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ISSN 2282-1694
impresa-sociale-3-2020-il-coinvolgimento-dei-lavoratori-nei-processi-decisionali-dell-impresa-sociale-tra-governance-partecipata-ed-inclusivita

Numero 3 / 2020

Saggi

Il coinvolgimento dei lavoratori nei processi decisionali dell’impresa sociale: tra governance partecipata ed inclusività

Gerardina Erika Forino

Abstract

L’incertezza empirica della shareholder value primacy e l’insufficienza del paradigma legato alla lucratività, unitamente alla mutata concezione del ruolo assunto dallo Stato nell’economia ed alla costante emersione di nuovi portatori di interessi, forniscono spunti di approfondimento significativi, laddove aprono alla prospettiva del contemperamento tra la eterogeneità di interessi sottesi all’impresa. I profondi mutamenti del sistema economico contemporaneo, sempre più indirizzato alla economia sostenibile e, l’irrisolto ed ancora aperto dibattito in ordine allo scopo che l’impresa deve perseguire (e, nell’interesse di chi debba essere gestita), impongono nuove sfide nel campo della governance e delle relazioni industriali, tanto con riguardo al “tradizionale” modo di fare impresa, quanto più in relazione all’impresa sociale, naturalmente caratterizzata dallo spirito partecipativo, inclusivo e democratico. Previo inquadramento normativo nazionale della partecipazione dei lavoratori negli organi sociali (in costante comparazione con la Mitbestimmung tedesca), la trattazione che segue tenterà di fornire adeguata risposta ai seguenti quesiti:

  1. Quali sono gli elementi caratterizzanti dei sistemi partecipativi c.d. deboli (informazione e consultazione) rispetto alle forme di codeterminazione e cogestione?
  2. Quali sono gli strumenti partecipativi, in concreto, adottati nell’impresa sociale all’esito della recente disciplina dettata dal D.lgs. 112/2017 e, come è declinato, sul piano statutario, il coinvolgimento?
  3. Alla luce dello scarno dato normativo (nazionale e sovranazionale), quale ruolo è assunto dal sistema delle relazioni industriali nella introduzione dei modelli partecipativi?

Keywords: multistakeholder theory, governance inclusiva, interesse sociale, relazioni industriali, coinvolgimento dei lavoratori.

DOI: 10.7425/IS.2020.03.01
 

Introduzione

Tra le molteplici e significative modifiche apportate dal Codice del Terzo Settore e dal Decreto Legislativo 112/2017 sull’Impresa sociale, un aspetto poco dibattuto al quale non pare invece avventurato riconoscere particolare rilevanza, è quello costituito dalla prospettiva employees’ involved adottata dalla Riforma, in ordine alla gestione ed al controllo nell’impresa sociale. Sebbene il Legislatore italiano non si sia spinto sino alla introduzione di meccanismi partecipativi effettivamente incisivi, lo sforzo normativo compiuto sotto il profilo della inclusione dei lavoratori e, per quel che qui interessa, dell’inserimento degli stessi negli organi sociali non va trascurato, non foss’altro che per i molteplici aspetti sottesi alla decisione normativa, da quello semantico a quello sistematico, dalle questioni di corporate governance, sino al piano delle relazioni industriali. Tutte questioni, quelle menzionate, che hanno animato l’ampio e trasversale dibattito nazionale ed europeo, catturando l’attenzione di quanti, proprio guardando al multistakeholder approach, ne hanno evidenziato le potenzialità, anche con riguardo all’impresa for profit (Sacchetti, 2018; Borzaga, Sacchetti, 2015; Blair, 1996; Sacconi, 1991, 2013). Ciò appare tanto più avvalorato dalla circostanza per cui la disciplina dell’impresa convenzionale difetta, anche per ragioni di carattere normativo, di una analoga previsione a tutela di interessi “altri”. Del resto, la regolamentazione introdotta dal Decreto legislativo sull’impresa sociale in punto di correlazione tra capitale e lavoro, costituisce, come efficacemente osservato, la disciplina di corporate governance al momento più avanzata nell’ordinamento nazionale (Palmieri, 2018), ponendosi, di fatto, quale ulteriore tassello, tanto nell’ambito della evoluzione normativa sul coinvolgimento (Alaimo, 2014), quanto, nel più ampio dibattito concernente l’apertura verso il riconoscimento e la tutela di interessi ulteriori rispetto alla massimizzazione del valore per gli azionisti.

Proseguendo sulla stessa linea introdotta dal D.lgs. 155/2006 e sulla scorta della disciplina prescritta per il modello cooperativo, il Legislatore delegato ha mostrato una ulteriore (seppure ancora timida) apertura nei confronti del dibattuto tema del coinvolgimento dei lavoratori nei processi decisionali dell’impresa, finalizzato a rafforzare l’inclusività attraverso la valorizzazione della pluralità di interessi e, tra di essi, anche di quello dei portatori di lavoro. Sotto tale profilo, attraverso l’art. 11 del D.lgs. 112/2017, il Legislatore della riforma ha esteso l’applicabilità dello strumento partecipativo ai portatori di un interesse diretto: lavoratori, utenti e soggetti direttamente interessati. Previa opera di consolidamento del sistema partecipatorio debole, realizzata mediante la previsione dell’obbligo di introdurre specifici meccanismi di consultazione, la novella ha tradotto la molteplicità degli interessi sottesi all’impresa sociale in una forma di coinvolgimento “forte” negli organi societari[1].

 

D.lgs. 112/2017 - Art. 11 - Coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alle attività

 

1. Nei regolamenti aziendali o negli statuti delle imprese sociali devono essere previste adeguate forme di coinvolgimento dei lavoratori e degli utenti e di altri soggetti direttamente interessati alle loro attività.

 

2. Per coinvolgimento deve intendersi un meccanismo di consultazione o di partecipazione mediante il quale lavoratori, utenti e altri soggetti direttamente interessati alle attività siano posti in grado di esercitare un’influenza sulle decisioni dell’impresa sociale, con particolare riferimento alle questioni che incidano direttamente sulle condizioni di lavoro e sulla qualità dei beni o dei servizi.

 

3. Le modalità di coinvolgimento devono essere individuate dall’impresa sociale tenendo conto, tra gli altri elementi, dei contratti collettivi di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, della natura dell’attività esercitata, delle categorie di soggetti da coinvolgere e delle dimensioni dell’impresa sociale, in conformità a linee guida adottate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito il Consiglio nazionale del Terzo settore. Delle forme e modalità di coinvolgimento deve farsi menzione nel bilancio sociale di cui all’articolo 9, comma2.

 

4. Gli statuti delle imprese sociali devono in ogni caso disciplinare: a) i casi e le modalità della partecipazione dei lavoratori e degli utenti, anche tramite loro rappresentanti, all’assemblea degli associati o dei soci; b) nelle imprese sociali che superino due dei limiti indicati nel primo comma dell’articolo 2435-bis del codice civile ridotti della metà, la nomina, da parte dei lavoratori ed eventualmente degli utenti di almeno un componente sia dell’organo di amministrazione che dell’organo di controllo.

 

5. Il presente articolo non si applica alle imprese sociali costituite nella forma di società cooperativa a mutualità prevalente e agli enti di cui all’articolo 1, comma 3.

