Negli ultimi anni numerose iniziative d’innovazione sociale sono state sviluppate come risposta alle recenti trasformazioni socioeconomiche e con un’attenzione rilevante alle caratteristiche peculiari del territorio di riferimento. I decisori pubblici hanno supportato tali iniziative in quanto potenziali strumenti di policy con cui dare risposta alle istanze sociali. Nel fare ciò hanno declinato gli interventi in modo fortemente context-specific. Tuttavia, se da una parte il focus sulla dimensione contestuale può aumentare l’efficacia dei progetti di innovazione sociale, dall’altro ne può limitare le possibilità di scalabilità. L’articolo intende approfondire il tema di come agire per aumentare la continuità e replicabilità delle iniziative di innovazione sociale. Nel fare ciò, a partire dai risultati di una ricerca condotta sul progetto Siamo Qua – Quartiere Bene Comune del Comune di Reggio Emilia, verrà presentato un modello che propone gli elementi distintivi che un progetto di innovazione sociale dovrebbe avere per poter essere scalabile.
La presente ricerca è stata condotta grazie al supporto del Comune di Reggio Emilia. In particolare, si ringrazia Valeria Montanari (Assessora ad agenda digitale, partecipazione e cura dei quartieri), Nicoletta Levi (dirigente del servizio “Politiche per il Protagonismo Responsabile e la Città Intelligente”) e Francesco Berni (coordinare Architetti di Quartiere). Si ringrazia, inoltre, Stefano Rodighiero e Benedetta Morini per il supporto nell’organizzazione delle interviste e dei focus group.
DOI: 10.7425/IS.2019.13.02
Le recenti trasformazioni socio-economiche e gli effetti che ne sono conseguiti hanno fatto emergere la rilevanza di iniziative d’innovazione sociale, soprattutto quelle nate in modo informale e spontaneo come risposta a crescenti bisogni sociali quali la ricostruzione della coesione sociale di una comunità, il rinnovamento del senso di identità di un territorio o la maggiore democratizzazione della governance urbana (Arampatzi, 2016; Ghose, Pettygrove, 2014; Vitale, 2010). Al fine di aumentarne l’efficacia, i decisori pubblici hanno cercato di supportare tali iniziative (nella maggior parte dei casi di tipo grass-roots) in quanto potenziali strumenti di policy con cui dare risposta alle istanze sociali (Caulier-Grice et al., 2012; Sgaragli, Montanari, 2016). Nel fare ciò, gli interventi pubblici sono stati declinati in modo fortemente context-specific, cioè con una forte attenzione alle caratteristiche peculiari del territorio di riferimento (spesso anche di uno specifico quartiere). La dimensione territoriale, dunque, ha assunto una notevole importanza in quanto, oltre a essere il destinatario privilegiato delle azioni di innovazione sociale, rappresenta anche la variabile fondamentale in grado di influenzarne l’efficacia. Diversi studi, infatti, hanno mostrato come le iniziative di innovazione sociale siano fortemente context-specific, in quanto la loro efficacia dipende proprio dal fit con le caratteristiche del contesto in cui si queste si vanno a innestare (Klein et al., 2013; Trigiglia, 2007; Van Dyck, Van den Broeck, 2013; Vicari-Haddock, Moulaert, 2009).
Se tale attenzione sul contesto ha permesso di declinare le policy in funzione delle caratteristiche locali (soprattutto a livello micro, con riferimento cioè a quelle dei quartieri o di parti di essi), essa ha tuttavia limitato le possibilità di scalabilità di iniziative che si sono rivelate di successo. In altri termini, se è ormai assodato che i progetti di innovazione sociale debbano essere context-specific per essere efficaci, non è altrettanto condiviso il come si possa garantirne la loro continuità e replicabilità (sia nel territorio in cui sono nati sia in altri ambiti territoriali).
