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ISSN 2282-1694
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Editoriale

I confini del Terzo settore

Flaviano Zandonai, Luca Gori

Saggi

Imprese sociali e governance inclusiva

Silvia Sacchetti

Disciplina dell'impresa sociale: gli stakeholder

Antonio Fici

Le istituzioni nonprofit in forma societaria

Chiara Carini, Massimo Lori, Valerio Moretti, Carla Troccoli

Casi studio

Ecosistemi d'innovazione sociale: il caso Includi.MI

Denise Di Dio, Marzia Mortati, Stefano Maffei

Numero 11 / 2018

Saggi

La nuova disciplina dell'impresa sociale nella prospettiva dei suoi diversi stakeholder

Antonio Fici

In questo scritto si presenta ed analizza la nuova disciplina dell’impresa sociale, contenuta nel d.lgs. 112/2017 e parte della recente riforma del terzo settore, dalla prospettiva dei suoi diversi stakeholder, classificati e suddivisi in classi omogenee (cittadini che intendono realizzare attività di interesse generale, utenti e beneficiari di attività di interesse generale, lavoratori e volontari, pubbliche amministrazioni, ecc.). Si porrà l’enfasi su quelle norme del decreto che appaiono maggiormente satisfattive degli interessi degli stakeholder dell’impresa sociale, rendendo la nuova legislazione un’opportunità non soltanto per questi ultimi ma anche, in termini generali, per lo sviluppo dell’impresa sociale quale particolare fattispecie organizzativa del terzo settore.


This paper presents and analyzes the new Italian decree on social enterprise (d.lgs. 112/2017) and part of the recent reform of the Third sector, from the perspective of its various stakeholders, classified and subdivided into homogeneous classes (citizens who intend to carry out activities of general interest, users and beneficiaries of activities of general interest, workers and volunteers, public administrations, etc.). We will emphasize those norms of the decree that appear to be satisfy the interests of the social enterprise's stakeholders more, making the new legislation an opportunity not only for the latter but also, in general terms, for the development of the social enterprise as particular organizational form of the Third sector.

DOI: 10.7425/IS.2018.11.03

Introduzione

In generale l’ente giuridico è uno “schermo” attraverso il quale si realizzano attività umane. Una “struttura artificiale” che, grazie alla necessaria intermediazione dell’ordinamento giuridico (che ad essa riconosce capacità giuridica), individui singoli o associati possono creare per perseguire interessi di varia natura (non necessariamente “egoistica” e “patrimoniale”). Inevitabilmente, l’ente giuridico è altresì strumento di potenziale soddisfazione (o insoddisfazione) degli interessi di quanti entrano con esso in relazione: lavoratori, amministratori, utenti, beneficiari, fornitori, creditori, ecc. Si tratta, per certi versi, di un’ovvietà. Meno ovvio è invece soffermarsi sulla necessità o opportunità che l’ente giuridico sia gestito in modo tale da tenere in considerazione (cercando di non ledere e, se possibile, di soddisfare) gli interessi non solo dei suoi fondatori e partecipanti, ma anche dei suoi diversi stakeholder esterni, cioè di tutti coloro che, pur essendo “terzi” rispetto all’ente, sono influenzati o possono influenzarne il perseguimento degli obiettivi (Freeman, McVea, 2001). Sul fronte legislativo, un approccio stakeholder-oriented al diritto delle organizzazioni dovrebbe tradursi in norme giuridiche che inducono o costringono l’ente a tener conto degli interessi di tutti i soggetti (anche esterni alla base sociale) coinvolti dalla sua azione. La qualità del diritto delle organizzazioni, o di specifici settori di esso, può valutarsi anche in questa particolare prospettiva.

Per l’ente del terzo settore, fattispecie organizzativa di recente istituzione ad opera del d.lgs. 117/2017 recante il Codice del terzo settore (CTS[1]), la questione non si pone diversamente che per tutti gli altri enti giuridici. Anche l’ETS è uno “strumento” a disposizione di interessi facenti pur sempre capo ad individui; ed anche l’ente del terzo settore può, attraverso la sua azione, ledere o soddisfare gli interessi di vari soggetti, anche terzi.

In particolare, tra tutti gli enti del terzo settore, l’impresa sociale – specificamente regolata dal d.lgs. 112/2017[2], che pur essendo formalmente esterno al CTS, è a quest’ultimo sostanzialmente collegato (art. 40, comma 1, CTS) – si caratterizza per il fatto di perseguire le proprie finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante l’esercizio d’impresa. L’impresa sociale è infatti la tipologia particolare di ente del terzo settore predisposta dal legislatore per lo svolgimento di un’attività economico-imprenditoriale di interesse generale[3]. Nel corso dell’analisi che segue, concentrandoci su questa specifica fattispecie organizzativa, ci proponiamo di individuare e brevemente illustrare le disposizioni normative di maggior rilievo nella prospettiva della promozione e tutela dei diversi stakeholder del terzo settore. In tal modo sarà possibile valutare se, e in che misura, il nuovo diritto dell’impresa sociale costituisca per gli stakeholder del terzo settore un’opportunità, soprattutto se confrontata con la “vecchia” disciplina di cui all’abrogato d.lgs. 155/2006.

