono proprietà intellettuale all’attivo o al passivo (meno del 5%).
L’identità ibrida delle organizzazioni ad impatto sociale, immerse nel loro complesso ecosistema, richiede di essere costantemente adattive rispetto alle dinamiche del mercato e non solo al perseguimento degli obiettivi sociali.
Uno dei problemi che influisce sulla crescita del settore in Italia è la difficoltà di accesso ai finanziamenti, con un conseguente rischio, in molti casi, di dipendenza da donazioni o sovvenzioni pubbliche. Una dipendenza che indebolisce la sostenibilità dell’organizzazione e determina la mancanza di una prospettiva per un investimento a lungo termine. Questi fattori tendono quindi a rendere le organizzazioni ad impatto meno attraenti per gli investitori, generando un circolo vizioso che ne mina la sopravvivenza. Un buon livello di orientamento al mercato è quindi una componente necessaria per raggiungere un buon livello di investment readiness.
Nell’indagine Tiresia Social Impact Outlook abbiamo quindi valutato l’orientamento al mercato delle organizzazioni utilizzando quattro variabili:
I risultati mostrano un livello di orientamento al mercato piuttosto elevato (alto 47%, molto alto 26%), con prevalenza di imprese sociali ex lege e cooperative sociali. L’83% delle organizzazioni assicura la propria sostenibilità economica grazie alla vendita dei servizi o prodotti. Numerose (74% dei casi) anche le organizzazioni che utilizzano fonti di finanziamento commerciali. Inoltre, è interessante notare che l’intero campione delle società benefit intervistate abbia almeno una fonte di finanziamento diversa dall’ente pubblico, a riprova della forte ibridità di questa forma societaria, fortemente esposta al mercato.
A questo punto è possibile aggregare le diverse dimensioni (competenze organizzative e strategiche, orientamento al mercato, tecnologia e beni immateriali) che compongono la variabile multidimensionale dell’investment readiness delle organizzazioni ad impatto sociale.
I dati del Tiresia Social Impact Outlook rivelano che il livello di investment readiness è generalmente medio-basso (nel 47% dei casi) e basso nel 26% dei casi, risultando molto alto solo in circa l’1% dei casi e alto nel 5,64%. Le organizzazioni che mostrano una investment readiness molto alta sono cooperative sociali, mentre nessuna società benefit ha livelli bassi (il 47% delle benefit hanno valori medi e più del 10% valori alti).
Figura 1. Livello di investment readiness delle imprese a impatto sociale del Tiresia Social Impact Outlook.
I bassi livelli di investment readiness che emergono dai dati del Tiresia Impact Social Outlook suggeriscono quindi la necessità di creare strumenti di finanziamento su misura in grado rafforzare il mercato dell’impatto sociale.
In termini di capitalizzazione delle organizzazioni, osserviamo che le forme organizzative più “esposte al mercato” come le società benefit appaiono anche come le più capitalizzate con un patrimonio netto medio di 460mila euro, seguite dalle cooperative sociali con 357mila euro. Il livello di capitalizzazione delle SIaVS è invece particolarmente basso.
Incrociando i dati sul livello medio di patrimonio netto con quelli relativi all’investment readiness, si osserva come le organizzazioni con la maggiore propensione all’investimento non coincidano con quelle più capitalizzate. In realtà, il livello più alto di patrimonio netto è associato soltanto ad un livello medio di investment readiness. Quindi, gli attori più pronti all’investimento non sono oggi i più capitalizzati.
Quest’ultima osservazione sembra suggerire un alto potenziale e la centralità del ruolo degli operatori e degli intermediari dell’offerta di capitale ad impatto sociale nell’allineamento con il lato della domanda.