Questo tema assume una rilevanza strategica per definire lo spettro di azione e giustificare la misura dell’investimento di politiche pubbliche a sostegno di processi di innovazione sociale che vorrebbero generare benefici nel medio e lungo termine. Il presente articolo intende contribuire alla riflessione su questo tema attraverso la presentazione dei risultati di una ricerca effettuata sui progetti attivati nell’ambito del percorso di innovazione sociale Siamo Qua – Quartiere Bene Comune del Comune di Reggio Emilia. In dettaglio, la ricerca ha permesso di formulare un modello che individua gli elementi distintivi che un progetto di innovazione sociale dovrebbe avere per essere scalabile (replicabile nel tempo e nel territorio). L’articolo si struttura nel seguente modo: dopo un primo paragrafo in cui si fa il punto della riflessione teorica sull’argomento, si procede a descrivere il contesto e la metodologia della ricerca. Successivamente vengono presentati i risultati e le riflessioni che ne seguono in termini sia di implicazioni pratiche sia di futuri percorsi di ricerca.
L’innovazione sociale è un concetto che viene riferito a un ampio set di attività (individuali, organizzative e inter-organizzative) indirizzate al soddisfacimento di bisogni di carattere sociale e i cui benefici sono condivisi anche fuori dai confini dell’ambito in cui sono stati prodotti (Moulaert et al., 2013; Tracey, Scott, 2017). Seppure le numerose definizioni presenti in letteratura ne fanno emergere il valore polisemico (Montanari et al., 2017), esse hanno in comune la tendenza a enfatizzare aspetti quali la risposta a un bisogno sociale, la preminenza di obiettivi sociali su quelli di profitto, il focus sul valore collettivo generato, la realizzazione di un “cambiamento” e di una “trasformazione sociale” attraverso la creazione di relazioni sociali e collaborative sviluppatesi in un territorio (Moulaert et al., 2017; Van Dyck, Van den Broek, 2013). Questi elementi sono stati organizzati in un modello che raccoglie le componenti fondanti del concetto di innovazione sociale (Commissione Europea, 2018; Montanari et al., 2017): a) caratteristiche chiave; b) obiettivi; c) approccio; d) processo; e) governance; f) condizioni sistemiche (Figura 1).
Figura 1. Le componenti dell'innovazione sociale.
Tali componenti, oltre a mostrare la natura multidimensionale dell’innovazione sociale (Moulaert et al., 2005), mettono in evidenza la sua natura sociale e contestuale, visto che essa si attua sulla base delle condizioni sociali, politiche ed economiche del contesto di riferimento e attraverso un processo che necessita la co-partecipazione di diversi soggetti (Moulaert, Vicri-Haddock, 2009; Pol, Ville, 2009). Questa enfasi sul contesto, e sulla relativa importanza delle relazioni tra i diversi ambiti di una comunità, è coerente con i più recenti modelli di innovazione che propongono una visione fortemente sociale dei processi innovativi. Per esempio, il modello della open innovation (Chesbrough et al., 2006) pone l’accento sull’apertura dei confini organizzativi auspicando un forte impegno nella condivisione di informazioni e conoscenze in modo da attivare meccanismi di ibridazione che possano portare alla generazione di nuove idee, prodotti o servizi. In modo simile, il modello della quadrupla elica aggiunge agli attori tradizionalmente considerati importanti player dei processi innovativi (imprese, università, pubblica amministrazione) la società civile, auspicando la generazione di forti interconnessioni con gli attori appartenenti alle sfere più informali di una comunità (Etzkowitz, 2008; Leydesdorff, 2012).
La centralità della cosiddetta società civile emerge anche nei modelli di innovazione sociale, i quali vedono i singoli cittadini e le associazioni di cui essi fanno parte non solo come i destinatari ma anche come i principali player in grado di attivare processi che permettano la realizzazione di soluzioni ad hoc in grado di soddisfare le istanze sociali presenti in un territorio. In tal senso, diventa fondamentale riuscire a comprendere le specificità del contesto in cui si intende agire, in modo da riuscire a coinvolgere i soggetti locali. Questo engagement, infatti, appare sempre di più come l’elemento critico da cui dipende la generazione di nuove idee, servizi o prodotti che, nel contempo, rispondono a bisogni sociali e creano nuove relazioni.