Cittadini interessati a perseguire il bene comune mediante lo svolgimento di attività d’interesse generale

Gli enti del terzo settore e l’impresa sociale sono innanzitutto enti di cui possono avvalersi cittadini interessati a perseguire il bene comune. Tali cittadini sono, in ordine logico, anche se non necessariamente di importanza, i primi stakeholder del terzo settore. Sebbene altre strutture organizzative possano a tal fine essere impiegate, e non sussista alcun obbligo di ricorrere all’ente del terzo settore e all’impresa sociale (che rimangono figure opzionali), queste ultime appaiono le forme giuridiche più congeniali per lo svolgimento di attività di interesse generale finalizzate al bene comune, in concreta attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’articolo 118, comma 4, della Costituzione italiana.

Anzi, con la riforma del 2017, il legislatore italiano ha per la prima volta offerto un quadro giuridico specificamente congegnato per lo svolgimento di attività di interesse generale per finalità connesse al bene comune. Una cornice normativa che fin qui inspiegabilmente mancava, nonostante le sue indiscutibili connessioni con principi e valori costituzionali, quali, oltre alla già ricordata sussidiarietà, l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà (art. 2, Cost.) e l’eguaglianza sostanziale (art. 3, Cost.). Adesso, accanto a società lucrative, società mutualistiche e generici enti senza scopo di lucro, si pongono gli enti del terzo settore: soggetti diversi da tutti gli altri perché caratterizzati dallo svolgimento di attività di interesse generale per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale (art. 4, comma 1, CTS).

Alla categoria di stakeholder qui considerata preme avere a disposizione strutture organizzative efficaci ed efficienti, adeguate alle loro particolari esigenze e gestite in conformità agli specifici obiettivi che si propongono, supportate dallo Stato e dagli enti pubblici, nonché destinatarie di un regime tributario che le riconosca e disciplini sulla base delle loro specificità (senza accordare “privilegi” bensì un trattamento “particolare”, coerente con la natura del soggetto disciplinato).

La nuova disciplina sull’impresa sociale (d.lgs. 112/2017) soddisfa in vario modo questa categoria di interessati, invero attraverso misure che contemporaneamente supportano anche gli interessi di altre classi di stakeholder.

Si deve innanzitutto menzionare, a tal proposito, la possibilità di scegliere la forma giuridica di costituzione della propria impresa sociale. L’impresa sociale è infatti una qualifica acquisibile da enti costituiti in una qualsiasi forma giuridica di diritto privato (ad esclusione della società unipersonale con unico socio persona fisica) (art. 1). Da qui la possibilità di avere associazioni “imprese sociali”, fondazioni “imprese sociali”, società cooperative “imprese sociali”, società per azioni “imprese sociali”, e così via. Ovvero, detto altrimenti, imprese sociali costituite in forma di associazione (riconosciuta o non riconosciuta come persona giuridica), di fondazione, di cooperativa, di società per azioni, a responsabilità limitata, ecc. Da questo punto di vista, il monopolio della cooperazione sociale è superato, perché le cooperative sociali sono oggi soltanto una (anche se sicuramente la principale) tra le possibili forme giuridiche dell’impresa sociale[4].

Ovviamente, la scelta della forma giuridica dell’impresa sociale dipenderà dalle specifiche esigenze sottostanti alla sua costituzione, essendo ciascuna forma la sintesi di un diverso modello di governance, e dunque di una diversa combinazione di risorse umane, patrimoniali e non patrimoniali, oltre che di una diversa cultura organizzativa che spesso affonda le sue radici in ragioni d’ordine storico o ideologico.

Peraltro, il fatto che quella di impresa sociale sia una “qualifica” permette anche ad enti già costituiti, anche se non appartenenti al terzo settore[5], di “trasformarsi” in imprese sociali, senza dover mutare sostanzialmente la propria formula organizzativa. Ad esempio, una s.p.a. già costituita potrà, mediante le dovute modifiche statutarie, divenire s.p.a. impresa sociale. Allo stesso modo, all’interno del terzo settore, un’associazione nata come organizzazione di volontariato potrà assumere la diversa veste di associazione impresa sociale senza incorrere in penalità o sanzioni di alcun tipo.

I cittadini interessati a perseguire il bene comune attraverso un’impresa sociale vorranno poi che essa, una volta costituita, sia stabile nel tempo, affinché possa proseguire nella realizzazione del bene comune e, così, nel soddisfacimento degli interessi di chi l’ha creata. A ciò si indirizzano, tra le altre, le disposizioni del d.lgs. 112/2017 che vincolano l’impresa sociale al reimpiego di eventuali utili o avanzi di gestione nell’attività statutaria o a incremento del patrimonio (art. 3, comma 1), ponendole a tal fine il divieto di distribuire, anche in forma indiretta, utili ai propri soci oltre una certa soglia, che consiste, oggettivamente, negli utili distribuibili ogni anno (meno del 50% per cento degli utili annuali, dedotte eventuali perdite maturate negli esercizi precedenti) e, soggettivamente, negli utili appropriabili da ciascun socio (non più dell’interesse massimo dei buoni postali fruttiferi aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato)[6].