Definire la dimensione dell’offerta di capitali è tutt’oggi difficile; il mercato italiano si trova ancora in una fase emergente e dinamica, con nuovi attori che si stanno organizzando. Inoltre, la definizione stessa di “cosa sia” e “non sia” finanza ad impatto è ancora oggetto di dibattito, e di conseguenza lo sono gli stessi criteri di inclusione ed esclusione dei diversi attori (Carè, Wendt, 2018). Nel Tiresia Social Impact Outlook abbiamo utilizzato i tre principali elementi definitori del fenomeno della finanza ad impatto – intenzionalità, misurabilità e addizionalità – per classificare i diversi attori del mercato italiano: in termini di asset under management, il mercato italiano cuba dai 210,5 milioni di euro ai 6,5 miliardi di euro a seconda che si utilizzi una definizione più o meno stringente. Tramite l’analisi desk e i dati da fonti primarie, le dimensioni di intenzionalità, misurabilità e addizionalità sono state ulteriormente qualificate, e, sulla base di queste dimensioni e sotto dimensioni definitorie, gli operatori, ed i relativi asset under management, sono stati clusterizzati formando uno spettro che descrive l’eterogeneità di approcci all’interno dello stesso mercato. A giocare il ruolo di ago della bilancia all’interno di questo spettro è stato il principio di addizionalità, inteso come la volontà di indirizzare il finanziamento in aree dove lo squilibrio del rapporto rischio-rendimento è endogeno. Ciò suggerisce che, nonostante il grande interesse e un buon livello di attivazione, per realizzare completamente il potenziale del mercato della finanza ad impatto sociale in Italia, buona parte degli operatori si sta ancora attrezzando per sviluppare le competenze necessarie ad evolvere il proprio approccio verso una definizione più pura.
Il Tiresia Social Impact Outlook restituisce questi primi dati di azione. Il 15% dei finanziatori rivolge il proprio capitale ad organizzazioni che risiedono all’area locale in cui opera, mentre il 72% ha un raggio d’azione nazionale ed il 23% finanzia organizzazioni anche a livello internazionale. I finanziamenti sono destinati a settori differenti come microfinanza, protezione dell’ambiente, sanità, assistenza sociale, agricoltura, salvaguardia del patrimonio culturale, social housing. La maggior parte degli operatori finanzia imprese che sia trovano nella fase seed; i capitali a disposizione per le organizzazioni in fase di start up sono 121 milioni di euro e 90 milioni di euro per quelle in fase di crescita e maturità.
In termini di ritorno finanziario, metà degli intervistati dichiara di ottenere o targettizzare un ritorno in linea con il mercato tradizionale di riferimento; mentre il 33% è disponibile ad accettare un ritorno al di sotto del tasso di mercato. In seguito, è stato rilevato il peso della valutazione dell’impatto sociale all’interno del processo di screening, due diligence e monitoraggio dell’investimento. Gli investitori dichiarano di assegnare pari importanza alla componente economico-finanziaria ed a quella di impatto sociale; tuttavia gli strumenti che utilizzano per la misurazione dell’impatto sociale sono ancora piuttosto rudimentali. Inoltre, i risultati mostrano come al crescere dell’importanza dell’impatto sociale diminuiscano le aspettative di ritorno finanziario.
Anche per quanto riguarda l’offerta di capitale ad impatto, interessanti considerazioni emergono applicando la prospettiva ecosistemica e valutando le esigenze espresse dai finanziatori per raggiungere la struttura di allineamento necessaria.
In primo luogo, dalle interviste non è emersa la presenza di un soggetto in grado di dirigere l’intero ecosistema. Infatti, sia gli investitori che le organizzazioni sono ancora in fase di definizione dei propri ruoli ecosistemici in termini di strumenti, approcci da utilizzare ed opportunità di investimento. Inoltre, gli investitori riportano una mancanza di asset comuni all’interno dell’ecosistema, come dati e strumenti per la misurazione dell’impatto, competenze specifiche ed infrastrutture che supportino la scalabilità dei modelli di business. Una prima caratteristica dell’ecosistema dell’impatto, e differenza con quelli appartenenti ai settori tradizionali (ad esempio high tech), è quindi la necessità di una piattaforma condivisa dagli attori, che dovrebbe essere fornita dal gestore dell’ecosistema, costituita prettamente da asset intangibili e capabilities.
Nel precedente paragrafo è stato chiarito come uno degli elementi fondanti dell’ecosistema sia la presenza di una chiara visione della creazione di valore condivisa dagli attori. L’intenzionalità degli investitori di entrare in questo mercato è espressione di comportamenti morali ed etici delle persone all’interno delle organizzazioni che desiderano rendere il proprio approccio di investimento più inclusivo, non guardando solo alle prestazioni finanziarie. Si sono impegnati in queste attività “non perché è un mezzo per aumentare la raccolta fondi, ma perché si assumono la responsabilità per il benessere a lungo termine, nel futuro". La volontà degli investitori è esplicitamente di aumentare “le risorse finanziarie disponibili per progetti sociali”. Identificano poi degli specifici vantaggi nell’utilizzare questo approccio di investimento come “favorire il livello di trasparenza nel mercato finanziario, e questo, a sua volta, potrebbe facilitare anche l’attività di fundraising per i gestori”. In effetti, gli investimenti a impatto sociale non sono visti come un modo per raccogliere più denaro o migliorare le prestazioni finanziarie, ma piuttosto l’evoluzione dei modelli di business verso un approccio nuovo e più sostenibile agli investimenti.
