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ISSN 2282-1694
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Editoriale

I confini del Terzo settore

Flaviano Zandonai, Luca Gori

Saggi

Imprese sociali e governance inclusiva

Silvia Sacchetti

Disciplina dell'impresa sociale: gli stakeholder

Antonio Fici

Le istituzioni nonprofit in forma societaria

Chiara Carini, Massimo Lori, Valerio Moretti, Carla Troccoli

Casi studio

Ecosistemi d'innovazione sociale: il caso Includi.MI

Denise Di Dio, Marzia Mortati, Stefano Maffei

Numero 11 / 2018

Saggi

Le istituzioni nonprofit in forma societaria

Chiara Carini, Massimo Lori, Valerio Moretti, Carla Troccoli

In questo contributo si analizzerà una particolare forma di impresa sociale: le istituzioni nonprofit in forma societaria, ossia quelle imprese con natura giuridica prevista e disciplinata nel libro V del Codice civile, come le società di persone (società semplice, società in nome collettivo, società in accomandita semplice), le società di cooperative e le società di capitali (società a responsabilità limitata, società per azioni, società in accomandita per azioni) che operano sotto il vincolo della non distribuzione degli utili. Nell’ambito del settore nonprofit le organizzazioni costituite in forma d’impresa sono molto meno diffuse rispetto alle forme non societarie (in primis fondazioni ed associazioni) previste e disciplinate nel libro I del Codice civile. Il diverso quadro di riferimento giuridico ha dei riflessi per niente marginali sul piano organizzativo, infatti, alla più elevata definizione normativa della forma giuridica d’impresa conseguono vincoli e costi più elevati, e, in definitiva, una maggiore complessità organizzativa. L’analisi delle principali caratteristiche e specificità delle istituzioni nonprofit in forma societaria può fornire spunti di riflessione sull’impatto che potrà avere la riforma del terzo settore in tema di impresa sociale.


In this paper we will analyze a particular form of social enterprise: nonprofit institutions in “corporate form”, i.e. those enterprise with a juridical nature required and regulated in Book V of the Italian Civil Code, such as partnerships (simple, general and limited partnership), cooperatives and limited companies (limited liability companies, joint-stock companies, limited joint-stock partnership) that operate under Non-Distribution Constraint. Within the nonprofit sector, organizations in corporate form are much less widespread than non-corporate forms (primarily foundations and associations) required and regulated in Book I of the Civil Code. The different legal frame has large repercussions on the organizational level: legal forms with a higher regulatory definition correspond to higher constraints and costs, and, ultimately, greater organizational complexity. The analysis of the main characteristics and specificities of nonprofit institutions in corporate form can provide food for thought on the impact that the reform of the Third sector may have on social enterprise.

Le analisi e le elaborazioni di Massimo Lori, Valerio Moretti e Carla Troccoli sono strettamente personali e non coinvolgono l’amministrazione di appartenenza.

Il presente lavoro si inserisce nelle attività di studio, rilevazione e analisi statistica in campo economico e sociale di Euricse, attività rese possibili anche grazie al sostegno della Provincia Autonoma di Trento.

DOI: 10.7425/IS.2018.11.04

Introduzione

In questo contributo si analizzerà una particolare forma di impresa sociale: le istituzioni nonprofit in forma societaria, ossia quelle imprese con natura giuridica prevista e disciplinata nel libro V del Codice civile, come le società di persone (società semplice, società in nome collettivo, società in accomandita semplice), le società di cooperative e le società di capitali (società a responsabilità limitata, società per azioni, società in accomandita per azioni) che operano sotto il vincolo della non distribuzione degli utili (Borzaga, Fazzi, 2008). Come si avrà modo di vedere, nell’ambito del settore nonprofit le organizzazioni costituite in forma d’impresa sono molto meno diffuse rispetto alle forme non societarie (in primis fondazioni ed associazioni) previste e disciplinate nel libro I del Codice civile. Il diverso quadro di riferimento giuridico ha dei riflessi per niente marginali sul piano organizzativo, infatti, alla più elevata definizione normativa della forma giuridica d’impresa conseguono vincoli e costi più elevati, e, in definitiva, una maggiore complessità organizzativa.

