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ISSN 2282-1694
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Editoriale

L’impatto della rivista Impresa Sociale

Marco Musella, Flaviano Zandonai

Saggi

Innovazione sociale e sviluppo territoriale

Frank Moulaert, Pieter Van der Broeck, Alessandra Manganelli

La competitività è maggiore per le imprese coesive

Giovanni Ferri, Marco Pini , Alessandro Rinaldi

Saggi brevi

Domanda e offerta di capitale per l’impatto sociale

Veronica Chiodo, Francesco Gerli

Le dimensioni dell’innovazione sociale

Fabrizio Montanari, Stefano Rodighiero, Fabio Sgaragli, Diego Teloni

Il contratto di rete come strategia di rigenerazione

Melania Verde

Casi studio

Stakeholder engagement e impatto nei servizi sociali

Ericka Costa, Laura Castegnaro

Recensioni

L’impresa come istituzione sociale

Enrico Sacco

Numero 10 / 2017

Saggi brevi

Il contratto di rete come strategia di rigenerazione urbana. Il caso di Piazza Mercato a Napoli

Melania Verde

Il paper affronta il tema della rigenerazione di aree urbane che vertono in condizioni di degrado fisico e socio-economico. In particolare, si proverà a contestualizzare il caso di Piazza Mercato a Napoli attraverso la teoria dei giochi e, nello specifico, il dilemma del prigioniero, condizione in cui i decisori massimizzano il risultato delle proprie scelte – per sé ma non per il gruppo – contribuendo al “degrado urbano” (che rappresenta una situazione di equilibrio sub-ottimale o non cooperativo, il noto Nash Equilibrium). L’obiettivo di questo contributo è individuare gli “strumenti” che possono favorire il superamento del dilemma del prigioniero, attraverso scelte cooperative che spingono gli agenti economici a preferire comportamenti atti a massimizzare il risultato del gruppo, ovvero la “riqualificazione urbana” (che rappresenta una situazione di equilibrio ottimale o cooperativo). In particolare, ci si chiederà quale sia la tipologia di cooperazione maggiormente in grado di favorire il raggiungimento di soluzioni ottimali. La “cooperazione strumentale e condizionale”, che nasce dall’adesione a sistemi di incentivi e punizioni (il contratto di rete, ad esempio) e/o la “cooperazione non strumentale” che nasce dalla fiducia genuina ed interpersonale tra gli agenti, quella cioè che non risponde alla logica individualistica.


The subject of this paper is the “regeneration” of urban areas in a state of a progressive, physical and socio-economic decline. In particular, the case of Piazza Mercato in Naples is presented applying the game theory and, more specifically, the prisoner’s dilemma, a condition where the decision makers, in order to achieve maximum results on the basis of their decisions (made for themselves not for the community), play a role in the urban decay (which represents a suboptimal or non-cooperative equilibrium, knows as Nash Equilibrium). The purpose of the work is to identify “instruments” which encourage economic agents to act with the aim of maximizing the group’s results, which is the “urban renewal” (optimal and cooperative equilibrium), exceeding the prisoner’s dilemma and making cooperative choices. The analysis raises the issue concerning the proper model of cooperation to produce the best solutions. The “conditional and instrumental cooperation”, which occurs in presence of an incentives and penalties system (the network contract, for example) and/or the “non instrumental cooperation” in presence of real and interpersonal trust between the agents, that is not linked to the individualistic mindset.

DOI: 10.7425/IS.2017.10.07

Il contributo è una riproposizione dello scritto: Musella M., Verde M. (2017), “La rigenerazione urbana come opportunità per uno sviluppo umano del territorio”, in SRM - Fondazione Banco di Napoli (a cura di), Sviluppo locale e rigenerazione urbana nel Mezzogiorno. Obiettivi e valori per una riqualificazione sostenibile della città di Napoli, Giannini Editore.

Introduzione

Il contributo affronta il tema della rigenerazione di aree urbane che vertono oggi in condizioni di progressivo degrado fisico e socio-economico. In particolare si proverà a contestualizzare il caso di Piazza del Mercato, uno dei luoghi storici e prosperi più antichi della città di Napoli, attraverso la teoria dei giochi e, nello specifico, il dilemma del prigioniero,[1] condizione in cui i decisori massimizzano il risultato delle proprie scelte – per sè ma non per il gruppo – contribuendo così al degrado urbano (che rappresenta una situazione di equilibrio sub-ottimale o non cooperativo, il noto Nash Equilibrium).