Di notevole rilievo è poi il fatto che l’impresa sociale possa essere impiegata per il perseguimento del bene comune attraverso lo svolgimento di numerose attività d’impresa di interesse generale. La riforma ha infatti notevolmente ampliato il potenziale raggio d’azione dell’impresa sociale. L’elenco di attività esercitabili da un’impresa sociale (rectius, di attività il cui esercizio è requisito di qualificazione di un ente come impresa sociale) è molto lungo (molto più di quello presente nell’articolo 2, comma 1, dell’abrogato d.lgs. 155/2006)[7]. Esso può inoltre essere aggiornato, e dunque altre attività essere aggiunte all’elenco, con le modalità e le procedure di cui all’articolo 2, comma 2, d.lgs. 112/2017.

D’interesse generale si considera inoltre, a prescindere dal suo oggetto, l’attività d’impresa nella quale siano occupati i lavoratori molto svantaggiati di cui alla lettera a) del comma 4 dell’articolo 2, o le persone svantaggiate o con disabilità o le altre persone indicate alla lettera b) della medesima disposizione, nella percentuale minima di cui al successivo comma 5 (30% dei lavoratori da calcolarsi per teste, ma ai fini del computo del 30% i lavoratori di cui alla lettera a) del comma 4 non possono contare per più di un terzo e per più di ventiquattro mesi dalla assunzione). Le imprese sociali che sono tali per dare occupazione lavorativa a queste categorie di persone sono comunemente denominate “imprese sociali di inserimento lavorativo” (anche a livello europeo, dove è impiegato l’acronimo “WISE” che sta per work integration social enterprise).

Le diverse disposizioni fiscali incentivanti la patrimonializzazione e la capitalizzazione delle imprese sociali, che sono contenute nell’articolo 18 del d.lgs. 112/2017, favoriscono, per ovvie ragioni, gli interessi di cittadini intenzionati a perseguire in forma d’impresa il bene comune attraverso lo strumento dell’impresa sociale. L’assenza di norme tributarie ad hoc era stata additata dai più come uno dei principali fattori di fallimento della “vecchia” impresa sociale, quella regolata dal d.lgs. 155/2006. Il legislatore della riforma, sulla base delle indicazioni della legge delega, ha cercato di colmare questa lacuna, assumendo l’evidente aspettativa che queste misure possano finalmente contribuire al “decollo” dell’impresa sociale.

La prima misura prevista dall’articolo 18 è la detassazione degli utili ed avanzi di gestione destinati dall’impresa sociale allo svolgimento dell’attività statutaria o ad incremento del patrimonio.

La seconda misura è la detrazione d’imposta (per le persone fisiche) o la deduzione dal reddito (per le società e gli altri enti giuridici) del trenta per cento delle somme investite nel capitale sociale di un’impresa sociale in forma societaria (anche cooperativa). Per tale agevolazione sono previsti condizioni e limiti. La società, a prescindere dalla data in cui è stata costituita, deve avere acquisito la qualifica di impresa sociale da non più di cinque anni. Inoltre, l’investimento massimo detraibile o deducibile non può superare, in ciascun periodo d’imposta, rispettivamente l’importo di euro 1.000.000 e 1.800.000, e deve essere mantenuto per almeno cinque anni. Questa seconda misura è estesa alle fondazioni imprese sociali, ovverosia agli atti di dotazione o ai contributi al patrimonio delle fondazioni che abbiano le caratteristiche testé descritte con riguardo alle imprese sociali in forma societaria.

La terza misura (comma 8) consiste nell’estensione alle imprese sociali costituite in forma di società (anche cooperativa) della possibilità di raccogliere capitale di rischio attraverso piattaforme online (c.d. crowdfunding). Le società imprese sociali sono state infatti incluse tra gli enti in favore dei quali i soggetti autorizzati alla gestione di portali per la raccolta di capitali possono operare ai sensi dell’articolo 50-quinquies del TUF e i cui strumenti finanziari possono essere oggetto di offerta al pubblico ai sensi dell’articolo 100-ter del TUF.

Dato il carattere innovativo delle misure di cui all’articolo 18, ai fini della loro efficacia è stata ritenuta dal legislatore necessaria l’autorizzazione della Commissione europea, da richiedersi a cura del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (art. 18, comma 9). Autorizzazione che, considerata la posizione che le imprese sociali occupano nel dibattito europeo (Fici, 2017), nonché l’orientamento della Corte di giustizia europea in merito alle agevolazioni alle società cooperative (Fici, 2011), non dovrebbe essere complesso, per il Governo italiano, ottenere.

Utenti e beneficiari di attività di interesse generale

Gli utenti dei beni o servizi prodotti dall’impresa sociale sono senz’altro di essa stakeholder qualificati. In verità, essi lo sono in generale di tutte le imprese. Tuttavia, delle imprese sociali lo sono in particolar modo, se si pensa alle finalità (civiche, solidaristiche e di utilità sociale) da esse perseguite e alla natura dell’attività (di interesse generale) da esse esercitata, che, contribuendo ad accrescere il loro livello di fiducia verso l’impresa sociale (e più in generale verso gli enti del terzo settore), probabilmente li rende gli stakeholder principali in termini di importanza.