 


Considerando i molteplici profili partecipativi delineati dalla disciplina riformata, si tenterà di fornire risposta ai seguenti interrelati quesiti: cosa si intende per partecipazione decisionale e quali sono gli elementi di discrimine tra il modello consultivo e la trasposizione degli interessi “ulteriori” negli organi sociali? Nel quadro di flessibilità tracciato dalla normativa, che concede ampio spazio all’autonomia statutaria, come può essere modellato il nuovo istituto partecipativo? L’apertura di cui si è detto, può costituire, nell’ambito della ibridazione dei modelli societari, un esempio virtuoso per l’impresa convenzionale?

Riflettere sul coinvolgimento negli organi sociali di interessi diversi rispetto a quelli che tradizionalmente orientano l’attività d’impresa significa, anzitutto, esplorare l’interesse sociale. Non può trascurarsi, infatti, che il presupposto di ogni modello partecipativo sia costituito dall’interesse sociale, inteso, quest’ultimo, come obiettivo che l’impresa deve perseguire, con la conseguenza che, diviene imprescindibile l’indagine in ordine alla direzione assunta sotto il profilo gestorio. Proprio il multistakeholder approach, che caratterizza l’impresa sociale, rende la predetta realtà organizzativa, naturalmente orientata alla partecipazione, alla inclusione ed al coinvolgimento, il terreno più fertile per indagare il contemperamento tra gli interessi (generalmente confliggenti) che coinvolgono l’esercizio dell’attività d’impresa. Non è affatto un caso che il modello tedesco, improntato alla cogestione, si sia strutturato proprio intorno al radicato principio dell’Unternehmensinteresse (interesse dell’impresa) prima (Rathenau, 1918), e dell’Unternehmen an sich (interesse dell’impresa in sé) poi (Isay, 1910; Libonati, 2013; McGaughey, 2015) poi, quale presupposto per la trasposizione nel processo decisionale della società per azioni di interessi “altri” rispetto alla mera destinazione finalistica del profitto, valorizzando, con tanto, la funzione sociale connessa all’esercizio dell’attività d’impresa.

Muovendo da queste notazioni preliminari, l’analisi che segue cercherà di chiarire i tratti innovativi dell’intervento di riforma operato dal Legislatore nazionale e, mediante una ricognizione della nuova disciplina del coinvolgimento dei lavoratori nei processi decisionali dell’impresa, di verificare la tenuta e le potenzialità, anche sotto il profilo sistematico, della soluzione adottata, avendo riguardo al modello renano, nel quale, come anticipato, l’esperienza partecipativa risulta tradizionalmente ancorata allo spirito collaborativo che denota la relazione tra capitale e lavoro. Tuttavia, per una corretta comprensione dell’indagine che segue, occorre fin da subito chiarire che il presente contributo non ha riguardo alle imprese sociali organizzate in forma di cooperativa. Nel modello cooperativo, che pure costituisce “il precedente paradigmatico dell’impresa sociale” (Buccelli, 2007), è dal rapporto associativo e, dunque, dalla mutualità che discendono i diritti partecipativi. Ciò a dire che il lavoratore partecipa al governo dell’impresa, acquista diritti amministrativi e influenza i processi decisionali, non già in ragione del sistema di relazioni industriali che qui si indaga, ma in quanto parte della compagine societaria, geneticamente orientata alla più ampia forma di coinvolgimento. Tanto trova conferma nell’esclusione delle imprese sociali costituite in forma di cooperativa a mutualità prevalente dal novero di soggetti tenuti ad introdurre i meccanismi prescritti dall’art. 11 del D.lgs. 112/2017, in quanto, il modello organizzativo adottato reca già in sé i caratteri della partecipazione democratica[2].

Informazione, consultazione, partecipazione e coinvolgimento: una classificazione dei meccanismi partecipativi

Con l’unico fine di inquadrare correttamente le dinamiche partecipative di nuovo conio occorre, dapprima, sgombrare il campo da talune incertezze semantiche con riguardo alle nozioni di “coinvolgimento” e “partecipazione” (Baglioni, 2002). Ed invero, è proprio l’intervento riformatore in parola a sollecitare una definizione di Employees’ Involvement (Pedrazzoli, 2005) se solo si considera che la menzionata disciplina interessa non soltanto i meccanismi di consultazione già noti al panorama normativo europeo (e nazionale) ma, altresì, i profili partecipativi cogestori, che hanno trovato riconoscimento legislativo con il modello cooperativo prima e, con la disciplina dell’impresa sociale poi[3]. Il Legislatore italiano, come già avvenuto in occasione dell’intervento del 2006[4], ha fornito, mediante la disciplina riformata dell’impresa sociale, solo una generica definizione normativa con riguardo alla partecipazione, rinviando, indirettamente, alla nozione fornita dal Legislatore comunitario. Di contro, l’intervento di riforma ha circoscritto la nozione di coinvolgimento attingendo alla Direttiva 2001/86/CE. Di talché, pur nella consapevolezza della estrema genericità e mutevolezza del dato testuale e del quadro definitorio comunitario (Ales, 2020; Pedrazzoli, 2004) è ad esso che va fatto riferimento, valorizzando il richiamo diretto operato nella Relazione illustrativa alla Direttiva in parola quantomeno, al fine di indagare e circoscrivere i meccanismi e la logica partecipativa che il Legislatore ha inteso disciplinare nell’impresa sociale.

Figura 1. Classificazione dei meccanismi partecipativi

Sebbene abbia conosciuto solo una breve vita in seno alla disciplina comunitaria riconducibile, unicamente, alla fase embrionale della evoluzione normativa in tema di Società Europea per lasciare, successivamente e definitivamente, spazio alla “partecipazione” (Biasi, 2013), il più rilevante riferimento al “coinvolgimento”, è rinvenibile nell’art. 2, par. I, lett. h, della Direttiva 2001/86/CE. La disposizione in parola chiarisce che per esso si intende qualsiasi meccanismo, ivi comprese l’informazione, la consultazione e la partecipazione, mediante il quale i rappresentanti dei lavoratori possono esercitare un’influenza sulle decisioni che devono essere adottate nell’ambito della società. Il coinvolgimento, pertanto, è qui impiegato nel senso più ampio, a significare l’insieme di tutti quei congegni che consentono al lavoratore, quale soggetto interessato alla continuità aziendale nel lungo periodo, di concorrere direttamente al procedimento di formazione delle decisioni e delle regole che lo riguardano. Si tratta di una nozione che abbraccia (almeno nella sua originaria elaborazione comunitaria[5]), tanto, gli strumenti cogestori di inserimento dei lavoratori o dei rappresentanti negli organi sociali, quanto, quei meccanismi che consentono l’esercizio di una mera influenza sul processo decisionale, rappresentati dalla informazione e dalla consultazione.

Pur avendo conosciuto significativi cambiamenti, il concetto di “partecipazione” (Zoppoli, 2005, 2011; Baglioni, 2009; D’Antona, 1992), intendendosi per essa dapprima il mezzo di influenza nelle decisioni dell’impresa[6] e, successivamente, l’influenza dell’organo di rappresentanza dei lavoratori e/o dei rappresentanti dei lavoratori nelle attività di una società mediante: il diritto di eleggere o designare alcuni dei membri dell’organo di vigilanza o di amministrazione della società, o il diritto di raccomandare la designazione di alcuni o di tutti i membri dell’organo di vigilanza o di amministrazione della società e/o di opporvisi[7] assume sul piano comunitario una maggiore (ma apparente) specificità. 

