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ISSN 2282-1694
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Saggi

La scalabilità dei progetti di innovazione sociale

Fabrizio Montanari, Damiano Razzoli, Matteo Rinaldini

Imprese di comunità e riconoscimento giuridico

Jacopo Sforzi, Carlo Borzaga

Saggi brevi

Struttura e performance delle cooperative italiane

Manlio Calzaroni, Chiara Carini, Massimo Lori

I big players del settore socio-assistenziale

Andrea Bernardoni, Antonio Picciotti

Le startup salveranno il mondo?

Gianluca Salvatori

Recensioni

Il terzo pilastro

Carlo Borzaga

Numero 13 / 2019

Saggi brevi

Struttura e performance delle cooperative italiane

Manlio Calzaroni, Chiara Carini, Massimo Lori

Abstract

Nell’ultimo decennio si sono susseguiti diversi tentativi di misurare le dimensioni del sistema delle imprese cooperative italiane attraverso l’utilizzo di diverse fonti di dati. I risultati ottenuti, anche se non sempre coincidenti, hanno fatto crescere l’interesse ad una valutazione specifica del ruolo e della rilevanza economica e occupazionale della cooperazione in Italia. Interesse rafforzato anche dalla recente crisi economica, il cui perdurare ha evidenziato come, per individuare strategie in grado di rimettere l’Italia su un sentiero di crescita, sia necessario valutare attentamente il contributo che può venire non solo da ogni settore e da ogni istituzione pubblica e privata, ma anche dalle diverse forme di impresa. Questo lavoro di rappresentazione statistica del settore cooperativo è ora facilitato dal rilascio periodico di dati ufficiali da parte dell’Istat, attraverso l’uso congiunto del sistema dei registri statistici di Asia, dell’archivio di microdati economici, rende oggi possibile monitorare le cooperative garantendo annualmente la disponibilità di dati sulla localizzazione delle imprese, sulla loro attività economica e sulla sua occupazione. Il rapporto Istat-Euricse sulle dimensioni del settore cooperativo, di cui in questo estratto si presentano i risultati principali, nasce con un duplice obiettivo: da un lato, delimitare i confini della cooperazione, e quindi il suo peso nel complesso dell’economia nazionale e, dall’altro, individuare i settori in cui le cooperative hanno una rilevanza maggiore e risultano più dinamiche, mettendone in luce le peculiarità e i vantaggi competitivi, soprattutto in ottica comparata con le altre imprese.

DOI: 10.7425/IS.2019.13.04

Introduzione

Nell’ultimo decennio si sono susseguiti diversi tentativi di misurare le dimensioni del sistema delle imprese cooperative italiane attraverso l’utilizzo di diverse fonti di dati, sia interne alle associazioni di rappresentanza sia di natura amministrativa (Istat, 2008; Bentivogli, Viviano, 2012). I risultati ottenuti, anche se non sempre coincidenti, hanno fatto crescere l’interesse ad una valutazione specifica del ruolo e della rilevanza economica e occupazionale della cooperazione in Italia. Interesse rafforzato anche dalla recente crisi economica, il cui perdurare ha evidenziato come, per individuare strategie in grado di rimettere l’Italia su un sentiero di crescita, sia necessario valutare attentamente il contributo che può venire non solo da ogni settore e da ogni istituzione pubblica e privata, ma anche dalle diverse forme di impresa (Viganò, Sallustri, 2015). Si è fatta quindi strada l’opportunità di andare oltre la classificazione delle variabili economiche e occupazionali per settore istituzionale e delle imprese in ‘società non finanziarie’ e ‘società finanziarie’ e in particolare di tenere conto della pluralità delle forme d’impresa e della differente natura dei proprietari dell’impresa e dei loro interessi (Bouchard, Rousselière, 2015; <ILO, 2017a; ILO, 2017b; ILO, 2018).

Questo lavoro di rappresentazione statistica del settore cooperativo è ora facilitato dal rilascio periodico di dati ufficiali da parte dell’Istituto Nazionale di Statistica che, attraverso l’uso congiunto del sistema dei registri statistici di Asia (Imprese, Unità locali, Occupazione e Gruppi), dell’archivio di microdati economici (frame SBS), rende oggi possibile monitorare le cooperative garantendo annualmente la disponibilità di dati sulla localizzazione delle imprese, sulla loro attività economica e sulla sua occupazione. Per parte sua, Euricse (European Research Institute on Cooperative and Social Enterprises) ha posto, sin dalla sua costituzione, la mappatura delle cooperative italiane al centro della propria attività di ricerca attraverso la raccolta e la sistematizzazione di informazioni attendibili e periodicamente aggiornate sul settore (Borzaga, 2015; 2017).

