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ISSN 2282-1694
impresa-sociale-2-2022-agricoltura-sociale-e-ruolo-dell-impresa-sociale-nell-erogazione-di-servizi-alla-persona

Editoriale

L’inserimento lavorativo, malgrado le politiche

Carlo Borzaga, Gianfranco Marocchi

Saggi

Quello strano istituto dell’art. 112

Luigi Gili

L’economia sociale in Italia: dimensioni ed evoluzione

Carlo Borzaga, Manlio Calzaroni, Eddi Fontanari, Massimo Lori

Il terzo settore dei servizi sociali nella crisi sanitaria

Annalisa Turchini

Coproduzione nei servizi per l'infanzia

Agostino Cortesi, Maria Sangiuliano, Nicole Traini, Massimo Zancanaro

Il contributo del terzo settore contro la dispersione scolastica

Grazia Falzarano, Melania Verde

Il ruolo delle imprese sociali nell'agricoltura sociale

Francesco Amati, Italo Santangelo

Una buona valutazione nella cooperazione allo sviluppo

Maura Viezzoli

Saggi brevi

Comunità energetiche rinnovabili

Andrea Bernardoni, Carlo Borzaga, Jacopo Sforzi

Casi studio

Rigenerazione urbana e approccio alle capacitazioni

Gaetano Giunta, Liliana Leone

Numero 2 / 2022

Saggi

Agricoltura sociale e ruolo dell’impresa sociale nell'erogazione di servizi alla persona

Francesco Amati, Italo Santangelo

Introduzione

L’agricoltura sociale può essere considerata come l’insieme di attività che, grazie all’utilizzo delle risorse dell’agricoltura, realizza azioni di rilevanza sociale, sanitaria e educativa nei confronti di persone interessate da disagi di natura fisica, psico-fisica e/o a rischio di esclusione sociale.

Si tratta dunque di interventi che, attraverso il recupero delle funzioni sociali tipiche dell’agricoltura, mettono a disposizione importanti opportunità socio-lavorative, come anche servizi educativi e sociosanitari, nei confronti delle fasce più vulnerabili della popolazione e contribuiscono, al fianco delle istituzioni locali, a garantire servizi di welfare in grado di rispondere in maniera più incisiva alle esigenze della collettività (Giarè et al., 2020).

Oggi, sono tantissime le aziende agricole che attraverso specifiche iniziative di carattere socio-sanitario, ricreativo, di formazione e inserimento lavorativo coinvolgono fasce di popolazione svantaggiate e/o a rischio di emarginazione sociale nei propri processi produttivi e di lavorazione delle risorse agricole.

L’agricoltura diventa, in quest’ottica, uno strumento di impareggiabile efficacia nello stimolare processi di sviluppo sociale ed economico delle aree territoriali in cui gli interventi vengono realizzati, sia in termini di contributo alla valorizzazione e riqualificazione delle aree rurali, spesso a rischio di desertificazione, sia rispetto alla capacità di coinvolgere il mondo delle imprese private, dell’imprenditoria sociale e del settore pubblico nella realizzazione di interventi con finalità sociale.

Il mondo dell’imprenditoria sociale – e del Terzo settore più in generale – assume un ruolo di rilevante importanza rispetto alla programmazione e realizzazione di interventi di agricoltura sociale che rispondano a specifici fabbisogni di interesse sociale. Non a caso, la normativa nazionale (L. 141/2015), che per la prima volta riconosce istituzionalmente questo specifico settore, include tra i soggetti che possono realizzare attività di agricoltura sociale le cooperative sociali, le imprese sociali e molte altre forme organizzative del Terzo settore.

Nel presente saggio, alla luce di quanto sin qui premesso, si intende mettere in evidenza il fatto che l’agricoltura sociale sta diventando sempre più una pratica diffusa nella realizzazione di interventi destinati a persone fragili e quindi, sempre più numerose sono le imprese sociali che svolgono questo tipo di attività in via principale o nell’ambito delle proprie attività istituzionali. Questa evoluzione è dovuta certamente al consolidarsi del quadro normativo in tema di agricoltura sociale, ma anche e soprattutto al fatto che la più recente normativa dell’impresa sociale (D.lgs. 112/2017) inserisce questo specifico ambito di intervento tra i settori in cui questo tipo di impresa può operate per il perseguimento delle sue finalità istituzionali.

In una prima parte si proverà a sintetizzare il percorso evolutivo del fenomeno, dalle origini fino alla costituzione del primo organismo di rappresentanza il Forum nazionale dell’agricoltura sociale e del suo ruolo rispetto ai processi di riconoscimento istituzionale avvenuti con l’approvazione della Legge nazionale di settore. A seguire si proporrà una sintesi dell’iter che ha portato all’emanazione della Legge nazionale sull’Agricoltura sociale (L. 141/2015) attraverso la quale questo specifico settore assume vesti istituzionali. Nello stesso paragrafo si focalizzerà l’attenzione anche sulle diverse fasi di ingresso dell’imprenditoria sociale (e di altre tipologie organizzative del Terzo settore) in questo specifico ambito d’intervento, a partire dalla normativa nazionale di riferimento fino alla nuova disciplina dell’impresa sociale (D.lgs. 112/2017) e del Codice del Terzo settore (D.lgs. 117/2017). In chiusura, verranno presentati e commentati alcuni, dei pochi dati a nostra disposizione, attraverso i quali è possibile inquadrare le dimensioni quantitative del fenomeno in Italia e la presenza di imprese sociali impegnate in questo tipo di attività.