Tabella 1. Evoluzione semantica e categorizzazione dei meccanismi partecipativi nel diritto comunitario

 

Profili evolutivi

Riferimenti normativi

Fase I

I meccanismi partecipativi coincidono integralmente con il modello codeterminativo – cogestorio tedesco. La codeterminazione come partecipazione realizzata a livello della singola unità aziendale convive con la cogestione, quale sistema di corporate governance che prevede l’inserimento dei lavoratori o dei loro rappresentanti negli organi sociali.

Proposta di Regolamento della Commissione (G.U.C.E. 1970, C 124);

Proposta della Commissione (G.U.C.E. 1972, C 131);

Green Paper on Employee Participation and Company Structure in European Community (1975);

Proposta Vredeling (G.U.C.E. 1980, C 297/3).

Fase II

Viene introdotto il genus del coinvolgimento, idoneo a ricomprendere: (i) la partecipazione cogestoria (c.d. partecipazione forte); (ii) l’informazione; (iii) la consultazione; (iv) non anche i meccanismi codeterminativi.

 

Carta Comunitaria dei Diritti Sociali fondamentali (1989, art. 17);

Direttiva del Consiglio 1994/45/CE (c.d. Direttiva madre);

Regolamento 2157/2001;

Direttiva 2001/86/CE;

Carta dei diritti fondamentali dell’UE (2000, art. 27).

Fase III

Dei meccanismi partecipativi, vengono valorizzati prevalentemente l’informazione e la consultazione (c.d. partecipazione debole).

Direttiva 2002/14/CE;

Trattato di Lisbona (2007, Artt. 151 -153 T.F.U.E.).

Fase IV

Oltre ai meccanismi partecipativi deboli, le Istituzioni europee sollecitano il coinvolgimento economico dei lavoratori mediante la partecipazione azionaria.

Direttiva 2009/38/CE;

Risoluzione Parlamento UE del 2014.

 


A partire dalla Direttiva 2001/86/CE e dal riconoscimento costituzionale, nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea[8] del solo profilo informativo – consultivo, la partecipazione ha perso, dapprima, la sua originaria accezione codeterminativa, per poi avviarsi, nell’ambito di una disciplina tesa alla conservazione dei modelli esistenti più che alla armonizzazione della normativa, ad un lento declino anche sotto il profilo cogestorio[9]. L’abbandono, in seno alle istituzioni europee, della originaria idea di perseguire il modello tedesco, ha indotto, infatti, il Legislatore comunitario a ridimensionare fortemente la nozione di partecipazione[10], anzitutto, scindendo quello che nel sistema renano è noto come rapporto tra l’Unternehmens M. (cogestione – inserimento dei lavoratori negli organi societari) e Betriebliche M. (codeterminazione – meccanismo mediante il quale i lavoratori determinano, di concerto con la parte datoriale, le condizioni afferenti al rapporto di lavoro) (Biasi, 2013 - p. 45 ss., p. 159 ss.; Pedrazzoli, 2015 - p. 5 ss.; Pedrazzoli, 2005 - p. 427 ss.; Alaimo, 2014 - p. 18 ss.), per poi focalizzare l’attenzione unicamente sul profilo informativo – consultivo. In altre parole, la diretta conseguenza della limitata concezione europea di partecipazione, svincolata, quest’ultima, dall’esempio tedesco, è stata l’eliminazione del profilo codeterminativo e, per l’effetto, l’integrale identificazione (ma non anche la valorizzazione) della nozione (di partecipazione) con il meccanismo di inserzione dei lavoratori negli organi sociali (Pessi, 2006).

Prima di procedere oltre, vi è da sottolineare che, strumento distinto dalla partecipazione decisoria è la partecipazione economica del lavoratore[11]. Quest’ultima, tanto nella forma di emissione di speciali categorie di azioni o strumenti finanziari partecipativi attribuiti ai prestatori di lavoro (art. 2349 c.c.), quanto, nella fattispecie di opzione riservata ai dipendenti con riguardo alle azioni di nuova emissione (art. 2441 c.c.) (Alaimo, 2015 - p. 73 ss.; Ghera, 2006 - p. 241 ss.) attiene al risultato dell’impresa, da intendersi come ricchezza e, dunque, utilità. La partecipazione decisoria, di contro, inerisce all’influenza che i lavoratori possono esercitare nel processo decisionale per addivenire ad una regola concordata (Pedrazzoli, 2015 - p. 8 ss.). Come la più illustre dottrina ha osservato (Pedrazzoli, 2015), in ragione della diversità di oggetto che caratterizza le due fattispecie, si tratta nell’un caso, di partecipazione nell’avere, nell’altro, di partecipazione nell’essere. Ebbene, è a quest’ultima nozione di “partecipazione alla decisione” che ha inteso far riferimento il Legislatore del 2017 con riguardo all’impresa sociale. Di tanto vi è conferma nel secondo comma dell’art. 11 del D.lgs. 112/2017, laddove, prima di specificarne l’oggetto (questioni che incidono direttamente sulle condizioni di lavoro e sulla qualità di beni o di servizi) la norma chiarisce che il coinvolgimento si sostanzia nell’esercizio di una influenza sulle decisioni dell’impresa.

Così delineate le nozioni di coinvolgimento e partecipazione e, chiarito che la presente analisi riguarda i meccanismi partecipativi decisionali, pare opportuno operare un’ultima distinzione tra forme partecipative c.d. forti (codeterminazione e cogestione) e meccanismi di coinvolgimento c.d. deboli (informazione e consultazione), non senza precisare che la distinzione è da intendersi in senso puramente atecnico, giacché, è davvero difficile riconoscere alla consultazione, così come alla informazione, quali momenti prodromici rispetto alla partecipazione tout court, un vero e proprio profilo decisorio (Pedrazzoli, 2005 - p. 436 ss.). Ciò premesso, la sola partecipazione cogestoria, come poc’anzi intesa, non esaurisce il novero dei meccanismi che consentono ai lavoratori di esercitare una forma di influenza di maggiore o minore intensità sul processo decisionale. Chiudono, infatti, il cerchio degli strumenti di coinvolgimento l’informazione e la consultazione. La prima forma di coinvolgimento, quale fase preparatoria alla consultazione, si traduce nella trasmissione di dati da parte del datore di lavoro ai rappresentanti dei lavoratori per consentir loro di prendere conoscenza della questione trattata e esaminarla[12]. La seconda, finalizzata al raggiungimento di un accordo, si esplica nello scambio di opinioni e l’instaurazione di un dialogo tra i rappresentanti dei lavoratori e il datore di lavoro[13]. L’oggetto dei meccanismi informativo - consultivi, che devono esplicarsi nel rispetto dei principi di efficacia, adeguatezza e tempestività[14], inerisce all’attività economica e d’impresa, all’occupazione e all’organizzazione del lavoro[15].