Accanto agli utenti, in questa particolare categoria di stakeholder possono collocarsi i beneficiari. Infatti, questi ultimi non sempre coincidono con gli utenti. Ad esempio, nelle imprese sociali di inserimento lavorativo, i beneficiari dell’impresa sociale sono non già gli utenti della stessa, bensì i lavoratori molto svantaggiati, le persone svantaggiate e con disabilità, nonché le altre persone indicate alla lettera b) dell’articolo 2, comma 4, d.lgs. 112/2017, che l’impresa sociale occupa.

Nella prospettiva della tutela e promozione degli interessi di utenti e beneficiari possono in generale leggersi diverse disposizioni del d.lgs. 112/2017, da quelle che impongono oneri di pubblicità e trasparenza (l’impresa sociale è, tra le altre cose, tenuta ad iscriversi nel registro delle imprese, a redigere il bilancio di esercizio secondo le regole di cui agli articoli 2423, 2435-bis o 2435-ter del Codice civile, nonché il bilancio sociale in conformità a linee guida ministeriali), ovvero oneri organizzativi (come, ad esempio, la nomina di almeno un sindaco con i requisiti di cui agli articoli 2397, comma 2, e 2399 del Codice civile, nonché, in presenza di determinate circostanze, di un revisore legale iscritto), a quelle che sottopongono l’impresa sociale a controllo pubblico. Utenti e beneficiari, infatti, non possono che trarre vantaggio dalla conoscenza delle modalità di condotta dell’impresa sociale e dalla verifica e repressione di eventuali abusi.

Tuttavia, il legislatore riserva a tale categoria di interessati un’attenzione particolare in quelle norme che ne prevedono il coinvolgimento nella gestione dell’impresa sociale. Già nella definizione di impresa sociale rientra “il più ampio coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alle loro attività” (art. 1, comma 1, d.lgs. 112/2017). Ma la disposizione specificamente dedicata a questo tema è l’articolo 11, d.lgs. 112/2017. Esso obbliga le imprese sociali a prevedere nei regolamenti aziendali o negli statuti “adeguate forme di coinvolgimento dei lavoratori e degli utenti e di altri soggetti direttamente interessati alle loro attività” (comma 1). Per coinvolgimento s’intende un meccanismo di consultazione o di partecipazione mediante il quale i soggetti indicati dal comma 1 “siano posti in grado di esercitare un’influenza sulle decisioni dell’impresa sociale, con particolare riferimento alle questioni che incidano direttamente sulle condizioni di lavoro e sulla qualità dei beni o dei servizi” (comma 2). Saranno linee guida ministeriali, da dettarsi per decreto, ad individuare le modalità “minime” di coinvolgimento alle quali l’impresa sociale dovrà conformarsi (comma 3). In ogni caso, peraltro, le imprese sociali dovranno prevedere la partecipazione di lavoratori e utenti all’assemblea dei soci e, con riferimento alle imprese sociali di maggiori dimensioni (quelle che superano due dei limiti di cui all’articolo 2435-bis del Codice civile, ridotti della metà), la nomina da parte dei lavoratori ed eventualmente degli utenti di almeno un componente sia dell’organo di amministrazione che dell’organo di controllo interno.

Lavoratori e volontari dell’impresa sociale

Pur non essendo, diversamente da una ordinaria cooperativa di lavoro, orientata alla massimizzazione del benessere dei propri lavoratori, l’impresa sociale è un tipo di ente in cui gli interessi dei lavoratori sono tenuti in attenta considerazione. Anche questa classe di stakeholder trova infatti, nella nuova disciplina, riconoscimento e protezione sotto diversi profili.

L’articolo 13 del d.lgs. 112/2017, dedicato al lavoro nell’impresa sociale, prevede innanzitutto che i lavoratori dell’impresa sociale abbiano diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi. Introduce poi, a quanto ci risulta per la prima volta nell’ordinamento giuridico italiano, un principio di equità retributiva tale per cui la differenza retributiva tra lavoratori dipendenti dell’impresa sociale non può essere superiore al rapporto uno ad otto, da calcolarsi sulla base della retribuzione annua lorda. Infine, anche per i lavoratori vigono le misure di coinvolgimento nella gestione dell’impresa sociale già esaminate con riferimento agli utenti e ai beneficiari.

Queste misure rendono sicuramente attraente il lavoro in un’impresa sociale, soprattutto sotto il profilo della sua qualità e della soddisfazione personale dei lavoratori, come alcuni studi condotti nell’ambito della cooperazione sociale hanno già accertato (Borzaga, Depedri, 2003).

Tra tutti i lavoratori, una posizione speciale, nelle imprese sociali di inserimento lavorativo, è occupata dalle persone di cui all’articolo 2, comma 4, d.lgs. 112/2017, che, come anticipato, non sono soltanto lavoratori dell’impresa sociale bensì anche suoi beneficiari, cioè soggetti agendo nel cui interesse l’impresa sociale persegue le proprie finalità istituzionali. Anche a tali lavoratori si applicano le norme sul lavoro nell’impresa sociale che abbiamo testé richiamato, dovendosi però tenere conto della loro duplice natura di lavoratori-beneficiari che li rende stakeholder di primo piano in un’ipotetica classifica di rilevanza delle diverse categorie di stakeholder nell’ambito di un’impresa sociale di inserimento lavorativo (così come gli utenti delle attività di interesse generale devono considerarsi gli stakeholder principali di tutte le altre imprese sociali).