Evoluzione del fenomeno: dalle origini all’istituzione del Forum nazionale dell’agricoltura sociale

L’agricoltura sociale nasce tra la metà degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta come risposta ai bisogni crescenti della società civile con l’obiettivo sia di produrre beni e servizi collocabili sul mercato che di inserire, a livello sociale e lavorativo, persone fragili[1]. La realizzazione di questo tipo di attività subisce un forte impulso a partire dal 1978, anno in cui la legge 180 (Legge Basaglia) decretò la chiusura del “manicomi; molte cooperative impegnate nel sociale iniziavano ad includere nei loro percorsi di terapia e riabilitazione attività legate all'agricoltura e all'allevamento e lo stesso avveniva nelle prime comunità di recupero per le tossicodipendenze e per altre marginalità. Si trattava di iniziative private di solidarietà e di assistenza che col passare del tempo coinvolgevano sempre più aree rurali e risorse agricole attraverso modelli operativi tipici della cooperazione. Queste venivano svolte in maniera del tutto informale[2], in mancanza di una normativa che riconoscesse all’agricoltura sociale un ruolo istituzionale; basti pensare, ad esempio, alle tante realtà (peraltro ancora oggi mai censite) di famiglie conduttrici di imprese agricole che presentavano tra i propri componenti uno o più soggetti con svantaggio (disabilità fisica o psichica, ritardo cognitivo o difficoltà di integrazione sociale) che, proprio grazie alla disponibilità di un fondo agricolo erano in grado di trovare a queste persone una collocazione lavorativa utile, seppur limitata o ridotta (Senni, 2005), oppure a tutte quelle aziende (comprese le cooperative sociali) che coinvolgevano nei propri processi produttivi in ambito agricolo persone con disabilità al fine sia di offrire loro un’opportunità di inserimento lavorativo che per finalità terapeutiche e/o riabilitative.

A partire dagli anni Novanta, a seguito dell’approvazione della legge 381/1991, la realizzazione di interventi di agricoltura sociale subisce un decisivo balzo in avanti. Attraverso questa legge, infatti, veniva formalmente riconosciuto un modello operativo che da tempo si traduceva nello svolgimento di pratiche fino a quel momento mai considerate da un punto di vista istituzionale. Le cooperative sociali infatti possono, secondo la legge 381/1991, svolgere attività produttive in vari settori, tra cui l’agricoltura, per favorire l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati. Viene così fatto un primo passo verso il riconoscimento di interventi di natura sociale basati sullo svolgimento di attività agricole, in cui l’unico protagonista è il settore dell’imprenditoria sociale.

Col passare degli anni questo tipo di interventi riesce a suscitare grande attenzione da parte di studiosi, amministratori pubblici, mondo dell’impresa e del Terzo settore. Nascono i primi tentativi di analisi e di misurazione del fenomeno, al fine di comprenderne la diffusione sul territorio, le sue caratteristiche strutturali e la reale efficacia delle azioni poste in essere. Il settore dell’agricoltura sociale inizia ad entrare nelle agende politiche, portando all’elaborazione di misure specifiche all’interno dei piani di sviluppo rurale e dei sistemi di welfare territoriale, attraverso la sperimentazione delle prime pratiche terapeutiche e riabilitative basate sull’utilizzo degli animali e dell’agricoltura.

Al giorno d’oggi, le esperienze che uniscono le attività agricole e gli interventi sociali rappresentano sempre più un’occasione importante per indirizzare l’agricoltura verso strategie capaci di rappresentare soluzioni nuove per la coesione del territorio (Giarè, 2012). Negli ultimi anni, infatti, il fenomeno è andato sempre più crescendo, soprattutto da un punto di vista quantitativo, tanto da rendere indispensabile (visto che la prima legge di settore è stata approvata solo nel 2015) la creazione di un organismo in grado di attribuire una rappresentanza ed una identità al settore dell’agricoltura sociale e ai soggetti che ne fanno parte.

Nasce, così nel 2011, il Forum nazionale dell’Agricoltura sociale[3], un’associazione che si prefissa il compito di unire le molte sensibilità presenti tra i soggetti che operano nell’ambito dell’agricoltura sociale e di spingere gli attori della politica a riconoscere questo specifico settore d’intervento a livello nazionale; ad oggi conta circa 450 aderenti. Il Forum nazionale negli anni ha dato vita a forum regionali, all’interno dei quali viene promossa l’interazione tra diversi soggetti appartenenti al mondo dell’imprenditoria agricola e sociale, dell’università e della ricerca nonché del pubblico e del Terzo settore, accomunati dalla condivisione dei principi dettati dalla cosiddetta Carta dei Principi dell’Agricoltura Sociale. Tali principi rappresentano le caratteristiche che le attività agricole devono possedere e le finalità che devono necessariamente essere perseguite da tutti i soggetti coinvolti. Nel box se ne riporta una sintetica elencazione.

