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ISSN 2282-1694
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Numero 3 / 2020

Editoriale

Come investire per costruire un Paese diverso. Otto proposte

Carlo Borzaga, Felice Scalvini

Investimento e strategia per il cambiamento

Nei primi tre provvedimenti di emergenza emanati dal Governo – il Cura Italia, il Decreto liquidità e il Decreto rilancio, incentrati più sul sostegno dei redditi che non su interventi mirati a rilanciare l’economia e, soprattutto, a riformare un sistema economico che appare sempre più senza futuro – delle necessità delle organizzazioni del Terzo settore e delle imprese sociali si è tenuto conto assai marginalmente, in ritardo e senza una visione d’insieme dei loro reali bisogni. Qualche misura di sostegno è stata garantita o è in corso da parte di alcune amministrazioni locali, ma sempre seguendo una logica emergenziale.

Chiusa questa prima fase, è dunque arrivato il momento di disegnare una strategia di lungo periodo, anche per assicurare il mantenimento e lo sviluppo del sistema dei servizi offerti dal Terzo settore e, più nello specifico, dalle imprese sociali. Una strategia che possa altresì contribuire a utilizzare bene le risorse in arrivo dall’Unione Europea.

Di questa necessità, al momento, non pare vi sia sufficiente consapevolezza. Infatti, nonostante il lavoro delle varie task force e commissioni – ultima in ordine di tempo quella istituita dal Ministero del Lavoro (DM 89, con il compito di “individuare possibili interventi volti alla valorizzazione e allo sviluppo del sistema dell’economia sociale e solidale”), della quale non appaiono chiari gli obiettivi – di visioni e strategie al momento non c’è neppure l’ombra. Infatti, se i riferimenti al Terzo settore e all’impresa sociale nelle proposte della task force presieduta da Colao erano confusi e del tutto insoddisfacenti, quando non in contraddizione con la recente riforma del Terzo settore e dell’impresa sociale (ma comunque c’erano)[1], ora nelle proposte del Governo sono del tutto assenti, stando almeno a quanto si legge sui media e sui documenti disponibili.

Da quello che si riesce a capire, pare che il Governo, in generale, si stia orientando su interventi molto tradizionali e forse non esattamente prioritari (siamo sicuri che il desiderio principale delle famiglie italiane sia di raggiungere Roma in 4 ore?), oltretutto con un indotto economico sul quale è legittimo avanzare non pochi dubbi. Sembra invece che non si stia neppure prendendo in considerazione la necessità di potenziare, al di là della sanità, il sistema dei servizi alla persona e in particolare i servizi sociali. Un settore nel complesso molto colpito dalla crisi e da cui dipende una parte rilevante – e sicuramente crescente, basti pensare all’invecchiamento della popolazione – del benessere delle famiglie italiane e più in generale il progresso del sistema Paese. Ad esempio, una politica di sviluppo dei servizi di sostegno alle famiglie, nella gestione sia dei figli che dei congiunti anziani, potrebbe favorire l’allineamento dei tassi di attività femminile a quelli degli altri Paesi europei; si produrrebbe infatti un alleggerimento delle attività di cura in capo alle donne, con una conseguente possibilità di impiego e in parallelo una rilevante espansione della domanda di forza lavoro principalmente femminile.

Manca poi – e di conseguenza – ogni riferimento a come garantire un sostegno a quella parte di sistema produttivo da cui dipende principalmente l’offerta di questi servizi: le imprese sociali, incluse quindi le migliaia di organizzazioni di Terzo settore che pur operando di fatto come imprese sociali non hanno ancora deciso, in assenza di un appropriato regime fiscale, di assumerne la qualifica. Manca, insomma, la consapevolezza, ben argomentata da Ugo De Ambrogio su Welforum[2], dell’interconnessione profonda tra la necessità di pensare allo sviluppo del Paese in termini di affermazione dei diritti essenziali e il riconoscimento del ruolo del Terzo settore e dell’impresa sociale e le dinamiche di sviluppo che in questo modo si possono innescare.