L’analisi ha permesso di identificare due archetipi del modello di business ugualmente presenti nell’ecosistema. Il primo è costituito da investimenti equity in organizzazioni ad impatto o in intermediari specializzati; in tal caso, l’investitore assume sempre una posizione di azionista di minoranza. L’altro modello è l’erogazione di debito a tassi di interesse più favorevoli per quelle organizzazioni che mostrano un obiettivo di impatto sociale; in tal caso, all’interno del processo di credit scoring viene integrata una valutazione qualitativa dell’impatto sociale generato, che appare però ancora subordinata alla valutazione positiva degli aspetti economico finanziari. Inoltre, la microfinanza è ancora un approccio molto diffuso. Gli investimenti sono diretti principalmente alle organizzazioni che operano nel settore del welfare; anche se i settori non vincolano la scelta degli investitori, a condizione che l’organizzazione generi un impatto sociale.
In termini di target degli investimenti, buona parte degli attori dell’ecosistema riferiscono che la forma legale “not for profit” non è un requisito da cercare nei propri target d’investimento; anzi, spesso esprimono una netta preferenza per organizzazioni con una forma “for profit” ed una dichiarata mission sociale. Infine, l’offerta di tutti gli investitori include sempre una serie di servizi di supporto non finanziario per le organizzazioni.
Dai risultati della ricerca emergono due elementi interessanti riguardo la configurazione delle relazioni all’interno dell’ecosistema. Quasi tutti gli investitori dichiarano di fare co-investimenti: questo approccio può essere volontario, nel senso che creano intenzionalmente un programma comune, ovvero non intenzionale perché spesso più investitori investono in un’unica organizzazione. Alcuni investitori, ad esempio, hanno investito nella prima organizzazione che eroga microcredito in Italia.
I finanziatori affermano di utilizzare un approccio “aperto” anche nella fase di scouting: solitamente fanno affidamento su associazioni di secondo livello o reti di organizzazioni, università o consulenti specializzati. Pochi investitori hanno deciso di eseguire l’attività di scouting internamente.
Molti degli intervistati sono anche impegnati nell’attività di advocacy svolta dalla Social Impact Agenda, un’organizzazione che mira a potenziare il mercato degli investimenti a impatto sociale in Italia. Inoltre alcuni dei finanziatori hanno implementato anche un’offerta di capacity building a supporto delle imprese che ricevono il capitale, dimostrando di essere disposti a supportare le organizzazioni al di là del solo capitale.
“La grande sfida del mercato è identificare reti di organizzazioni per evitare la replica di iniziative simili e creare forme innovative di collaborazione tra organizzazioni socialmente orientate”.
Per quanto riguarda il tema della governance dell’ecosistema, intesa come meccanismo per gestire e supportare i processi di co-evoluzione dell’ecosistema e la generazione di benefici positivi per la società, il punto cruciale appare essere legato alle modalità con cui gli obiettivi sociali vengono identificati in fase pre-finanziamento. Difatti, l’impatto sociale è il principale motore che muove le azioni sia degli investitori che delle organizzazioni e quindi è fondamentale che gli obiettivi sociali siano allineati fin dall’inizio della relazione. Tuttavia, abbiamo riscontrato che nella maggior parte dei casi esiste un approccio top-down nell’identificazione degli obiettivi sociali che vengono definiti dagli investitori in fase di due diligence e inclusi nell’accordo contrattuale; in altri casi sono negoziati tra gli investitori e l’impresa; e in pochissimi casi sono suggeriti dall’imprenditore stesso.
Tuttavia, senza un sistema per gestire gli equilibri di potere tra i diversi attori dell’ecosistema, la stessa sopravvivenza dell’ecosistema potrebbe essere a rischio.
