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ISSN 2282-1694
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Editoriale

L’inserimento lavorativo, malgrado le politiche

Carlo Borzaga, Gianfranco Marocchi

Saggi

Quello strano istituto dell’art. 112

Luigi Gili

L’economia sociale in Italia: dimensioni ed evoluzione

Carlo Borzaga, Manlio Calzaroni, Eddi Fontanari, Massimo Lori

Il terzo settore dei servizi sociali nella crisi sanitaria

Annalisa Turchini

Coproduzione nei servizi per l'infanzia

Agostino Cortesi, Maria Sangiuliano, Nicole Traini, Massimo Zancanaro

Il contributo del terzo settore contro la dispersione scolastica

Grazia Falzarano, Melania Verde

Il ruolo delle imprese sociali nell'agricoltura sociale

Francesco Amati, Italo Santangelo

Una buona valutazione nella cooperazione allo sviluppo

Maura Viezzoli

Saggi brevi

Comunità energetiche rinnovabili

Andrea Bernardoni, Carlo Borzaga, Jacopo Sforzi

Casi studio

Rigenerazione urbana e approccio alle capacitazioni

Gaetano Giunta, Liliana Leone

Numero 2 / 2022

Saggi brevi

Comunità energetiche rinnovabili. Una sfida per le imprese sociali e di comunità

Andrea Bernardoni, Carlo Borzaga, Jacopo Sforzi

Introduzione

Il sistema energetico italiano ed europeo e la relativa politica stanno subendo una profonda trasformazione non solo per raggiungere i target di decarbonizzazione nel 2030, ma anche a seguito dell’instabilità geopolitica causata dalla guerra in Ucraina e dall’aumento dei prezzi dell’energia ricavata dalle fonti fossili. Tutti fattori che rendono necessario accelerare il processo di transizione energetica in generale e in particolare verso le fonti rinnovabili in modo da assicurare al Paese una piena sostenibilità non solo ambientale, ma anche sociale ed economica.

Le direttive europee “rinnovabili” (2018/2001/UE, la cosiddetta RED II) e “mercato” (2019/944/UE, conosciuta come IEM) hanno definito il quadro normativo per la partecipazione dei singoli e della collettività alla produzione, al consumo ed alla condivisione di energie da fonti rinnovabili.

È in questo contesto che sono state introdotte le Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) che vanno oltre il modello di produzione e utilizzo individuale dell’energia da fonti rinnovabili finora predominante. Le comunità energetiche, infatti, sono costituite da famiglie, imprese ed enti locali che collaborano volontariamente con l’obiettivo comune di produrre, consumare e condividere energia da fonti rinnovabili, senza avere come fine la generazione di profitti per i proprietari. Lo sviluppo delle CER ottimizza l’utilizzo dell’energia rinnovabile perché una volta prodotta, anziché essere immessa nella rete di alta tensione, viene condivisa nel territorio in cui è stata generata, rendendo così più sostenibile l’incremento della produzione di energia e la transizione da una rete elettrica con pochi centri di produzione ad una rete con una molteplicità di attori che producono, ed in molti casi consumano, energia elettrica.

Nonostante la recente introduzione, l’attenzione verso le comunità energetiche è cresciuta notevolmente non solo per la loro valenza ambientale e sociale, ma, alla luce dell’aumento dei prezzi dell’energia elettrica, anche per il loro potenziale economico. Le CER, infatti, hanno una duplice potenzialità. Da un lato, ridurre i costi energetici dei membri della comunità che condividono l’energia rinnovabile prodotta e perseguire obiettivi sociali, come quelli finalizzati al contrasto della povertà energetica. Dall’altro, essere uno strumento per realizzare nuove politiche territoriali, come previsto, ad esempio, dalle misure del PNRR orientate al ripopolamento delle aree interne del Paese.

Il quadro normativo e gli incentivi previsti per le comunità energetiche rinnovabili

Come anticipato nell’introduzione, il quadro normativo relativo alle Comunità energetiche rinnovabili è definito dalle direttive RED II e IEM che sono state recepite in Italia con la Legge N. 8 del 2020 che ha convertito in legge l’articolo 42/Bis del DL N. 162 del 2019, il cosiddetto “Milleproroghe”. Successivamente ARERA, con delibera N. 318 del 2020, ha definito il modello di regolazione delle Comunità energetiche rinnovabili e il Ministero per lo Sviluppo Economico (MISE), con il Decreto Ministeriale del 16 settembre 2020, ha definito il sistema incentivante, mentre, infine, il Decreto Legislativo N. 199 del 2021 ha modificato alcuni aspetti critici emersi a seguito dell’applicazione della Legge N. 8 del 2020.