Il rapporto Istat-Euricse sulle dimensioni del settore cooperativo[1], di cui in questo estratto si presentano i risultati principali, punta quindi a superare i limiti finora riscontrati unendo alla qualità delle informazioni prodotte da Istat (coerenti con le regole definite dal sistema Statistico Europeo) le competenze specifiche nell’ambito cooperativo di Euricse. Il rapporto nasce con un duplice obiettivo: da un lato, delimitare i confini della cooperazione, e quindi il suo peso nel complesso dell’economia nazionale e, dall’altro, individuare i settori in cui le cooperative hanno una rilevanza maggiore e risultano più dinamiche, mettendone in luce le peculiarità e i vantaggi competitivi, soprattutto in ottica comparata con le altre imprese. Per quanto riguarda il primo obiettivo, il rapporto cerca di fare un passo in avanti nell’analisi delle dimensioni del settore includendo in modo ufficiale anche i gruppi cooperativi, ossia tenendo conto anche delle società di capitali controllate da cooperative. Rispetto al secondo obiettivo, si approfondisce la distribuzione e la rilevanza delle cooperative per area geografica e settore economico, ponendo attenzione anche alla diffusione (e al peso) delle differenti tipologie cooperative (agricole, consumo, ecc.).

Lungo questa linea di ricerca, alla definizione della consistenza delle cooperative italiane, si affianca un’analisi del loro comportamento durante la crisi e delle caratteristiche del lavoro nelle cooperative. Il primo approfondimento è utile soprattutto per verificare empiricamente se, rispetto alle altre imprese, la diversa natura delle imprese cooperative abbia determinato anche differenti livelli di stabilità e tenuta a vantaggio dell’intero sistema economico italiano. Il secondo approfondimento intende invece indagare i tratti del lavoro nelle cooperative, con riguardo sia al profilo del lavoratore che al tipo di contratto offerto.

Il quadro della cooperazione in Italia

Le cooperative

Nel 2015, le 59.027 cooperative risultate attive[2] – pari all’1,3% delle imprese attive sul territorio nazionale –– hanno occupato, in termini di posizioni lavorative in media annua[3], poco più di 1,1 milioni addetti (dipendenti e indipendenti), 33 mila lavoratori esterni[4] e 10 mila lavoratori in somministrazione (Tabella 1), pari al 7,1% dell’occupazione totale delle imprese. Queste cooperative, al netto delle cooperative del settore finanziario e assicurativo[5], hanno generato un Valore Aggiunto (VA) di 28,6 miliardi di euro, pari al 4% del VA delle imprese (sempre escludendo le imprese del credito e assicurazioni).

Tabella 1. Cooperative, valore aggiunto, addetti, lavoratori esterni e in somministrazione. Anno 2015 – Fonte: Elaborazioni su dati Istat.

Tra le cooperative attive spiccano le cooperative di lavoro[6] (29.414 cooperative; il 49,8% del totale), sociali (14.263; il 24,2%), d’utenza o di consumo (3.844, il 6,5%) e quella di produttori del settore primario (1.791; pari al 3% del totale). La cooperazione di lavoro e quella sociale, oltre a registrare il maggior numero di imprese, sono anche le due tipologie cooperative che hanno generato il maggior valore aggiunto (Tabella 2): 12,9 e 8,1 miliardi di euro pari, complessivamente, al 73,4% del valore aggiunto dell’intera cooperazione nel 2015. Tra le rimanenti tipologie cooperative, non si può trascurare l’apporto della cooperazione di produttori del settore primario che, con i 2,6 miliardi di euro di valore aggiunto registrati nel 2015, contribuisce con il 9,2% al valore aggiunto complessivo.

Tabella 2. Cooperative, valore aggiunto (in euro), addetti, esterni e lavoratori in somministrazione per tipologia cooperativa. Anno 2015 – Fonte: Elaborazioni su dati Istat, MISE – Albo delle cooperative.

I gruppi cooperativi[7]

L’aggregazione tra cooperative è una pratica assai diffusa in Italia, e non solo, ed è generalmente finalizzata allo svolgimento di attività che, o individualmente o nella forma giuridica della cooperativa, la singola cooperativa non riuscirebbe a intraprendere del tutto o in modo efficiente. Essa trova dunque la sua maggiore utilità nel favorire la crescita dimensionale delle cooperative di primo grado attraverso lo sfruttamento di specifiche economie di scala. Per realizzare i processi di aggregazione le cooperative dispongono sostanzialmente di due forme: possono costituirsi in consorzio oppure possono dar vita e controllare imprese di capitale. Le ragioni economiche che possono portare una cooperativa o più cooperative ad optare per la costituzione e il controllo di una o più società di capitali, invece che di una società consortile, sono molteplici. Innanzitutto, tale pratica si ritrova abitualmente in settori capital-intensive dove, le difficoltà della forma cooperativa nella raccolta di capitale, dovute ai limiti imposti dalla legge alla sua remunerazione, possono essere ovviati proprio attraverso l’impiego di una forma più adatta e funzionale al recupero delle risorse finanziarie. La costituzione di un’entità imprenditoriale separata ma controllata può rispondere inoltre al principio della divisione efficiente del lavoro perché consente di organizzare e condurre attraverso un’impresa controllata un’attività complementare a quella principale e per la quale la cooperativa controllante non dispone al proprio interno delle competenze necessarie. In questo modo, si fa leva sulla specializzazione produttiva per incrementare l’efficienza dell’intero gruppo.