Le prime forme di nonprofit societario si possono far risalire addirittura all’Ottocento, alle società di mutuo soccorso (Legge 15 aprile 1886, n. 3818) costituite per porre in essere forme di previdenza e assistenza volontaria a favore degli associati in relazione a casi di malattia, invalidità lavorativa, vecchiaia o altre eventualità infauste del corso di vita. La possibilità di riconoscere lo status di ente nonprofit anche a forme d’impresa ha ovviamente riferimenti normativi più recenti, come la legge che introduce nel nostro ordinamento la fattispecie dell’impresa sociale applicabile anche alle organizzazioni di cui al libro V del Codice civile (d.lgs. 155/2006) oppure la legge 289/2002 (art. 90) che estende il regime tributario agevolato delle associazioni sportive anche alle società sportive dilettantistiche costituite in società di capitali senza finalità di lucro. Ma è sicuramente la legge 381/91, che definisce finalità e modalità operative delle cooperative sociali, ad avere avuto il maggiore impatto sulla morfologia del settore nonprofit.

È più che lecito chiedersi se le istituzioni nonprofit societarie possano considerarsi imprese sociali secondo la definizione che riscuote maggiori consensi all’interno della comunità scientifica (Defourny, Nyssens, 2012) e delle istituzioni politiche (European Commission, 2016). Nella letteratura accademica e nelle policies si considerano tre fattori chiave per individuare un’impresa sociale: l’orientamento imprenditoriale, l’impatto sociale e la governance inclusiva. Rispetto al primo punto, le istituzioni nonprofit societarie sembrerebbero avere una dimensione imprenditoriale in quanto vendono beni e servizi sul mercato e, al pari delle società for profit, devono affrontare i rischi d’impresa, gli eventi in grado di pregiudicarne la sostenibilità economica e dunque l’attività produttiva. Inoltre, il vincolo della non distribuzione degli utili, che le distingue dalle imprese mainstream, dovrebbe garantire il perseguimento in modo prevalente ed esplicito di una finalità sociale. Infine, tra le istituzioni nonprofit societarie – in particolare quelle in forma cooperativa – tende a prevalere la regola del voto capitario (una testa un voto), che favorisce la democraticità del processo decisionale all’interno dell’impresa. È bene osservare che anche tra le istituzioni nonprofit non societarie si possano individuare delle forme organizzative riconducibili all’impresa sociale secondo la definizione adottata poco sopra (Barbetta et al., 2016). Pertanto, l’analisi delle principali caratteristiche e specificità delle istituzioni nonprofit in forma societaria può fornire spunti di riflessione sull’impatto che potrà avere la riforma del terzo settore in tema di impresa sociale. In effetti, dopo il modesto risultato conseguito dalla legge 155/2006, l’attuale riordino normativo del terzo settore con uno specifico decreto attuativo (d.lgs. 112/2017) prevede nuove misure a sostegno dell’impresa sociale.

La struttura organizzativa

Il primo Censimento permanente sulle Istituzioni Non Profit dell’Istat ha registrato, nel 2015, 20.872 unità costituite in forma societaria che hanno occupato 423.536 dipendenti. Si tratta sia di realtà con un’esperienza ormai consolidata nel tempo a cui si affianca un cospicuo numero di unità economiche nate in anni più recenti. I dati censuari evidenziano che l’11,1% delle istituzioni censite è stato costituito prima del 1991, mentre il 17,4% tra il 1991 ed il 2000 e che tali organizzazioni occupano rispettivamente il 34,8% e il 33,4% dei dipendenti totali (Figura 1). A queste organizzazioni si aggiungono 7.213 istituzioni (34,6%) nate nel quinquennio 2011-2015, probabilmente ancora in fase di startup, e che presentano un numero minore di dipendenti (45.657; 10,8%).I dati per ripartizione territoriale evidenziano come tali istituzioni si distribuiscano lungo tutto lo stivale (Tabella 1), con una maggiore concentrazione nelle regioni del Sud (24,7%), del Nord-Ovest (23,7%) e del Centro (21,5%) rispetto a quelle del Nord-Est (16%) e delle Isole (14,1%).