A fronte di questa situazione, l’unico modo per superare questi limiti delle politiche ufficiali è avviare un dibattito dal basso, coinvolgendo direttamente i soggetti interessati che – più della classe politica e delle varie task force – sono consapevoli del valore sociale delle loro attività, conoscono i bisogni propri, dei propri utenti e delle comunità alle quali appartengono e sono in grado di valutare ex ante l’efficacia di possibili misure di sostegno. Creare questo luogo di riflessione, di confronto e di elaborazione di proposte è ciò che la rivista Impresa Sociale si propone di fare nei prossimi mesi a partire da questo editoriale dove, per dare il via al dibattito, vengono avanzate alcune prime ipotesi, ma dove soprattutto si vogliono indicare le ragioni a sostegno della necessità di predisporre una strategia di medio temine per lo sviluppo delle imprese sociali italiane.

Con questa proposta desideriamo inoltre fare la nostra parte per operare coerentemente nella linea indicata dall’art. 55 del Codice del Terzo settore, riconosciuto e rafforzato dalla recente sentenza 131 della Corte costituzionale. Coprogrammare significa per noi non avanzare semplicemente alcune richieste di sostegno, ma porsi nel cuore delle trasformazioni e delle criticità sociali ed economiche del Paese ed elaborare visioni, strategie e proposte circa l’apporto che il mondo dell’imprenditoria sociale, e più complessivamente del Terzo settore e dell’economia sociale, possono offrire per un reale progresso civile, sociale ed economico.

Per avviare un simile processo è necessario, come primo punto, inquadrare, collegare e decifrare una serie di evidenze e di riflessioni maturate negli ultimi mesi e che la pandemia ha fatto scoprire o quanto meno aiutato a mettere a fuoco. Queste considerazioni non si riferiscono solo alle imprese sociali e al Terzo settore, ma riguardano più generale un modello economico e di sviluppo. Le proponiamo qui in forma sintetica, con l’intenzione di approfondirle nei prossimi mesi.

Evidenze e riflessioni preliminari

La pandemia ha fatto riscoprire agli italiani la solidarietà e la sua importanza, sottolineata anche da commentatori tradizionalmente non interessati al tema. Da diverse angolazioni: la generosità nel sostenere con donazioni la sanità pubblica (nonostante la sua impreparazione fosse dovuta ad evidenti errori di programmazione e all’insufficienza di risorse pubbliche ad essa dedicate); la capacità delle iniziative solidaristiche nel reagire immediatamente, e assai prima di Protezione Civile e istituzioni pubbliche, al presentarsi di bisogni inediti, come quello di rifornire di beni alimentari anziani o mamme sole in casa con bambini; la sua diffusione capillare con la partecipazione di migliaia di persone – giovani soprattutto – mai coinvolte precedentemente in attività di volontariato. Più in generale, l’esperienza della pandemia ha mostrato ancora una volta come sistemi economici fondati solo sui principi dell’autorità o dell’auto-interesse – in altri termini, Stato e mercato – finiscano per sprecare molte risorse che invece entrano in gioco se si riconoscono e si lasciano operare i principi della solidarietà e della cooperazione.

Riteniamo quindi che ci siano tutte le condizioni per riflettere su come consolidare questa disponibilità alla solidarietà, andando oltre l’emergenza e le donazioni di tempo e denaro. Ad esempio, orientando verso investimenti in imprese ed attività a esplicita vocazione sociale una parte, anche modesta, dei quasi 800 miliardi di euro oggi depositati sui conti correnti, per il 68% senza alcuna remunerazione, cresciuti del 37,5% dal 2015 con una perdita complessiva dovuta alla riduzione del potere di acquisto di 4 miliardi circa all’anno. E facendo questo in modo diretto, cioè offrendo ai risparmiatori la possibilità di investire in imprese sociali conosciute, senza passare per forme di “finanza di impatto” che, anche quando non hanno scopi speculativi – e non sono molte quelle che non li perseguono – hanno comunque dei costi proibitivi.

La pandemia ha contribuito inotre a rendere più evidente la rilevanza di quell’insieme di organizzazioni che compongono il Terzo settore e l’Economia sociale, dalle organizzazioni di volontariato, agli enti filantropici, alle cooperative sociali, ma anche alle cooperative di consumo. Una rilevanza in positivo, per l’impegno profuso nel corso dell’emergenza, a partire dalla gestione di strutture sanitarie e strutture residenziali per persone fragili (anziani, minori, persone con disagio psichico e persone con bisogni di accoglienza in genere). Ma una rilevanza anche in negativo, perché in molti si sono dovuti rendere conto di quanto impattassero sulla qualità della loro vita i servizi offerti da queste organizzazioni.