Piazza del Mercato, comunemente detta Piazza Mercato, ha da sempre svolto un ruolo predominante nella vita economica, politica e sociale della città partenopea. Occupa una posizione centrale e strategica, a prevalente uso commerciale (particolarmente presenti i settori orafo e tessile), un polo attrattivo, vicino al porto, alla stazione ferroviaria e all’autostrada.

Obiettivo di questo saggio è individuare gli strumenti che possono favorire il superamento del dilemma del prigioniero, attraverso scelte cooperative che spingono gli agenti economici a preferire comportamenti atti a massimizzare il risultato del gruppo, ovvero la riqualificazione urbana (che rappresenta una situazione di equilibrio ottimale o cooperativo).

In particolare, ci si chiederà quale sia la tipologia di cooperazione maggiormente in grado di favorire il raggiungimento di soluzioni ottimali. La cooperazione strumentale e condizionale, che nasce dall’adesione a sistemi di incentivi e punizioni (come il contratto di rete)[2] e/o la cooperazione non strumentale, che scaturisce dalla fiducia genuina ed interpersonale tra gli agenti, ossia quella che non risponde alla logica individualistica. In altre parole, il contratto di rete, importante forma di innovazione organizzativa per le imprese, è uno strumento in grado di realizzare, nel territorio in esame, un processo di reale trasformazione?

A giudizio degli autori, nell’area di Piazza Mercato, la scelta degli agenti di auto-vincolarsi, attraverso un contratto di rete, a delle regole non opportunistiche, per un bene individuale maggiore, non risulta uno strumento in grado di attivare quelle forme di cooperazione di cui il territorio napoletano necessita per uscire da esiti dilemmatici. Si ritiene, pertanto, che solo una cooperazione di tipo non strumentale (che si nutre cioè di fiducia autentica) possa creare le giuste premesse per l’avvio e l’auto-alimentazione di un processo di rigenerazione urbana a misura delle persone e dei territori.

Il dilemma del prigioniero ed equilibri non cooperativi. Il degrado urbano di piazza Mercato come esempio di dilemma del prigioniero

Il filone di ricerca economica da cui prende le mosse la riflessione sul degrado urbano di piazza Mercato e sulle strategie di rigenerazione urbana intraprese negli ultimi anni (in particolare la recente stipula, nel 2015, di un contratto di rete “Co.Re mercato”, su cui si tornerà a breve) è quello nato dal seminale contributo di Nash sul dilemma del prigioniero: si tratta di uno scritto che ha messo in evidenza la terribile contraddizione in cui possono venirsi a trovare i sistemi socio-economici nel momento in cui gli agenti economici, decidendo in modo razionale, fanno sì che il sistema non raggiunga soluzioni ottimali, ma sub-ottimali (Axelrod, 1985). E ciò pur in presenza di agenti che perseguono razionalmente l’ottimo individuale; la razionalità strumentale li obbliga, in qualche modo, a comportarsi in modo non collaborativo con gli altri cosicché ne consegue un equilibrio sub-ottimale.

Nel mondo reale, infatti, gli agenti economici ben sanno che i risultati che raggiungeranno sono fortemente influenzati dalle scelte di altri (si utilizza l’espressione interazione strategica per indicare l’interdipendenza delle scelte dei diversi agenti); trattandosi di situazione nota agli attori del processo economico, non si può trascurare – soprattutto se ci si muove all’interno di un approccio che considera la razionalità dei singoli agenti – che ciascuno si sforzerà di prevedere i comportamenti degli altri.

Quasi sempre l’esistenza di una interdipendenza nelle scelte degli agenti economici viene spiegata attraverso la teoria dei giochi, una branca della matematica che ha ricevuto una grandissima attenzione dagli economisti e che trae origine e forza dal contributo del grande matematico John Nash che, attraverso il cosiddetto dilemma del prigioniero, ha spiegato come interpretare scelte umane che producono risultati aggregati così insoddisfacenti da apparire incomprensibile il fatto che non si riesca a modificare queste stesse scelte. Il dilemma del prigioniero, un gioco ad informazione completa, mostra, infatti, l’ineluttabilità di esisti sub-ottimali di interazioni tra soggetti guidate dal self-interest. La possibilità di migliorare il risultato aggregato, e quindi anche quello dei singoli decisori (per anticipare riflessioni che si proporranno nei prossimi paragrafi), è legata alla possibilità di inserire comportamenti cooperativi che spingono gli agenti a massimare il risultato del gruppo rinunciando all’apparente vantaggio individuale.