Un’ulteriore ragione per optare per la costituzione di un’impresa controllata è rappresentata infine dalla necessità, qualora la cooperativa intenda adottare una politica di internazionalizzazione dell’attività, di aprire un’unità secondaria all’estero (p.e. attività di marketing/commercializzazione). In questo caso, non esisterebbe infatti alcuna soluzione, se non quella di formare una società (di capitali) controllata dalla cooperativa (non essendo percorribile l’alternativa cooperativa).

Nel 2015, in Italia operavano 812 gruppi d’impresa con al vertice una cooperativa controllante[8] e comprendevano, oltre alle cooperative controllanti, anche 1.971 società di capitali e 47 cooperative (Tabella 3).

Se l’ampiezza media (in termini di unità) dei gruppi controllati da una cooperativa (2,3) risulta leggermente superiore a quella dei gruppi controllati da altre forme d’impresa (1,8), differenze maggiori si rilevano per quanto riguarda i dipendenti (in media 96,6 per i primi vs. 20,7 per i secondi) e il valore aggiunto (in media 3,5milioni di euro per i primi e 1,7 milioni per i secondi).

Tabella 3. Gruppi d’impresa per forma giuridica della controllante. Anno 2015 – Fonte: Elaborazioni su dati Istat.

Per quanto riguarda la distribuzione territoriale, la quasi totalità delle cooperative isolate opera in una sola regione (99,6%), tra i gruppi d’impresa a guida cooperativa tale quota scende all’84,7% mentre è leggermente superiore tra i gruppi controllati da un’impresa (Tabella 4).

La complessità della struttura di un gruppo di imprese, anche per il settore cooperativo, è testimoniata dal fatto che solo il 35,9% dei gruppi d’impresa con al vertice una cooperativa tende ad essere uni-settoriale, dove cioè tutte le unità economiche del gruppo risultano attive in un solo settore della classificazione Ateco (a livello di lettera), quota che è superiore di oltre 4 punti percentuali a quella che si osserva negli altri gruppi.

Tabella 4. Settorialità e regionalizzazione dei gruppi d’impresa e delle cooperative isolate. Anno 2015 – Fonte: Elaborazioni su dati Istat.

Poco meno della metà dei gruppi (47,9%) è controllato da cooperative di lavoratori che rappresentano la tipologia che più si avvale dello strumento del controllo con 1.124 imprese, pari ad oltre il 55,7% delle imprese controllate dall’intero settore cooperativo (Tabella 5). A seguire si trovano le cooperative “altre” con 398 controllate.

Tabella 5. Gruppi controllati da cooperative - Numero di imprese controllanti e controllate per settore cooperativo e Ateco. Anno 2015 – Fonte: Elaborazioni su dati Istat, Ministero dello Sviluppo Economico - Albo Cooperative.

I confini allargati della cooperazione

Includendo quindi le imprese controllate, le dimensioni economiche ed occupazionali della cooperazione crescono significativamente. Si tocca infatti quota 31,3 miliardi di euro di valore aggiunto, 1,2 milioni di addetti e poco meno di 50 mila lavoratori esterni o somministrati (Tabella 6). Si tratta di aumenti, rispetto ai dati delle sole cooperative presentati nei paragrafi precedenti, del 9,3% in termini di valore aggiunto, del 6% circa rispetto ad addetti ed esterni, e di oltre il 24% in considerazione dei lavoratori somministrati.
La cooperazione, nei suoi confini allargati, arriva a rappresentare quindi il 4,0% del valore aggiunto e il 7,0% degli addetti del totale imprese attive nel 2015.

Tabella 6. Cooperative e controllate, valore aggiunto (in euro), addetti, esterni e somministrati. Anno 2015 – Fonte: Elaborazioni su dati Istat.

Caratteristiche del lavoro nelle cooperative

Guardando le diverse tipologie di cooperative (Tabella 7), la composizione della forza lavoro risulta piuttosto omogenea, con percentuali di lavoro dipendente che superano l’85% per tutte le tipologie analizzate.

In riferimento alla dimensione della cooperativa espressa in classi di lavoratori, si osserva che la quota di dipendenti si attesta al di sotto dell’80% per le cooperative che hanno fino ad un solo lavoratore, e sale al 95% tra quelle con oltre 10 lavoratori. L’impiego di lavoratori in somministrazione interessa principalmente le cooperative più grandi (1,0%).