L’impresa sociale, come in generale ogni altro tipo di ente del terzo settore, può avvalersi di volontari nello svolgimento della propria attività d’impresa, anche se in numero non superiore a quello dei lavoratori (ed in misura complementare e non sostitutiva rispetto ai parametri d’impiego di operatori professionali previsti dalle disposizioni vigenti). Anche i volontari sono stakeholder dell’impresa sociale, ma non risultano però destinatari nel d.lgs. 112/2017 di norme specifiche. Le regole sul coinvolgimento di cui all’articolo 11 sono tuttavia ad essi applicabili, rappresentando essi a pieno titolo “soggetti direttamente interessati” alle attività dell’impresa sociale. I volontari sono anzi da considerarsi stakeholder di primaria rilevanza nella misura in cui le loro motivazioni individuali coincidono con le finalità istituzionali dell’impresa sociale, se è vero che volontario è colui “che, per sua libera scelta, svolge attività in favore della comunità e del bene comune […] senza fini di lucro, neanche indiretto, ed esclusivamente per fini di solidarietà” (art. 17, comma 1, CTS).

Altri enti del terzo settore

Il terzo settore è un insieme di enti giuridici con particolari caratteristiche, che contribuiscono a identificarli e distinguerli da tutti gli altri enti giuridici. Il principale merito della riforma è aver offerto una definizione chiara di quali enti giuridici compongono il terzo settore. Ai sensi dell’articolo 4, comma 1, CTS “sono enti del Terzo settore le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del terzo settore”.

Come emerge da questa definizione, nell’ambito del terzo settore coesistono diverse tipologie di enti. Infatti, oltre ad una tipologia “generale” di ente del terzo settore, il CTS individua alcune tipologie “particolari” di enti, tra cui l’impresa sociale. Si mette in tal modo a disposizione dei potenziali interessati un “menù” di modelli e forme organizzative sufficientemente ricco da soddisfare una pluralità di esigenze specifiche correlate a quella più generale di dar vita ad un ente appartenente al terzo settore. A ciascuna fattispecie particolare di ente del terzo settore corrisponde una disciplina particolare (oltre che una distinta sezione del Registro unico nazionale del terzo settore[8]) che ne individua alcuni elementi di specialità, contribuendo così alla sua distinzione dalle altre fattispecie di enti del terzo settore, e alla sua specificazione rispetto alla fattispecie generale. Tutti gli enti del terzo settore hanno però un’identità comune. Le principali differenze tra le diverse tipologie riguardano le modalità di svolgimento dell’attività di interesse generale, perché alcuni enti, come le organizzazioni di volontariato, sono identificati sulla base delle prevalente gratuità delle prestazioni rese agli utenti e del prevalente impiego di volontari, mentre altri enti, come l’impresa sociale, lo sono sulla base della natura imprenditoriale dell’attività di interesse generale.

L’impresa sociale è la componente produttiva del terzo settore, quella capace di generare nuova ricchezza, che almeno in parte può rivolgersi a beneficio di altri enti del terzo settore a carattere non imprenditoriale (come ad esempio le organizzazioni di volontariato, gli enti filantropici o le reti associative). Ciò può avvenire in diversi modi. Ad esempio, uno o più enti del terzo settore possono dare vita ad un’impresa sociale per l’esercizio in forma commerciale di determinate loro attività[9]. Oppure un’impresa sociale potrebbe, avvalendosi della facoltà riconosciutale dall’articolo 3, comma 3, lett. b), d.lgs. 112/2017, finanziare con i propri utili specifici progetti di utilità sociale promossi da enti del terzo settore (che non siano altre imprese sociali). Oppure, ancora, uno o più enti del terzo settore potrebbero costituire un’impresa sociale che fornisca loro, e volendo anche ad altri enti del terzo settore, servizi strumentali ai sensi dell’articolo 2, lettera m), del d.lgs. 112/2017.

L’impresa sociale è dunque uno strumento potenzialmente utile anche alla soddisfazione di interessi facenti capo ad altri enti appartenenti al terzo settore e caratterizzati, per tradizione e legislazione, da assenza di imprenditorialità (o da imprenditorialità limitata, come nel caso delle associazioni di promozione sociale). La riforma ha molto contribuito in tal senso, attraverso la modifica della disposizione sui servizi strumentali (che nel d.lgs. 155/2006 vedeva come possibili destinatarie esclusivamente le imprese sociali) e l’introduzione dell’articolo 3, comma 3, lett. b), sulle erogazioni gratuite in favore di enti del terzo settore. Il legislatore ha qui immaginato l’impresa sociale come possibile struttura di servizio e strumento di supporto finanziario dell’intero terzo settore.