Di una sorprendente attitudine a trasformarsi, per affrontare una situazione del tutto nuovo, ha dato prova il settore della filantropia, che non solo ha dimostrato la sua capacità di sostenere generosamente e con grande tempestività il sistema sanitario, ma ha anche modificato in tempi brevi logiche e modalità di intervento passando dal finanziamento di progetti al sostegno diretto delle organizzazioni di offerta.

Una forte capacità di resilienza hanno poi mostrato le centinaia di esperienze che hanno saputo in pochi giorni reinventare i servizi, passando non solo da modalità in presenza a modalità online, ma anche creando nuovi prodotti didattico-formativi e assistenziali.

Tutte iniziative che hanno confermato la presenza all’interno del settore di un segmento imprenditoriale – quello delle imprese sociali di diritto o di fatto – ormai decisamente importante non solo per i servizi erogati, ma anche per il contributo che continua a dare, anche in fasi critiche, alla crescita degli investimenti e dell’occupazione (anche giovanile e di persone con capitale umano elevato). Un contributo che è destinato a crescere nei prossimi anni che saranno caratterizzati da un aumento di bisogni che per loro natura potranno essere soddisfatti solo mediante l’erogazione di servizi, dalla necessità di riorganizzare su base territoriale i servizi sanitari (operazione assai difficile senza il coinvolgimento di queste organizzazioni, come dimostra l’esperienza dei servizi sociali), dalla necessità di creare posti di lavoro sia per giovani con elevati livelli di istruzione che per lavoratori a rischio di espulsione dai processi produttivi a seguito della probabile accelerazione di alcuni progetti innovativi e, infine, dalla progressiva presa d’atto della sostanziale inefficacia dei soli sussidi sia nella lotta alla povertà che nel rafforzamento della coesione sociale.

È utile, in proposito, ricordare che le sole cooperative di inserimento lavorativo stanno garantendo un lavoro dignitoso e remunerato a circa 30.000 lavoratori con gravi difficoltà di accesso al lavoro e che il settore non solo ha in forza una elevata percentuale di laureati, ma è stato anche un luogo di formazione per migliaia di giovani in tirocinio o in servizio civile. Il contributo al sistema dei servizi e all’occupazione sarà tuttavia tanto maggiore quanto più l’intero Terzo settore – e in particolare le imprese sociali – riuscirà non solo a mantenere, ma anche a rafforzare la propria autonomia sia rispetto agli enti pubblici che ne acquistano i servizi, sia rispetto al sistema bancario che fin ad oggi ne ha sostenuto la crescita.

Il Terzo settore in generale – e in particolare alcune sue componenti, a differenza di quanto è successo nella precedente crisi – è stato però anche particolarmente colpito dalla pandemia (con il lockdown prima, e le misure di distanziamento poi). Colpite sono state in special modo le organizzazioni impegnate nei servizi alla persona – quelli educativi (dai nidi alle scuole per l’infanzia o di grado superiore) e i centri diurni per minori e disabili – ma anche (e forse soprattutto) le organizzazioni culturali e sportive che si sono trovate con entrate ridotte o annullate, ma con costi costanti e prive di aiuti. Nonostante molte abbiano cercato di adattare l’attività alle nuove condizioni, le conseguenze nell’immediato si sono scaricate innanzitutto sui lavoratori che, a differenza di quelli pubblici impiegati in attività simili, sono stati messi in cassa integrazione o, se con rapporto di lavoro a tempo determinato, hanno perso il lavoro; e, in secondo luogo, sulle organizzazioni stesse, per molte delle quali risulteranno tra pochi mesi evidenti le perdite (anche importanti) di bilancio.

Le proposte già avanzate da questa rivista[3] per attenuare l’impatto della crisi sulle organizzazioni del settore – in particolare il sostegno pubblico alla copertura dei costi fissi anche dei servizi sospesi – non hanno avuto successo (se non in pochi casi) e sono state addirittura contestate, non si capisce bene perché, in quanto ritenute poco innovative da alcuni sedicenti esperti. Nonostante una parte delle organizzazioni di Terzo settore – in particolare molte fondazioni e le cooperative sociali con una lunga storia alle spalle – siano ben patrimonializzate, soprattutto grazie al vincolo di non appropriabilità del patrimonio tanto criticata dai sostenitori della finanza di impatto, il settore nel suo complesso né uscirà indebolito sia per la perdita delle unità più fragili, sia nelle singole organizzazioni che dovranno assorbire le perdite di bilancio con riduzioni di patrimonio. Con conseguenze negative sulla capacità di investire soprattutto nell’innovazione delle modalità di offerta dei servizi, proprio in un momento in cui investimenti di questo tipo sarebbero indispensabili.