Tabella 7. Dipendenti, Indipendenti, Esterni, lavoratori in somministrazione delle cooperative per tipologia cooperativa, classe di lavoratori e di fatturato. Valori percentuali. Anno 2015 – Fonte: Elaborazioni su dati Istat, MISE – Albo delle Cooperative | *I lavoratori includono: dipendenti, indipendenti, esterni, lavoratori in somministrazione

Volendo delineare un profilo dei lavoratori dipendenti delle cooperative (Tabella 8), si osserva come essi siano concentrati soprattutto nella classe 30-49 anni (58,5%), mentre il 13,1% ha un’età compresa tra i 15 e i 29 anni e più di un quarto è over 50. Si osserva inoltre che i dipendenti sono in maggioranza di genere femminile (52,2%). Circa il 66% dei dipendenti possiede un diploma di scuola secondaria (di I o II grado) ed oltre il 15% è laureato contro un 5% che ha acquisito al massimo la licenza primaria.

Poco meno dell’85% dei dipendenti è a tempo indeterminato e rispetto al regime orario si constata la quota alquanto elevata di lavoratori part-time (44,8%).

Guardando infine alla posizione nella professione, il 64,8% è operaio e il 30,8% impiegato. Residuale è il peso di quadri (3%), apprendisti e dirigenti (al di sotto dell'1%).

Tabella 8. Dipendenti per genere, classe d’età, tipologia contrattuale, carattere dell’occupazione, regime orario e titolo di studio. Cooperative vs. altre imprese. Anno 2015 – Fonte: Elaborazioni su dati Istat.

Le specializzazioni settoriali

Nel 2015 poco meno di sei cooperative su dieci operavano in cinque settori d’attività: le costruzioni (8.794 cooperative; 14,9% del totale), i servizi di supporto alle imprese (8.587; 14,5%) la sanità e assistenza sociale (8.280; 14,0%), il trasporto e magazzinaggio (7.628; 12,9%) e le attività manifatturiere (4.953; 8,4%)[9].

I dati del valore aggiunto (Tabella 9) confermano il peso di quattro di questi cinque settori. Poco meno del 70% del valore aggiunto cooperativo totale è generato da cooperative attive nella sanità e dell’assistenza sociale (6,27 miliardi di euro; 21,9%), trasporto e magazzinaggio (5,87 miliardi; 20,5%), servizi di supporto alle imprese (4,57 miliardi; 16%) attività manifatturiere (3,23 miliardi; 11,3%). A questi settori si aggiunge il contributo delle cooperative attive nel commercio (3,85 miliardi, 13,5%), che comprende non solo cooperative attive nella vendita al dettaglio o ingrosso di beni alimentari ma anche cooperative presenti in altre attività commerciali come ad esempio l’approvvigionamento di farmaci o la commercializzazione di prodotti agricoli. Il settore delle costruzioni che, come sottolineato precedentemente, comprende oltre 8 mila cooperative, ha generato un valore aggiunto di poco inferiore a 1,1 miliardo di euro con un valore medio per azienda pari a 123 mila euro[10].

Infine, si rileva che il 62% degli addetti operava in cooperative attive in tre settori d’attività: il 24,6% nella sanità e assistenza sociale, il 19,4% nei servizi alle imprese e il 17,9% nei trasporto.

Tabella 9. Cooperative per Attività economica (Ateco). Anno 2015 – Fonte: Elaborazioni su dati Istat.

Guardando al peso che, nei singoli settori economici, le cooperative hanno sul totale delle imprese (Tabella 10), il settore della sanità ed assistenza sociale è quello in cui le cooperative hanno contribuito maggiormente al raggiungimento del valore aggiunto e dell’occupazione complessivi del settore, sebbene l’incidenza in termini di imprese risulti inferiore ad altri settori. Le cooperative, pari al 2,9% delle imprese attive in questo settore, hanno infatti generato il 21,6% del valore aggiunto dello stesso e impiegato il 34,4% degli occupati complessivi. Questo settore non è tuttavia l’unico in cui le cooperative hanno contribuito in modo rilevante alla creazione di valore aggiunto e occupazione. Anche il settore dell’istruzione, altro tipico settore della cooperazione sociale di tipo A, quello dei servizi di supporto alle imprese e quello dei trasporti presentano quote rilevanti di occupazione (tra il 19% e il 22% circa) e di valore aggiunto (tra il 10% e il 19%).

Tabella 10. Settori economici per incidenza del numero di cooperative attive, del valore aggiunto e degli addetti delle cooperative sui totali delle imprese attive. Anno 2015 – Fonte: Elaborazioni su dati Istat.

Le cooperative negli anni della crisi

Dal 2008 il ciclo economico italiano ha manifestato una flessione significativa con il deciso rallentamento del PIL (Istat, Rapporto annuale 2012) e la brusca frenata dell’economia in conseguenza della diminuzione della domanda di beni dall’estero, avvertita maggiormente nel settore manifatturiero. Nel complesso, la crisi ha comportato il calo dell’occupazione, la diminuzione del potere d’acquisto delle famiglie e una generale stagnazione dei consumi in termini reali.