Agricoltura multifunzionale. L’agricoltura sociale punta a valorizzare il carattere multifunzionale dell’agricoltura – il fatto cioè che questa attività rivesta al contempo la funzione di produzione di beni alimentari e insieme altre funzioni sociali – nel campo dei servizi alla persona, potenziare la produzione agricola di qualità, sperimentare e innovare le pratiche agricole nel rispetto delle persone e dell’ambiente, integrare la produzione di beni e servizi con la creazione di reti informali di relazioni. Essa promuove stili di vita sani ed equilibrati e tende all’innalzamento della qualità della vita locale nelle aree rurali e peri-urbane attraverso la creazione di contesti di coesione sociale e l’offerta di servizi per le persone e le popolazioni locali.

Welfare partecipativo. L’agricoltura sociale si lega ad un modello di welfare territoriale e di prossimità, basato sull’azione pubblica di regolazione e salvaguardia delle tutele dei cittadini a partire dalle fasce deboli e vede protagonisti gli operatori, le istituzioni locali, il terzo settore e gli altri soggetti del territorio. L’organizzazione del sistema di welfare è finalizzata al benessere delle persone, alla realizzazione di comunità accoglienti, che partecipano alla sua definizione e ne usufruiscono; essa valorizza l’interazione e la relazione tra i diversi soggetti coinvolti nei processi di costruzione, realizzazione e utilizzo dei servizi.

Salute e benessere. L’agricoltura sociale, proponendo attività a contatto con piante e animali, contribuisce al miglioramento del benessere individuale e di tutti gli esseri viventi e delle condizioni di salute delle persone coinvolte nei processi di terapeutici, riabilitativi e di cura.

Riconoscimento e tutela dei beni comuni. L’agricoltura sociale riconosce e valorizza il patrimonio dell’agricoltura, costituito dai beni naturali (terra, acqua, paesaggio, ecc.), dai beni materiali (attrezzi, edifici, varietà vegetali, razze animali) e dall’insieme delle conoscenze, dei valori, delle tradizioni (beni immateriali) che caratterizzato tale settore. L’agricoltura sociale valorizza il territorio che, in quanto habitat dell’uomo e sistema nel quale si intrecciano natura e storia, considera patrimonio culturale e bene comune.

Produzione di beni relazionali. L’agricoltura sociale produce contestualmente cibo e beni relazionali mediante processi agricoli sostenibili. L’agricoltura sociale, infatti, consente di costruire e consolidare relazioni significative tra persone diverse per provenienza, esperienza, capacità, problematiche e prospettive, contribuendo alla crescita del capitale sociale del territorio.

Agricoltura e legalità e beni liberati alle mafie. L’agricoltura sociale si impegna nella lotta contro tutte le illegalità e in particolare contro la criminalità organizzata, che mina nel profondo i valori della società e le prospettive di futuro. Le mafie sono incompatibili con la libertà delle persone e lo sviluppo delle comunità. Per questo l’agricoltura sociale si pone come priorità costruire comunità libere dalle mafie. La difesa della terra come bene comune, la difesa dell’ambiente, la lotta alle disuguaglianze sociali e la lotta all’illegalità sono quindi strettamente correlate. L’agricoltura sociale collabora con tutte le realtà che operano sui terreni confiscati alle mafie, sostenendone le iniziative e promuovendone i prodotti.

Un modello di coesione sociale. L’agricoltura sociale opera con un ampio spirito di cooperazione ed inclusione verso tutti i cittadini, senza discriminazione alcuna di sesso, di razza, di religione, e politica e pone al centro del suo sistema di servizi e di produzione la persona, nella sua unicità ed individualità, come portatrice di istanze e di diritti. Per questo le attività proposte sono sempre inserite in una progettualità più ampia, che coinvolge tutti i soggetti del territorio, con l’obiettivo di dare risposte alle esigenze dei singoli e allo stesso tempo produrre benessere e coesione sociale.

Agricoltura e ambiente. L’agricoltura sociale si sviluppa su una logica di sostenibilità ambientale, sociale ed economica, con particolare attenzione alla tutela e conservazione delle risorse naturali per le generazioni future in ogni singolo territorio. In particolare, l’agricoltura sociale tende prioritariamente e progressivamente a una produzione con metodo biologico, capace di salvaguardare allo stesso tempo la salute di tutti gli esseri viventi e l’ambiente. L’agricoltura sociale, inoltre, tutela il contesto ambientale attraverso la valorizzazione del patrimonio naturale e culturale, la promozione delle tipicità e delle eccellenze del territorio.

Educazione e formazione. L’agricoltura sociale promuove azioni per avvicinare alle tematiche ambientali, agricole e sociali tutte le persone, in particolari quelle più giovani; a tal fine organizza attività educative e formative, in collegamento con le scuole e le altre agenzie formative del territorio.

Sviluppo di reti e comunità. Le realtà che operano in questo ambito lavorano valorizzando le esperienze reciproche in un’ottica di scambio e reciprocità, favoriscono la nascita di reti, gruppi territoriali o tematici, aggregazioni di soggetti interessati ad approfondire le tematiche connesse con l’agricoltura sociale e ad avviare collaborazioni e progettualità comuni. Tali realtà tendono alla creazione di filiere agricole e sociali etiche.

Tutela della persona e del lavoro. L’agricoltura sociale è attenta ed impegnata nella ricerca di opportunità occupazionali per persone svantaggiate, considerando il lavoro un valore e non un costo dell’impresa. Le realtà che agiscono nel contesto dell’agricoltura sociale rispettano i diritti contrattuali e legislativi dei lavoratori, senza discriminazione alcuna e favoriscono la crescita professionale delle persone coinvolte nei processi produttivi.