Infine, come ultima considerazione di scenario utile per definire una strategia, vi sono le novità arrivate o in arrivo dalla Commissione europea. La prima ha natura regolamentare ed è costituita dalla sospensione delle regole sugli aiuti di Stato, che in questi ultimi anni hanno creato non poche difficoltà all’individuazione di interventi di sostegno alle organizzazioni di Terzo settore in generale e in particolare alle imprese sociali, a partire dalle incertezze sulla detassazione degli utili non distribuiti – qualcuno ricorda il lungo contenzioso tra Governo e Commissione europea sulla detassazione degli utili delle cooperative portati a riserva, che è stato prima affrontato venendo incontro alla Commissione con una parziale tassazione degli stessi e poi definitivamente chiuso con una sentenza della Corte di Giustizia che dava ragione all’Italia, ma di cui non se ne è fatto più nulla – e sull’inclusione tra gli aiuti di Stato degli sconti Irap “regalata” alle imprese e cooperative sociali da un passaggio del decreto di Riforma del Terzo settore. Questa temporanea sospensione apre la strada a ipotesi di interventi, anche importanti ma impossibili fino a ieri, a sostegno sia degli investimenti in innovazione e potenziamento dei servizi che dell’assunzione di lavoratori svantaggiati e di giovani.

La seconda novità riguarda le risorse in arrivo dall’Unione Europea, sia quelle del cosiddetto Recovery Fund, sia, soprattutto, quelle dei fondi strutturali che, stando alle indicazioni disponibili, saranno almeno in parte destinate al sostegno delle iniziative di economia sociale secondo le indicazioni del Action Plan per la Social Economy che la Commissione sta elaborando. E che si spera sia sufficientemente stringente da impedire agli Stati membri – e all’Italia in particolare – di usare queste risorse, come nel recente passato, per il finanziamento di politiche sociali esistenti.

Tenendo conto di queste evidenze è possibile sostenere che Terzo settore e imprese sociali sono una risorsa fondamentale non solo per superare la crisi, ma anche – e forse soprattutto – per modificare alla radice e senza strappi un sistema economico e sociale che per diverse ragioni risulta sempre meno sostenibile. Impresa Sociale, nei mesi scorsi, ha già formulato alcune idee che fanno leva su aspetti regolativi e in specifico sulla diffusione di strumenti collaborativi nei rapporti con la pubblica amministrazione[4]; ora si intende ampliare questo discorso con alcune proposte che si inseriscono nelle riflessioni su come utilizzare le risorse aggiuntive provenienti dall’Europa, integrandole con altre già a disposizione.

È così possibile individuare alcune strategie che con costi contenuti – una qualità su cui oggi si riflette poco perché le risorse in arrivo sono davvero imponenti, ma che diventerà cruciale nei prossimi anni quando esse finiranno – potrebbero contribuire a dare un nuovo slancio a tutto il Terzo settore e in particolare alle imprese sociali. Nella speranza che la politica se ne faccia finalmente carico.

Prime proposte per una strategia di rilancio e sviluppo

La strategia di intervento che proponiamo è pensata soprattutto per le imprese sociali, ma alcune misure possono essere estese anche a tutto il Terzo settore: essa si articola – per ora e in attesa delle integrazioni che verranno dal dibattito – in otto proposte di interventi concreti, da subito attuabili e finanziabili su fondi europei.

1. Accelerare i tempi del completamento della riforma

Dopo tre anni, la riforma del Terzo settore e dell’impresa sociale non risulta attuata. Ciò è molto grave soprattutto perché il disegno riformatore contenuto in questi provvedimenti, che distingue per caratteristiche strutturali e funzionali le diverse organizzazioni, risulta progressivamente eroso, dal momento che, in assenza del Registro Unico e quindi dell’esistenza stessa degli Enti del Terzo Settore, l’unica possibilità per incardinare altri provvedimenti normativi risulta essere l’iscrizione ai vecchi registri (ONLUS, APS, ODV). Proprio quelli che dovevano essere superati. Questa mancanza di un riferimento normativo unificante ha costretto alle contorsioni lessicali presenti nei vari provvedimenti legati al Covid-19 e, in generale, sta rallentando non solo la costituzione di nuove organizzazioni, ma anche i progetti di sviluppo di molte tra quelle esistenti che si trovano impossibilitati a decidere che forma assumere. Nei giorni in cui questo numero di Impresa Sociale è pubblicato, sembra che gli ostacoli residui all’istituzione del Registro Unico siano stati superati e quindi che, in tempi breve, esso debba vedere la luce. Sarebbe, pur con grave ritardo, un passaggio importante, nella speranza che, adottati gli atti normativi necessari, non si presentino ulteriori intoppi applicativi.