Figura 1. Istituzioni nonprofit in forma societaria e loro dipendenti per anno di costituzione. Anno 2015 – Fonte: Elaborazioni proprie su dati Istat. Registro delle Istituzioni Non Profit – Censimento permanente delle Istituzioni Non Profit 2015

Tabella 1. Istituzioni nonprofit in forma societaria e dipendenti per ripartizione geografica. Anno 2015 – Fonte: Elaborazioni proprie su dati Istat. Registro delle Istituzioni Non Profit – Censimento permanente delle Istituzioni Non Profit 2015

Un diverso quadro territoriale emerge, tuttavia, guardando la distribuzione dei dipendenti, il 58% dei quali è occupato in istituzioni nonprofit societarie delle regioni settentrionali (il 32,5% nel Nord-Ovest ed il 25,5% al Nord-Est) mentre solo il 13,1% è impiegato in istituzioni con sede nelle regioni meridionali. Ne risulta una maggiore dimensione media delle istituzioni del Nord-Est (32,3 dipendenti per organizzazione) e Nord-Ovest (27,9 addetti) rispetto a quelle centrali (19,1), insulari (12,4) e meridionali (10,7). Il confronto delle due distribuzioni mette quindi in luce come alla forte presenza di istituzioni nonprofit societarie nelle regioni meridionali non corrisponda una rilevanza occupazionale di pari entità.

Quest’analisi trova conferma anche nella dimensione economica delle istituzioni censite. Nel Nord-Est, il 50% delle unità ha registrato un fatturato medio di 207.477 euro, valore di poco superiore a quanto registrato nel Nord-Ovest (196.366 euro) ma ben distante dal dato delle regioni centrali (99.793 euro), insulari (65.048 euro) e meridionali (49.036 euro).

Come evidenziato nella Figura 2, i valori mediani delle regioni meridionali e insulari risentono della forte presenza di istituzioni con un fatturato inferiore ai 5mila euro (il 25% delle organizzazioni censite), categoria che non va oltre il 15% tra le istituzioni delle regioni settentrionali dove, invece, oltre un terzo ha registrato un fatturato superiore ai 500mila euro.

Figura 2. Istituzioni nonprofit in forma societaria per ripartizione geografica e classe di fatturato (migliaia di euro). Anno 2015 – Fonte: Elaborazioni proprie su dati Istat. Registro delle Istituzioni Non Profit – Censimento permanente delle Istituzioni Non Profit 2015

Cinque sono i settori in cui si concentrano principalmente le istituzioni nonprofit societarie: l’assistenza sociale (31,6% delle istituzioni censite; (Tabella 2), lo sviluppo economico e la coesione sociale (28,6%), la cultura, sport e ricreazione (25,3%), l’istruzione e ricerca (8,1%) e la sanità (5%).

Come evidenziato nella Figura 3, il settore della ‘cultura, sport e ricreazione’ è quello che ha vissuto uno sviluppo più recente: meno del 20% delle istituzioni attive in quest’ambito è stato costituito prima del 2001, mentre il 49,4% ha al massimo cinque anni di attività. Al contrario, sanità ed assistenza sociale rappresentano i settori storici dell’imprenditoria sociale, cresciuti fortemente in seguito all’introduzione della legge del 1991 sulle cooperative sociali, e per i quali non sorprende quindi che la quota di istituzioni costituite prima del 2001 sia rispettivamente pari al 42,5% e al 34,4%.

Figura 3. Istituzioni nonprofit in forma societaria per settore d’attività e anno di costituzione. Anno 2015 – Fonte: Elaborazioni proprie su dati Istat. Registro delle Istituzioni Non Profit – Censimento permanente delle Istituzioni Non Profit 2015

Guardando al peso occupazionale di ciascun settore (Tabella 2), si rileva come nove dipendenti su dieci lavorino in tre settori d’attività: l’assistenza sociale (53,4%), lo sviluppo economico e la coesione sociale (21,2%) e la sanità che, sebbene rappresenti solo il 5% delle istituzioni censite occupa poco meno di 69mila lavoratori (16,2%). Il contributo occupazionale delle oltre 5mila istituzioni culturali e sportive, tra le quali la metà non impiega lavoratori dipendenti, è invece minoritario (3%).