Tra gli altri enti potenzialmente interessati allo strumento dell’impresa sociale vanno altresì compresi gli enti ecclesiastici (ovvero, come li definisce il legislatore, gli “enti religiosi civilmente riconosciuti”), che nell’ambito del d.lgs. 112/2017 (come del resto anche del CTS) sono destinatari di una disposizione particolare (art. 1, comma 3), che apre loro le porte all’uso di questo strumento per dare alle attività diverse da quelle di culto una forma giuridica in principio pienamente compatibile con la loro particolare natura.

Enti di altra natura: lucrativi, cooperativi, pubblici, senza scopo di lucro

Agli enti lucrativi e agli enti pubblici l’accesso alla qualifica di impresa sociale è inibito, né è loro consentito dirigere e coordinare o controllare un’impresa sociale (art. 4, comma 3). Ciò non significa che l’impresa sociale non possa essere uno strumento utile a soddisfare esigenze proprie anche di questi soggetti. Per gli enti pubblici l’interesse verso le imprese sociali è scontato, considerato l’impegno di queste imprese in attività di interesse generale e le finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale che perseguono (ciò che rende le imprese sociali, e più in generale gli enti del terzo settore, organizzazioni private “a rilievo pubblicistico”). Con riguardo agli enti lucrativi, invece, il loro interesse può consistere nel considerare l’impresa sociale quale possibile strumento di attuazione, in forma stabile ed organizzata, di prassi di responsabilità sociale d’impresa.

Enti pubblici ed enti lucrativi potrebbero perciò supportare l’impresa sociale in vario modo, ed in questo senso si configurano come suoi potenziali stakeholder. Tra le possibili modalità di sostegno, v’è la partecipazione nell’impresa sociale. Il legislatore, infatti, ne ha sì vietato il controllo, ma non ha precluso ad enti lucrativi e ad enti pubblici di aderire ad un’impresa sociale. Rappresentanti di questi ultimi enti potrebbero financo partecipare all’organo di amministrazione di un’impresa sociale, dal momento che l’attuale articolo 7, comma 2, d.lgs. 112/2017, vieta solo che essi possano assumere la presidenza dell’impresa sociale. Naturalmente, il divieto di controllo impedisce loro di avere, anche congiuntamente, la maggioranza dei componenti dell’organo di amministrazione, anche alla luce di quanto disposto dall’articolo 4, comma 1, d.lgs. 112/2017 (“si considera, in ogni caso, esercitare attività di direzione e coordinamento il soggetto che, per previsioni statutarie o per qualsiasi altra ragione, abbia la facoltà di nominare la maggioranza dei componenti dell’organo di amministrazione dell’impresa sociale”).

L’interesse verso lo strumento dell’impresa sociale è certo anche in capo a società cooperative (incluse le banche di credito cooperativo) e ad enti che, pur non essendo formalmente del terzo settore, di esso condividono le finalità, come ad esempio le fondazioni di origini bancaria. Anche questi soggetti, infatti, potrebbero pensare di costituire (e financo controllare, perché loro non sarebbe inibito) un’impresa sociale per l’attuazione dei propri scopi istituzionali (Fici, 2018c).

Finanziatori e creditori

I finanziatori e i creditori sono stakeholder di tutte le imprese, incluse ovviamente quelle sociali di cui al d.lgs. 112/2017. I loro interessi trovano adeguata protezione nella recente riforma che, tra le altre cose, eleva i requisiti di professionalità di amministratori e sindaci di imprese sociali, li sottopone ad eventuale responsabilità civile secondo le norme applicabili alle società per azioni, vincola le imprese sociali alla redazione del bilancio secondo le norme applicabili alle società, le obbliga ad avere un organo di controllo interno e in certi casi anche un revisore legale iscritto, sottopone l’impresa sociale a controllo pubblico, ecc.

Allo stesso tempo la riforma promuove il finanziamento dell’impresa sociale sia aprendo ad una limitata distribuzione di dividendi ai soci a titolo di remunerazione del capitale sottoscritto, sia introducendo le già ricordate misure fiscali di supporto agli investimenti nel capitale sociale delle imprese sociali societarie. Anche qui, dunque, un passo in avanti è stato compiuto nella direzione della protezione e promozione degli interessi di questa particolare categoria di stakeholder dell’impresa sociale.

Il sistema delle imprese sociali

Come dimostra l’esperienza della cooperazione sociale, le imprese sociali prosperano se operano in sistema tra loro, ovverosia se, in prospettiva mutualistica e solidaristica, da un lato si autosostengono, dall’altro si promuovono reciprocamente. Al contrario, ciascuna impresa sociale può risentire negativamente di comportamenti poco virtuosi delle altre, considerata l’immagine che le accomuna[10]. In questo senso, pertanto, le imprese sociali complessivamente considerate sono da considerarsi (e da trattarsi alla stregua di) stakeholder di ogni singola impresa sociale e viceversa. Vi sono “effetti di rete” che possono richiedere una gestione comune di determinate vicende affinché si producano esternalità positive o si evitino esternalità negative.

La riforma presenta incentivi specifici alla costituzione di reti di imprese sociali sia nell’articolo 15 dedicato ai controlli pubblici sia nell’articolo 16 del d.lgs. 112/2017.

