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Fondata da CGM / Edita e realizzata da Iris Network
ISSN 2282-1694
Tempo di lettura:  5 minuti
Argomento:  WIS
data:  11 gennaio 2022

Il ruolo dei consorzi nello sviluppo dell’impresa sociale

Stefania Turri

A trent’anni dalla legge 381/1991, i consorzi hanno rinnovato il proprio ruolo? Una riflessione su esperienze consortili che agiscono quali soggetti aggregatori capaci di orientare la propria comunità, coinvolgendo una pluralità di stakeholder quali imprese e pubbliche amministrazioni.


Per un lungo periodo i consorzi di cooperative sociali sono stati la principale forma di integrazione imprenditoriale tra queste organizzazioni. A distanza di trent’anni dalla legge 381/91 svolgono ancora questa funzione oppure hanno modificato il proprio ruolo rispetto alle dinamiche di sviluppo delle cooperative? Oggi alcuni loro compiti tradizionali (general contracting, servizi ai soci, ecc.) non sembrano più così pregnanti; può derivarne uno svuotamento delle funzioni consortili o la ricerca di spazi di azione diversi. Tra questi, particolare interesse riveste l’esperienza di alcuni consorzi che stanno agendo quali soggetti aggregatori capaci di orientare la propria comunità, coinvolgendo una pluralità di stakeholder quali imprese e pubbliche amministrazioni.

Questo tema è stato sviluppato durante la sessione "Il ruolo dei consorzi nello sviluppo dell’impresa sociale" durante la XIX edizione del Workshop sull'impresa sociale, tenutosi a Trento il 17 e 18 novembre 2021, sul tema "Il futuro a trent'anni dalla 381/1991".

Palma Elena Silvestri (Gruppo Cooperativo CGM) modera
* Marco Peruzzi (Consorzio Co&So Empoli) [slide presentazione]
* Fabio Garrisi (Consorzio Sale della Terra, Benevento)


I consorzi sono nati in gran parte negli anni Novanta con lo scopo di integrare imprenditorialmente le cooperative così da godere dei vantaggi e delle economie di scala della grande dimensione, permettendo al contempo di mantenere viva e indipendente ogni singola cooperativa sociale. I cambiamenti intercorsi nei trent'anni dalla Legge 381/1991 portano ad interrogarsi sul ritenere i consorzi ancor oggi strutture attuali.

Tra gli anni ’70 e ’80 iniziarono a nascere, in Italia, gruppi di volontari, persone spinte da un impegno civile che si aggregarono per realizzare in modo economicamente sostenibile una risposta a bisogni sociali e assistenziali che fino a quel momento risultavano scoperti e insoddisfatti. Tali organizzazioni trovarono nella cooperativa la forma più idonea per dare corpo ai principi per i quali si erano uniti. Iniziarono così a nascere e diffondersi le cooperative sociali, che solo nel 1991 videro riconosciuta la loro identità e originalità grazie alla legge 381. La stessa legge stabilì, all’articolo 8, che le medesime disposizioni si applicavano ai “consorzi costituiti come società cooperative aventi la base sociale formata in misura non inferiore al settanta per cento da cooperative sociali”. Negli anni infatti, le cooperative sociali sentirono l’esigenza di integrarsi imprenditorialmente, mantenendo al contempo una dimensione contenuta così da salvaguardare la propria identità e il radicamento territoriale: tali caratteristiche - il radicamento e la dimensione - sono infatti state considerate sempre necessarie per garantire l’autenticità dei legami con i propri soci, la gestione democratica, la relazione con gli stakehoder locali e la vicinanza ai bisogni espressi dalla propria comunità.

I primi consorzi tra cooperative sociali si dedicarono principalmente ad assicurare alle cooperative associate:

  • servizi strumentali, quali ad esempio la gestione della contabilità e delle paghe, soprattutto laddove le cooperative erano di dimensioni molto piccole e portate quindi a non sviluppare queste attività in proprio;
  • servizi più avanzati, condivisi tra tutte o parte delle cooperative associate, come ad esempio progettazione, promozione e sviluppo, comunicazione, ufficio stampa, controllo qualità, supporto in ambito finanziario, sistemi informatici, ecc.;
  • general contracting, così da presentarsi in modo unitario presso un cliente pubblico o privato, per acquisire commesse di lavoro da ripartire poi tra le cooperative associate.