Resta in particolare inspiegabilmente sospesa (per ignavia? Per l’intervento dei poteri occulti? Per favorire il dumping fiscale da parte di altre forme giuridiche?) la definizione del regime fiscale delle imprese sociali. Non ci si può meravigliare se nel frattempo le imprese sociali non decollano, e soprattutto se le molte organizzazioni che hanno le caratteristiche dell’impresa sociale, ma che andrebbero incontro ad aumenti dei costi e riduzione dei benefici se optassero per qualificarsi come tali, scelgono di non farlo. E ciò malgrado l’enfasi sempre maggiore che viene data all’imprenditoria sociale. Una situazione schizoide, sempre meno accettabile. E proprio ora che il regolamento sugli aiuti di Stato – cioè l’ipotetico, principale ostacolo al nuovo regime – è sospeso.

Infine, in queste settimane si è assistito a significative evoluzioni sul fronte degli strumenti previsti dall’art. 55 del Codice del Terzo settore: prima la Sentenza 131 della Corte costituzionale[5], poi la legge della Regione Toscana[6] che può aprire la strada ad una nuova generazioni di norme regionali e infine le modifiche al Codice degli appalti[7] in sede di conversione in legge del DL Semplificazioni, dissipano ogni residuo dubbio sulla legittimità della coprogrammazione e della coprogettazione; si tratta ora di promuoverne l’adozione e di agire sul fronte della formazione e della consapevolezza, sia della pubblica amministrazione sia del Terzo settore, affinché abbia luogo un coerente cambiamento culturale, di ruoli e di modelli organizzativi.

2. Favorire la capitalizzazione delle imprese sociali

Dopo gli interventi emergenziali finalizzati ad assicurare la sopravvivenza mediante contributi a fondo perduto e garanzie per l’accesso al credito, pensare alla ripresa e allo sviluppo futuro delle imprese sociali significa affrontare il tema della loro struttura patrimoniale che, soprattutto dopo le perdite dovute all’interruzione dell’attività, va rafforzata affinché possano affrontare i progetti di crescita e innovazione necessari per dar risposta ai vecchi e nuovi bisogni. Dove attingere queste risorse? La nostra idea è semplice e di facile attuazione e parte dal dato, più volte e in varie sedi sottolineato, di un Paese che vede, per usare una vecchia metafora, i frati ricchi e il convento povero. Cioè un Paese con uno Stato fortemente indebitato e le famiglie con grandi disponibilità finanziarie, grazie anche alla loro atavica propensione al risparmio.

Le imprese sociali, adeguatamente incentivate e sostenute, potrebbero essere il veicolo per orientare verso la produzione e gestione di beni comuni – quelli che esse producono – parte dei risparmi della comunità a cui appartengono. Come? Con un meccanismo semplicissimo: per ogni euro di capitale raccolto, lo Stato, attraverso un fondo ad hoc, garantisce il raddoppio. La quota statale andrà ad incrementare le riserve indivisibili, che costituiscono fisiologicamente un patrimonio intergenerazionale, vale a dire che non può essere privatizzato e che rimane come una permanente leva per lo sviluppo delle iniziative future. Iniziative di simile utilizzo di risorse europee – il fondo Jeremy della regione Lombardia per tutte – hanno dato in passato ottimi risultati. Perché non ripetere l’esperienza su scala nazionale? Sicuramente con una simile leva le imprese sociali saprebbero promuovere la raccolta di una quota dei risparmi privati disponibili nelle loro comunità di riferimento, riconoscendo loro un decoroso rendimento e garantendone l’orientamento a attività e progetti di interesse generale.