Tabella 2. Istituzioni nonprofit in forma societaria, dipendenti e fatturato per settore d’attività. Anno 2015 – Fonte: Elaborazioni proprie su dati Istat. Registro delle Istituzioni Non Profit – Censimento permanente delle Istituzioni Non Profit 2015

Le differenze dimensionali tra settori risultano ancora più evidenti guardando ai valori mediani del fatturato. Nella sanità, un’istituzione su due ha registrato nel 2015 un fatturato almeno pari a 698.834 euro, dato di gran lunga superiore rispetto a quanto si osserva nel settore dell’assistenza sociale (180.765 euro) e ancor più rispetto agli altri ambiti d’attività, tra i quali il dato minimo è relativo alle istituzioni culturali e sportive (49.615 euro).

Nonprofit in forma societaria versus nonprofit in forma non societaria

In questo paragrafo verranno messe a confronto le istituzioni nonprofit societarie con quelle non societarie, considerando sia variabili di struttura (localizzazione geografica, periodo di costituzione, fatturato e dipendenti) che il settore di attività prevalente.

Nel complesso, le istituzioni con una forma giuridica societaria (società di persone, società di capitali, ecc.) hanno un peso relativo piuttosto marginale, rappresentando solo il 6,2% delle organizzazioni attive nel settore nonprofit (Tabella 3). Tuttavia, tale quota si differenzia a livello geografico: è maggiore nelle Isole e al Sud (dove è rispettivamente pari al 9,4% ed al 8,9%) rispetto al Centro (5,9%) ed al Nord (5,3% nel Nord-Ovest e 4,3% al Nord-Est). Nel dettaglio, Campania, Puglia, Sicilia e Sardegna si attestano su percentuali superiori al 9% mentre Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige, Valle d’Aosta, Piemonte e Toscana non superano la soglia del 4%.

Tabella 3. Istituzioni nonprofit societarie e non societarie e dipendenti per ripartizione geografica. Anno 2015 – Fonte: Elaborazioni proprie su dati Istat. Registro delle Istituzioni Non Profit – Censimento permanente delle Istituzioni Non Profit 2015

Se la rilevanza del nonprofit societario è contenuta qualora si conteggino le istituzioni, è vero il contrario quando si considera il numero dei dipendenti in esso impiegati, pari a ben il 53,7% del totale dei dipendenti complessivamente occupati nel settore nonprofit. La distribuzione per localizzazione territoriale, anche in questo caso, presenta dei valori percentuali eterogenei con una variabilità che non risulta fortemente influenzata dall’asse Nord-Sud. Le differenze a livello di ripartizione geografica non sono particolarmente marcate, con il Mezzogiorno e il Nord-Est che registrano una quota di dipendenti occupati nel nonprofit societario intorno al 59% rispetto a Centro e Nord-Ovest dove la percentuale si attesta sotto il 51%. Più diversificata è invece la distribuzione a livello regionale con Basilicata, Umbria, Molise, Marche ed Emilia-Romagna che presentano valori superiori al 70% rispetto ad altre regioni (Lazio, Trentino-Alto Adige, Lombardia) in cui la quota dei lavoratori del nonprofit societario non supera il 45% del totale.

Rimanendo sui dipendenti (Tabella 4), le istituzioni nonprofit con forma societaria tendono a concentrarsi nella classe con oltre 50 dipendenti (61,1%). Tale percentuale scende al 47,8% in riferimento alla classe ‘da 11 a 50’ mentre nelle classi ‘da 4 a 10’ e ‘da 1 a 3’ si osservano rispettivamente valori pari al 35,4% e al 18,6%. Infine, tra le istituzioni nonprofit senza dipendenti solo il 2,1% ha una forma societaria, confermando che vi è una relazione stretta relazione tra la classe di dipendenti e il profilo giuridico dell’istituzione.

Tabella 4. Istituzioni nonprofit societarie e non societarie per classe di dipendenti. Anno 2015 – Fonte: Elaborazioni proprie su dati Istat. Registro delle Istituzioni Non Profit – Censimento permanente delle Istituzioni Non Profit 2015