Accanto a questi supporti “materiali”, è indubbio che i consorzi territoriali abbiano assicurato ai sistemi cooperativi visibilità e identità, moltiplicandone la portata, qualificandosi anche come interfaccia operativa per i soggetti di rappresentanza del movimento cooperativo.

La domanda che oggi è lecito porsi è se queste funzioni siano ancora attuali, per almeno tre motivi. Il primo è che il rafforzamento delle singole cooperative ha portato ad internalizzare una quota crescente di funzioni un tempo affidate ai consorzi; il secondo è che talune modifiche normative hanno, già da alcuni anni, reso meno premiante la partecipazione attraverso un general contractor; infine, da un punto di vista economico, i minori margini delle cooperative hanno in molti casi reso problematico il finanziamento dei consorzi, a meno che essi non svolgano direttamente funzione di impresa similmente ad una cooperativa. Non è forse un caso che, accanto alle forme consortili, in questi anni sia sorto un dibattito su altri strumenti di integrazione imprenditoriale come i contratti di rete (si veda ad esempio questo articolo di Sara Depedri pubblicato su Impresa Sociale). Questi elementi portano ad interrogarsi su quali siano oggi le funzioni dei consorzi, andando alla ricerca di esperienze che siano state in grado di ripensarsi, cercando spazi nuovi, azioni diverse, funzioni ulteriori. È in questa direzione che alcuni consorzi particolarmente visionari si sono mossi da qualche tempo, con l’intento di innovarsi, fungendo, tra le altre cose, da connettori e aggregatori di comunità, con l’obiettivo ultimo di coinvolgere una pluralità di stakeholder quali imprese, pubbliche amministrazioni, associazionismo locale, comunità.

È il caso di CO&SO Empoli e di Sale della terra di Benevento, due esperienze particolarmente interessanti che durante il Workshop sull’impresa sociale, svoltosi a Trento il 17 ed il 18 novembre 2021 si sono presentati ad un gruppo di practitioner ed hanno esposto le diverse attività che li hanno distinti per capacità innovativa.

La storia del consorzio CO&SO Empoli inizia nel 2002, quando una quindicina di cooperative sociali di adesione mista - Legacoop e Confcooperative (e questo rappresenta sicuramente un punto di originalità) - sentono l’esigenza di unirsi. Il territorio in cui nasce e si sviluppa CO&SO è un territorio ricco, dove la presenza di cooperative sociali è forte e ben radicata, ed anche riconosciuta dal tessuto politico e sociale. Le attività svolte da CO&SO nei primi dieci anni di vita sono quelle più tradizionali, ma dal 2012 iniziano ad emergere una serie di limiti, tra cui la sensazione di non riuscire a rappresentare appieno la molteplicità della propria base sociale e la percezione di non poter monitorare e valutare in maniera oggettiva il reale apporto dato alle associate nelle attività di gestione dei servizi per conto dell’ente pubblico. Questi interrogativi, questa sensazione di incapacità di essere portatore di ulteriori sviluppi (in termini di fatturato ma non solo) hanno portato ad una riflessione importante: quanto fosse opportuno continuare a portare avanti l’esperienza consortile. Da qui iniziano a porsi le basi per un’evoluzione significativa dell’organizzazione che ha visto rinnovare totalmente le attività svolte, mettendo al primo posto la volontà di essere un attore attivo delle politiche del territorio. Per fare questo CO&SO agisce secondo diverse modalità, tra cui quella di coinvolgere nelle proprie progettualità professionisti esterni al consorzio, in ottica di valorizzazione delle specializzazioni e delle professionalità presenti nel territorio e agendo così come soggetto in grado di creare aggregazione e rete. Ancora, un’ulteriore azione è quella di rivolgersi alla comunità non tanto inquadrandola come la beneficiaria dei servizi erogati, quanto più come uno stakeholder in grado di apportare il proprio contributo nella costruzione dei servizi. Questo ha portato CO&SO a farsi promotore insieme a 25 altri soggetti del territorio – di Terzo settore e del tessuto sociale e produttivo locale – del Distretto dell’economia civile con un processo ben descritto in questo articolo pubblicato su Impresa Sociale.