La Legge N. 8 del 2020 specifica che le CER possono sviluppare e detenere impianti da fonti rinnovabili della potenza massima di 200 kW, collegati alla rete di distribuzione locale di bassa tensione. Inoltre, tutti gli impianti detenuti dalle CER e i membri delle CER devono essere sottesi alla medesima cabina di trasformazione secondaria. Il combinato disposto di questi vincoli è stato ritenuto da diversi stakeholder troppo stringente (De Vidovich et al., 2021) e una pluralità di attori hanno proposto di rivederli, superando in particolar modo il paletto della cabina secondaria e innalzando il limite della potenza massima delle CER. Queste proposte sono state accolte dal legislatore che, con il Decreto Legislativo N. 199 dell’8 novembre 2021, ha modificato la normativa pregressa innalzando la potenza massima degli impianti che possono essere detenuti da una CER da 200 KW a 1 MW ed ha stabilito che tutti i membri della CER, anziché essere alimentati dalla medesima cabina di trasformazione secondaria, possono essere alimentati dalla cabina di trasformazione primaria, ampliando quindi il numero dei potenziali membri di una CER. Di norma ad una cabina di trasformazione primaria possono essere collegati tra i 30 ed i 40 mila cittadini.

La Legge N. 8 del 2020 definisce le caratteristiche di base delle CER stabilendo che “l’obiettivo della CER è di fornire benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità ai suoi azionisti o membri o alle aree locali in cui opera la comunità, piuttosto che profitti finanziari”, senza, però, individuare una specifica forma giuridica per le Comunità energetiche rinnovabili. Tuttavia, la delibera ARERA N. 318 del 4 agosto 2020, che definisce il modello di regolazione da applicare alle CER, afferma che le CER si basano sulla “partecipazione aperta e volontaria, sono effettivamente controllate da azionisti o membri situati nelle vicinanze degli impianti di produzione detenuti dalla Comunità energetica rinnovabile. Gli azionisti o membri sono persone fisiche, piccole e medie imprese (PMI), enti territoriali o autorità locali, comprese le amministrazioni comunali, a condizione che, per le imprese private, la partecipazione alla comunità energetica rinnovabile non costituisca l’attività commerciale e/o industriale principale”.

Infine, il MISE, con Decreto Ministeriale del 16 settembre 2020, definisce il quadro di incentivi per le CER, nel dettaglio: l’energia condivisa dalle CER riceve una tariffa incentivante di 110 €/MWh ed un incentivo di 9 €/MWh quale premio per le minori perdite di rete generate dalla condivisione dell’energia prodotta all’interno della CER. Questo schema incentivante introduce un’importante novità, in quanto gli incentivi non sono legati all’energia da fonti rinnovabili prodotta dalla CER, ma all’energia condivisa, cioè all’energia prodotta dalla comunità energetica rinnovabile o da uno dei suoi membri e consumata da uno dei membri della CER. Il sistema incentivante introdotto dal MISE premia, quindi, un modello di sviluppo delle CER in cui la gran parte dell’energia prodotta è consumata all’interno della stessa comunità.

Il legislatore, inoltre, ha introdotto degli incentivi fiscali a sostegno della realizzazione, da parte delle comunità energetiche, degli impianti che producono energia da fonti rinnovabili. Nel dettaglio misure incentivanti sono contenute nell’articolo 119 del DL 19 maggio 2020, n. 34 (decreto Rilancio), convertito dalla legge 17 luglio 2020 n.77, che ha introdotto la detrazione del 110 per cento delle spese sostenute per determinati interventi di efficientamento energetico o antisismici (cd. Superbonus). In sintesi – come chiarito dalla risoluzione dell’Agenzia delle Entrate N.18/E del 12 marzo 2021 - tali misure prevedono:

  1. La detrazione del 50 per cento della spesa sostenuta, sino ad un massimo di 96.000 euro, per gli impianti di potenza massima di 200KW realizzati dalla CER oppure realizzati dai membri della comunità energetica e gestiti dalla CER;
  2. La detrazione del 110 per cento per gli impianti sino ad una potenza massima di 20KW realizzati da una comunità energetica rinnovabile costituita in forma di ente non commerciale.