Prima di proseguire con il superamento del dilemma del prigioniero e con le sue applicabilità al caso specifico di Piazza Mercato, si ricorderà in cosa cosiste tale dilemma. Due persone (A e B) hanno compiuto un reato. Vengono intercettati e trattenuti dalla polizia che non ha, però, alcuna prova per incastrarli; l’unica possibilità è rappresentata da una confessione o un atto di accusa circostanziato. Se nessuno dei due accuserà (o confesserà, siescluderà questa ipotesi a priori), scaduti i termini di carcerazione preventiva, la polizia sarà costretta a rilasciare entrambi. Si decide allora di interrogarli separatamente e si promette a ciascuno la libertà, o uno sconto di pena, se collabora denunciando il colpevole (Neumann, Morgenstern, 1953). Nash afferma che i due saranno portati per calcolo razionale ad accusarsi reciprocamente. Per ciascuno dei due pregiudicati, infatti, vale la graduatoria dei risultati della Tabella 1.

Tabella 1. Il dilemma del prigioniero

Ci sono molti modi per dimostrare, logica alla mano, che l’esito del gioco sarà che entrambi i prigionieri si accuseranno. Innanzitutto, è facile notare che a ciascun giocatore, qualunque cosa faccia l’altro, conviene accusare: banalmente, il 1° posto è meglio del 2° e il 3° è meglio del 4°; se entrambi fanno (correttamente) questo ragionamento, si accuseranno a vicenda e si finirà al terzo posto. È vero che la situazione nella quale non si accusano è migliore e, quindi, sembrerebbe avere chance per essere raggiunta, ma, se i giocatori sono interessati al miglior risultato per se stessi e ragionano in maniera egoista e razionale, come la teoria economica convenzionale ha sempre ipotizzato, sceglieranno di non cooperare, sia A che B sanno che converrà accusare e guadagnare l’immediata libertà, se l’altro non accusa. Inoltre A conosce le preferenze di B e B quelle di A per cui non conviene mai scegliere la strategia di non accusare.

Quanto fin qui detto viene presentato con una matrice dei payoffs (Tabella 2): i risultati (che dipendono dalle proprie azioni e da quelle dell’alto) sono per entrambi in linea con quanto evidenziato dalla Tabella 1. Il primo numero si riferisce ai payoffs del giocatore A, il secondo a quelli di B. Confrontando i primi numeri in orizzontale (-2 con -3 e 0 con -1) vediamo che per A è conveniente accusare qualunque cosa faccia B; confrontando i secondi numeri in verticale (sempre -2 con -3 e 0 con -1) osserviamo che anche al giocatore B conviene accusare. Accusare è la strategia dominante del gioco e il risultato -2,-2 prevarrà anche se ad entrambi i giocatori converrebbe -1,-1 (cioè non accusarsi).

Tabella 2. Il dilemma dell’individualismo. Elaborazione degli autori

Il risultato di Nash è così forte che anche gli eventuali accordi presi dai due prigionieri, in assenza di un efficace sistema di enforcement degli stessi accordi, verranno disattesi e prevarrà l’equilibrio sub-ottimale indicato in precedenza.

Il dilemma del prigioniero rappresenta un potentissimo strumento interpretativo delle situazioni della vita economica, sociale e politica nella quale compare una chiara divaricazione tra l’obiettivo individuale e quello sociale o collettivo. Il caso del degrado urbano di Piazza Mercato è certamente una situazione in cui, in assenza di un meccanismo di coordinamento delle scelte individuali orientato a favorire la cooperazione, gli agenti hanno preferito, e continuano a preferire, muoversi nella logica di massimizzazione dell’obiettivo individuale (o minimizzazione dei costi della situazione che si è generata), non intraprendendo investimenti che, in assenza di una prospettiva condivisa di valorizzazione dell’area, rischiano di produrre solo perdite. È, dunque, un caso in cui l’obiettivo individuale diverge da quello collettivo.