Alcune analisi hanno già evidenziato come la reazione delle cooperative alla crisi economica sia stata diversa rispetto a quella delle altre imprese: le cooperative hanno mantenuto inalterati, se non addirittura aumentato, i livelli produttivi e occupazionali al fine di garantire il soddisfacimento dei bisogni dei propri soci, ciò anche a scapito del risultato d’esercizio dell’organizzazione (Borzaga, 2017).

Questi risultati trovano conferma anche dall’analisi dei dati ASIA dal 2007, l’anno antecedente la crisi, del 2011, anno intermedio in cui alla crisi del mercato finanziario si è aggiunto l’impatto della crisi dei debiti sovrani, e il 2015, ultimo anno per cui sono disponibili i dati. In questi anni si osserva infatti un trend crescente: le cooperative nel 2007 erano 50.691, nel 2011 sono diventate 56.946 (+12,3% rispetto al 2007), fino a toccare quota 59.027 nel 2015 (+3,7% rispetto al 2011, +16,4% rispetto al 2007). Questa crescita oltre ad essere anticiclica è ancora più significativa se si tiene conto che, nello stesso periodo, il numero di imprese in Italia ha avuto un andamento negativo (-2,4%).

Il dato risulta ancora più interessante alla luce dell’incremento registrato per i dipendenti[11] (+17,7%), superiore anche all’aumento delle cooperative, contro una flessione dell’occupazione registrato nelle altre imprese (-6,3%).

Una particolare lettura dell’evoluzione del sistema economico è data dall’analisi dello stato di attività delle cooperative negli anni 2007 e 2015 (Tabella 11). Dividendo l’universo in tre sottoinsiemi (attive nel 2007 e non attive nel 2015, attive nel 2015 ma non attive nel 2007, attive in entrambi gli anni), si evidenzia sia il saldo positivo tra i dipendenti impiegati dalle cooperative attive solo nel 2015 e quelli occupati dalle cooperative attive solo nel 2007 (+45.249 dipendenti), sia la crescita occupazionale tra le unità attive in entrambi gli anni dove la forza lavoro aumenta nel periodo considerato di 124.071 dipendenti. Al contrario, nelle altre imprese i saldi precedenti sono entrambi negativi.

Tabella 11. Cooperative, imprese e dipendenti secondo lo stato di attività. Anni 2007 e 2015 – Fonte: Elaborazioni su dati Istat.

Proseguendo nell’analisi è interessante soffermarsi sulle 24mila cooperative attive sia nel 2007 sia nel 2015 distinte secondo dimensione per classe di dipendenti. Dalla Tabella 12[12] si osserva che il maggiore contributo alla crescita occupazionale è dato dalle cooperative di minori dimensioni, al di sotto dei 50 dipendenti, con un aumento di 68.951 unità (+43,2%), mentre tra le cooperative con almeno 50 dipendenti l’incremento è di 55.120 dipendenti (11,2%).

Tabella 12. Dipendenti delle cooperative e delle altre imprese attive nel 2007 e nel 2015 per classe di dipendenti – Fonte: Elaborazioni su dati Istat.

Guardando agli andamenti nelle diverse attività economiche, sempre tra il 2007 ed il 2015, si riscontra poi che il numero delle cooperative è aumentato soprattutto nei servizi di alloggio e ristorazione (+51,6%), nell’istruzione (+51,3%), nella sanità e assistenza sociale (+40,9%) e nelle attività finanziarie e assicurative (+39,0%). In questi settori si è registrata anche una crescita del numero dei dipendenti pari o superiore al 25%. Per contro, i settori in cui la cooperazione è cresciuta meno, con incrementi intorno al 10%, sono: noleggio agenzia di viaggio e servizi di supporto alle imprese (10,2%), costruzioni (9,1%), servizi di informazione e comunicazione (5,9%). Infine, sono risultate in contrazione le attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento (-16,3%) e le attività professionali (-22,7%). In questi ambiti si osserva anche una contrazione significativa dei dipendenti.

Per comprendere se i diversi andamenti registrati nel periodo 2007-2015 siano circoscrivibili alla sola cooperazione o imputabili al quadro macroeconomico, si sono confrontate le variazioni sia in termini di unità che di dipendenti delle cooperative con quelle delle altre imprese. Nel complesso, le variazioni settoriali (positive o negative) riscontrate per le cooperative si ritrovato anche per le altre imprese con la contrazione almeno in termini di dipendenti dei settori del manifatturiero, delle costruzioni e, al contrario, l’espansione dei settori dei servizi di welfare come sanità ed assistenza sociale, dell’istruzione, delle attività finanziarie e assicurative, dell’alloggio e ristorazione. La cooperazione sembrerebbe essere più resiliente rispetto alle altre imprese nei settori del trasporto e magazzinaggio e del noleggio, settore che meriterebbe tuttavia un approfondimento per meglio comprendere le ragioni di tale resilienza soprattutto alla luce del recente dibattito sulla diffusione all’interno del settore delle cosiddette “false cooperative”, e nel settore delle agenzie di viaggio e servizi di supporto alle imprese. Al contrario, le cooperative sono risultate meno resilienti nei settori delle attività professionali e delle attività artistiche, sportive e di intrattenimento.