L’attenzione al contesto nei progetti di innovazione sociale ne ha evidenziato anche la natura processuale: per essere declinato a livello territoriale, ogni progetto di innovazione sociale deve articolarsi in una serie di diversi step. In tal senso è possibile parlare di ciclo di vita dell’innovazione sociale che, secondo una delle formalizzazioni più accettate (Murray et al., 2010), è composto da sei fasi: i) raccolta di suggerimenti; ii) costruzione di proposte progettuali; iii) ideazione del progetto; iv) ricerca di conferme relative a input, strutturazione e gestione del progetto; v) valutazione degli elementi di scalabilità; vi) verifica del cambiamento sistemico generato. Tali fasi sono tra loro interdipendenti e il successo finale delle iniziative passa proprio attraverso un’efficace gestione di ogni singola fase e delle interdipendenze tra queste.
Una delle fasi più delicate è quella della scalabilità (o scaling), la quale include tutte le azioni volte a incrementare il numero di fruitori di un’innovazione in grado di rispondere a un dato bisogno sociale irrisolto (Gabriel, 2014). In letteratura il dibattito ha cercato di capire le strategie più efficaci per garantire la replicabilità in altri contesti. In tal senso, ci si è focalizzati soprattutto sulle modalità di standardizzazione e sulle necessità in termini capitale umano o di finanziamento (Davies, Simon, 2013; Dees et al., 2004; Gabriel, 2014). È mancata, tuttavia, un’adeguata riflessione su come le caratteristiche contestuali, possano essere gestite in modo da garantirne la replicabilità in altri contesti. Infatti, una declinazione fortemente context-specific sembra portare con sé l’irrisolvibile contraddizione della non replicabilità, in quanto la combinazione degli elementi cognitivi, sociali e organizzativi che contraddistinguono un particolare contesto è difficilmente riproducibile in altre situazioni (Mizzau, Montanari, 2016). Il problema della replicabilità può non riguardare solo la dimensione spaziale, ma anche quella temporale, in quanto le specificità contestuali non è detto che possano mantenersi nel corso del tempo.
Partendo da queste considerazione, nei prossimi paragrafi cercheremo di contribuire a questa riflessione. In particolare, attraverso lo studio del caso Siamo Qua – Quartiere Bene Comune proporremo un modello che individua le componenti che rendono un progetto di innovazione sociale scalabile e replicabile da un punto di vista organizzativo, temporale e territoriale.
Il presente studio prende in esame il caso del progetto Siamo Qua – Quartiere Bene Comune, attivato nel 2016 dal Comune di Reggio Emilia per realizzare progetti di elevato interesse sociale e caratterizzati dal confronto, dalla co-progettazione e dalla collaborazione tra Comune e cittadini. L’obiettivo finale era rispondere alle esigenze della cittadinanza favorendo anche un maggiore avvicinamento tra istituzione e collettività; il tema della ridefinizione del rapporto centro-periferia, infatti, è emerso in modo forte dopo l’abolizione delle circoscrizioni con la legge n.42 del 26 marzo 2010. Nell’ambito del progetto, sono stati realizzati 27 laboratori di cittadinanza relativi agli ambiti territoriali della città (quartieri e frazioni) a cui hanno partecipato compressivamente 1.540 persone. Al termine di questi laboratori è stato siglato un accordo di cittadinanza (in totale, 784 sottoscrittori degli accordi, di cui 431 associazioni, 330 volontari e 23 imprese) che ha impegnato i partecipanti, insieme al Comune, ad elaborare interventi di innovazione sociale relativi ai bisogni e alle sfide del quartiere di riferimento. Dai laboratori e dagli accordi sono state quindi progettate 163 iniziative, sviluppate direttamente dai residenti sul territorio. I progetti hanno affrontato temi relativi al rapporto tra comunità e partecipazione, alla sostenibilità ambientale e allo sviluppo di servizi di welfare in ambito educativo. Per esempio, è emersa l’attenzione sulle modalità di partecipazione nei quartieri mediante il ruolo di centri aggregativi (come i centri sociali) in termini di relazioni intergenerazionali e cura della comunità. Molti progetti hanno lavorato sul ruolo degli spazi verdi e degli orti urbani in termini di coinvolgimento della comunità e promozione di stili alimentari. Inoltre, i progetti hanno cercato di creare reti informali di prossimità per rispondere, a livello familiare e comunitario, a bisogni di welfare nel settore educativo.