Rispetto al settore di attività (Tabella 5), il peso delle istituzioni nonprofit in forma societaria non è uniforme sia che si consideri il numero di unità sia che si osservi il numero di dipendenti impiegato. Se nel settore dello sviluppo economico e della coesione sociale la gran parte delle istituzioni nonprofit assume la forma d’impresa (87,2%) impiegando oltre 96,8% dei dipendenti, nell’ambito della cultura, sport e ricreazione solo il 2,4% delle istituzioni è di tipo societario occupando comunque più di un quarto dei dipendenti del settore. Per quanto riguarda il comparto dell’assistenza sociale, il 21,4% delle istituzioni è in forma d’impresa, percentuale molto inferiore alla quota di dipendenti impiegati (79,6% del totale). Una situazione simile la si osserva nell’ambito della sanità, dove il 9,0% delle istituzioni nonprofit societarie raccoglie il 38,6% dei dipendenti. Nel settore dell’istruzione e ricerca, invece, le quote di istituzioni societarie e di dipendenti in esse impegnati sono più allineate (rispettivamente pari al 12,5% e al 18,6% del totale). Infine, è interessante rilevare come nella categoria ‘altro’, che raccoglie alcuni settori di attività tipici del nonprofit (protezione dell’ambiente, tutela dei diritti ed attività politica, filantropia e promozione del volontariato, cooperazione internazionale, religione, relazioni sindacali), l’incidenza del nonprofit societario sia piuttosto marginale.

Tabella 5. Istituzioni nonprofit societarie e non societarie e dipendenti per settore di attività. Anno 2015 – Fonte: Elaborazioni proprie su dati Istat. Registro delle Istituzioni Non Profit – Censimento permanente delle Istituzioni Non Profit 2015

Al crescere del volume d’affari, aumenta la percentuale delle istituzioni nonprofit in forma societaria (Tabella 6) che raggiunge il valore più alto (67,5%) tra le realtà che presentano ricavi dalla vendita di beni e servizi superiori ai 500mila euro. Tale quota decresce al diminuire del fatturato: è pari al 61,1% tra le istituzioni con un volume d’affari fra i 200mila e i 500mila euro, e scende fino al 52,7% e al 29,8% tra quelle che rientrano, rispettivamente, nelle classi da 70mila a 200mila euro e dai 5mila ai 70mila euro. Solo l’1,4% delle istituzioni nonprofit con ricavi fino ai 5mila euro è un’impresa.

Tabella 6. Istituzioni nonprofit societarie e non societarie per classe di fatturato. Anno 2015 – Fonte: Elaborazioni proprie su dati Istat. Registro delle istituzioni nonprofit – Censimento permanente delle istituzioni nonprofit 2015

Se si considera il periodo di costituzione (Tabella 7), si nota come al passare del tempo cresca l’incidenza relativa delle nonprofit societarie. Fino al 1990, la forma d’impresa era adottata solo dal 4,0% delle istituzioni, percentuale che sale al 5,2% e al 6,3% rispettivamente negli anni ‘90 e nel decennio 2001-2010. Tale trend di crescita si rafforza nel quinquennio 2011-2015 con una quota di nonprofit societarie pari all’8,5%.

Tabella 7. Istituzioni nonprofit societarie e non societarie per periodo di costituzione. Anno 2015 – Fonte: Elaborazioni proprie su dati Istat. Registro delle Istituzioni Non Profit – Censimento permanente delle Istituzioni Non Profit 2015

In conclusione, le istituzioni nonprofit in forma societaria sono una realtà in crescita pur rappresentando una parte relativamente minoritaria del settore nonprofit. Si caratterizzano per fatturato e l’impiego di un cospicuo numero di dipendenti impiegato e sono più diffuse nel Mezzogiorno e nel settore dello sviluppo e della coesione sociale.

La specificità imprenditoriale del nonprofit in forma societaria

Dopo avere analizzato il profilo delle istituzioni nonprofit societarie rispetto a quelle non societarie è interessante estendere il confronto alle imprese for profit. In Italia, sono attive 5 istituzioni nonprofit in forma societaria ogni 1.000 mille imprese, istituzioni che occupano 37 dipendenti ogni 1.000 dell’intero settore privato (Tabella 8). Tali rapporti tuttavia non si mantengono costanti dal punto di vista geografico. Nelle isole si riscontrano 8 istituzioni ogni 1.000 imprese mentre al Sud tale rapporto scende a 6 istituzioni ogni 1.000 imprese; è comunque nelle regioni del Nord che si osserva il numero più basso di istituzioni ogni 1.000 imprese (4). Il confronto in termini di dipendenti tende solo in parte a confermare il quadro precedente poiché se nelle Isole si rileva la quota più elevata di dipendenti del nonprofit societario (61 ogni 1.000), passando dalle regioni del Nord a quelle del Sud le differenze non sono così marcate. In sostanza, le imprese nonprofit sono più diffuse in termini relativi nelle aree del Paese storicamente più deboli dal punto di vista economico, tuttavia, l’impatto in termini occupazionali è piuttosto significativo solo nelle Isole.