Interesse sociale e relazioni industriali: i presupposti del sistema tedesco

La evidenziata diversità che caratterizza i meccanismi partecipatori rientranti nel novero del coinvolgimento dei lavoratori, lungi dall’esaurirsi in una indagine di tipo meramente descrittivo ed espositivo, assume preminente rilevanza, laddove intesa quale scelta operata da ciascun ordinamento verso una maggiore o minore intensità dei diritti partecipativi. La ratio sottesa alla introduzione di meccanismi meramente informativi, piuttosto che finanziari o cogestori e, all’interno di questi ultimi, il diverso grado di rappresentanza negli organi societari, coinvolge molteplici profili di natura storica, culturale e politica, prima che giuridica, tra i quali, assumono qui rilievo la diversa prospettiva (monistica o pluralistica) di interesse sociale accolta nell’ordinamento, oltre che, il diverso atteggiarsi del sistema delle relazioni industriali. Dalla eterogeneità che caratterizza la diversa regolamentazione del fenomeno cogestorio negli ordinamenti europei, emerge con evidenza che detti profili, unitamente al sistema di amministrazione e controllo adottato, al livello di concentrazione proprietaria nonché, di rappresentanza sindacale, contribuiscono ad influenzare in modo non trascurabile la diffusione (e, in taluni casi, l’assenza di regolamentazione) di meccanismi di inserimento dei lavoratori negli organi societari.

Figura 2. Meccanismi partecipativi cogestori negli ordinamenti degli Stati membri

Fonti: Annual Economic Survey of Employee Share ownership in European Country (Efes, 2019 - http://www.efesonline.org/Annual%20Economic%20Survey/2019/Survey%202019.pdf); Videbæk M.N. (2018), “Worker representation in Europe”, Labour Research Department and ETUI (www.worker-participation.eu).

* Le % indicate si riferiscono al numero di società che, per ciascun paese, adottano sistemi di rappresentanza dei lavoratori negli organi societari. Il campione in oggetto di indagine è costituito da N. 2744 società, per la maggior parte quotate, con sede in 32 Stati membri. La percentuale pari allo 0 prevista per l’ordinamento italiano si giustifica in virtù del difetto, in ordine alle società quotate, di una disciplina normativa in tema di partecipazione decisoria nonché in ragione dell’esiguo numero di società non quotate (26/177) oggetto del campionamento.


I rilievi appena svolti suggeriscono, pertanto, la necessità di focalizzare qui l’attenzione proprio sul diverso atteggiarsi del sistema di relazioni industriali e sulla diversa prospettiva di interesse sociale che hanno condotto, nell’ordinamento tedesco, a forme partecipative di tipo decisorio più incisive nell’impresa azionaria, mentre, in quello italiano ad un sistema partecipativo di natura sindacale, nel quale, una maggiore intensità dei diritti partecipativi è resa possibile per mezzo della disciplina speciale oppure mediante l’adozione del modello cooperativo.

Quanto al primo profilo, il modello renano, che costituisce il più tradizionale dei sistemi cogestori, nell’ambito della dicotomia tra Interessenmonismus ed Interessenpluralität (teoria monistica o pluralistica dell’interesse sociale) (Portale, 2018 - p. 597 ss.; Tombari, 2019), risulta tradizionalmente orientato al pluralismo degli interessi[16]. È in tale quadro giuridico, caratterizzato dal principio dell’impresa in sé, che (ri)fiorisce l’idea della pluralità di interessi sottesi all’agire d’impresa, dapprima introdotta nello Stock Corporation Act del 1937[17] e poi trasposta, al punto 4.1.1 del German Corporate Governance Code laddove si discorre, con riguardo agli interessi che deve perseguire l’organo amministrativo delle società per azioni quotate, di azionisti, dipendenti ed ulteriori stakeholder (Tombari, 2019 - p. 36 ss.).

Ben diversa è la prospettiva adottata nell’ordinamento italiano che spiega la natura meno incline e, per certi aspetti, ostile rispetto a modelli partecipativi maggiormente inclusivi. Ferme, infatti, alcune parentesi di “partecipazione decisoria” non propriamente incisiva contenute nello Statuto dei Lavoratori e nella disciplina speciale[18] nonché, di partecipazione economica (non anche necessariamente decisionale) sollecitate a partire dal biennio 2008-2009[19], l’art. 11 del D.lgs. 112/2017 costituisce (fermi i caratteri del modello cooperativo) l’unico meccanismo cogestorio prescritto nell’ordinamento. Ebbene, tanto non deve sorprendere. Guardando al dato normativo, infatti, emerge con estrema evidenza che, nella disciplina della società di diritto comune, alcuno spazio di tutela è lasciato ad interessi “altri” rispetto alla creazione di valore degli azionisti, tant’è che solo mediante la disciplina speciale (in ordine alla quale, l’impresa sociale non costituisce un unicum, dovendo aversi riguardo alle società benefit ed alla disciplina delle cooperative) il Legislatore italiano ha operato un discostamento rispetto alla concezione monistica, valorizzando, con tanto, gli ulteriori interessi sottesi all’agire d’impresa. L’ostilità del panorama italiano ad una forma di coinvolgimento più incisiva si registra, ancor più, sotto il profilo della partecipazione azionaria dei lavoratori. Non va trascurato, infatti, che quello italiano è un sistema a prevalenza di società a proprietà accentrata nelle quali, la presenza di azionisti che storicamente detengono il controllo, unitamente al rischio di una diluizione di quest’ultimo, rendono ancor più complessa l’opera di valorizzazione di interessi diversi.

Parimenti influente nel processo di apertura del Legislatore italiano ai modelli partecipativi maggiormente incisivi è il sistema nazionale delle relazioni industriali. Non pare superfluo rilevare come proprio il “doppio canale” delle relazioni industriali[20], tradotto nell’ordinamento tedesco nel sistema bilaterale di rappresentanza sindacale e rappresentanza (diretta) dei lavoratori nelle unità produttive (codeterminazione), costituisce l’asse portante del meccanismo di coinvolgimento “alla tedesca”. Da un lato, infatti, mediante i consigli d’azienda, titolari di potere negoziale a livello aziendale, si realizza la codeterminazione nella unità produttiva, caratterizzata da una relazione di tipo collaborativo ed improntata all’esistenza di un rapporto (diretto e non mediato) tra parte datoriale e rappresentanti dei lavoratori, fondato su cooperazione e buona fede (Biasi, 2015 - p. 38); dall’altro, mediante la rappresentanza sindacale si realizza la funzione tipicamente rivendicativa attraverso la contrattazione collettiva. Nel sistema poc’anzi delineato, nel quale assume preminente rilevanza il riparto di competenza tra negoziazione a livello di unità produttiva nelle tassative ipotesi prescritte dalla legge e contrattazione collettiva[21], la rappresentanza aziendale esercita i propri poteri codeterminativi nelle questioni afferenti all’organizzazione della unità produttiva, alla modalità della retribuzione, all’utilizzo di strumenti di rilevazione e controllo della prestazione di lavoro[22]. Dunque, il potere codeterminativo, che si esplica attraverso i patti aziendali, incontra il limite della regolamentazione ad opera della contrattazione collettiva, fermo, in ogni caso, la funzione integrativa - modificativa facoltizzata dalla previsione di una clausola di apertura nell’accordo collettivo (Biasi, 2013 - p. 80 ss.). Su un diverso livello opera il meccanismo (rectius i meccanismi)[23] tipicamente cogestorio, attuato mediante la partecipazione dei lavoratori nell’Aufsichtsrat (organo di sorveglianza, ma non anche al Vorstand – organo amministrativo) nell’ambito del sistema di amministrazione duale.