Siamo Qua – Quartiere Bene Comune è un caso interessante in quanto ha registrato un significativo protagonismo da parte della cittadinanza che ha aderito ai laboratori, portando sia progetti già in essere per un loro possibile sviluppo sia nuove istanze da elaborare in nuove iniziative. Inoltre, esso presenta una natura fortemente contestuale dal momento che tutte le iniziative hanno avuto un presupposto fondativo nei bisogni, nel capitale umano e nelle caratteristiche peculiari dei singoli quartieri e frazioni. Per tali motivi, il caso Siamo Qua – Quartiere Bene Comune ben si presta a riflettere su come sia possibile definire un modello di scalabilità di progetti d’innovazione sociale fortemente grass-roots che, superando i vincoli territoriali e temporali, permetta di identificare possibili variabili di scalabilità.
Dal punto di vista metodologico, è stato condotto uno studio qualitativo basato su fonti documentali quali, ad esempio, materiali di comunicazione realizzati dal Comune e report raccolti nel corso dei laboratori di cittadinanza. Più nello specifico, sono state considerate le schede di presentazione di ogni singolo progetto, i report di accountability e valutazione della partecipazione ai laboratori, le analisi SWOT realizzate dal Comune e i testi degli accordi di cittadinanza sottoscritti. Oltre all’analisi documentale, sono state effettuate 29 interviste approfondite a soggetti coinvolti nel progetto e individuati attraverso contatti forniti dal Comune e metodo snowball (Biernacki, Waldorf, 1981; Zikic et al., 2010). Le interviste hanno coinvolto diversi soggetti (coordinatori dei laboratori di cittadinanza, referenti, volontari e beneficiari) che hanno partecipato a vario titolo a 11 progetti selezionati sulla base della loro rappresentatività al fine di includere iniziative che hanno avuto diversi gradi di successo (quindi anche iniziative che hanno presentato forti criticità) e una copertura omogenea degli ambiti territoriali coinvolti nei progetti. Nelle interviste le domande si sono focalizzate su temi quali: background dell’intervistato, obiettivi del progetto, caratteristiche e percezione del territorio in cui il progetto è stato realizzato, livello motivazionale generato dal progetto, ruolo della pubblica amministrazione, impatto sociale del progetto. Successivamente alle interviste sono stati condotti tre focus group a cui hanno partecipato 19 persone tra referenti, volontari e beneficiari dei progetti attivati sul territorio. L’analisi delle interviste e dei focus group si è focalizzata sulla rilevazione di elementi trasversali ai progetti, per valutare in che modo possano costituire caratteristiche chiave in grado di incidere sulla loro scalabilità. Tale rilevazione si è basata sulle sei categorie concettuali (building blocks) di cui si compone il concetto di innovazione sociale: a) caratteristiche chiave; b) obiettivi; c) approccio; d) processo; e) governance; f) condizioni sistemiche (Montanari et al., 2017).
Le analisi hanno evidenziato come, seppur focalizzati sulle peculiarità di contesti fortemente “micro” (quartieri e parti di essi come ad esempio strade, parchi o particolari luoghi) e su tematiche eterogenee, i diversi progetti presentino alcuni elementi di ricorsività. In particolare, le analisi hanno evidenziato 13 elementi trasversali ai progetti che rappresentano caratteristiche chiave in grado di creare presupposti di replicabilità: 1) nuovi spazi; 2) nuova socialità; 3) domanda di bisogni sociali; 4) obiettivi chiari; 5) mappatura; 6) realtà organizzata; 7) motivazione; 8) reti di reciprocità; 9) gestione del tempo; 10) reti geografiche; 11) senso del luogo; 12) strumenti e leve di policies; 13) capitale umano. Tali elementi sono stati raggruppati sulla base dei sei building blocks che costituiscono il concetto di innovazione sociale (Figura 2):
Figura 2. Gli elementi che favoriscono la scalabilità di progetti di innovazione sociale.