Tabella 8. Istituzioni nonprofit in forma societaria e dipendenti per ripartizione geografica. Anno 2015 – Fonte: Elaborazioni proprie su dati Istat. Registro delle Istituzioni Non Profit – Censimento permanente delle Istituzioni Non Profit 2015

Rispetto al resto delle imprese, le istituzioni nonprofit societarie sono di recente costituzione e presentano un trend crescente qualora si proceda dagli anni più lontani nel tempo sino a quelli più recenti (Tabella 9). Difatti, se la quota di nonprofit societarie ogni mille imprese nate prima degli anni ‘90 è pari a 3, considerando il quinquennio 2011-2015 il rapporto sale a 7. Inoltre, è interessante rilevare se rispetto alle due principali variabili dimensionali di un’impresa, e cioè il numero di dipendenti impiegati e il fatturato, ci siano differenze rilevanti.

Tabella 9. Istituzioni nonprofit in forma societaria per periodo di costituzione, classi di dipendenti e classi di fatturato. Anno 2015 – Fonte: Elaborazioni proprie su dati Istat. Registro delle Istituzioni Non Profit – Censimento permanente delle Istituzioni Non Profit 2015

Nel complesso, le imprese nonprofit sono labour intensive se confrontate al settore for profit in quanto l’incidenza delle prime aumenta in modo esponenziale rispetto alle imprese for profit al crescere della classe dimensionale dei dipendenti. Nel dettaglio, nella classe ‘da 1 a 3’ dipendenti si individuano 5 nonprofit ogni 1.000 imprese, quota che sale a 14 nella successiva (da 4 a 10) sino a 32 e 67 rispettivamente nelle classi ‘da 11 a 50’ e oltre 50 dipendenti. Questo andamento non si riscontra invece qualora si consideri la distribuzione delle istituzioni rispetto alla classe di fatturato che sembra avere un andamento ad U: le società nonprofit sono più presenti tra le imprese con un fatturato inferiore ai 5mila euro per poi risalire nelle classi da 200mila a 500mila euro ed oltre 500mila euro. In altri termini, quindi, il volume d’affari delle istituzioni nonprofit societarie sembrerebbe essere in genere minore di quello delle imprese mainstream, sebbene ve ne siano anche di grandi in grado di attestarsi sui livelli di performance economica delle società for profit.

Un ulteriore terreno di confronto tra imprese nonprofit e imprese for profit è sicuramente il settore di attività economica[1] (Ateco 2007), che consente di cogliere come questi due distinti ambiti istituzionali contribuiscano differentemente alla divisione sociale del benessere. I risultati sono sintetizzati nella Tabella 10 in cui si osserva un’alta percentuale di istituzioni nonprofit in forma societaria attive nel settore dell’assistenza sociale residenziale (50,6%) e non residenziale (46,8%) rispetto a quelle che si rilevano tra le imprese for profit.

Tabella 10. Istituzioni nonprofit in forma societaria e dipendenti per settore di attività economica (Ateco 2007). Anno 2015 – Fonte: Elaborazioni proprie su dati Istat. Registro delle Istituzioni Non Profit – Censimento permanente delle Istituzioni Non Profit 2015

Nei settori della attività sportive di intrattenimento e di divertimento e dell’istruzione si registrano percentuali inferiori a quelle delle imprese for profit ma comunque significative (rispettivamente pari al 14,4% e al 6,2%). Infine, rispetto al totale, non è marginale la quota di istituzioni nonprofit in forma societaria attive negli ambiti dell’attività di servizi per edifici e paesaggio (2,9%) e delle attività di supporto per le funzioni d’ufficio ed altri servizi di supporto alle imprese (0,9%).