Agricoltura sociale ed economia sociale. L’agricoltura sociale si inserisce nel movimento culturale che vede la produzione di beni e servizi orientata non solo a contenere la spesa pubblica e a soddisfare bisogni, ma anche a rafforzare la qualità dei legami sociali, secondo principi di solidarietà, sussidiarietà e condivisione. L’agricoltura sociale lavora per un maggiore pluralismo, anche delle forme di impresa, ritenendo questa una chiave di un cambio di rotta, perché capace di mobilitare nuove energie e risorse, anche superando il tradizionale binomio stato-mercato.

Oltre ad individuare, attraverso la carta dei principi, i criteri comuni per lo svolgimento delle di agricoltura sociale, il Forum, sin dall’inizio ha sollecitato le istituzioni affinché procedessero a definire una normativa si settore che fosse in grado di attribuire all’agricoltura sociale un riconoscimento istituzionale, di stabilire regole chiare e condivise sulle modalità di svolgimento delle attività e di individuare le caratteristiche e i requisiti dei soggetti che intendono operare in questo settore.

Grazie alle sollecitazioni del Forum e agli input provenienti da diverse Direttive europee in tal senso (come si vedrà nel prossimo paragrafo), viene avviato da parte delle Istituzioni italiane un processo di formalizzazione e di riconoscimento dell’agricoltura sociale che si conclude, nel 2015, con l’approvazione della prima legge di settore.

Dal riconoscimento istituzionale dell’agricoltura sociale al ruolo dell’impresa sociale nel quadro normativo di riferimento

I primi tentativi di riconoscimento delle pratiche di agricoltura sociale risalgono al 2006, anno in cui la valorizzazione di questo tipo di interventi è stata indicata tra gli obiettivi da perseguire nei Piani Strategici Nazionali (PSN) elaborati dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (MIPAAF). In diverse regioni, a partire dal 2000 nei Piani di Sviluppo Rurale (PSR) sono state previste misure che consentivano di finanziare investimenti nell’impresa agricola volti a realizzare progetti di agricoltura sociale.

Nel 2013 con l’emanazione del parere (2013/C 44/07) da parte del Comitato economico e sociale europeo inizia il lungo processo di regolamentazione, a livello europeo e a livello nazionale, di questo specifico ambito di intervento. Attraverso questo parere venivano poste le basi formali affinché gli Stati membri UE si adoperassero in tempi brevi per “(…) promuovere e sostenere questo settore, tra l'altro adottando, ai diversi livelli, un quadro normativo adeguato e favorevole, riconoscendone il valore aggiunto e migliorandone la governance (…)”.

Il Italia, nel 2015, in attuazione del parere della Commissione europea, veniva emanata la Legge n. 141 recante "Disposizioni in materia di agricoltura sociale"[4] attraverso la quale viene data una definizione a questo tipo di attività (art. 1), vengono elencate le finalità da perseguire, i soggetti idonei ad operare in questo settore, le modalità di riconoscimento pubblico degli operatori e l’individuazione dei beneficiari. Questa legge, oltre a promuove l'agricoltura sociale “quale aspetto della multifunzionalità delle imprese agricole finalizzato allo sviluppo di interventi e di servizi sociali, socio-sanitari, educativi e di inserimento socio lavorativo, allo scopo di facilitare l'accesso adeguato e uniforme alle prestazioni essenziali da garantire alle persone, alle famiglie e alle comunità locali in tutto il territorio nazionale e in particolare nelle zone rurali o svantaggiate”, descrive le funzioni e i compiti dell’Osservatorio dell’agricoltura sociale istituito presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e stabilisce i criteri di riconoscimento degli operatori agricoli ed i requisiti dei fabbricati in cui le attività vengono svolte. Su questo ultimo aspetto, all’art. 3, si dispone l’obbligo da parte delle Regioni e delle Province autonome di adeguare le proprie disposizioni normative in materia, al fine di stabilire gli specifici requisiti che gli operatori devono possedere per poter porre in essere interventi di agricoltura sociale, nonché le procedure che questi necessariamente devono esperire per poter divenire formalmente aziende agricole[5] e per potersi accreditare come “fattorie sociali”.

Oltre all’individuazione dei criteri generali ed organizzativi idonei allo svolgimento delle attività di agricoltura sociale, all’articolo 2 viene fatto espresso riferimento alle figure giuridiche che possono svolgere questo tipo di attività: gli imprenditori agricoli di cui all’art. 2135 del codice civile e le Cooperative Sociali che rispettino alcuni requisiti (ad esempio, al comma 4 dell’art. 2, viene stabilito che il fatturato delle Cooperative Sociali deve essere in prevalenza derivante dallo svolgimento di attività agricole)[6].

Al comma 5 dello stesso articolo viene data la possibilità alle aziende agricole di poter operare “in associazione con le cooperative sociali (…), con le imprese sociali di cui al decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 155, con le associazioni di promozione sociale iscritte nel registro nazionale previsto dalla legge 7 dicembre 2000, n. 383 nonché con i soggetti di cui all'articolo 1, comma 5, della legge 8 novembre 2000, n. 328 (…)”[7].