Il consorzio Sale della Terra è invece una realtà molto giovane, costituitasi nel 2016 grazie alla volontà di quattro cooperative, che già collaboravano tra loro, e che ha visto una crescita repentina dato che oggi le aderenti sono ben 11 e tra queste sono presenti anche cooperative agricole ed un’azienda di energie rinnovabili. Un’organizzazione con base sociale variegata e con un respiro nazionale che si sviluppa per nodi territoriali, mettendo al primo posto la volontà di sentirsi parte delle comunità in cui si radica. Il consorzio agisce su diversi fronti, molto lontani da quelli tradizionalmente svolti dalle realtà consortili e che vedono una presenza attiva nella parte finale della filiera, che punta sull’ascolto dei territori serviti. Infatti, Sale della Terra ha dato avvio a diverse attività tra cui la costituzione, insieme ad un’altra realtà associativa, di un canale e-commerce per la vendita di prodotti etici e di alta qualità, la creazione di una linea di prodotti dell’artigianato definito coesivo e la strutturazione di percorsi di turismo esperienziale. Quest’ultimo progetto sembra rappresentare forse il risvolto più interessante dell’agire del consorzio, che basa le sue azioni sulla volontà di far rivivere antichi borghi semiabbandonati in un’ottica di sviluppo locale che valorizzi al contempo l’accoglienza dei migranti, con tutti gli impatti sociali positivi che un’azione di questo genere apporta, come appunto l’inclusione sociale e la crescita reciproca di comunità e persone che la abitano. Un altro esempio particolarmente interessante riguarda il reinserimento sociale e lavorativo dei soggetti svantaggiati presi in carico, attraverso l’ascolto dei territori e delle persone con fragilità, mediante la creazione di strutture ricettive e negozi dove prestano la propria attività migranti usciti da progetti di seconda accoglienza, disabili affidati mediante i progetti di budget di salute, detenuti in pena alternativa. L’idea è quella di creare coesione sociale nei territori, oltre che con i servizi di ristorazione, anche attraverso l’agricoltura sociale, che funge altresì da strumento per riprendere ad esercitare mestieri e coltivazioni di un tempo. Inoltre il consorzio è stato tra i principali promotori della Rete dei “Piccoli comuni welcome”, una singolare esperienza di alleanza territoriale tra enti locali e terzo settore per il rilancio del territorio.

Si tratta di due esperienze che, seppur molto diverse, sono accomunate da una risposta originale alla questione sopra sollevata relativa alla funzione dei consorzi oggi: dall’essere soggetti “di servizio” rispetto alla propria base sociale, all’essere agenti di sviluppo territoriale. Questo può dare potenzialmente un nuovo senso all’aggregarsi delle cooperative in consorzi: non più in quanto piccole e fragili e bisognose di posizionare su un soggetto collettivo determinate funzioni generali, ma, al contrario, in quanto soggetti abbastanza forti da esprimere, insieme, all'interno di un consorzio, una visione originale del territorio e del suo sviluppo.

In tale evoluzione i consorzi diventano player territoriali non solo negli ambiti consolidati come quello delle politiche sociali, ma in un ampio insieme di settori di interesse generale, che vanno dalle scelte urbanistiche a quelle educative, dalla valorizzazione del territorio allo sviluppo locale, portando come specifico valore aggiunto la capacità di vedere le integrazioni tra questi ambiti. Questo chiede d’altra parte la capacità di sviluppare competenze non usuali da più punti di vista: la capacità di promuovere l’attivazione di stakeholder territoriali diversi, dalle imprese agli enti pubblici, valorizzando le competenze di ciascuno ed ascoltando i bisogni della comunità; dall’altra di essere in grado di entrare nel merito di aspetti diversificati, dalle tecnologie alla riorganizzazione urbana, dalla mobilità sostenibile all’ambiente, candidandosi in tutti questi ambiti ad essere interlocutori per coprogettare il futuro del territorio.

Aggregazioni cooperative in grado di svolgere questo ruolo, di unire la capacità di elaborazione e di realizzare imprenditorialmente il cambiamento sociale hanno sicuramente uno spazio di azione ben diverso da quello, forse a rischio di esaurimento, dei consorzi “di servizio”.

 

 

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Stefania Turri

Euricse

Laureata in Management e consulenza aziendale presso l’Università degli Studi di Trento, è ricercatrice experienced presso Euricse. Si occupa di ricerche di tipo empirico, dalla creazione degli strumenti di rilevazione, alla raccolta dei dati e all’analisi degli stessi, fino alla stesura di rapporti di ricerca volti a studiare in particolare le relazioni sociali, la funzione sociale e la valutazione dell’impatto sociale delle varie forme di cooperative a livello regionale e nazionale.

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