Prosegue il percorso per raccogliere energie e competenze per riaffermare la dimensione sociale delle politiche di rigenerazione.
La rigenerazione deve approcciare le trasformazioni del territorio in modo integrato e facendo leva sulla dimensione comunitaria.
Da questa premessa ha preso il via, nel corso del 2021, un percorso di riflessione di un articolato gruppo di lavoro che ha avuto prima ricaduta con la pubblicazione su questa Rivista del Documento per la costruzione di una rete nazionale: Rigenerare le città con le infrastrutture sociali, che riproponiamo in questa pagina.
Il gruppo di lavoro, promosso da KCity-Rigenerazione urbana, include già diversi portatori di interesse rispetto al tema: rappresentanti di pubbliche amministrazioni, enti di terzo settore, del mondo professionale e della ricerca accademica. Ma c'è l'opportunità di estenderlo ancora ed includere altri componenti.
Specificando il nome della tua organizzazione, il nome di un referente e il motivo dell'interesse.
Chi avrà già aderito entro la data sopra indicata sarà invitato a partecipare all'incontro fondativo della rete che si terrà online nel mese di aprile 2022. Un'appuntamento dove raccogliere proposte e discutere possibili soluzioni per uno specifico problema evidenziato dal documento, con particolare riferimento alla destinazione delle risorse della M5C2 del PNRR (rigenerazione urbana e l’housing sociale): i fondi sono vincolati agli investimenti e pertanto non coprono le cosiddette “Misure” (azioni di supporto agli interventi e alla rigenerazione dei tessuti e del capitale sociale), la cui attivazione è tuttavia ritenuta requisito indispensabile per l’efficacia dei progetti.
Questo incontro ristretto vuole essere preparatorio di un evento pubblico che si terrà nel mese di luglio.
L'incontro è organizzato da KCity in collaborazione con la rivista Impresa Sociale.
DOCUMENTO PER LA COSTRUZIONE DI UNA RETE NAZIONALE
Nell’ultimo decennio il tema della rigenerazione ha assunto una posizione di primo piano nel dibattito sulle strategie di sviluppo urbano e con esso lo stimolo ad approcciare le trasformazioni in modo integrato, cercando sempre di coniugare tra loro aspetti fisici e aspetti sociali.
L’esperienza della pandemia, poi, ci ha permesso di toccare con mano l’importanza della dimensione comunitaria e della sua cura all’interno di qualsiasi progetto con cui si ambisce ad attrezzare la città e migliorarne la dotazione nella prospettiva dello sviluppo sostenibile.
Nona caso, all’interno del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) la rigenerazione è posizionata nell’ambito delle politiche per la coesione e l’inclusione sociale, ed in particolare all’interno della componente “infrastrutture sociali, famiglie, comunità, terzo settore”: fatto tutt’altro che scontato, se consideriamo che il tema è stato per molto tempo confuso con quello della riqualificazione edilizia.
Quando parliamo di “infrastrutture sociali”, quindi, non pensiamo soltanto alla realizzazione materiale di asset immobiliari fisici destinati ad ospitare servizi con cui soddisfare bisogni della collettività, ma anche al tessuto di reti e relazioni comunitarie che va promosso, alimentato, coltivato e curato per garantire il funzionamento di questi stessi servizi e il loro utilizzo più efficace, in un’ottica di inclusione, solidarietà e mutuo aiuto.
Questa spinta a rafforzare l’attenzione per la dimensione sociale delle politiche di rigenerazione chiama in causa uno spettro variegato di attori, portatori di interessi, competenze e risorse che devono essere messe a sistema, evitando due rischi di cui il passato ci ha dato ampia dimostrazione:
• Il rischio di creare contenitori che rimangono vuoti e inutilizzati perché non inseriti nel tessuto di reti e relazioni che dovrebbe alimentarlo
• Il rischio di promuovere progetti con le comunità che risultano effimeri perché sconnessi dalla gestione concreta degli spazi fisici e delle attrezzature destinate a fini sociali
Da questo punto di vista la creazione di nuove “infrastrutture sociali” nell’accezione sopra richiamata rappresenta una traiettoria di innovazione sfidante e quanto mai opportuna per rendere il PNRR uno strumento virtuoso a cui affidare la capacità di resilienza e il benessere nelle aree urbanizzate.