Da molti anni, in assenza di una strategia condivisa di valorizzazione dell’area che desse continuità alla sua storica vocazione quale luogo deputato al commercio e al mercato, ogni agente di Piazza Mercato – commercianti, artigiani, proprietari degli immobili – ha scelto l’azione individualmente più conveniente al fine di ottenere il miglior risultato per sè: sono state chiuse attività fiorenti, si sono delocalizzate produzioni, non si sono fatte le dovute operazioni di manutenzione. Né il Comune e le altre istituzioni pubbliche hanno compiuto scelte politiche concrete nella direzione di un’idea positiva sul ruolo, rinnovato e attento all’evoluzione dei tempi e delle tecnologie, dell’area. Il risultato aggregato è sotto gli occhi di chiunque attraversi la piazza: saracinesche abbassate, immobili non curati, strade sporche e dissestate. Il degrado urbano!

Il ruolo del contratto di rete per il superamento del dilemma del prigioniero in una ottica di “cooperazione strumentale e condizionale”. Si tratta di un sistema di incentivi e punizioni per uscire dal Nash equilibrium?

Nel paragrafo precedente si è provato a chiarire perché il comportamento cooperativo, seppur strategia vincente per la collettività dei decisori, è, nei fatti, una strategia “impossibile” a realizzarsi. La ricerca dell’individualistico tornaconto, nel contesto urbano in esame, così come in molte altre situazioni della vita reale, non solo non porta al bene comune, ma neanche al bene privato dei singoli individui. “Non cooperare” nell’area di Piazza Mercato risulta oggi la strategia individuale migliore, ma essa produce mancati guadagni (o perdite che si potrebbero evitare) per i singoli; essa è divenuta nel corso degli anni un equilibrio stabile del gioco (un equilibrio di Nash, appunto) dal quale nessuno dei decisori ha convenienza a spostarsi unilateralmente, pena il rischio altissimo di subire ulteriori perdite.

La letteratura sugli equilibri sub-ottimali ha cercato di porre rimedio allo sconfortante risultato di Nash seguendo molte e diverse vie. Di esse, ovviamente, non è possibile dare conto, neanche per linee generali, in questo breve saggio orientato a fornire più chiavi interpretative di ciò che sta avvenendo nel contesto urbano di Piazza Mercato. Ci si concentrerà pertanto su quel filone di studi che propone degli strumenti in grado di favorire la cooperazione tra gli agenti, ad esempio facendo entrare in gioco un attore terzo che si pone come arbitro/giudice. Il presupposto logico da cui parte questa letteratura è che i due (o n) giocatori del dilemma del prigioniero, da soli, non sono in grado di uscire dal Nash equilibrium e, conseguentemente, risulta necessario fare intervenire qualcuno che possa modificare i risultati ottenuti dagli agenti stessi.

L’idea, dunque, è nella sostanza riconducibile alla tesi che la presenza di incentivi, e/o punizioni, aiuta a superare le secche del Nash equilibrium perché consente di far emergere, e di tenere in vita, comportamenti cooperativi. La presenza, ad esempio, di un sistema di premi per il comportamento cooperativo, se ben congegnato (modificando i payoffs della Tabella 2 come in Tabella 3), incentiva gli agenti a variare la propria strategia e ad iniziare a cooperare.

Tabella 3. La modificazione dei payoffs. Elaborazione degli autori

Nella Tabella 3 si è realizzato, grazie al premio, un capovolgimento di convenienze. Ad ognuno degli agenti conviene cooperare perché il suo risultato (incassando il premio per la cooperazione) è comunque migliore di quello ottenuto non cooperando. L’equilibrio si avrà per la coppia “non accusare – non accusare” (che significa cooperare con l’altro giocatore).

È chiaro che questa soluzione richiede l’intervento di un “terzo” attore datoto di risorse e strumenti efficaci per intervenire nei processi decisionali in modo da rendere affidabile per gli agenti economici la scelta di cooperare. Deve perciò trattarsi di un soggetto (“un’istituzione”) che abbia l’autorità e la disponibilità di risorse adeguata a gestire un sistema di premi e punizioni idoneo a determinare il capovolgimento della classifica dei payoffs illustrata nella Tabella 2. È facile mostrare, con riferimento all’esempio, che, se il premio fosse di valore minore o uguale ad 1, il risultato desiderato non si produrrebbe. Per questo, in genere, il “terzo” attore più chiaramente deputato a svolgere questa funzione è lo Stato o, comunque, una pubblica amministrazione.