Innovazione e digitalizzazione

Innovazione e digitalizzazione rappresentano aspetti rilevanti per la competitività delle unità economiche soprattutto in un contesto globale. Tuttavia, nella particolare struttura dimensionale del sistema produttivo italiano, le innovazioni e le tecnologie digitali, per essere pervasive, devono essere accessibili a unità economiche relativamente poco complesse dal punto di vista organizzativo, di piccole dimensioni e con disponibilità limitate di risorse economiche e manageriali.

Anche per le cooperative si tratta di fattori di grande rilevanza, soprattutto ai fini della valorizzazione del lavoro, oltre che per l’efficacia dell’attività, la cui analisi integrata può consentire di individuare con maggiore precisione i punti di forza e di debolezza del nostro sistema cooperativo e i fattori che influenzano il loro posizionamento nel sistema produttivo[13].

La distribuzione delle cooperative in base all’indicatore di digitalizzazione[14] evidenzia come parte delle unità esprime un limitato livello di digitalizzazione: la quota di unità per le quali si rileva l’assenza dei segnali previsti dalla misura adottata per misurare l’uso delle ICT è, per le cooperative, più che tripla rispetto a quanto registrato per le altre imprese; si tratta di oltre un terzo delle unità cooperative contro un decimo per le imprese. Inoltre, la distribuzione delle cooperative per grado di digitalizzazione è regolarmente decrescente all’aumentare della complessità delle attività ICT.

La distribuzione delle unità economiche rispetto all’indicatore sintetico “Innovazione”[15] mostra minori differenze tra imprese di mercato e cooperative rispetto a quanto emerso per l’utilizzo delle ICT. Le unità con scarsa propensione innovativa sono oltre la metà delle altre imprese e poco meno di due terzi delle cooperative. La quota di innovatori moderati è pressoché simile (circa un quinto delle unità) mentre all’aumentare del valore dell’indicatore sintetico le quote di imprese che ricadono in questi segmenti sono più elevate di quelle rilevabili per le cooperative.

Approfondendo, mediante l’utilizzo di tecniche di random forest, l’impatto delle diverse caratteristiche delle imprese sulla loro propensione all’uso delle ICT e all’introduzione di innovazioni è possibile individuare i fattori di maggiore rilevanza nella determinazione di livelli più o meno elevati di digitalizzazione e innovazione, fornendo potenziali elementi di orientamento per una più rapida transizione verso più complessi profili digitali e innovativi.

Per quanto riguarda la digitalizzazione, il ranking dei dieci fattori qui considerati vede, per le cooperative, al primo posto per impatto la dimensione economica dell’unità, misurata dal fatturato, seguita dal grado di istruzione dei dipendenti; seguono, a distanza, l’intensità di capitale, il grado di integrazione verticale, la tenure aziendale dei dipendenti. Dimensione economica e capitale umano emergono quindi come principali determinanti della digitalizzazione delle cooperative.

Passando ad analizzare le determinanti della propensione innovativa, anche in questo caso, per le cooperative, il fattore principale è rappresentato dalla dimensione economica, seguito dal grado di integrazione verticale e, con un valore sostanzialmente analogo, dalla dimensione occupazionale. Diversamente dalle stime relative alla digitalizzazione, nel caso dell’innovazione il ruolo del capitale umano e della tenure aziendale appaiono, per le cooperative, molto ridimensionati.

Figura 1. Importanza relativa delle variabili nel definire il profilo multivariato di trasformazione digitale e propensione innovativa, per cooperative e imprese (importanza delle variabili standardizzata rispetto alla variabile maggiormente rilevante in ciascuna serie). – Fonte: Elaborazioni su dati Istat

Conclusioni

Il lavoro congiunto Istat-Euricse ha consentito di quantificare la dimensione del settore cooperativo italiano in termini di numero di cooperative, valore aggiunto ed occupati sia attraverso analisi comparate con le altre imprese sia osservandone i cambiamenti nel corso della recente crisi economica.

Il lavoro ha consentito inoltre di approfondire le caratteristiche del lavoro nelle cooperative e fornire una prima quantificazione delle società di capitali controllate da cooperative dando conto anche dei gruppi cooperativi.

Ne emerge un settore che, includendo anche le imprese controllate, nel 2015 ha toccato quota 31,3 miliardi di euro di valore aggiunto, 1,2 milioni di addetti e poco meno di 50 mila lavoratori esterni o somministrati rappresentando quindi il 4,0 per cento del valore aggiunto e il 7,0 per cento degli addetti del totale imprese attive nel 2015.