Tabella 2. Ordinamento tedesco ed ordinamento italiano: un confronto

 

Ordinamento tedesco

Ordinamento italiano

Sistema delle relazioni industriali

 

Doppio canale: il sistema di relazioni industriali si sviluppa attraverso il dettagliato riparto di competenze tra rappresentanza sindacale con funzione rivendicativa e consigli d’azienda con funzione partecipativo - collaborativa.

Canale singolo: il sistema delle relazioni industriali e della partecipazione, con funzione tradizionalmente rivendicativa, si sviluppa attraverso l’unico canale della contrattazione collettiva.

Sistema di gestione e controllo

Sistema dualistico

Sistema dualistico, monistico, ordinario

Teoria dell’interesse sociale

Teoria pluralistica

Teoria monistica

Modelli partecipativi

Il modello partecipativo si caratterizza per la compresenza di sistemi cogestori e codeterminativi. Con i meccanismi cogestori, i lavoratori vengono inseriti nell’organo di sorveglianza, con soglie di rappresentanza differenziata a seconda del modello (paritario, quasi - paritario, dell’1/3) adottato. Mediante la codeterminazione, si realizza la negoziazione delle decisioni assunte in tema di condizioni di lavoro, nelle singole unità produttive.

Il modello partecipativo prevalente è quello fondato sulla informazione e consultazione. Non risulta istituzionalizzato, salva l’ipotesi peculiare di cui all’art. 11 D.lgs. 112/2017, alcun sistema di partecipazione c.d. forte che, tuttavia, è presente in alcune realtà produttive su base volontaristica.


Nell’ordinamento italiano, tradizionalmente fondato sulla contrapposizione tra lavoro e capitale, oltre che, sulla incompatibile compresenza di partecipazione e contrattazione collettiva (Zoli, 2013 - p. 109), la partecipazione decisionale dei lavoratori all’impresa si è sviluppata esclusivamente attraverso l’unico (ed indiretto) canale della rappresentanza sindacale. Ed invero, nonostante il compromesso raggiunto in seno alla Assemblea costituente in ordine al carattere collaborativo e solidaristico della relazione capitale – lavoro (Biasi, 2013 - p. 14 ss.), il sistema partecipativo nazionale si è sviluppato sotto l’opposto segno dell’antagonismo, complice, anche, la inattuazione della art. 46 Cost.[24], rimasto una mera enunciazione di principio (Apostoli, 2015 - p. 15) nonché, la compresenza della logica oppositiva (artt. 39 e 40 Cost.). Appare, pertanto, chiaro che il processo di diffusione di meccanismi partecipativi incisivi (nelle forme della partecipazione c.d. forte) nel tessuto produttivo italiano sia stato condizionato dalla natura tipicamente rivendicativa della cultura sindacale e, di conseguenza, dalla assenza della dimensione partecipativa, oltre che, dall’utilizzo dello strumento della contrattazione collettiva, secondo il binomio contrattazione – conflitto, quale unico meccanismo (mediato) per la composizione degli interessi confliggenti[25]. Ed infatti, laddove (come nel modello cooperativo o in taluni ordinamenti europei) è stata abbandonata l’idea della alterità tra interessi coinvolti, per lasciare spazio al profilo comunitario dell’impresa, le pratiche partecipative hanno trovato ben più fertile terreno di diffusione.

Di talché, la partecipazione come assunzione congiunta delle decisioni, tale per cui la common rule (Pedrazzoli, 2015 - p. 5) risulti imputabile ad entrambe le parti, alla luce della centralità della contrattazione collettiva (e, dunque, del rapporto unicamente indiretto e astrattamente conflittuale tra parte datoriale e lavoratori), non assume significato altro se non quello “comportamentale” (D’Antona, 1992 - p. 139 ss.; Alaimo, 2014 - p. 6 ss.), dovendo escludersi, almeno con riguardo all’attuale panorama normativo e delle relazioni industriali, l’esistenza di margini per l’introduzione di un meccanismo cogestorio istituzionalizzato al pari di quanto previsto nell’ordinamento tedesco o nei Paesi nordici. Conferma di tanto, pare potersi trarre dal difficile procedimento di recepimento delle Direttive europee in tema di partecipazione così, come anche, dai tentativi e dalle occasioni mancate, nonostante gli esempi del passato (Biasi, 2013 - p. 10), di introdurre forme partecipative maggiormente incisive.

La partecipazione dei lavoratori nell’impresa sociale: via italiana del coinvolgimento o ulteriore occasione mancata?

Al dichiarato scopo di incrementare la partecipazione democratica ai processi economici[26] e, dunque, la finalità sociale, l’art. 11 del D.lgs. 112/2017 ha ampliato (mediante una regolamentazione non del tutto esente da critiche) le forme di coinvolgimento dei soggetti portatori di un interesse rilevante all’interno dell’impresa sociale[27], specificando uno dei requisiti che consentono, a mente dell’art. 1 del D.lgs. 112/2017, l’assunzione della qualifica di impresa sociale.

Una prima osservazione pare necessaria. Nonostante l’art. 11 costituisca nella prima parte una disposizione di natura manifestamente programmatica, rispetto alla previgente disciplina il coinvolgimento dei lavoratori è stato elevato a requisito essenziale (unitamente all’interesse generale, all’assenza dello scopo di lucro ed alla gestione trasparente e responsabile) per l’assunzione della qualifica, non risolvendosi, come in passato, in un profilo obbligatorio ma pur sempre di natura meramente organizzativa dell’impresa sociale. Ed ancora, quanto agli aspetti contenutistici, la previgente disciplina si limitava, da un lato, a qualificare ai fini del coinvolgimento la rilevanza degli interessi dei lavoratori e degli utenti, dall’altro, pur fornendo la definizione di “coinvolgimento” ricavato dal diritto comunitario, individuava genericamente i meccanismi di partecipazione, informazione e consultazione, lasciando la regolamentazione degli ulteriori aspetti alla autonomia di ciascun ente[28]. La soluzione, di contro, prospettata dalla disciplina riformata, del tutto coerente rispetto all’approccio multistakeholder che caratterizza l’impresa sociale, sebbene pecchi ancora in punto di specificità (si pensi alla adeguatezza delle forme di coinvolgimento o alla partecipazione non definita di cui alla lett. a, comma quarto) ha anzitutto, ampliato il novero degli interessi rilevanti prevendendo, oltre a lavoratori ed utenti, altresì, i portatori di un interesse diretto. Nell’ambito della più ampia flessibilità cui è orientato l’intervento normativo in parola sarà l’autonomia regolamentare e statutaria a identificare gli interessi rilevanti ulteriori rispetto a quelli tipizzati dalla norma.