3. Valorizzare il giacimento occupazionale: un piano di incentivi per l’assunzione di giovani nelle imprese sociali

Non passerà molto tempo che tante organizzazioni di Terzo settore, soprattutto imprese sociali, riprenderanno ad assumere lavoratori, sia per garantire il ricambio generazionale che per far fronte all’aumento della domanda di servizi (si pensi a quelli legati all’invecchiamento, ma non solo). È già successo dopo la crisi del 2009. I nuovi assunti saranno giovani, in larga parte portatori di una buona dotazione di capitale umano, proprio per il tipo di servizi offerto. Se le imprese sociali saranno in grado di accrescere la propria domanda di lavoro giovanile, vi sarà per il Paese e per le comunità in cui operano un duplice vantaggio: più servizi e meno disoccupazione tra i giovani.

Qual è il meccanismo per favorire questo processo? Come noto, in settori ad alta intensità di lavoro, come quelli in cui opera la maggior parte delle imprese sociali, il costo dei nuovi assunti influenza in modo significativo la domanda di lavoro. Pertanto, proponiamo che si preveda un abbattimento ad hoc (anche temporaneo) del costo del lavoro per i nuovi assunti da imprese sociali, eventualmente aggiuntivo ad un intervento generalizzato se questo dovesse andare in porto o, ancora meglio, legato percorsi formativi.

4. Favorire l’innovazione digitale

Anche se molti dei servizi erogati dalle imprese sociali non potranno trarne grandi vantaggi dal lato dei costi, l’esperienza recente sembra mostrare che l’adozione di tecnologie digitali può contribuire ad un miglioramento dei servizi offerti (riduzione dei tempi di intervento, maggior adattamento delle risposte a bisogni, offerta di prodotti integrativi a quelli di base, ecc.). Le sperimentazioni portate avanti durante il lockdown da diverse imprese sociali ha anche mostrato che esse hanno al loro interno o sono in grado di attivare risorse umane con una forte propensione all’utilizzo in senso innovativo di queste tecnologie. Potenziare con misure di sostegno queste skills potrebbe dare un contributo significativo alla diffusione dell’utilizzo di tecnologie digitali di cui il Paese ha particolare bisogno in settori dove finora esse sono state molto limitate, anche perché dominati da una pubblica amministrazione poco orientata all’innovazione. Ci sembra quindi che, all’interno del più generale sostegno alla digitalizzazione del Paese, una linea di finanziamento specifica vada attivata per le imprese sociali e gli Enti di Terzo settore.

5. Promuovere la nascita e sostenere lo sviluppo di imprese sociali: un nuovo progetto “Fertilità”

Cos’è stato, quindici anni fa, il progetto Fertilità? Un’esperienza (riuscita) di proliferazione di iniziative e attività di imprese sociali che già avevano dimostrato di funzionare in alcune aree del Paese (in particolare – in quel caso – nel Nord Italia). Il Paese ha oggi bisogno di una nuova spinta alla diffusione di iniziative collaudate, superando la vuota e fuorviante retorica della “innovazione” a tutti i costi. Esistono decine, centinaia di ottime esperienze, spesso innovative, prodotte in questi anni dalle imprese sociali, anche in settori e attività non tradizionali. Il punto è come diffonderle, moltiplicarle, affinché attraverso la proliferazione di ciò che ha dimostrato funzionare si possa determinare una infrastrutturazione sociale generalizzata e diffusa. Questa è la politica di sviluppo di cui c’è oggi bisogno, anche perché è dall’humus creato dalla proliferazione delle esperienze più avanzate che scaturiranno le ulteriori iniziative innovative.

La proposta è dunque quella di riprendere e aggiornare l’esperienza di Fertilità e mettere in campo, attraverso un fondo ad hoc, adeguatamente finanziato, uno strumento che sappia dosare con sapienza contributi a fondo perduto, capitale sociale e prestiti. Così si avrà modo di generare la diffusione, auspicabilmente epidemica, delle migliori esperienze di imprenditoria sociale, stimolando legami cooperativi tra imprese sociali consolidate con il ruolo di tutor e imprese appena nate o in formazione, in territori diversi e in tutti i settori previsti dal Codice del Terzo settore.