Il primo rapporto sulle cooperative italiane, di cui questa nota vuole essere una sintesi, può essere considerato un passo ancora limitato ma essenziale verso la realizzazione di un rapporto sull’economia sociale, intesa come l’insieme delle istituzioni non profit, delle imprese sociali e delle imprese cooperative. In effetti, la convenzione di ricerca tra Istat ed Euricse da cui è nato il rapporto ha l’obiettivo di fornire un quadro statistico completo sulle organizzazioni dell’economia sociale. Sebbene la statistica ufficiale italiana rappresenti un unicum a livello internazionale nell’acquisizione e nella produzione di dati statistici sul settore non profit e sull’imprenditorialità sociale, la sua configurazione e la frammentazione delle informazioni diffuse non garantisce ancora la rappresentazione di un quadro completo e unitario dell’economia sociale. La convenzione, quindi, punta a superare i limiti attuali unendo la considerevole produzione statistica dell’Istat alle competenze scientifiche in materia di Euricse.

Bibliografia

Bentivogli C., Viviano E. (2012), “Changes in the Italian Economy: The Cooperatives”, Bank of Italy Occasional Papers.

Borzaga C. (a cura di) (2015), Economia cooperativa. Rilevanza, evoluzione e nuove frontiere della cooperazione italiana, Euricse, Trento.

Borzaga C. (a cura di) (2017), Dimensioni ed evoluzione dell’economia cooperativa italiana nel 2014, Aggiornamento del Terzo Rapporto Euricse, Euricse, Trento.

Bouchard M.J., Rousselière D. (2015), “Issues in Producing Statistics for the Social Economy. Lessons from an International Perspective”, The Weight of the Social Economy, PIE Peter Lang, Bruxelles, pp. 305-325.

ILO (2017a), Use of statistics on cooperatives in national policy making, Geneva.

ILO (2017b), Conceptual Framework for the Purpose of Measurement of Cooperatives and its Operationalization, Geneva.

ILO (2018), Guidelines concerning statistics of cooperatives, 20th International Conference of Labour Statisticians, 10-19 October 2018. Geneva.

Istat (2008), Le cooperative sociali in Italia, Roma.

Istat (2018), Rapporto sulla competitività dei settori produttivi, Roma.

Viganò F., Salustri A. (2015), “Matching profit and non-profit needs: how NPOs and Cooperatives contribute to growth in time of crisis. A quantitative approach”, Annals of Public and Cooperative Economics, 86(1), pp. 157-178.