Con questa legge, dunque, l’esercizio di impresa agricola viene considerata, non solo da un punto di vista economico-produttivo, ma anche e soprattutto come intervento finalizzato all’inclusione sociale e lavorativa di persone svantaggiate (Tedioli, 2021) ed il riferimento esplicito al mondo della cooperazione sociale e dell’imprenditoria sociale oltre che di altre forme organizzative del terzo settore, rispetto agli interventi di agricoltura sociale, rappresenta un incentivo a creare forme di collaborazione tra il mondo dell’imprenditoria agricola e quello dell’imprenditoria sociale al fine di garantire l’erogazione di servizi diretti a realizzare:

  • formazione e inserimento lavorativo: esperienze orientate all’occupazione di soggetti svantaggiati o con disabilità relativamente meno gravi (tirocini, borse lavoro, assunzioni per disabili, detenuti, tossicodipendenti, migranti, rifugiati);
  • riabilitazione/cura: esperienze rivolte a persone con disabilità (fisica, psichica, mentale, sociale), con un fine principale socioterapeutico (laboratori sociali, centri diurni, comunità alloggio);
  • ricreazione e qualità di vita: esperienze rivolte ad un ampio spettro di persone con bisogni più o meno speciali, con finalità socio-ricreative, tra cui particolari forme di agriturismo sociale, le esperienze degli orti sociali peri-urbani per anziani;
  • educazione: azioni volte ad ampliare le forme ed i contenuti dell’apprendimento per avvicinare alle tematiche ambientali persone giovani o meno giovani (fattorie didattiche, centri estivi);
  • servizi alla vita quotidiana: come nel caso degli “agri-asili” o di servizi di accoglienza diurna per anziani.

Non è un caso che la nuova normativa dell’Impresa sociale, il d.lgs. 112/2017[8], faccia espresso riferimento all’agricoltura sociale quando elenca, all’articolo 2, le “attività di impresa di interesse generale” che questo tipo di impresa può svolgere per il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, inserendo, alla lettera (t) dell’elenco, anche le attività di “(…) agricoltura sociale, da svolgersi ai sensi dell'articolo 2 della legge 18 agosto 2015, n. 141 (…).

Lo stesso avviene nel Codice del Terzo settore (d.lgs. 117/2017) in cui “l’agricoltura sociale” viene inserita nell’elenco delle attività di interesse generale (Art. 5, lettera s) che tutti gli enti di terzo settore possono svolgere per il perseguimento della propria mission.

È evidente che il riconoscimento dell’agricoltura sociale, sia dalla normativa ad hoc che da quella dell’Impresa sociale fa sì che vengano poste in essere, con maggiore consapevolezza, nuove iniziative che coinvolgono attivamene le istituzioni pubbliche, la collettività e il mondo dell’imprenditoria sociale portando all’elaborazione di misure specifiche nei piani di sviluppo dei sistemi di welfare territoriale. Questi processi, che negli anni si sono sempre più consolidati, hanno permesso all’agricoltura sociale di acquisire una considerevole rilevanza in termini sia quantitativi che qualitativi. La caratteristica multifunzionale dell’agricoltura, infatti, è alla base di una riconsiderazione di questo settore: in passato era per lo più destinatario di interventi di politiche pubbliche volti a ridurre le differenze tra aree urbane ed aree rurali, mentre oggi, soprattutto con il riconoscimento normativo dell’agricoltura sociale e grazie al coinvolgimento attivo dell’imprenditoria sociale, diviene lo strumento attraverso il quale le aziende e i soggetti che operano nell’ambito dell’agricoltura sono in grado di offrire servizi di interesse sociale per le collettività di riferimento (Canfora, 2017). Dunque, le aziende agricole diventano le principali protagoniste nei processi di sviluppo delle aree rurali, promuovendo percorsi di welfare partecipati nei quali le comunità locali, e i vari soggetti che le compongono, agiscono attivamente nella presa in carico delle categorie più vulnerabili.

I numeri dell’agricoltura sociale: il Rapporto CREA 2020

Il fatto che la normativa nazionale dedicata all'agricoltura sociale sia sopraggiunta solo sette anni fa comporta non poche difficoltà anche rispetto al monitoraggio e alla misurazione quantitativa del fenomeno.[9]

Ad oggi gli unici dati ufficiali sull’agricoltura sociale a nostra disposizione sono quelli contenuti nel rapporto di ricerca realizzato nel 2020 dal CREA (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria) (CREA, 2020) che attraverso la ricognizione e la rielaborazione de dati derivanti dagli albi regionali degli operatori di agricoltura sociale (istituiti in attuazione alle leggi che ciascuna Regione ha approvato) riesce a offrire un quadro completo sulla presenza di questo fenomeno in Italia, sulle diverse tipologie giuridiche di soggetti che operano nel settore, sui servizi che vengono erogati, ed altro ancora. Da questo rapporto è possibile anche ricavare alcuni dati riguardanti il coinvolgimento delle imprese sociali nell’agricoltura sociale.

Per questo motivo riteniamo possa essere utile la lettura dei dati contenuti nel rapporto in esame, riferiti più nello specifico al mondo della cooperazione sociale.

Il rapporto, come prima cosa, mette in evidenza il dato secondo cui in Italia, al mese di ottobre 2020 risultano essere iscritte negli appositi albi regionali 228 realtà imprenditoriali (Figura 1) che svolgono attività di agricoltura sociale, di cui l’80% (pari a 128 unità) sono imprese agricole in senso proprio, il 14,5% (33 unità) Cooperative sociali e il 13% (13) altre tipologie organizzative, +76% rispetto ai dati di settembre 2018 e + 23% rispetto al 2019 (anno in cui è stato elaborato l’annuario CREA riferito agli anni 2017 e 2018).