Le performance dell’ecosistema dell’impatto deve essere valutata sia in termini di risultati sociali sia di ritorno economico. I finanziatori hanno espresso pareri ancora molto critici riguardo gli strumenti di misurazione dell’impatto sociale esistenti poiché sono considerati ancora troppo complessi, costosi e time consuming. Di conseguenza, attualmente è diffuso un approccio che potremmo definire transaction-based, vale a dire composto da pochi indicatori principalmente qualitativi che sono sviluppati in modo personalizzato per la singola organizzazione. Solitamente questa attività di misurazione viene, quindi, esternalizzata a consulenti terzi.
Gli attori che entrano nel mercato della finanza ad impatto stanno ancora cercando di sviluppare processi e strumenti innovativi nell’adattarsi alle esigenze delle organizzazioni ad impatto, come social bond, piattaforme di social peer to peer lending, leasing sociale. Un approccio completamente nuovo che si sta diffondendo è l’investimento nel settore immobiliare al fine di innescare processi di rigenerazione dell’area circostante, dove l’asset fisico è semplicemente un contenuto di servizi che sono il vero veicolo di creazione di valore sociale.
Tuttavia, gli intervistati sottolineano la necessità di attuare diverse azioni al fine di superare la fase di test e rendere il mercato stabile e robusto. In primo luogo, sarebbe importante aumentare il volume delle transazioni sul mercato, attirando nuovi soggetti sia dal lato dell’offerta che della domanda. In secondo luogo, il coinvolgimento del settore pubblico sembra cruciale, non solo come partner in investimenti diretti, ma come gestione del mercato per promuovere iniziative di sensibilizzazione sul tema dell’impatto sociale e politiche in grado di sostenere la crescita della domanda e implementare incentivi che attraggano attori sul mercato. Gli intervistati riscontrano un serio bisogno di attività che sviluppino le competenze necessarie per gestire questo specifico tipo di investimenti. Infine, sottolineano la necessità di concepire meccanismi per ridurre il rischio degli investimenti, in particolare di garanzia o assetti di partnership pubblico-private.
Questa rassegna dei dati presentati nel Tiresia Social Impact Outlook utilizza un approccio ecosistemico per comprendere le condizioni di un settore complesso come l’impresa sociale e l’innovazione sociale. In particolare, basandosi sull’ipotesi teorica proposta da Adner, questo lavoro prova a riflettere sulla struttura di allineamento dell’ecosistema.
In primo luogo, l’analisi permette di concludere che l’ecosistema non mostra una carenza in termini di asset tangibili, in questo caso il capitale, ma di quelli intangibili. Il bisogno più urgente suggerito dal livello di investment readiness della domanda e dalle richieste dell’offerta risultano essere attività in grado di rafforzare le competenze manageriali e tecnologiche delle organizzazioni per renderle “pronte” a ricevere i finanziamenti necessari. Difatti, la presenza di innovazioni tecnologiche nei modelli di business potrebbe favorire la scalabilità delle soluzioni proposte. Ciò non significa avere organizzazioni più grandi o utilizzare la tecnologia semplicemente per il bene della tecnologia stessa. L’introduzione della componente tecnologica rappresenta un’opportunità per condividere, diffondere, adattare e replicare più facilmente il modello in diverse aree e risolvere diverse tipologie di problemi sociali. In tal modo, i finanziatori ad impatto sociale potrebbero sperimentare l’opzione di investire in sotto-ecosistemi di organizzazioni che offrono le stesse comprovate proposte di valore in diversi contesti, superando il problema della frammentazione e delle dimensioni ridotte del singolo investimento.
Tuttavia, dall’altra parte, i finanziatori ad impatto dovrebbero farsi carico, impiegando parte del capitale, delle iniziative necessarie per sviluppare l’ecosistema e “costruire” le competenze della domanda. In particolare, proponiamo due priorità che dovrebbero essere incluse nel mandato degli investitori a impatto sociale per superare le sfide dell’ecosistema dell’impatto. In primo luogo, gli investitori dovrebbero impiegare parte dei loro finanziamenti sostenendo attività di capacity building; in secondo luogo, dovrebbero generare partnership con intermediari e fornitori di servizi non finanziari per superare la frammentazione legata alla presenza di molte piccole imprese orientate al sociale che svolgono attività simili in diverse aree o settori.
Quindi, in conclusione, affinché l’ecosistema dell’impatto possa svilupparsi ulteriormente per affrontare le sempre crescenti sfide sociali è necessario che tutti gli attori dell’ecosistema, imprese e finanziatori, ripensino almeno in parte i propri ruoli rispetto al settore “for profit” e apportino delle modifiche ai propri modelli operativi.
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