Per quanto riguarda il primo building block, le analisi hanno rilevato due elementi: la tensione a realizzare nuove socialità e nuovi spazi. Per nuove socialità si fa riferimento alla volontà di pensare a nuovi modi di stare insieme tra le persone, per rilanciare relazioni di solidarietà tra cittadini, fornire strumenti di risposta a bisogni sociali e anche per connettersi in modo più efficace con l’amministrazione pubblica. Si tratta di un elemento importante in quanto si focalizza sulla capacità di creare e mantenere strutture relazionali dense e stabili, che emergono come elemento importante per riuscire a trovare soluzioni a bisogni emergenti. Per capire questo aspetto possiamo fare riferimento a quanto detto da una volontaria di un’iniziativa educativa per famiglie e bambini (intervistata #11): “La ludoteca ci ha aiutato a integrarci nel paese visto che siamo qui da poco e a mostrare al piccolo [il figlio] cosa vuole dire socializzare, visto che vede la mamma parlare con altre persone”. L’elemento dei nuovi spazi, invece, si riferisce alla capacità di riscoprire e rigenerare luoghi non più utilizzati dalla comunità, ma potenzialmente funzionali a costruire esperienze e a stimolare relazioni di solidarietà. Ai fini della scalabilità di un progetto, questo elemento è rilevante in quanto gli spazi costituiscono un punto di riferimento cognitivo e identitario importante, modellando anche il senso di appartenenza a un territorio (Relph, 1976). A tal proposito, l’intervistato #10 (referente di un progetto educativo per l’infanzia) ha affermato: “Abbiamo visto che c’era uno spazio adibito a ludoteca ma non più utilizzato; abbiamo pensato che, se l’avessimo sistemato, avrebbe permesso a molte persone di stare insieme: le famiglie si sono impegnate per sistemarlo, da allora ci si trova ogni settimana con i bambini ed è diventato elemento cardine della comunità”.
Con riferimento al secondo building block, gli elementi chiave emersi sono obiettivi e bisogni sociali da soddisfare. In tal senso, risulta di primaria importanza declinare in modo preciso la mission che si vuole realizzare nei termini di rilevamento e soddisfazione della domanda di bisogni espressi dalla comunità di riferimento, al fine di garantirne l’empowerment e favorire un radicamento collettivo del progetto. Ad esempio, sono interessanti le parole dell’intervistato #8: “Ci siamo resi conto, come comunità, che i nostri figli avevano diritto di ricevere quello che noi stessi avevamo ricevuto da piccoli, ovvero trovarci intorno al frutteto curato dai nostri genitori. Continuare a tramandare il senso di comunità era un bisogno condiviso da molti e così, visto che l’esigenza non riguardava solo pochi, insieme abbiamo trovato una risposta”.
Se la definizione degli obiettivi e l’individuazione di un bisogno rappresentano due elementi da tenere sempre in considerazioni, dal punto di vista dell’approccio da adottare è emersa la criticità di due elementi: la realizzazione di una mappatura del territorio e la costituzione di una realtà organizzata. Per mappatura si intende lo studio e la verifica delle peculiarità del quartiere in termini di conformazione fisica, di conformazione delle reti sociali e di composizione sociodemografica. Si tratta di un passaggio centrale, in quanto mappare i fattori contestuali aiuta a costruire proposte più coerenti, fattibili e funzionali. Per esempio, nel caso di un progetto di agricoltura urbana, i volontari coinvolti hanno analizzato il territorio in termini di spazi, esigenze delle famiglie e capitale umano, a partire dalle loro esperienze e relazioni. A tal proposito, l’intervistato #4 ha riferito: “Senza uno studio e un’analisi preliminare, non saremmo riusciti a capire come mettere a terra le nostre idee: ci serviva capire le persone e le strutture che animano il quartiere”. Oltre alla mappatura, la replicabilità di un progetto è facilitata dall’attivazione di una realtà organizzata per il coordinamento del progetto. Per realtà organizzata, si intende la strutturazione di una forma di coordinamento che implichi un qualche grado di formalizzazione e che permetta di evitare un’eccessiva personalizzazione. Dalle analisi, infatti, è emerso che nei progetti che hanno avuto maggiore efficacia i volontari si sono dati una qualche forma strutturata di coordinamento, ad esempio creando un’associazione oppure appoggiandosi a un centro di aggregazione o a una realtà organizzata (parrocchia, società sportiva, ecc.) preesistente sul territorio. A tal proposito, un architetto di quartiere[1] (intervistato #17) ha detto: “Per fare in modo che il progetto possa essere messo in pratica e inizi a sviluppare relazioni, serve una forma organizzata, altrimenti non vi è un senso di responsabilità comune e condiviso”.