Nel caso di piazza Mercato è stato promosso da Fondazione Banco Napoli uno strumento per superare il degrado e avviare un percorso di rigenerazione urbana: un contratto di rete (Box 1), sottoscritto nel 2015 per la costituzione di “Co.Re mercato”, coinvolgendo i seguenti attori: l’Istituto Banco Di Napoli - Impresa Sociale, l’Associazione Amici della Fondazione di Comunità del Centro Storico di Napoli - Impresa Sociale, il Consorzio Antiche Botteghe Tessili, il Consorzio Antico Borgo Orefici. Nello specifico, il principale obiettivo strategico della Rete Co.Re mercato, è consistito nel promuovere iniziative di riqualificazione e valorizzazione del quartiere Mercato-Pendino a Napoli (soprattutto nell’area di Piazza Mercato) attraverso la nascita, lo sviluppo e la ristrutturazione di imprese del territorio, dedite prevalentemente alla produzione orafa e tessile, con particolare attenzione al sostegno sociale della popolazione che vive, studia e lavora nel quartiere, mediante l’erogazione di servizi di supporto e di formazione professionale. La rete costiuita, nella sua definizione tecnico-giuridico amministrativa, si è proposta come struttura di gestione che si assumesse il compito, in sinergia con le istituzioni, di perseguire nel tempo la rivitalizzazione commerciale e la manutenzione urbana del quartiere in esame, coinvolgendo i diversi soggetti attivi già presenti nell’area, in particolare le imprese, interessate a far risaltare a livello nazionale e internazionale la tradizione artigianale degli antichi mestieri propri del territorio (produzione orafa e tessile).

Dal 2015, anno di costituzione della rete, nulla è cambiato, i buoni propositi non si sono tradotti in azioni concrete nè da parte delle istituzioni nè da parte dei principali attori economici di riferimento, come i Consorzi Antiche Botteghe Tessili e Antico Borgo Orefici, nati con lo scopo di organizzare la partecipazione degli operatori economici alle iniziative di riqualificazione e valorizzazione di quest’area. Ancora una volta comportamenti self-oriented, ma anche l’incapacità di governare le reti, sono all’origine del mancato conseguimento degli obiettivi programmati nel contratto di rete. L’area di piazza Mercatro è ad oggi ancora in condizioni di degrado socio-culturale elevato, pertanto, l’avvio di un processo di rigenerazione urbana sostenibile sembra ancora molto lontano.

Possiamo allora considerare lo strumento del contratto di rete, in linea con la tesi secondo la quale i comportamenti degli agenti si modificheranno solo in presenza di un sistema di premi e punizioni che modifichi i loro payoffs, una misura tale da rendere conveniente la cooperazione?

L’accordo formalizzato nel “contratto di rete”, come nuova forma di aggregazione tra imprese, basato sulla collaborazione, lo scambio e l’aggregazione tra imprenditori, veniva e viene considerato, più che altro, una sorta di “patto” tra agenti, in questo caso decisori/agenti di Piazza Mercato per far sì che essi scelgano di “cooperare”. L’adesione ad un contratto di rete rappresenta, infatti, la modalità con cui si cerca di favorire una scelta cooperativa dei diversi soggetti basata soprattutto sulle risorse interne della rete. I vantaggi (o incremento dei payoffs, per usare la terminologia della teoria dei giochi) per i retisti, in questo caso, sono più legati ad economie esterne all’impresa, ma interne all’area geografica (come, ad esempio, un maggior potere contrattuale verso l’esterno, la possibilità di organizzare azioni di promozione collettiva dell’area, la possibilità di realizzare investimenti parzialmente congiunti ripartendone i costi), che ai tradizionali vantaggi fiscali e ai derivanti da un sostegno pubblico in termini di politiche di arredo urbano, etc.

È vero che i decisori (ovvero le imprese retiste) sulla base di un programma comune possono collaborare nell’ambito delle rispettive imprese, ma anche scambiare know-how o prestazioni industriali, commerciali, tecnologiche, esercitare in comune attività di impresa, contribuire in ultima analisi al processo di rivalorizzazione socioeconomica del territorio, ma perché ciò decolli davvero è necessario che la cooperazione nasca da motivi non strumentali (gli incentivi fiscali o i benefici dell’intervento pubblico) ma dalla “fiducia” tra agenti.

Box 1. Contratto di rete: nuova forma contrattuale di innovazione organizzativa

Il superamento del dilemma del prigioniero in una ottica di “cooperazione non strumentale”. Il ruolo del capitale sociale

Fin qui si è discusso dell’idea tradizionale di razionalità economica, secondo cui la “cooperazione”, in un’ottica strumentale e condizionale, può essere raggiunta solo quando si è capaci di auto-vincolarsi (attraverso la sottoscrizione di accordi, contratti) a delle regole non opportunistiche, per un bene individuale maggiore. E ciò dipende fortemente dall’esistenza di un sistema di premi e punizioni adeguate (e comunque tali da modificare la gerarchia dei payoffs) con alta probabilità di enforcement.

