La situazione di instabilità che da alcuni anni il mondo sta vivendo - la crisi finanziaria, sanitaria e ora geopolitica - sono in buona parte riconducibili ad un modello di sviluppo di cui emergono le contraddizioni. Nella ricerca di un modello alternativo l'economia sociale può avere un ruolo che spesso non le è adeguatamente riconosciuto.
La costante condizione di instabilità che stiamo vivendo - crisi economico-finanziaria prima, sanitaria poi e ora geopolitica - sembra trovare una perfetta sintesi nel modello di sviluppo che ci ha accompagnato negli ultimi decenni (mostrando tutti i suoi gravi limiti). Il prevalere di una logica individualistica nelle transazioni/scambi e nelle relazioni sembra infatti essere la principale causa delle problematiche che stanno caratterizzando questa fase storica.
La corrente di pensiero secondo cui il mercato doveva essere lasciato libero di operare per massimizzare il livello di benessere (economico) della società sembra ormai aver dimostrato tutta la sua inadeguatezza. La crisi economico-finanziaria del 2008-09 rappresenta infatti un esempio schiacciante degli effetti perversi e devastanti che la libera forza del mercato può produrre a danno soprattutto delle fasce più deboli. In particolare, il dominio della finanza sull’economia reale, ovvero l’inversione del rapporto di forza (la finanza dovrebbe essere strumentale e a servizio dello sviluppo delle imprese e delle attività economiche non viceversa), ha messo in secondo piano l’attività produttiva per favorire processi di innovazione finanziaria ‘creativa’ piuttosto che di investimento in ricerca e sviluppo nelle imprese (per incrementarne la produttività e di conseguenza la remunerazione dei lavoratori). Al contrario, la bolla speculativa che si è creata ed è poi esplosa ha sortito l’effetto contrario ovvero ha ridotto l’occupazione e il livello di attività produttiva generando un clima di grave incertezza sui mercati. Questa situazione ha portato infatti a riconsiderare la sostenibilità dei livelli di indebitamento pubblico (crisi dei debiti sovrani; anni 2010-11) incentivando indirizzi di politica economica di tipo restrittivo (austerity) che hanno aggravato ulteriormente la fase recessiva.
Lo stesso modello di sviluppo può essere ritenuto responsabile anche delle inefficienze sul fronte sanitario che hanno prodotto una serie di effetti altrettanto devastanti sull’economia. Innanzitutto, va ricordato che la scarsa attenzione riservata al tema dello sfruttamento indiscriminato delle risorse scarse e non rinnovabili e l’altrettanto grave sottovalutazione della questione ambientale vanno ricondotte a una concezione largamente dominante di fare impresa che ha guardato principalmente alla massimizzazione del profitto senza considerare aspetti più immateriali ma decisamente più importanti. Basti pensare al problema dell’inquinamento atmosferico e del cambiamento climatico che proprio in questo periodo sembra presentare drammaticamente il conto di tutte queste disattenzioni non solo in termini di calamità naturali ma anche incidendo negativamente sullo stato di salute delle persone, in particolare di quelle fragili come gli anziani, i bambini o con malattie croniche. A questo si aggiunga poi la sempre più diffusa condizione di siccità che sta condizionando le produzioni agroalimentari innescando gravi conseguenze sia per quanto riguarda la possibilità di seguire una corretta dieta alimentare (quindi sul lato salute) sia aggravando la questione della sostenibilità alimentare a livello globale.
La promozione di un determinato stile di vita ha prodotto una serie di comportamenti che hanno dunque inciso sulla tenuta del modello nel lungo periodo. Come premesso, questa condotta ha influenzato anche l’organizzazione del sistema sanitario e la sua capacità di affrontare le crescenti fragilità (emergenze) prodotte da un sistema ormai distorto. Va infatti sottolineato come la difficoltà a gestire la situazione dei contagi sia ancora una volta riconducibile a logiche di profitto che hanno guidato lo smantellamento della rete di medicina territoriale per spostare l’interesse verso strutture ospedaliere altamente specializzate e più remunerative (approccio ospedalecentrico) intendendo la sanità come cura ‘riparatoria’ e bypassando tutto il lato della prevenzione e dell’assistenza di prossimità. In questo modo trascurando tutta la parte relativa all’educazione alimentare e alla promozione di stili di vita adeguati disattendendo il presidio di tutte le determinanti della salute.
Guardando anche all’attuale crisi geopolitica mondiale e alle sue conseguenze dal punto di vista della dipendenza energetica - ma anche alimentare - è possibile rintracciare elementi distorsivi legati al perseguimento di mere logiche di profitto a scapito degli interessi territoriali. In tal senso, basti pensare alla ridefinizione della specializzazione produttiva di ciascun Paese e alle esternalizzazioni di attività produttive figlie di una pura logica di costo, che come ormai è noto ha minato nelle fondamenta anche i distretti industriali italiani.