Con riferimento al quarto building block (natura processuale dell’innovazione sociale), le analisi hanno evidenziato tre elementi chiave: motivazione, reti di reciprocità e gestione del tempo. Per quanto riguarda il primo, le persone intervistate hanno notato come la replicabilità di un progetto non possa prescindere dal riuscire a motivare i soggetti coinvolti. Se i soggetti partecipanti sono adeguatamente motivati, infatti, non solo si ha una moltiplicazione del patrimonio di competenze e saperi a disposizione, ma è altresì possibile contribuire alla crescita del progetto attraverso l’attivazione di dinamiche relazionali positive. Esemplificative in tal senso sono le parole dell’intervistata #12 (volontaria di un progetto di servizi educativi): “Prima mi sentivo spenta, con questo progetto ho ricominciato a vivere e a capire quanto potevo dare alla mia comunità”. L’aspetto relazionale è confermato dall’importanza delle reti di reciprocità, cioè dalla presenza di relazioni contraddistinte da coesione, fiducia e aspettative di sostegno reciproco (Gouldner, 1961). Interessanti in tal senso sono le parole dell’intervistato #3 (referente di un centro aggregativo): “Ci siamo resi conto che la qualità delle relazioni è centrale: qui abbiamo fatto fatica a causa di relazioni incancrenite da episodi passati”. La reciprocità tende ad emergere quando vi è corrispondenza tra le aspettative degli attori in gioco. In questi casi, è più probabile che le persone si sentano coinvolte e ascoltate dando vita a una dinamica positiva in cui ogni soggettività può attivarsi insieme ad altre. Ad esempio, un volontario di un progetto relativo alla cura ambientale della propria frazione (intervistato #7) ha detto: “Adesso ci si passa parola per organizzare pulizie ecologiche alla domenica mattina, ci coinvolgiamo a vicenda su cura del territorio”. Nei casi in cui la corrispondenza tra le aspettative degli attori non sia rispettata, invece, tende a generarsi un senso di disaffezione che mina il successo di un progetto. Ad esempio l’intervistato #2 ha affermato: “La sede è stata inaugurata ma mancano ancora le strutture per lo studio che erano state promesse; avevamo già promosso l’attività tra gli studenti, adesso è difficile convincerli nuovamente a tornare”.
Il terzo e ultimo elemento chiave del processo di implementazione è la gestione del tempo, che va intesa come la capacità di dare valore al tempo destinato alle attività del progetto. In tal senso è utile che le persone percepiscano il tempo investito come tempo dedicato alla cura dei propri legami sociali. In numerosi progetti, infatti, le persone coinvolte apprezzano il fatto che il progetto sia diventato uno strumento di costruzione e rinnovamento di comunità. Ad esempio, l’intervistato #6 (volontario di un’iniziativa ambientale) ha riferito: “Il tempo dedicato al progetto diventa tempo in cui si coltivano reti amicali, dove quindi la percezione dell’impegno nell’attività entra nello spazio intimo individuale e familiare, ne fa parte, non è esterno, così il volontariato soddisfa un bisogno personale su base sociale”.