Riguardo al tema dei controlli, seguendo il modello cooperativo, si prospetta la possibilità di un coinvolgimento di associazioni costituite dalle medesime imprese sociali nella loro effettuazione. La titolarità della funzione di controllo è in capo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che concretamente la esercita mediante l’Ispettorato nazionale del lavoro (art. 15, comma 2). Tuttavia, il Ministero può in alternativa decidere di avvalersi di enti associativi tra imprese sociali, cui aderiscano almeno mille imprese sociali iscritte nel registro delle imprese di almeno cinque regioni o province autonome, nonché delle associazioni di cui all’articolo 3, d.lgs. 220/2002, cioè le c.d. “centrali cooperative”, che già per legge esercitano (e continueranno ad esercitare, alla luce di quanto previsto dall’articolo 15, comma 5, d.lgs. 112/2017) il controllo sulle cooperative sociali (art. 15, comma 3)[11]. Indubbiamente, la possibilità di essere controllati dall’associazione di cui si fa parte, piuttosto che dal Ministero, costituisce un incentivo per le imprese sociali a mettersi in rete. Dall’altra parte, l’associazione di imprese sociali ha interesse a prevenire e reprimere eventuali abusi idonei a riflettersi su tutti i restanti soggetti della rete, fungendo così da strumento di gestione dell’immagine comune.

Anche l’articolo 16 è mutuato dall’esperienza cooperativa, segnatamente da quella dei fondi mutualistici. Le imprese sociali possono (e non già “devono”, come invece accade per le cooperative) destinare una quota non superiore al 3 per cento degli utili netti annuali, dedotte eventuali perdite maturate negli esercizi precedenti, a fondi istituiti da loro enti associativi con le caratteristiche di cui al menzionato articolo 15. Tali fondi devono essere specificamente ed esclusivamente destinati alla promozione e allo sviluppo delle imprese sociali attraverso azioni ed iniziative di varia natura, quali il finanziamento di progetti di studio e di ricerca in tema di impresa sociale o di attività di formazione dei lavoratori dell’impresa sociale, la promozione della costituzione di imprese sociali o di loro enti associativi, o il finanziamento di specifici programmi di sviluppo di imprese sociali o di loro enti associativi. Il legislatore promuove la costituzione di questi fondi prevedendo la deducibilità del versamento del 3 per cento ai fini dell’imposta sui redditi dell’impresa sociale erogante.

Conclusioni

La strategia legislativa sottesa al d.lgs. 155/2006, che per la prima volta introdusse l’impresa sociale nell’ordinamento giuridico italiano, era quella di accrescere il numero complessivo di imprese sociali andando oltre la già nota e diffusa cooperazione sociale di cui alla legge 381/91. Si voleva in sostanza consentire ai soggetti potenzialmente interessati a costituire un ente imprenditoriale del terzo settore di fare ricorso a forme giuridiche alternative a quella cooperativa, qualora per qualsiasi ragione non reputassero quest’ultima quella più idonea ai propri scopi. La “neutralità”, o meglio, la “pluralità” delle forme giuridiche e l’impresa sociale come “qualifica” (piuttosto che come particolare tipo o sottotipo di ente giuridico) furono gli strumenti tecnici a tal fine impiegati. Il d.lgs. 155/2006, oltre che per alcune imprecisioni di natura formale ed alcune disposizioni eccessivamente restrittive, non si è dimostrato capace di attuare quella strategia, soprattutto a causa della mancanza di norme incentivanti la costituzione di imprese sociali.

Oggi la situazione appare senz’altro diversa. Il nuovo d.lgs. 112/2017, che sostituisce la precedente disciplina, oltre che per una più elevata qualità legislativa del testo, si caratterizza per il fatto di offrire diverse opportunità di sviluppo dello strumento dell’impresa sociale, anche grazie alla tutela e promozione degli interessi dei suoi vari stakeholder. L’impresa sociale, in ragione della rimozione di vecchi vincoli e soprattutto dell’introduzione di nuove misure agevolative, diventa una forma organizzativa del terzo settore particolarmente “attraente” per molte categorie di soggetti. Può interessare tanto chi è alla ricerca di un modello d’impresa non speculativo ispirato ai principi e ai valori del terzo settore, quanto chi intende “trasformare” il proprio ente del terzo settore da “erogativo” ad “imprenditoriale”. Può consentire forme di stabile collaborazione sia tra enti pubblici ed enti del terzo settore che tra enti privati for profit ed enti del terzo settore, anche al fine di attuare insieme stabili pratiche di responsabilità sociale d’impresa. Può permettere a soggetti socialmente orientati, quali le banche di credito cooperativo e le fondazioni di origine bancaria, di realizzare i propri obiettivi di interesse generale con formule innovative (ad es. attraverso il controllo, anche congiunto, di un’impresa sociale). Può essere impiegata per il finanziamento di “reti” di enti del terzo settore a carattere prevalentemente erogativo. In conclusione, l’attuale disciplina ha tutte le carte in regola per inaugurare una nuova stagione dell’impresa sociale con effetti positivi sul terzo settore complessivamente considerato e sull’interesse generale.