Figura 1. Operatori iscritti negli albi regionali dell’agricoltura sociale per tipologia organizzativa. Valori assoluti. Anno 2020.

Fonte: CREA, 2020.

Rispetto ai dati appena presentati va, tuttavia, precisato che solo 115 organizzazioni hanno partecipato all’indagine indagine in esame; un numero nettamente inferiore rispetto a quello relativo alla totalità dei soggetti iscritti negli appositi albi regionali. Di queste, la maggior parte si trova nel Nord Italia (41%), il 38% nel Sud (Isole comprese) e il 21% al Centro. Il 64% è rappresentato dalle Cooperative sociali, il 18% da aziende individuali e il 2% da altre tipologie di cooperative (Figura 2). Tra le cooperative sociali, quelle di tipo B e A+B sono le più numerose, mentre meno rappresentate sono quelle di tipo A.

Figura 2. Distribuzione delle organizzazioni per forma giuridica. I valori percentuali sono calcolati rispetto a numero totale di organizzazioni (115) che hanno partecipato all’indagine. Anno 2020.

Fonte: nostre elaborazioni su dati CREA 2020.

Viene precisato, nel rapporto, che tra le società la quota maggiore è rappresentata dalle società di persone (s.s., s.n.c., s.a.s., ecc.) mentre tra le “altre forme giuridiche” le più numerose sono le associazioni di promozione sociale.

Le realtà censite sono di recente costituzione; tra quante hanno dichiarato l’anno di costituzione, risulta che il 45% è stato costituito negli ultimi dieci anni e solo il 30% ha iniziato la propria attività negli ultimi trent’anni del secolo scorso.

Il 77% del campione esaminato ha dichiarato di aver iniziato ad operare nel settore dell’agricoltura sociale negli ultimi dieci anni, mentre il 45% negli ultimi cinque. Questo dato è coerente con il fatto che fino al 2015 l’agricoltura sociale non fosse giuridicamente riconosciuta. Va considerato che, anche per questo motivo, solo negli ultimi anni sono stati avviati i primi tentativi di analisi e misurazione del fenomeno; lo dimostra il fatto che ancora oggi l’Istat non abbia ancora dedicato attenzione a questo specifico settore di attività. Questi dati evidenziano d’altra parte come l’evoluzione normativa insieme al cambiamento culturale possano favorire l’evoluzione di fenomeni sociali come quelli qui analizzati.

La Legge sull’agricoltura sociale prevede (all’articolo 2) i seguenti quattro tipi di interventi dell’agricoltura sociale:

  1. inserimento socio-lavorativo di lavoratori con disabilità e di lavoratori svantaggiati;
  2. prestazioni e attività sociali e di servizio per le comunità locali;
  3. prestazioni e servizi che affiancano e supportano le terapie mediche, psicologiche e riabilitative anche attraverso l’ausilio di animali allevati e la coltivazione delle piante;
  4. progetti finalizzati all’educazione ambientale e alimentare, alla salvaguardia della biodiversità nonché alla diffusione della conoscenza del territorio indirizzati bambini in età prescolare e di persone in difficoltà sociale, fisica e psichica.

Rispetto ad ognuno di queste categorie di intervento, il rapporto CREA in esame ci dice che l'attività principalmente svolta dal campione esaminato è l’inserimento socio-lavorativo (svolto dal 74% degli enti); troviamo poi le attività terapeutiche (45%) mentre circa metà del campione (51%) ha intrapreso attività di educazione ambientale. Infine, i servizi destinati alla comunità locale interessano un terzo del campione, mentre un 15% degli intervistati dichiara di svolgere altre attività di carattere sociale che non rientrano in quelle definite dalla legge (Figura 3).

Figura 3. Tipologia di attività svolte. Valori percentuali. Anno 2020.

Fonte: CREA, 2020.

Premesso che le attività vengono svolte direttamente dalle strutture (85%), queste si avvalgono quasi sempre anche della competenza di altri soggetti esterni con cui si crea una rete. Tra i soggetti esterni, quelli principalmente coinvolti appartengono più al mondo del sociale che a quello agricolo: ben il 56% degli intervistati indica le cooperative sociali come partner nello svolgimento delle attività di AS, seguono i servizi sociali (42%) e le associazioni di promozione sociale (34%); si rivolge ad imprenditori agricoli esterni solo il 17% delle realtà oggetto di indagine (Figura 4).

Inoltre, le realtà dell’agricoltura sociale tendono a fare rete con le istituzioni che operano sul territorio a vario titolo: il 31% degli operatori ha instaurato un rapporto con gli Enti locali e il 24% con le aziende sanitarie. Gli istituti secondari superiori e le Università sono coinvolti in un terzo dei casi: si tratta di esperienze che hanno visto il coinvolgimento dei ragazzi nelle esperienze di alternanza scuola/lavoro, di tirocinio e di stage.

Oltre al fatto che le imprese sociali possono svolgere direttamente attività di agricoltura sociale (se in possesso della qualifica di azienda agricola), esse sono in molte occasioni, alla luce dei dati appena presentati, i principali partners con cui chi opera nell’agricoltura sociale crea reti per rendere più efficaci gli interventi di agricoltura sociale.

Figura 4. I principali soggetti esterni coinvolti. Valori percentuali. Anno 2020.