Dopo aver circoscritto, al secondo comma, il perimetro del coinvolgimento e l’oggetto dello stesso (questioni che incidano direttamente sulle condizioni di lavoro e sulla qualità dei beni o dei servizi), non senza un chiaro riferimento al diritto comunitario[29], la disposizione specifica le due forme nelle quali il meccanismo partecipativo può svilupparsi: la consultazione, per l’introduzione della quale è condizione necessaria e sufficiente la previsione nel regolamento aziendale e la partecipazione, la cui sede introduttiva è necessariamente quella statutaria (come parrebbe confermare il quarto comma, nella parte in cui dispone che gli statuti devono prevedere […]), fermo, in ogni caso, l’obbligo di indicare nel bilancio sociale le forme di coinvolgimento adottate. Quest’ultimo, in linea con la gestione responsabile e trasparente descritta nella parte introduttiva della disciplina[30], costituisce, infatti, il più efficace strumento mediante il quale è soddisfatta l’esigenza conoscitiva ed informativa dei molteplici soggetti coinvolti, portatori di un diverso interesse.

All’ampiezza dello spazio lasciato all’autonomia statutaria e regolamentare nella predisposizione di modalità e meccanismi da adottare, corrispondono, tuttavia, una serie di limiti. Ed infatti, è fatto obbligo allo statuto di disciplinare: (a) la partecipazione (si badi, unicamente di utenti e lavoratori) all’assemblea dei soci o degli associati, oltre alle materie e modalità (da potere di mero intervento, al potere consultivo vincolante o non vincolante, sino al diritto di voto e gli argomenti in ordine ai quali l’esercizio di poteri di influenza è prescritto, dalla modifica dell’oggetto sociale e sino alla nomina dell’organo amministrativo) mediante le quali il sistema adottato si esplica; (b) unicamente per le imprese sociali di grandi dimensioni (qualificate mediante il richiamo all’art. 2435-bis c.c.) la nomina di un componente dei lavoratori nell’organo amministrativo ed, altresì, in quello di controllo (costituendo, tale aspetto, solo una facoltà, con riguardo agli utenti, come parrebbe dedursi dall’avverbio “esclusivamente”). Sono esclusi dal novero di soggetti obbligati a predisporre per via statutaria e regolamentare i prescritti meccanismi di coinvolgimento, le imprese sociali organizzate in forma di cooperativa sociale a mutualità prevalente.

Una prima ed evidente impressione può trarsi dal dato letterale. Ed infatti, occorre avvertire subito che, la partecipazione tipizzata dall’intervento di riforma è intesa dal Legislatore in termini diversificati. La lett. b fa proprio il significato cogestorio della partecipazione (ma ha riguardo unicamente alle imprese di grandi dimensioni) e dispone l’ingresso di lavoratori, utenti e loro rappresentanti nell’organo amministrativo e di controllo. Non è chiaro se un medesimo significato si possa attribuire alla partecipazione dei lavoratori, utenti e loro rappresentati nell’organo assembleare (lett. a). Ed invero, la estrema genericità della disposizione si presta ad una duplice direzione interpretativa: una prima soluzione potrebbe essere quella di considerare la partecipazione all’organo assembleare come attribuzione di poteri idonei a consentire l’esercizio di una influenza sulle decisioni dell’impresa. Pare ragionevole ritenere detta interpretazione quella più vicina all’intento legislativo, in quanto, conforme ai primi due commi della norma. Tuttavia, la disposizione può assumere il significato opposto. Ed infatti, la vaghezza e la flessibilità normativa, ben potrebbero far degradare la partecipazione (come inserimento in assemblea) a mera consultazione.

Ulteriore profilo di particolare interesse, in ragione degli sviluppi di carattere pratico che ad esso si accompagnano, è certamente costituito dall’ampliamento dei margini di manovra concessi all’autonomia statutaria in punto di coinvolgimento. Come si accennava, attraverso l’autonomia concessa agli enti nell’ipotesi sub a, avente ad oggetto meccanismi partecipativi che gli statuti modelleranno in ragione degli interessi sottesi all’impresa, l’istituto partecipativo può essere, infatti, graduato come strumento più o meno incisivo in assemblea a seconda di come verranno declinati casi e modalità della partecipazione. Si pensi, a titolo meramente esemplificativo, alla introduzione di un potere meramente consultivo (non dotato di vincolatività) in capo al lavoratore. In detto caso, certamente lo strumento diluirebbe ampiamente la nozione di coinvolgimento introdotta dal Legislatore, considerato che, alcuna effettiva influenza sulla assunzione delle decisioni potrà accompagnare lo strumento in parola, sfornito di concreta incidenza. Di contro, un meccanismo di allocazione di diritti partecipativi più incisivo, che ovviamente consideri i diversi caratteri del modello legale adottato, potrebbe fungere da strumento idoneo a raggiungere l’equilibrio all’interno della diversità degli interessi (e, di conseguenza, delle informazioni) che connota l’impresa sociale, nonché, di influenza decisiva nelle decisioni che afferiscono all’impresa. Ed ancora, il Legislatore non ha previsto strumenti a tutela delle minoranze e, in particolare, proprio di quegli stakeholder (lavoratori ed utenti) che ha inteso coinvolgere nell’attività dell’impresa, finalizzati a bilanciare il rischio di una partecipazione (specie mediante le modalità, come predetto, rimesse all’autonomia degli enti), resa (in ipotesi) poco incisiva dall’autonomia statutaria. L’introduzione di meccanismi ulteriori rispetto ai limiti posti dal quarto comma, non già impositivi, ma connessi al profilo informativo del bilancio sociale e finalizzati ad arginare la possibile deriva in senso limitativo del meccanismo partecipativo, avrebbe reso certamente più conforme agli intenti del Legislatore l’intervento sul coinvolgimento.

Con riguardo all’ipotesi sub b, relativa all’inserimento nell’organo amministrativo e di controllo, alcuna considerazione può trarsi se non mediante un raffronto tra la disciplina del coinvolgimento poc’anzi illustrata e le disposizioni (artt. 7 e 10) che regolano la governance dell’impresa sociale. In primo luogo, non può trascurarsi che, l’obbligo di prevedere in via statutaria la facoltà per lavoratori ed utenti di nominare un componente dell’organo amministrativo ed uno per quello di controllo costituisce disciplina riservata alle sole imprese sociali di grandi dimensioni. Di talché, uno degli aspetti più rilevanti del coinvolgimento, che si rammenta, costituisce requisito per l’acquisizione dello status di impresa sociale, oltre che, profilo della gestione responsabile e trasparente trova applicazione limitata. Per le imprese che superano due dei limiti di cui all’art. 2345-bis c.c., l’unica forma obbligatoria di partecipazione agli organi sociali che residua è quella indicata sub a.

In ogni caso, la nomina di rappresentanti negli organi gestori e di controllo, va letta in combinato disposto con l’art. 10 del D.lgs. 112/2017, laddove, pur riservando, previa determinazione in tal senso dello statuto, ad un soggetto estraneo alla compagine sociale la possibilità di nominare i componenti degli organi societari, dispone che la maggioranza dell’organo amministrativo sia diretta espressione della volontà dai soci ovvero degli associati, non senza problemi di natura sistematica con riguardo, tra le altre, alla disciplina della società a responsabilità limitata[31]. Del pari, con riguardo ai requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza, laddove, l’obbligatorietà sancita dall’art. 7 terzo comma, lascia spazio alla discrezionalità, in ragione del difetto di specificità in ordine al contenuto degli stessi. Pari genericità pare, inoltre, rinvenirsi nella disciplina relativa all’organo di controllo che deve essere obbligatoriamente previsto dall’atto costitutivo, indipendentemente dalla dimensione dell’ente e, ferma l’applicabilità della disciplina relativa al tipo legale adottato laddove risulti maggiormente stringente.