Tuttavia, il “contratto”, pur essendo un’importante forma di reciprocità, indispensabile per la vita civile, non sempre è un sistema in grado di attivare forme di cooperazione. Detto in altro modo, la cooperazione può nascere anche da una fonte diversa da un contratto con clausole tali da modificare la struttura dei payoffs di un gioco one shot. Quale altra via consente di uscire dalle secche del Nash equilibrium? O meglio, come si attivano comportamenti di cooperazione se la reciprocità, anche in presenza di contratti, non emerge?

La letteratura sembra indicarci una strada: è possibile evitare esiti dilemmatici (cui si può giungere, come si è detto, anche in presenza di accordi vincolanti) solo se si inizia a sposare la logica di un agente non standard per la teoria economica, ossia quella di un agente che non ragiona solo in termini di come massimizzare benefici o minimizzare costi, ma che misura la bontà di un’azione per il suo valore intrinseco e non sulla base della sua capacità di essere un mezzo per ottimizzare i risultati (come, invece, è abituato a fare l’homo oeconomicus mosso dal solo self-interest). Nella società civile, come messo in evidenza da un vasto filone di studi, sono presenti forme di cooperazione che si sviluppano sulla base di un agente che fa le sue scelte mosso da un tipo di razionalità diversa dall’idea standard.

È proprio con queste forme di cooperazione, caratterizzate da interazioni che si ripetono, “liberamente e senza sistemi di enforcement legale”, che si entra nel campo della reciprocità, che gli economisti (soprattutto il filone dell’economia civile legato in Italia a Stefano Zamagni e Luigino Bruni) da un po’ di tempo hanno iniziato a coltivare insieme a sociologi, antropologi e altri scienziati sociali.

La trasformazione del gioco che avviene in questo caso è innanzitutto quella di considerare che il gioco è ripetuto, non è one shot. Ciò comporta che vi è sempre la possibilità di valutare benefici che durano nel tempo in contrapposizione a benefici maggiori, ma di durata limitata; andando al di là della logica di scelte vincolate sempre e comunque ad un calcolo, vi è lo spazio per introdurre elementi legati al desiderio di preferire la cooperazione, di volere alimentare circuiti di quella benevolenza che Smith non nega, ma considera la base della convivenza umana (Sen, 1981).

L’idea che si possa riqualificare un determinato contesto urbano senza prestare attenzione ai sistemi di relazione è, dunque, a ben vedere, molto debole, soprattutto quando i sistemi di incentivo non sono così forti da modificare le convenienze degli agenti in modo palese.

Occorre, perciò, guardare in un modo nuovo l’economia urbana prestando maggiore attenzione alle relazioni sociali, alla qualità della vita e alla dimensione sociale dei piani di sviluppo. Se l’involuzione della città è andata di pari passo con l’abbandono di una visione civile del mercato appare evidente che, per la rigenerazione della città, è necessario un ritorno all’economia civile, dove l’incremento del benessere collettivo vada di pari passo con l’attivazione di positivi legami sociali in una logica di reciprocità genuina, non strumentale (Bruni, 2006).

La riqualificazione urbana costituisce dunque un’occasione per promuovere il riavvicinamento tra reti economiche e reti sociali che negli ultimi decenni sembrano seguire orientamenti divergenti.

Si propone, pertanto, un modello di sviluppo fondato sul binomio tradizione e innovazione, in cui il territorio con la sua storia, tradizioni, saperi e identità relazionale costituisce un valore aggiunto e soprattutto un vantaggio “competitivo” difficilmente riproducibile in altri contesti. Un modello di sviluppo caratterizzato non solo dalla ricerca di una ripresa economica, ma soprattutto dal miglioramento della qualità della vita (Sen, 1999), evidenziando così una nuova logica su cui fondare il sistema socio-economico.

Ricercare la storia e la cultura di determinati territori, rappresenta il punto di partenza, non solo in un’ottica di tutela, conservazione e valorizzazione ma soprattutto come fattore in grado di promuovere lo sviluppo economico e sociale e di dare un obiettivo comune (un progetto condiviso) agli agenti.

Occorre creare le giuste premesse affinché si possa avviare un “processo” orientato a ricostruire nuovamente un’identità culturale locale intesa come individuazione, tutela e valorizzazione di tutti quei fattori che contribuiscono a creare la specificità e l’unicità di determinati luoghi come Piazza Mercato e dintorni.