Fonte: nostre elaborazioni su dati CREA 2020.

I partner dei soggetti di agricoltura sociale offrono una molteplicità di servizi, alcuni più orientati all’inserimento lavorativo e alla formazione di soggetti svantaggiati, altri più finalizzati al supporto delle persone socialmente escluse e alle famiglie con soggetti svantaggiati o a rischio di esclusione sociale (Figura 5).

Oltre agli interventi di inserimento socio lavorativo, quasi la metà dei partecipanti all’indagine fornisce servizi di formazione e di alternanza scuola lavoro per i soggetti svantaggiati e servizi di educazione ambientale ed alimentare.

Figura 5. Servizi offerti per tipologia di destinatari. Valori percentuali. Anno 2020.

Fonte: nostre elaborazioni su dati CREA 2020.

Come si è già avuto modo di dire nelle prime pagine di questo scritto, l’agricoltura svolge sempre più funzioni che vanno al di là della mera produzione di beni. La dimensione multifunzionale dell’agricoltura fa sì che essa diventi uno strumento efficace nei processi di erogazione di servizi di utilità sociale, di tipo socioculturale, di tutela dell’ambiente e di servizi educativi. Questo aspetto emerge in maniera evidente dai dati del Rapporto in esame, in cui la maggior parte delle realtà oggetto di analisi hanno dichiarato di svolgere contemporaneamente due o più attività connesse (Figura 6); in particolare, sono molto diffusi i punti vendita aziendali (43%), la fattoria didattica e i laboratori di trasformazione dei prodotti (41%) e la manutenzione del verde (35%).

Figura 6. Attività connesse all’agricoltura. Valori percentuali. Anno 2020.

Fonte: nostre elaborazioni su dati CREA 2020.

Molteplici sono le competenze richieste in questo settore operativo. Oltre alle specifiche competenze agrarie sono necessarie competenze di carattere sociale. Le organizzazioni intervistate, infatti, coinvolgono diverse figure professionali; in molti casi alcune competenze specifiche sono interne alla struttura stessa (82%), in altri casi ci si rivolge all’esterno (36%) (Figura 7). Una parte delle realtà indagate (19%), invece, ricorre sia a competenze sociali interne, sia a professionalità esterne. Riguardo alla tipologia delle professionalità presenti, la quota più rilevante è costituita dagli educatori (27%) e significative sono le figure del tutor (21%) e dello psicologo/psichiatra (15%).

Figura 7. Addetti con competenze sociali. Valori percentuali. Anno 2020.

Fonte: CREA, 2020.

Le attività di agricoltura sociale sono indirizzate a diverse tipologie di soggetti e generalmente le realtà operano con più categorie; tuttavia, circa il 90% delle realtà indagate svolge attività rivolte a persone con disabilità (Figura 8). Il 30% delle strutture rivolge le proprie attività a specifiche categorie della popolazione come quella dei detenuti o ex detenuti (33%), dei disoccupati con disagi socioeconomici (30%), degli immigrati (30%), delle persone affette da dipendenze (29%), dei rifugiati e dei richiedenti asilo (26%) e delle persone in terapia medico riabilitativa (30%).

Figura 8. I principali destinatari delle attività. Anno 2020. Quasi la totalità delle organizzazioni erogano servizi destinati contemporaneamente a più categorie di destinatari. Questo il motivo per il quale la somma dei valori percentuali indicati nella figura va ben oltre il 100%.

Fonte: nostre elaborazioni su dati CREA 2020.

In conclusione, alla luce dei dati appena proposti e della evoluzione culturale e legislativa, è facile dedurre che il settore dell’agricoltura sociale sia in costante espansione nel nostro Paese, così come in Europa (De Angelis, 2013). La capacità, da parte dell’agricoltura sociale, di mettere insieme attori così eterogenei (si pensi alle aziende agricole, ai consumatori, ai cittadini fruitori di servizi sociali, al mondo dell’imprenditoria sociale e ai referenti delle Istituzioni pubbliche) che interagiscono per il perseguimento di un obiettivo comune implementa la creazione di importanti esperienze di integrazione culturale, sociale ed economica tra attività produttive agroalimentari in senso stretto e processi di inclusione delle fasce deboli della società.

Conclusioni

Come è facile intuire, l’agricoltura sociale è un fenomeno non ancora analizzato e misurato in modo adeguato. Le potenzialità comunque evidenti, come si è provato a dire in questo articolo. Si tratta di un insieme di esperienze in fase di sviluppo, su tutto il territorio nazionale, che coinvolge sempre più attori eterogenei tra loro (la società civile, i consumatori, gli enti pubblici, il mondo dell’imprenditoria agricola e quello dell’imprenditoria sociale) al fine di perseguire finalità comuni attraverso l’utilizzo dell’agricoltura. Questa eterogeneità ha fatto sì che l’attenzione per questo settore sia notevolmente cresciuta, alimentando la nascita di un vero e proprio movimento, animato da una fitta rete di soggetti che operano nell’ottica della promozione e diffusione dell’agricoltura sociale. Questo aspetto viene evidenziato anche dai dati proposti, i quali in qualche modo ci confermano che questo settore è fortemente legato alla centralità della funzione produttiva; funzione che è parte dell’agricoltura multifunzionale, una sua espressione, proprio questo capace di combinarsi con gli interventi di carattere sociale e/o sociosanitario, valorizzandone i risultati. I dati confermano la natura “pioneristica” dei modelli di cooperazione sociale. Un carisma che perfonde e colora fisiologicamente il settore dell’imprenditoria sociale che della cooperazione sociale è ormai il naturale contenitore.