Per quanto riguarda il building block rappresentato dalla governance, dalle analisi sono emersi due elementi utili per rafforzare la continuità e la replicabilità: la presenza di reti geografiche e l’elaborazione del senso del luogo. Per reti geografiche si intendono quelle forme spaziali (centri sociali, scuole, parrocchia, parchi, ecc.) che, se presenti in un ambito territoriale, rivelano la possibilità di una fruizione di luoghi comuni e della creazione di una dimensione comunitaria. Infatti, la presenza di luoghi intorno ai quali si possono sviluppare dinamiche di partecipazione è centrale per coinvolgere e far stare insieme le persone. A tal proposito, il referente di un progetto di agricoltura urbana (intervistato #5) ha detto: “Ci siamo resi conto che nel corso delle attività del progetto non riuscivano a far partecipare il quartiere come volevamo perché mancava un luogo di aggregazione comune di riferimento”. Per senso del luogo, invece, si intende la percezione del valore simbolico e culturale, costruitosi nel corso del tempo, di un determinato luogo e delle esperienze che vi sono vissute, in modo tale che esso diventi significativo dal punto di vista sia affettivo sia funzionale. In questa direzione, un progetto necessita di infrastrutture fisiche e relazionali che siano un riferimento identitario, visibili in termini materiali e simbolici per la comunità. Infatti, la percezione che una comunità ha degli spazi intorno alle quali vive è un elemento fondamentale per raggiungere gli obiettivi di un progetto. L’intervistato #16 (architetto di quartiere), in relazione a un progetto di sviluppo di un centro aggregativo, ha detto: “La sede scelta per il nuovo centro di partecipazione del quartiere in verità non è stata percepita come parte della comunità, poiché rappresentava una ferita urbanistica nel tessuto sociale del quartiere stesso; questo non ha favorito il successo del progetto”. In un altro caso, una partecipante a un’iniziativa di realizzazione di un frutteto (intervistata #9) ha affermato: “Con le attività del progetto è cambiato il senso di questo luogo: ora me lo prendo ancor più a cuore, come se fosse parte di me”.
Infine, con riferimento alle condizioni sistemiche sono stati individuati due elementi trasversali ai progetti analizzati: gli strumenti e le leve di policy da un lato, il capitale umano dall’altro. Nel primo caso, ci riferiamo al set di figure professionali, programmi e interventi della pubblica amministrazione finalizzati a supportare processi di innovazione sociale e sui quali un progetto può fare affidamento. Si tratta di un elemento rilevante in quanto concorre a sostenere la prossimità istituzionale della pubblica amministrazione e a ridurre le distanze con i cittadini. Questo aspetto è stato sottolineato dai soggetti intervistati che hanno colto gli sforzi del Comune e in particolare quelli finalizzati alla creazione di una nuova figura professionale di coordinamento, definita architetto di quartiere. Ad esempio, l’intervistato #18 (volontaria di un’iniziativa educativa per bambini) ha detto: “Non mi sarei mai aspettata che il Comune, visto il suo investimento istituzionale sulla scuola, appoggiasse un progetto del genere, nato dal basso in una zona rurale, peraltro con un contatto continuo da parte dell’architetto di quartiere”. La rilevanza di questo elemento è evidente laddove si crea un meccanismo di intermediazione virtuoso che riduce la sensazione di isolamento e di episodicità del progetto stesso, con possibili ricadute positive sulla sua continuità e replicabilità. Per quanto riguarda il secondo elemento, cioè il capitale umano, si intende la messa a disposizione di saperi, conoscenze e competenze che possono facilitare e sostenere l’avanzamento di un progetto. Esemplare in tal senso è quanto indicato da una volontaria di un progetto per l’infanzia (intervistata #22): “Tutto passa dalle persone e dalle loro competenze, sono importanti a livello sia dei funzionari comunali sia di chi ci aiuta a portare avanti le attività”.
L’analisi dei progetti sviluppati all’interno dei laboratori di cittadinanza Siamo Qua – Quartiere Bene Comune ha permesso di identificare un set di elementi distintivi che costituiscono non solo le proprietà di ogni singolo progetto, ma anche quelle caratteristiche che incidono sia sul suo radicamento nel territorio da cui ha avuto origine (assicurandone una durabilità e continuità localizzata), sia sull’ampliamento e sulla potenziale replicabilità in altri territori, diffondendo così esperienze innovative in contesti che presentano condizioni differenti. Dallo studio del caso è stato possibile definire un modello per la scalabilità dei progetti di innovazione sociale. Se è vero, infatti, che la base per l’efficacia di tali iniziative sembra risiedere nella capacità di stimolare iniziative dal basso e fortemente context-specific, è altrettanto rilevante la necessità per i soggetti pubblici di agire al fine di garantire la loro replicabilità temporale e territoriale senza snaturare la loro natura emergente e spontanea (cosa che conduce spesso al rischio di fallimento).