L’identità non è sicuramente qualcosa che si può generare calando soluzioni dall’alto, ma è il frutto dell’incontro tra persone che interagiscono in modo continuo e proficuo in specifici contesti urbani. L’identità non è neppure qualcosa di statico, ma subisce trasformazioni nel tempo, rendendo evidente il compromesso tra conservazione e innovazione su cui si basa. Del resto, i luoghi urbani, per mantenere una connotazione identitaria, devono conservare un “nucleo” stabile ma al contempo essere in grado di rispondere alle nuove richieste della popolazione. In questo quadro, allora, l’identità è il risultato della continua negoziazione tra gli attori in gioco (Mela, 2006).

In un percorso di valorizzazione di un territorio elementi intangibili quali, identità, storia locale, fiducia, legami interpersonali, conoscenza reciproca, costituiscono senza dubbio la matrice identitaria su cui attivare innovative dinamiche di sviluppo locale.

L’elemento che sembra fare la differenza in termini di ripresa e di sviluppo sostenibile di un territorio è il suo capitale sociale, inteso nell’accezione culturale, di impronta macroeconomica, come la cultura civica che frena l’opportunismo e favorisce il rispetto delle regole della convivenza collettiva.

Sembra opportuno spendere qualche parola in più su questo concetto, così rilevante che la letteratura recente ha spesso messo al centro dell’attenzione, e che anche nella teoria dei giochi può essere usato per dare contenuto a strategie di cooperazione che ci portino fuori dal Nash equilibrium.

Il primo contributo sul tema è attribuibile a Putnam (Putnam, 1993). Nella visione del politologo statunitense il capitale sociale si identifica con requisiti “culturali”, come la struttura delle relazioni, i valori, le norme, che favoriscono un ordine sociale contraddistinto dalla “generale cooperazione” per il bene comune.

Il capitale sociale inteso come bene pubblico fatto di norme di reciprocità e cooperazione, di reti di impegno civico e di partecipazione, deriva dalla presenza di un diffuso sentimento di fiducia generalizzata, cioè dal sentimento che ci si possa fidare degli altri in quanto “cittadini”, non in quanto soggetti appartenenti a determinati gruppi/categorie (come può essere ad esempio l’appartenenza ad una rete di imprese). Fukuyama (1995) identifica il capitale sociale proprio con la fiducia, cioè la capacità di instaurare comportamenti cooperativi derivanti da caratteri culturali che tendono ad autoconformarsi.

La prima caratteristica che le interazioni sociali devono possedere perché possa svilupparsi la fiducia è la stabilità degli incontri. Nei giochi sperimentali in cui i giocatori hanno a disposizione una sola mossa, in cui la scelta razionale, come si è detto, è la defezione o la non cooperazione (il Nash equilibrium, appunto), il rischio che entrambi i giocatori adottino una mossa sleale è altissimo. Questi giochi simulano le interazioni fra soggetti che si incontrano senza conoscersi o che sanno che non si incontreranno una seconda volta. Sono le interazioni nelle quali scattano tutti i meccanismi possibili della diffidenza ma anche dell’opportunismo: I giocatori non hanno alcun controllo sull’azione dell’altro, non possono né premiarlo se si comporta in modo cooperativo, né punirlo se si comporta in modo opportunistico, perché non vi sarà un secondo stadio del gioco.

I comportamenti di fiducia e di affidabilità, di contro, crescono con la connessione sociale: i giocatori adottano con più probabilità strategie cooperative che massimizzano l’utile reciproco, piuttosto che l’utile proprio, quanti più contatti hanno in comune e quanto più lunga è la relazione (affinché si generi fiducia le relazioni devono essere stabili). L’importanza della conoscenza reciproca e dei contatti comuni è la variabile chiave perché gli individui si possano fidare degli altri (Alesina, La Ferrara, 2002).