Un ultimo aspetto merita, infine, di essere segnalato. Con riguardo ai poteri dell’organo di controllo, se per un verso è prevista la vigilanza in ordine alle finalità sociali connaturali all’ente (anche con riguardo ai meccanismi di coinvolgimento dei lavoratori), per l’altro, non si rinviene riferimento con riguardo agli ulteriori poteri prescritti dalla disciplina generale, che pure avrebbero consentito una più ampia forma di controllo interno[32].

Tabella 3. La disciplina del coinvolgimento alla luce del D.lgs. 112/2017: un confronto con la previgente normativa.

 

D.lgs. 155/2006

D.lgs. 112/2017

Riferimento normativo

 

Artt. 12, 14 III comma

Artt. 1, 9, 11

Natura del coinvolgimento

Elemento organizzativo dell’impresa sociale

Presupposto che concorre all’acquisizione della qualifica di impresa sociale

Soggetti coinvolti

Lavoratori ed utenti

Lavoratori, utenti e portatori di un interesse diretto

Classificazione e definizione dei meccanismi partecipatori

In tema di coinvolgimento la disposizione ricalca la definizione comunitaria (Art. 2, par. I, lett. h, della Direttiva 2001/86/CE). Tuttavia, il Legislatore non fornisce una definizione di partecipazione.

Per la definizione di coinvolgimento la disposizione ricalca la disciplina comunitaria (Art. 2, par. I, lett. h, della Direttiva 2001/86/CE, richiamata, altresì, nella Relazione illustrativa) specificando, inoltre, che la partecipazione è da intendersi nella sua accezione “forte” (partecipazione agli organi societari).

Graduazione dei modelli partecipativi

Informazione, consultazione, partecipazione (non definita) nonché, ulteriori meccanismi non tipizzati dalla norma e rimessi all’autonomia statutaria.

Consultazione;

Partecipazione di utenti e lavoratori all’assemblea dei soci o degli associati;

Nomina di un componente dei lavoratori nell’organo amministrativo ed in quello di controllo per le imprese sociali di grandi dimensioni;

Informazione mediante il bilancio sociale (Artt. 1 e 9).

Soglia di rappresentanza negli organi sociali

Non è individuata una quota minima di rappresentanza negli organi societari.

Non individuata con riguardo all’organo assembleare; fissata nella misura minima di un componente per l’organo amministrativo e di controllo, nell’ipotesi sub b, comma IV, art. 11.

Conclusioni

Tramite una prima valutazione della disciplina introdotta dal Decreto legislativo sull’impresa sociale si è cercato di comprendere se l’intervento di riforma operato dal Legislatore nazionale possa costituire la via italiana del coinvolgimento dei lavoratori nell’attività d’impresa e, allo stesso tempo, se la disciplina dettata per l’impresa non lucrativa, possa assumere a modello virtuoso per l’impresa convenzionale.

L’intervento normativo in parola pare certamente opportuno se si considera l’attenzione sempre maggiore accordata al ruolo assunto dai lavoratori ed alla relazione tra capitale e lavoro, non più, in termini di istanze della minoranza, ma quale uno tra gli obiettivi che l’impresa deve perseguire. Non pare scontato evidenziare che l’introduzione di meccanismi partecipativi tali da consentire ai lavoratori una forma di influenza diretta nei processi decisionali dell’impresa, si correla positivamente ai risultati di breve e lungo periodo, tra i quali, la riduzione dei costi di agenzia e l’allineamento dei molteplici interessi coinvolti nella direzione della continuità aziendale[33]. Non v’è dubbio che l’impresa non lucrativa e, più in dettaglio, l’impresa sociale, caratterizzata dalla valorizzazione degli interessi diversi dalla creazione di valore per gli azionisti, costituisca il terreno più idoneo per sperimentare un sistema partecipativo, se non certamente in grado di replicare i meccanismi cogestori tedeschi, quantomeno, atto a conferire una più specifica veste giuridica al profilo partecipativo, parzialmente colmando la grande assenza nel panorama nazionale (Zoppoli, 2015 - p. 11). Tuttavia, nonostante l’apprezzabile finalità dell’iniziativa, delle premesse e del dichiarato intento del Legislatore, non si può non rilevare come il risultato prefissato non risulti, nemmeno in parte, raggiunto.

Anzitutto, il limitato numero di enti cui è indirizzato l’art. 11 del D.lgs. 112/2017, pari ad una percentuale molto esigua se si considera che la maggior parte delle imprese sociali è organizzata in forma di cooperative mutualità prevalente[34], rende idea della portata applicativa della disciplina sul coinvolgimento. Alle incertezze sulla effettiva portata della norma, si aggiungono ulteriori perplessità, con riguardo al perimetro della partecipazione, in ordine al quale, la disciplina già complessa e che, pertanto, avrebbe dovuto suggerire una più attenta regolamentazione (anche sulla scorta della dialettica tradizionalmente oppositiva tra capitale e lavoro che caratterizza il panorama italiano e sempre nella logica del compromesso tra rigida imposizione dall’alto e disciplina a base volontaristica), sconta un sicuro eccesso di flessibilità. L’ampio margine di manovra concesso all’autonomia statutaria con riguardo alla concreta operatività dei meccanismi partecipativi, specie in ordine all’ipotesi sub a dell’art. 11, se letta anche alla luce della ostilità di cui si è parlato con riguardo all’ordinamento italiano, rende più che concreta la possibilità di coniugare gli stessi in senso molto poco incisivo e certamente non idoneo ad esercitare un’influenza sulle decisioni dell’impresa sociale.

Se numerosi sono i dubbi in punto di incisività dell’intervento di riforma, di contro, l’apertura operata dal Legislatore verso il pluralismo di interessi va salutata con favore. Non può trascurarsi che l’apertura alla individuazione di interessi rilevanti ulteriori rispetto alla creazione di valore per i portatori di capitale, non costituisce più una mera suggestione né, tantomeno, una prerogativa del Terzo settore, se solo si ha riguardo agli ulteriori e recenti interventi normativi (fra tutti, la L. 208/2015 con riguardo alle società benefit). Numerose, sono, altresì, le aperture europee e non all’inclusione di interessi “altri” come obiettivo dell’agire di impresa (non soltanto non lucrativa) (Tombari, 2019 - p. 36), a riprova che, dopo quasi cinquant’anni dalla pubblicazione del noto saggio The social responsibility of business is to increase its profits (Friedman, 1970), è in atto un ripensamento in ordine all’interesse che l’impresa deve perseguire[35]. Nel contempo, se l’esperienza dell’impresa sociale può costituire, sotto tale profilo, un modello virtuoso, ciò non significa che sia possibile estendere il multistakeholder approach anche alla società di diritto comune. In senso ostativo, si pone, fra tutti, l’art. 2247 c.c. che, senza lasciare spazio a diversa interpretazione, conferisce inderogabile prevalenza allo scopo di dividere gli utili, residuando, allo stato, quale margine di manovra unicamente la disciplina speciale.

La nuova via che le economie mature possono percorrere per superare la crisi in cui si dibattono passa dalla loro capacità di riunire economia e società, dando valore a persone e relazioni, significati e territori, riconciliando quindi il successo dell’impresa con quello delle comunità (Magatti, 2012).