Il presente articolo, dunque, offre un contributo al tema di come sistematizzare e definire i requisiti necessari per progettare in modo efficiente ed efficace interventi di innovazione sociale a partire dalle esigenze localistiche, ma garantendone anche la replicabilità temporale e territoriale. In particolare, vi sono tre considerazioni che paiono più significative. Innanzitutto, il modello evidenzia l’importanza degli aspetti relazionali che devono essere attivati attraverso i progetti di innovazione sociale. L’aspetto sociale, infatti, non costituisce solo una caratteristica del fine ultimo per cui questi vengono attuati (cioè la soddisfazione di un bisogno sociale), ma anche il loro elemento definitorio principale. È solo attraverso l’attivazione di legami tra i diversi ambiti della comunità che si possono realizzare efficacemente processi di innovazione sociale, garantendone anche una durabilità che possa andare anche al nucleo ristretto dei soggetti promotori. A quest’ultimo aspetto si riferisce la seconda considerazione: l’importanza di superare la personalizzazione dei progetti attuando opportune scelte di organizzazione che diano continuità e stabilità ai progetti. Se spesso i progetti di innovazione sociale sono attivati come risposta a bisogni percepiti da uno specifico gruppo di persone, il modello mostra come sia fondamentale riuscire a coinvolgere gruppi di soggetti più ampi e ad agire per rendere più strutturato il coordinamento e l’engagement dei soggetti potenzialmente utili al successo di un progetto. Naturalmente, non occorre arrivare a livelli eccessivi di formalizzazione, i quali potrebbero portare il rischio di demotivare le persone e ingessare i processi, ma a opportune forme di coordinamento che fungano da volano e moltiplicatore del patrimonio di saperi e conoscenze potenzialmente disponibili in loco. La terza e ultima considerazione riguarda il ruolo degli spazi fisici: anche in presenza di una progressiva de-materializzazione delle dinamiche sociali e lavorative, la possibilità di avere luoghi concreti che diventino importanti ancore cognitive e identitarie svolge un ruolo importante. Questa osservazione ben si lega alla natura generativa e partecipata dell’innovazione sociale che può produrre valore condiviso soprattutto con riferimento ai processi di rigenerazione urbana che hanno occupato le agende dei policy maker e che spesso si sono rivelati di successo laddove sono stati centrati su progetti di innovazione sociale (Montanari, Mizzau, 2016; Rago, Venturi, 2014).
Il modello proposto può offrire implicazioni pratiche per i policy maker, in quanto può costituire un utile strumento con cui i decisori pubblici possono valutare sia ex ante sia in itinere i progetti presentati a call e bandi. Ad esempio, richiedere ai soggetti applicanti di strutturare i progetti secondo le dimensioni precedentemente enunciate può rappresentare un’utile indicazione, in grado di aiutare fin dai primissimi step l’efficacia delle iniziative. In modo analogo, il modello può essere uno strumento con cui valutare progetti che si sono rivelati di successo in un particolare contesto nel momento in cui si vuole “implementarli” anche in altri territori.
Oltre ad offrire un contributo al dibattitto sulla scalabilità degli interventi di innovazione sociale, il presente articolo apre il campo a percorsi di ricerca futura che possano approfondire ulteriormente il rapporto tra territorio, politiche pubbliche, cittadini e innovazione sociale. Innanzitutto, riteniamo possa essere utile procedere a un lavoro comparativo con altri contesti nazionali ed esteri che si differenziano per dimensioni, patrimoni sociali e culturali, strutturazione degli interventi di innovazione sociale nelle amministrazioni pubbliche. In questa direzione, potrebbe essere interessante la rilevazione tramite metodi quantitativi degli elementi identificati nel modello di scalabilità per verificarne ulteriormente la validità empirica. Un’ulteriore possibilità di approfondimento riguarda studi di tipo longitudinale che investighino cosa determina e può cambiare nel corso del tempo sia il cambiamento sociale prodotto sia il rapporto con il territorio, nei termini di percezione del senso del luogo e di attaccamento ad esso (place attachment) in funzione di variabili intervenienti quali, ad esempio, le policy messe in campo dagli attori politici oppure le azioni implementate dai singoli progetti.
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