In particolare è la relazione di fiducia autentica, interpersonale, quella cioè che non risponde alla logica individualistica, che, non essendo esclusivamente intrapresa per un puro scopo individuale, può giocare un ruolo-chiave nell’attivazione e consolidamento di processi di cooperazione. Essa, in quanto forma di fiducia “donata”, risulta maggiormente in grado di produrre risposte “affidabili” da parte degli agenti coinvolti nella relazione e di consentire il superamento del dilemma del prigioniero. Se la sola motivazione ad intraprendere un’azione fiduciosa è l’aspettativa di reciprocità, come nel caso di chi decide di aderire ad un accordo vincolante, non è detto che si producano gli stessi effetti positivi, e soprattutto la circolazione di un diffuso sentimento di cooperazione in vista di un obiettivo comune da raggiungere è sotto la spada di Damocle del venir meno degli incentivi. In altri termini, la diffusione della fiducia autentica, intesa come “risorsa morale” dei soggetti coinvolti nella relazione (Hirschman, 1984), è la base più solida per favorire processi di rigenerazione urbana sostenibili.

Conclusioni

Obiettivo di questo scritto è stato quello di individuare gli “strumenti” in grado di favorire il superamento della condizione di degrado urbano che caratterizza Piazza Mercato di Napolida diversi decenni. In particolare, ci si è chiesti, quale sia la tipologia di “cooperazione” maggiormente in grado di spingere gli agenti economici a preferire comportamenti atti a favorire la “riqualificazione urbana” del territoio in esame. La “cooperazione strumentale e condizionale”, che nasce da sistemi di enforcement, quale è appunto il contratto di rete, e/o la “cooperazione non strumentale” che nasce dalla fiducia genuina ed interpersonale tra gli agenti?

A giudizio degli sutori, nell’area di Piazza Mercato, solo una “cooperazione non strumentale”, che si nutre di fiducia genuina ed interpersonale, può creare le giuste premesse per una rigenerazione urbana a misura delle persone e dei territori, in grado di auto-alimentarsi attraverso circuiti virtuosi di sviluppo (investimenti, attrazione dei turisti, insediamento di nuove attività, iniziative di formazione, progetti innovativi, etc). La rete, come ogni processo di innovazione, funziona solo se si attivano paralleli processi di cambiamento che trasformano la cultura organizzativa del contesto stesso. Emerge quindi con sempre maggiore evidenza il fatto che ogni tentativo di riprogettare, rigenerare organizzazioni come territori debba misurarsi soprattutto con variabili culturali.

La creazione, lo sviluppo e il consolidamento della fiducia interpersonale e del capitale sociale si ritiene possa rappresentare la precondizione, indipendentemente dalla sottoscrizione di accordi, per l’avvio di un efficace e duraturo processo di rigenerazione urbana che si alimenta di reciprocità.

Bibliografia

Alesina A., La Ferrara E. (2002), “Who Trust Others?”, Journal of Public Economics, 85, pp. 207-234.

Axelrod R. (1985), Giochi di reciprocità. L'insorgenza della cooperazione, Feltrinelli, Milano.

Bruni L. (2006), Reciprocità. Dinamiche di cooperazione, economia e società civile, Mondadori, Milano.

Fukuyama F. (1995), Trust: The Social Virtues and The Creation of Prosperity, Free Press, New York (trad. it. Fukuyama F. (1996), Fiducia, Rizzoli, Milano).

Hirschman A.O. (1984), “A Dissenter’s Confession: ‘The Strategy of Economic Development’ Revisited”, in Meier G.M., Seers D. (eds.), Pioneers in Development, World Bank Publication, New York.

Mela A. (2006), Sociologia delle città, Carocci, Roma.

Musella, Verde (2017), “La rigenerazione urbana come opportunità per uno sviluppo umano del territorio”, in SRM - Fondazione Banco di Napoli (a cura di), Sviluppo locale e rigenerazione urbana nel Mezzogiorno. Obiettivi e valori per una riqualificazione sostenibile della città di Napoli, Giannini Editore.

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SRM - Fondazione Banco di Napoli (2017), Sviluppo locale e rigenerazione urbana nel Mezzogiorno. Obiettivi e valori per una riqualificazione sostenibile della città di Napoli, Giannini Editore.

Note

  1. ^ Come è noto, attraverso il dilemma del prigioniero si trattano le situazioni in cui la risoluzione di un problema dipende dalle scelte fatte da più agenti decisionali, detti giocatori, in condizioni di interazione strategica.
  2. ^ Nuovo istituto giuridico introdotto dal Decreto Legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito in Legge 9 aprile 2009, n. 33 (“Misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi”), oggetto di ulteriori modifiche (Legge n. 134/2012 e Legge n. 221/2012, di conversione del Decreto Legge n.179/2012) che ne hanno integrato e completato la disciplina. Non rientra tra gli obiettivi di questo scritto analizzare gli aspetti normativi.
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