6. Un piano per la valorizzazione da parte delle imprese sociali dei patrimoni pubblici inutilizzati e dei beni sequestrati alla mafia da realizzarsi attraverso gli strumenti dell’art. 55

Riteniamo che sia giunto il tempo per mettere a punto un programma specifico, integrabile con i precedenti, per permettere a enti locali e imprese sociali di coprogrammare e coprogettare il recupero e la valorizzazione del crescente numero di patrimoni collettivi, compresi quelli sequestrati alla mafia, attualmente inutilizzati e destinati ad un progressivo degrado. Grazie alla coprogrammazione le iniziative dovranno caratterizzarsi anche per la capacità di mobilitare anche risorse delle comunità di riferimento. Il sostegno dovrà essere dato soprattutto per coprire i costi di elaborazione, progettazione e costruzione delle alleanze tra pubblica amministrazione, impresa sociale e altri soggetti del territorio. L’attuazione, dagli investimenti alla gestione, potrà avvenire con il sostegno delle misure di cui ai punti precedenti.

7. Sostegno alla formazione sul lavoro dei lavoratori svantaggiati

La ricerca ha ormai dimostrato che le pratiche di inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati realizzate dalle imprese sociali determinano ad oggi – e quindi tenendo conto del sostegno già in essere – un risparmio netto di denaro pubblico stimato in 4.000 euro all’anno per lavoratore. Un valore che, senza contare i benefici umani sociali e psicologici che ne traggono lavoratori e famiglie, è assolutamente rilevante, anche comparato con gli esiti di altre politiche attive del lavoro (di cui si parla tanto, ma senza mai menzionare queste esperienze: ignoranza? Rifiuto ideologico? Convenienza a sostenere altre forme di formazione?). Per potenziare questo tipo di esperienze e favorire l’ampliamento delle attività – e quindi la capacità di assorbire un maggior numero di lavoratori – è necessario riconoscere a queste imprese oltre alla defiscalizzazione degli oneri sociali anche un contributo netto – a termine – per lavoratore svantaggiato assunto che ne copra i costi di formazione sul lavoro e in particolare sostenga le figure di tutor dell’inserimento e di responsabile sociale di cui la maggior parte di queste imprese sono ormai dotate. Riconoscendo finalmente che almeno per queste categorie di lavoratori la formazione sul lavoro è assai più efficace e meno costosa di quella in aula su cui, negli anni, si sono investite ingenti risorse del Fondo Sociale Europeo. Con scarsissimi risultati.

8. Servizio civile per tutti i giovani e per i titolari di reddito di cittadinanza

Le imprese sociali, insieme agli altri Enti di Terzo settore, devono diventare il principale sistema operativo di un servizio civile in grado di attrarre ogni anno decine di migliaia di giovani. Il tutto con un sistema semplificato che renda automatica l’assegnazione dei giovani agli enti accreditati, senza passare attraverso elaborazioni e selezioni progettuali. Per questo proponiamo che venga studiata la possibilità di richiedere alle organizzazioni un piccolo concorso economico, prevedendo per i giovani l’apertura di una posizione previdenziale e ponendo a carico degli enti l’onere del versamento di contributi previdenziali, parametrati al compenso loro attribuito. Un modo per rendere le organizzazioni più responsabili e per innescare meccanismi di copertura previdenziale che, come da più parti ricordato, rappresenteranno uno dei principali problemi per le generazioni future. In una seconda fase si potrà estendere l’obbligo del servizio civile anche ai titolari del reddito di cittadinanza (ovviamente a quelli in condizione di lavorare).

Note

  1. ^ Carlo Borzaga, Piano Colao: il Terzo settore per finta, Forum di Impresa Sociale, 15 aprile 2020.
  2. ^ Ugo De Ambrogio, Diritti essenziali e coprogrammazione. Segnali importanti per lo sviluppo del welfare, Welforum.it, 7 luglio 2020.
  3. ^ Andrea Bernardoni, Ricostruiamo il Paese! Proposte a costo zero per rafforzare le infrastrutture sociali, Forum di Impresa Sociale, 19 aprile 2020.
  4. ^ Ibid.
  5. ^ Gianfranco Marocchi, Art. 55: la Corte costituzionale dissolve ogni dubbio sulla sua legittimità, Forum di Impresa Sociale, 26 giugno 2020.
  6. ^ Gianfranco Marocchi, Regione Toscana: la legge sul Terzo settore rilancia i rapporti collaborativi tra Enti pubblici e Terzo settore, Forum di Impresa Sociale, 15 luglio 2020.
  7. ^ Gianfranco Marocchi, DL semplificazioni: Codice contratti e Codice Terzo settore hanno pari dignità, Forum di Impresa Sociale, 12 settembre 2020.
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