Il filo conduttore di tutte queste dinamiche brevemente riassunte sembra quindi trovare radici profonde nel modello neoliberista (mainstream) che ha semplificato ogni ambito riconducendolo all’esaltazione dell’interesse individuale (self-interest) e in particolare all’ottenimento del massimo vantaggio (economico) dalla transazione. Questo approccio ha portato, nello specifico, a considerare un'unica forma d’impresa ovverosia quella che pone al centro il capitale e ha come obiettivo ultimo la massimizzazione della sua remunerazione (il profitto). Questa concezione ha prodotto di conseguenza anche una semplificazione della governance dell’impresa, che ha messo in secondo piano tutti gli altri potenziali (portatori di) interessi che ruotano attorno all’impresa. In realtà, l’attenzione verso la responsabilità sociale dell’impresa (corporate social responsability) è cresciuta anche nelle cosiddette società di capitali ma, anche in questo caso, è sembrato soprattutto a seguito dell’azione di advocacy di associazioni del Terzo settore (p.e. ambientaliste, di consumatori) e/o delle stesse cooperative e con l’intento di sfruttarla come strumento di marketing per ritagliarsi ulteriori fette di mercato altamente remunerative.
È stato proprio grazie alle crisi che si sono succedete negli ultimi 15 anni che si è assistito a un’accelerazione della messa in discussione del modello neoliberista (e mono-obiettivo/impresa). In particolare, sia a livello globale con la sottoscrizione dell’Agenda 2030 dell’ONU sia attraverso le recenti politiche economiche espansive post-pandemiche si è cercato di spostare l’attenzione verso la costruzione di un modello di sviluppo più sostenibile, nella triplice dimensione economica, ambientale e sociale.
Risulta di grande impatto lo strumento Next Generation Eu approvato dal Consiglio europeo il 21 luglio 2020, che vede nei piani nazionali di ripresa e resilienza il principale mezzo attuativo di processi di transizione ecologica e digitale e a sostegno dell’inclusione sociale
Guardando però al piano nazionale italiano non si trova alcun riferimento all’economia cooperativa o, nell’accezione più ampia, a quella sociale (oltre alle cooperative rientrano le associazioni, fondazioni, altri enti nonprofit). Vista la rilevanza economica e occupazionale, ma soprattutto sociale, di queste organizzazioni in Italia (Euricse-Istat, 2021), questa “dimenticanza” appare davvero singolare, in particolare se si scorrono le missioni previste e gli obiettivi specificati al suo interno. In quasi tutti gli ambiti, infatti, la cooperazione ha svolto e sta svolgendo tuttora un ruolo strategico. Si pensi alla transizione ecologica piuttosto che alla digitalizzazione o ancora e soprattutto al tema dell’inclusione e coesione sociale per arrivare fino alla sanità, comparto in cui il Terzo settore - in particolare le cooperative sociali - avrà molto da dire nei servizi di assistenza socio-sanitaria di prossimità.
Un riconoscimento diretto è venuto invece dal Piano d’azione per l’economia sociale pubblicato il 09 dicembre 2021 dalla Commissione Europea che legittima il ruolo delle organizzazioni dell’economia sociale nel promuovere un modello di sviluppo equo, sostenibile e inclusivo, puntando, attraverso questo documento, a un suo rafforzamento in tutti gli Stati membri (i quali dovranno produrre un piano d’azione in tal senso) grazie a una serie di misure di sostegno. In un certo senso, è possibile sostenere che l’Unione Europea abbia voluto con questo passaggio mettere la politica di valorizzazione e potenziamento dell’economia sociale allo stesso livello d’importanza di altre misure di estrema caratura politica come quelle sulla transizione digitale ed ecologica.
La Commissione Europea fa peraltro specifico riferimento al contributo che l’economia sociale potrà dare alla realizzazione del pilastro europeo dei diritti sociali nonché dell’obiettivo di sviluppo sostenibile a livello globale. In effetti, i principi di funzionamento del modello cooperativo (voto capitario, ‘porta aperta’, obiettivo di soddisfazione di un bisogno e ruolo secondario del capitale) favoriscono processi imprenditoriali partecipativi e inclusivi.
Le imprese cooperative e l’economia sociale nel suo complesso hanno quindi l’opportunità e il dovere di contribuire in maniera decisiva alle sfide che la società moderna ha di fronte, cercando di rendersi protagonista del cambiamento attraverso soluzioni innovative e sistemiche. Il nuovo modello di sviluppo che si intende perseguire tende infatti verso valori e principi che da sempre alimentano l’economia cooperativa e sociale e dunque il compito di queste forme organizzative risulta determinante, incrementando il loro grado di responsabilità verso la comunità e le generazioni future. La risoluzione di questioni decisamente delicate e critiche per il futuro dell’umanità passa sicuramente dall’adozione di modalità differenti – maggiormente inclusive e originali/innovative – di identificazione e risposta ai bisogni collettivi. Per far questo, le organizzazioni dell’economia sociale dovranno rafforzare la loro posizione cercando di conservare la propria originalità (identità) e facendo leva sui propri tratti caratteristici e fondanti per riuscire in questo modo a impostare un modello di sviluppo dominante alternativo e utile a evitare le distorsioni e le esternalità negative prodotte dal precedente.
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