Note

  1. ^ Il rapporto si inserisce nella convenzione di ricerca “Dimensioni, evoluzione e caratteristiche dell’economia sociale” stipulata tra Istat ed Euricse con l’obiettivo di fornire un quadro statistico omogeneo sulle organizzazioni dell’economia sociale.
  2. ^ La base statistica da cui sono stati elaborati i dati sulle cooperative è il registro statistico delle imprese attive (Asia) costruito secondo il regolamento europeo (CE n. 177/2008) che disciplina lo sviluppo dei registri d’impresa tra gli Stati membri. Dal campo d’osservazione sono escluse le attività economiche relative a: Agricoltura, silvicoltura e pesca (sezione A della classificazione Nace Rev.2); amministrazione pubblica e difesa; assicurazione sociale obbligatoria (sezione O); attività di organizzazioni associative (divisione 94); attività di famiglie e convivenze come datori di lavoro per personale domestico; produzione di beni e servizi indifferenziati per uso proprio da parte di famiglie e convivenze (sezione T); organizzazioni ed organismi extraterritoriali (sezione U); le unità classificate come istituzioni pubbliche e istituzioni private non profit. Diversamente dalla diffusione annuale di Asia che riguarda le imprese attive per almeno sei mesi nel corso dell’anno, il presente lavoro considera anche le cooperative che hanno operato per meno di un semestre. Per informazioni complete sulle fonti dati si rimanda alla nota metodologica del rapporto.
  3. ^ Si ha una posizione in media annua pari ad “1” quando risultano lavorate tutte le settimane dell’anno.
  4. ^ Sono classificati come personale esterno le seguenti tipologie di lavoratori: i) gli amministratori non soci, ii) i collaboratori aventi contratto di collaborazione sotto forma di un contratto a progetto e iii) altri lavoratori esterni (i prestatori di lavoro occasionale di tipo accessorio (voucher), gli associati in partecipazione che risultano inscritti alla gestione separata Inps, i lavoratori autonomi dello sport e spettacolo per i quali l’impresa versa i contributi all’ex-ENPALS).
  5. ^ Il valore aggiunto è calcolato per tutti i settori di Asia imprese ad esclusione delle attività finanziarie ed assicurative escluse dalle statistiche strutturali sulle imprese secondo il regolamento europeo (CE n. 295/2008). Pertanto, non è disponibile il dato sul valore aggiunto prodotto dalle banche di credito cooperativo.
  6. ^ Le tipologie cooperative sono state definite mediante aggregazione delle tipologie cooperative previste dall’Albo delle Cooperative istituito preso il Ministero dello Sviluppo Economico. Per maggiori informazioni si veda la nota metodologica del rapporto.
  7. ^ Secondo Eurostat un gruppo d’imprese deve essere inteso: “an association of enterprises bound together by legal and/or financial links. A group of enterprises can have more than one decision-making centre, especially for policy on production, sales and profits. It may centralise certain aspects of financial management and taxation. It constitutes an economic entity which is empowered to make choices, particularly concerning the unit it comprises” (Regolamento Europeo n° 696/93).
  8. ^ I gruppi cooperativi individuati sono circoscritti a quelli in cui una singola cooperativa controlla direttamente, attraverso il possesso del 50% più uno dei diritti di voto, un’impresa attiva almeno sei mesi nel corso dell’anno e che non opera nei seguenti settori di attività economica: agricoltura, silvicoltura e pesca (sezione A della classificazione Nace Rev.2); amministrazione pubblica e difesa; assicurazione sociale obbligatoria (sezione O); attività di organizzazioni associative (divisione 94); attività di famiglie e convivenze come datori di lavoro per personale domestico; produzione di beni e servizi indifferenziati per uso proprio da parte di famiglie e convivenze (sezione T); organizzazioni ed organismi extraterritoriali (sezione U). Pertanto, oltre alla limitazione del campo d’osservazione rispetto al settore di attività delle imprese controllate, sono esclusi dalla presente analisi i gruppi con controllo congiunto da parte di più cooperative e quelli con a capo una o più banche di credito cooperativo.
  9. ^ Da sottolineare che in questo ultimo settore economico sono presenti molte cooperative di produttori del settore primario attive nell’industria alimentare e delle bevande.
  10. ^ Tale valore è da interpretare anche alla luce della doppia anima delle cooperative che sono conteggiate all’interno del settore. Se da una parte il settore comprende infatti cooperative di produzione e lavoro dedite alla costruzione di immobili su commessa o da destinare alla vendita a terzi, dall’altra si compone delle cooperative di abitazione che si costituiscono come cooperative di utenti al fine di garantire ai propri soci l’acquisto di una abitazione (o il possesso mediante locazione) a prezzi e condizioni più vantaggiosi di quelli di mercato. Le cooperative di abitazione si pongono come intermediari tra i propri soci e i costruttori nella fase di realizzazione delle unità abitative e, successivamente, come gestori degli immobili attribuiti ai propri associati. Data la loro particolare natura esse possono restare per anni inattive in attesa che si creino le condizioni per avviare la costruzione deli immobili.
  11. ^ È bene precisare che la stima dei dipendenti per il 2007 è sovrastimata rispetto a quella calcolata per il 2011 ed il 2015, in quanto la prima si basava sulla presenza mensile del lavoratore (almeno un giorno), mentre a partire dal 2011 si è considerata la presenza settimanale del lavoratore (almeno un giorno). Pertanto, la crescita occupazionale nel settore cooperativo tra il 2007 e il 2015 sarebbe ancora maggiore.
  12. ^ Le imprese in cui la posizione media annua dei dipendenti risultava minore di 0,5 sono state arrotondate a zero, pertanto, nella tabella 12 sono state conteggiate insieme a quelle con nessun dipendente.
  13. ^ Le analisi proposte in questo paragrafo riguardano un universo di circa 185mila unità economiche con 10 e più addetti attive nell’industria e nei servizi, di cui circa 175mila imprese e circa 10mila cooperative. Per maggiori informazioni si veda il Rapporto Istat sulla competitività dei settori produttivi 2018 (https://www.istat.it/it/archivio/212438) o il paragrafo 1.5 del rapporto completo.
  14. ^ Per quanto riguarda l’utilizzo delle ICT (dati 2017), è stato utilizzato un indicatore sintetico (“Digitalizzazione”), promosso da Eurostat, che definisce il livello di digitalizzazione delle singole unità economiche in base al numero di attività legate all’utilizzo delle tecnologie da esse svolto. In particolare, il livello di digitalizzazione è definito come “molto basso” se le imprese svolgono tra 0 e 3 attività, “basso” se ne svolgono tra 4 e 6, “alto” se le attività svolte sono tra 7 e 9, “molto alto” tra 10 e 12.
  15. ^ I profili innovativi delle unità derivanti dai dati CIS (2014-16) sono stati invece misurati attraverso un indicatore sintetico (“Innovazione”) costruito ad hoc per questo contributo, basato sulla presenza/interazione delle diverse tipologie di innovazione previste dall’indagine CIS (di processo, di prodotto, organizzative e di marketing). In dettaglio, è stata creata una variabile "Innovazione" sulla base di un’analisi fattoriale, attraverso la riduzione dimensionale delle quattro tipologie di innovazione precedentemente citate in una singola variabile – continua – combinazione lineare delle variabili di partenza. Il fattore così creato risulta fortemente correlato alle variabili di partenza e può essere utilizzato, analogamente all’indice di “Digitalizzazione”, per definire in modo sintetico la posizione delle singole unità economiche, in questo caso relativamente all’introduzione delle innovazioni.
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