Come si è detto nel nella parte iniziale, i primi interventi sociosanitari dedicati e fasce deboli, sono stati sperimentati proprio attraverso modelli organizzativi tipici della cooperazione sociale (di tipo B), anche a patire da molto tempo prima che venisse approvata la stessa normativa dedicata.

Il corpus della riforma del 2017 e nello specifico il D.lgs. 112/2017 valorizzano questa vocazione; grazie ai nuovi assetti normativi si riconosce formalmente la rilevanza dell’agricoltura anche rispetto all’erogazione di servizi alla persona ridefinendo, altresì, il ruolo e l’utilità dell’imprenditoria sociale rispetto alla realizzazione di questi interventi.

In conclusione, va sottolineato che quando ci si riferisce alla scarsità dei dati a disposizione, non si fa soltanto riferimento alla obiettiva difficoltà di descrivere un fenomeno innovativo, ma anche all’opportunità di elaborare indicatori che siano in grado di esprimere efficacemente il delicato e profondissimo cluster di impatti che tali interventi sono in grado di avere sugli individui coinvolti direttamente e sui loro nuclei familiari, nonché sullo sviluppo di una agricoltura socialmente sostenibile. Misurare il ben-essere e il ben-vivere in termini di maggiore soddisfazione per la propria vita di individui e famiglie sarebbe un passaggio essenziale per comprendere quanto profondamente l’agricoltura sociale possa migliorare il benessere delle comunità.

DOI: 10.7425/IS.2022.02.07

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Note

  1. ^ Già nell’800 molti medici e psichiatri coinvolgevano i loro pazienti in attività agricole. Ciò avveniva in Francia, Belgio, Inghilterra, ecc. Si trattava di strutture costruite in aree rurali in cui i pazienti interessati da patologie di tipo psichiatrico o in stato di estrema povertà venivano inserite al fine di trovare loro una collocazione lavorativa in grado di rendere autonome, in termini economici e di approvvigionamento di cibo, le medesime strutture.
  2. ^ In Europa l’agricoltura sociale si è sviluppata in tutte le aree rurali europee dalla fine del XX secolo e si è svolta prevalentemente in aziende agricole biologiche, dove vi era una forte diversificazione delle attività e di apertura nei confronti del territorio. Le esperienze si rivolgevano a persone con disabilità intellettuali, fisiche o sensoriali, con patologie mentali, affette da dipendenze, ex detenuti, disoccupati di lungo periodo, ovvero giovani in difficoltà, anziani, soggetti con patologie specifiche.
  3. ^ https://www.forumagricolturasociale.it/
  4. ^ L. 18 agosto 2015, n. 141 “Disposizioni in materia di agricoltura sociale”.
  5. ^ Nel tempo tutte le Regioni e Province Autonome italiane, tranne la Valle d’Aosta, hanno disciplinato in vario modo la materia dell’agricoltura sociale, fornendone definizioni, dettando norme volte a regolamentarne l’attuazione e il monitoraggio e/o stabilendo specifiche misure di sostegno volte ad incoraggiare l’attivazione e lo sviluppo delle funzioni sociali delle attività agricole. Alcune Regioni sono intervenute in materia emanando leggi ad hoc, altre hanno disciplinato l’agricoltura sociale come aspetto della multifunzionalità dell’azienda agricola e/o della diversificazione delle attività agricole, in alcuni casi citandola nel titolo della legge (Friuli-Venezia Giulia, Campania, Calabria, Sardegna). Altre ancora si sono limitate ad inserire specifici articoli nell’ambito di testi normativi di respiro più ampio, relativi all’agricoltura e/o allo sviluppo rurale; in un solo caso (Sicilia), nonostante il ripetuto avvio dell’iter legislativo per l’adozione di una legge specifica sul tema, l’agricoltura sociale è stata disciplinata in leggi di stabilità regionale. Per approfondimenti sul tema specifico, si rimanda alla lettura del documento “L’agricoltura sociale nella normativa regionale italiana” (CREA, 2019).
  6. ^ Nel 2018, dopo l’emanazione del decreto attuativo della legge n. 141/2015 (Decreto Ministeriale “MIPAAFT” n. 12550 del 21 dicembre 2018 sulla “Definizione dei requisiti minimi e delle modalità relative alle attività di cui all’articolo 2, comma 1, della legge 141/2015”) vengono fornite, ulteriori indicazioni riguardanti i requisiti di carattere temporale e le modalità di esercizio delle attività di agricoltura e vengono, di conseguenza, definite attività di agricoltura sociale quelle esercitate “…regolarmente e con continuità, anche con carattere stagionale…”.
  7. ^ È opportuno precisare che le imprese sociali attraverso l’acquisizione della qualifica di “impresa agricola” possono divenire soggetti abilitati allo svolgimento delle attività di agricoltura sociale.
  8. ^ D.lgs. 112/2017, “Revisione della disciplina in materia di impresa sociale”.
  9. ^ L’Istat per la realizzazione del rapporto annuale sull’agricoltura del 2021, sembrerebbe intenzionata ad inserire alcune domande specifiche sull’agricoltura sociale da somministrare alle aziende agricole che svolgono.
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