Bibliografia

Borzaga C., Depedri S. (2003), La cooperazione sociale italiana al microscopio: i punti di forza e di debolezza dei modelli organizzativi e della gestione delle risorse umane, Franco Angeli, Milano.

Fici A. (2011), “L’identità delle società cooperative nella decisione della Corte di Giustizia UE in tema di aiuti di stato” (nota a Corte di Giustizia dell’Unione europea, 8 settembre 2011, C-78-80/08), Enti Non Profit, 12, pp. 33-38.

Fici A. (2017), A European Statute for Social and Solidarity-Based Enterprise, Study for the Committee on Legal Affairs of the European Parliament, Brussels.

Fici A. (a cura di) (2018a), La riforma del terzo settore e dell’impresa sociale. Una introduzione, Editoriale Scientifica, Napoli.

Fici A. (2018b), “L’impresa sociale e le altre imprese del terzo settore”, Analisi Giuridica dell’Economia, pp. 19-44. DOI: 10.1433/90940

Fici A. (2018c), “La riforma del terzo settore e le fondazioni di origine bancaria”, di prossima pubblicazione nel Rapporto Annuale dell’ACRI.

Freeman R.E., McVea J. (2001), “A stakeholder Approach to Strategic Management”, Darden Business School WP, No. 01-02, University of Virginia.

Note

  1. ^ Si rinvia, per un’introduzione di stampo manualistico alla riforma, al recente volume Fici (2018a).
  2. ^ Che abroga espressamente il precedente decreto legislativo 155/2006. Il d.lgs. 112/2017 è stato recentemente “corretto” dal d.lgs. 20 luglio 2018, n. 95, che però non ha lo innovato profondamente, se non per quanto riguarda le misure fiscali di cui all’art. 18.
  3. ^ Per ulteriori approfondimenti sistematici si rimanda a Fici (2018b).
  4. ^ Da ricordare peraltro che le cooperative sociali e i loro consorzi sono imprese sociali “di diritto” (art. 1, comma 4, d.lgs. 112/2017).
  5. ^ Anche se, ovviamente, i “costi” di adeguamento di un ente originariamente for profit alla normativa sull’impresa sociale sono maggiori, poiché maggiori sono le modifiche statutarie a tal fine necessarie, e più difficoltoso, in linea teorica, l’adattamento alla diversa cultura organizzativa dell’impresa sociale.
  6. ^ Da sottolineare che associazioni e fondazioni imprese sociali non possono invece distribuire dividendi. Potrebbero soltanto avvalersi della facoltà prevista dall’articolo 3, comma 3, lett. b), d.lgs. 112/2017, di effettuare erogazioni gratuite in favore di altri enti del settore (che non siano imprese sociali).
  7. ^ L’attività d’impresa d’interesse generale può anche essere svolta in via non esclusiva, essendo sufficiente che lo sia quanto meno in via principale. Il comma 3 dell’articolo 2, d.lgs. 112/2017, chiarisce cosa debba intendersi per attività svolta in via principale. È tale l’attività i cui ricavi siano superiori al settanta per cento dei ricavi complessivi dell’impresa sociale. Tale calcolo deve effettuarsi tenendo conto dei criteri fissati da un decreto ministeriale ancora da emanarsi. Invero, esiste già un decreto emanato nel gennaio del 2008 in esecuzione di un’analoga disposizione contenuta nel d.lgs. 155/2006, che potrebbe costituire la base per l’emanando decreto ministeriale.
  8. ^ Gli enti del terzo settore, con l’unica eccezione delle reti associative, possono iscriversi in una sola sezione del Registro unico (art. 46, commi 1 e 2, CTS).
  9. ^ Anche un solo ente del terzo settore potrebbe costituire un’impresa sociale, che dovrebbe però necessariamente possedere la forma giuridica di società per azioni o di società a responsabilità limitata, essendo queste ultime gli unici tipi di enti giuridici che possono essere costituiti e partecipati da un solo soggetto (oltre alla fondazione, cui però il fondatore non partecipa in senso stretto).
  10. ^ Come dimostrano le vicende di “Mafia capitale”.
  11. ^ L’ispezione deve avere almeno periodicità annuale ed essere svolta sulla base di un verbale (che sarà) approvato con decreto ministeriale. Spetterà ad un successivo decreto ministeriale regolare più dettagliatamente l’attività ispettiva (art. 15, comma 4). Se si accertano violazioni, il soggetto esercente l’attività ispettiva diffida l’impresa sociale alla loro regolarizzazione entro un congruo termine (art. 15, comma 6). Se le irregolarità sono insanabili o non sono sanate nel termine indicato nella diffida, il Ministro dispone la perdita della qualifica di impresa sociale e la devoluzione del patrimonio residuo – dedotto, nelle imprese sociali societarie, il capitale effettivamente versato dai soci, eventualmente rivalutato, e i dividendi deliberati e non distribuiti – o al fondo di cui all’articolo 16 o alla Fondazione Italia Sociale (art. 15, comma 8). L’impresa sociale è dunque conseguentemente cancellata dall’apposita sezione del registro delle imprese. Contro questi provvedimenti, è ammesso ricorso innanzi al giudice amministrativo (art. 15, comma 9).
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