Serve uno sforzo importante per coordinare energie e competenze che hanno tradizionalmente lavorato su binari paralleli.
Vanno individuati modelli di riferimento e parametri d’impatto comuni capaci prima di ispirare e poi di monitorare l’andamento dei progetti in modo unitario.
È fondamentale scommettere sulle sinergie che possono scaturire anche dai progetti orientati al sociale e accompagnare dal punto di vista metodologico l’integrazione (nel tempo e nello spazio) dei diversi aspetti da cui può dipendere l’efficacia degli stessi.
Ma soprattutto vanno individuate e attivate fonti di finanziamento complementari a quelle già riservate dal PNRR: gli 11 miliardi destinati specificamente alle infrastrutture sociali non bastano. Non perché sono pochi in assoluto, ma perché si tratta di fondi vincolati alle spese per “investimenti”. Non sono contemplate, cioè, spese per la gestione delle azioni immateriali che, abbiamo detto, rappresentano una componente decisiva.
Gli interventi di rigenerazione urbana devono sempre cercare la sintesi tra dimensione materiale e dimensione immateriale del cambiamento: cantiere “fisico” e cantiere “sociale” sono complementari nella creazione delle nuove infrastrutture comunitarie, ma le condizioni di integrazione vanno ancora puntualmente individuate.
Crediamo che l’individuazione delle risorse necessarie e delle modalità per attingervi passi proprio attraverso un percorso di attivazione di ampio respiro, che metta al centro la creazione di un nuovo sistema di competenze per la gestione strategica del processo di rigenerazione urbana.
È indispensabile che ciascuno degli attori coinvolti si metta a disposizione di un percorso comune, all’interno del quale contano la volontà di collaborare per definire un nuovo approccio operativo generativo di nuove risorse.
Le Istituzioni e gli Enti locali in particolare devono occuparsi di potenziare le conoscenze e i saperi del proprio personale tecnico-amministrativo, abituato ad agire in una logica settoriale, sapendo che la gestione intersettoriale potrebbe permettere di fare economie di risorse.
Il terzo settore può contribuire a ridisegnare le filiere dell’organizzazione dei servizi, se prende seriamente l’impegno a riconfigurarsi da soggetto deputato a gestire “bisogni” (effetto “stampella” del sistema pubblico) ad attore specializzato nell’attivazione delle comunità e generatore di risorse relazionali e immateriali (effetto “leva”).
Il mondo della filantropia deve assecondare questo processo di innovazione, facendosi carico di dar concretezza all’idea che le risorse da distribuire non sono solo quelle di tipo monetario, ma sono anche e soprattutto quelle immateriali (saperi e competenze) che, debitamente veicolate, possono contribuire a fare la differenza.
I promotori dello sviluppo immobiliare e i gestori dei fondi dedicati alla rigenerazione urbana devono assumersi l’onere di sviluppare progetti-pilota, entro cui siano messi alla prova nuovi modelli di business sociale in grado di sostenersi.
I professionisti della rigenerazione urbana, infine, per parte loro possono impegnarsi ad accompagnare a livello locale questi processi di innovazione interdisciplinare, fornendo supporto metodologico e garantendo apprendimento in corso d’opera.
All’intersezione tra questi impegni reciproci e nella ricerca delle possibili convergenze può scaturire un campo di azione di straordinario interesse e utilità per la nuova stagione delle politiche di rigenerazione urbana che scommettono sulle infrastrutture sociali.
Questo manifesto, nell’inquadrare in via preliminare la visione della domanda di innovazione necessaria, vuole contribuire ad avviare di un percorso di costruzione di una rete nazionale, che aggreghi soggetti portatori di risorse e competenze utili al percorso prospettato.
La strada è lunga ma le ragioni e le opportunità per cominciare offerte dai territori sono molte.
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