La distribuzione dei dipendenti secondo il settore di attività consente di cogliere meglio il peso del nonprofit societario che, se in termini di unità, rappresenta lo 0,5% delle imprese la quota sale al 3,7% considerando i dipendenti. Difatti, le imprese nonprofit impiegano il 93,5% e l’81,7% dei dipendenti attivi, rispettivamente, nei settori dell’assistenza sociale non residenziale e residenziale. Inoltre, un dipendente su quattro attivo nel settore dell’istruzione è occupato in un’impresa nonprofit mentre nell’ambito delle attività sportive di intrattenimento e di divertimento la proporzione è di uno a cinque. Pur presentando percentuali piuttosto basse quando sono rapportate alle imprese for profit, le istituzioni nonprofit in forma societaria impiegano quote di dipendenti non inferiori al 5% nei settori della sanità, degli altri servizi alla persona, dell’attività di servizi per edifici e paesaggio, delle attività di supporto per le funzioni d’ufficio.

Conclusioni

I dati illustrati nei paragrafi precedenti consentono di mettere in evidenza sia le differenze all’interno delle istituzioni nonprofit societarie sia come queste si caratterizzino rispetto al resto del settore nonprofit e alle imprese for profit. Tra le istituzioni nonprofit societarie vi è una forte eterogeneità dimensionale legata al settore di attività: se le istituzioni attive in campo sanitario e socioassistenziale tendono ad essere più grandi e con volumi d’affari consistenti, quelle attive in altri settori, ed in particolare nell’ambito ricreativo-sportivo, conseguono risultati economici ed occupazionali molto più ridotti.

Dal confronto con le istituzioni nonprofit non societarie e con le imprese mainstream emergono piuttosto chiaramente le specificità del settore nonprofit societario come: la diffusione piuttosto recente; la concentrazione nelle regioni del Mezzogiorno senza che a questa consegua un impatto occupazionale significativo; un assetto organizzativo labour intensive. Forse l’elemento più interessante che si evince dal confronto è la specificità funzionale del nonprofit societario e cioè quella di erogare prevalentemente servizi, ed in particolare servizi alla persona includendovi anche quelli di cura, sebbene, non vada sottovalutata la presenza in ambiti affatto tradizionali, tra cui la fornitura di servizi a supporto delle imprese.

Il confronto con il mondo delle imprese mainstream in termini della performance economica sembrerebbe improbo, ma non per quelle istituzioni nonprofit in forma societaria che anche attraverso processi di fusione ed acquisizione sono divenute grandi imprese, con più di 50 milioni di fatturato e con oltre 250 occupati.

Un’ultima riflessione scaturisce dalla specificità che presenta il nonprofit in forma d’impresa rispetto al resto del settore e i possibili impatti della riforma del terzo settore. I dati sembrerebbero indicare una divaricazione delle forme organizzative, tra istituzioni professionalizzate con un orientamento market e realtà associative che si fondano sull’azione volontaria, con differenze che non riguarderebbero solo la struttura organizzativa ma lo stesso ruolo societario, prevalentemente di produzione ed erogazione di servizi nel caso delle prime, più connotato in senso solidaristico e da una dimensione identitaria nelle seconde (Ascoli, Pavolini, 2017). La legge di riordino rischia di accresce ulteriormente questa divaricazione definendo un quadro normativo unico ma fra mondi che si parlano sempre meno.

Bibliografia

Ascoli U., Pavolini E. (a cura di) (2017), Volontari oggi. Il volontariato italiano tra impegno politico e crisi del modello sociale, Il Mulino, Bologna.

Barbetta G.P., Ecchia G., Zamaro N. (a cura di) (2016), Le istituzioni nonprofit in Italia. Dieci anni dopo, Il Mulino, Bologna.

Borzaga C., Fazzi L. (2008), Governo e organizzazione per l’impresa sociale, Carocci, Roma.

Defourny J., Nyssens M. (2012), “The EMES approach of social enterprise in a comparative perspective”, EMES Working Papers Series, No. 12/03, EMES Network.

European Commission (2016), Social enterprises and their eco-systems: developments in Europe, Directorate-General for Employment, Social Affairs and Inclusion, Brussels.

Note

  1. ^ Per ragioni di sintesi, l’analisi si è concentrata sulle categorie di attività economiche in cui è più marcata la presenza di istituzioni nonprofit.
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