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Note

  1. ^ Relazione illustrativa al D.lgs. 112/2017, sub art. 11, in camera.it
  2. ^ Sul coinvolgimento dei lavoratori nelle imprese sociali costituite in forma di cooperativa ai sensi del D.lgs. 112/2017: Costantini, 2018.
  3. ^ Ci si riferisce, in particolare, alla disciplina di cui alla L. 381/1991 e ss. mod. che ha delineato, nel nostro ordinamento, il modello organizzativo delle cooperative sociali, sulla base della quale, il Legislatore ha fondato la normativa dell’impresa sociale.
  4. ^ D.lgs. 155/2006.
  5. ^ Nozione ripresa nelle Dir. 2002/14/CE e 2003/72/CE.
  6. ^ Partecipazione dei lavoratori e struttura delle società nella Comunità Europea (Rapporto Gundelach), 1975, estratto in Rivista del Lavoro, 1976, II, p. 80 ss.
  7. ^ Art. 2, par. I, lett. k, Direttiva 2001/86/CE.
  8. ^ Si veda art. 27. Sul punto: Delfino, 2006.
  9. ^ Culminato, quest’ultimo, con il riconoscimento del profilo cogestorio quale strumento per conseguire gli obiettivi di natura sociale (combinato disposto degli artt. 151 e 153 TFUE), sottoposto, alla decisione assunta all’unanimità del Consiglio dell’UE, rispetto, alla maggioranza richiesta in punto di informazione e consultazione.
  10. ^ Con la Direttiva 2002/14/CE è stato eliminato ogni riferimento alla partecipazione, per lasciare spazio alla informazione e consultazione. Sul punto, ampiamente: Biasi, 2013 (p. 173).
  11. ^ In senso contrario alla predetta distinzione, si pone Santagata, 2017 (p. 1011 ss.); Santagata, 2008.
  12. ^ Art. 2, par. I, lett. f, Dir. 2002/14/CE.
  13. ^ Art. 2, par. I, lett. g, Dir. 2002/14/CE.
  14. ^ Considerando 14^, Dir. 2009/38/CE.
  15. ^ Art. 4, Dir. 2002/14/CE.
  16. ^ Avverso la concezione pluralistica dell’interesse sociale, che risulta, allo stato, maggioritaria in seno alla dottrina (Fleischer, 2015a) e nel consolidato intendimento giurisprudenziale, si pongono coloro i quali ritengono che per effetto delle modifiche apportate sia definitivamente venuto meno il principio dell’interesse dell’impresa in sé. Sul punto: Portale, 2018 (p. 264).
  17. ^ Una concezione più neutrale è assunta dall’Aktg del 1965 che non contiene alcun riferimento all’interesse che l’impresa deve perseguire (Fleischer, 2015b; Tombari, 2019).
  18. ^ Artt. 4 e 9 dello Statuto dei Lavoratori, L. 223/1991, D.lgs. 626/1994, L. 428/1990. Sul punto: Ales, 2020. Sulla partecipazione secondo il modello cooperativo: Fici, 2006 (p. 136 ss.).
  19. ^ Ci si riferisce, in particolare, ai quattro disegni di legge presentati nel biennio 2008-2009 mossi dall’intento di far convergere l’interesse delle parti datoriali e dei lavoratori verso l’impresa e confluiti nell’Accordo comune del 7 luglio 2010. Sul punto: Caragnano, 2009.
  20. ^ Sul sistema delle relazioni industriali nell’ordinamento tedesco: Weiss, Schmidt, 2008.
  21. ^ Fermo, in ogni caso, il ruolo assunto dai sindacati nella formazione e del funzionamento dei Consigli d’azienda. Sul punto: Biasi, 2013 (p. 70).
  22. ^ Per un più ampio catalogo delle questioni c.d. sociali in ordine alle quali è esercitato il potere codeterminativo, si veda § 87 del BetrVG e, per una compiuta analisi: Biasi, 2013 - p. 80 ss. In ordine alle questioni si veda § 111.II, BetrVG.
  23. ^ Tre sono, infatti, i modelli cogestori prescritti dall’ordinamento tedesco: per le imprese operanti nel settore carbosiderurgico, è previsto il modello cogestorio paritario, introdotto dalla Montan – MitbesG del 1951, caratterizzato dalla eguale presenza, nell’organo di controllo, di rappresentanti degli azionisti e dei lavoratori, cui si aggiunge un membro eletto a maggioranza di entrambi i gruppi; diversa composizione assume l’organo di controllo nell’ambito del sistema non paritario, disciplinato dal BetrVG modificato nel 2004 rispetto all’originario testo del 1952 e caratterizzato dalla presenza di un terzo dei rappresentanti dei lavoratori nel consiglio di sorveglianza. Infine, mediante la Legge sulla cogestione del 1976 è stato introdotto il sistema quasi paritario per le imprese non operanti nel settore carbosiderurgico e caratterizzate dalla presenza di almeno 2000 dipendenti (Biasi, 2013 - p. 103 ss.).
  24. ^ “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”.
  25. ^ Sulle ragioni della marginale diffusione nel panorama italiano dei meccanismi partecipativi cogestori: Ichino, 2013 (p. 861 ss.).
  26. ^ Art. 2, comma I, lett. a, L. 106/2016.
  27. ^ Con riguardo al Codice del Terzo settore l’art. 26, V comma, prevede una mera facoltà per gli ETS di riservare ai lavoratori o agli utenti la nomina di uno o più amministratori.
  28. ^ Si vedano, sul punto, gli artt. 12 e 14, III comma, D.lgs. 155/2006.
  29. ^ La disposizione, richiama, infatti, il quadro definitorio conferito dal Legislatore comunitario mediante la Direttiva 2001/86/CE. Il riferimento all’informazione è da ricercarsi nel combinato disposto degli artt. 1 e 9 del D.lgs. 112/2017, mediante lo strumento del bilancio sociale.
  30. ^ Art. 1, D.lgs. 112/2017.
  31. ^ Ci si riferisce, in particolare, a quanto prescritto in tema di assunzione delle decisioni mediante consultazione scritta ex art. 2479 c.c. Sul punto: Iasiello, 2018.
  32. ^ Dette disposizioni potrebbero, in ogni caso, trovare ingresso mediante la clausola di apertura alla disciplina generale di cui all’art. 10, primo comma, D.lgs. 112/2017, che fa salva l’applicazione delle disposizioni più restrittive prescritte dal modello legale adottato.
  33. ^ Sui vantaggi della partecipazione connessi al miglioramento della performance aziendale, della produttività, del profitto e delle risposte in caso di crisi finanziaria: Lin et al., 2018 (p. 303 ss.); Rapp et al., 2019; Lopatta et al., 2018.
  34. ^ Dall’analisi eseguita sul Registro delle Imprese e sull’albo delle cooperative alla metà del 2018 dal Consiglio Nazionale del Notariato (Studio n. 205/2018) il 95% delle imprese sociali risultano organizzate in forma di cooperativa e, di queste, la prevalenza assume la forma di cooperativa a mutualità prevalente.
  35. ^ Sul punto, si veda Statement on the Purpose of a Corporation, Business Roundtable, August 19th, 2019 ed altresì, Atti del Convegno di Studi What are the companies for? German and Italian experience in comparison, 15 novembre 2019, Firenze.
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