Infine, il PNRR prevede finanziamenti a tasso zero per favorire la diffusione delle modalità di autoproduzione e autoconsumo collettivo, stanziando per le comunità energetiche rinnovabili e i sistemi di autoconsumo collettivo 2,2 miliardi di euro. L’intervento vuole promuovere l’istallazione di circa 2.000 MW di nuova capacità di generazione elettrica e finanzia gli impianti sino a 200 KW realizzati da comunità energetiche rinnovabili in comuni con meno di 5.000 abitanti.

Dopo aver analizzato il quadro normativo e le principali misure incentivanti relative alle Comunità energetiche rinnovabili è utile evidenziare le differenze esistenti tra CER e cooperative energetiche. A volte, infatti, a causa di una normativa ancora molto recente, le seconde sono confuse con le prime, individuando erroneamente le cooperative energetiche come esempio di CER.

Le cooperative energetiche, pur rappresentando un modello esemplare che descrive il potenziale della forma cooperativa nella gestione di un’attività di interesse collettivo, come è la produzione e distribuzione di energia, si distinguono dalle CER per una pluralità di fattori.

In primo luogo, il quadro normativo. Come abbiamo visto le CER sono disciplinate da una specifica normativa ed hanno rigidi vincoli in termini di potenza degli impianti, caratteristiche dei membri e potenza massima istallata. Vincoli che non sono presenti per le cooperative energetiche che nella gran parte dei casi hanno dimensioni ben più rilevanti rispetto al tetto massimo di 1MW fissato per le CER.

In secondo luogo, l’oggetto stesso dell’attività. Le cooperative energetiche, infatti, producono e distribuiscono energia che viene acquistata dai soci della cooperativa e quindi tutti i soci delle cooperative energetiche sono utenti. Le CER, invece, condividono l’energia da fonti rinnovabili prodotta direttamente dalla comunità energica oppure prodotta dai suoi membri. Possono essere membri delle CER i produttori di energia, i consumatori ed i cosiddetti prosumer, cioè attori che in diversi momenti della giornata, della settimana o dell’anno possono essere sia produttori che consumatori di energia da fonti rinnovabili.

Il potenziale delle CER ed il possibile ruolo delle imprese sociali e di comunità

Le comunità energetiche sono un modello alternativo per la produzione e l’uso dell’energia da fonti rinnovabili che si basa sulla capacità degli attori locali di auto-organizzarsi, di leggere i bisogni energetici, economici, ambientali e sociali e di costruire risposte collettive in grado di valorizzare le potenzialità di cui il territorio dispone e il tipo di energie rinnovabili che possono essere prodotte nella comunità.

Il valore delle CER va, però, oltre l’ambito energetico. Il loro sviluppo, infatti, può rappresentare un modello di produzione esemplare in cui i cittadini si auto-organizzano per raggiungere obiettivi di interesse collettivo applicabile alla gestione dei servizi pubblici locali – come, ad esempio, il servizio di raccolta dei rifiuti o la gestione del servizio idrico – e più in generale alla gestione dei beni comuni.

Le potenzialità delle comunità energetiche rischiano però di essere disperse se si affermeranno solo o soprattutto modelli di CER promossi, realizzati e gestiti – seguendo un approccio top-down – dai grandi player energetici, che vedono nelle comunità energetiche uno strumento di marketing, o dalle sole imprese interessate agli incentivi introdotti dal Governo.

Per evitare questi rischi e non disperdere il potenziale che le comunità energetiche possono rappresentare, sarà importante operare contemporaneamente su due fronti. Da un lato, individuare forme giuridiche e organizzative che facilitino la formazione e la gestione dal basso delle CER, dato che il legislatore non ha individuato in modo chiaro quale debba essere la forma giuridica da preferire. Dall’altro, stimolare e accompagnare i processi di costituzione delle comunità energetiche, con l’obiettivo di dare vita a CER realmente capaci di generare benefici collettivi e legati al territorio.

In merito al primo punto – come descritto in precedenza – la normativa che regola le CER non individua una specifica forma giuridica per questa organizzazione; tuttavia è ragionevole sostenere che la forma più idonea per la costituzione di una CER sia quella cooperativa e ciò per diverse ragioni.

In primo luogo, le CER in forma cooperativa devono rispettare il principio della porta aperta, cosa che garantisce, da un lato, il libero ingresso di nuovi soci e la loro fuoriuscita in qualsiasi momento, dall’altro, che non si possa stabilire nello statuto un numero massimo di soci. Grazie a questo principio tutti i membri della comunità in cui la cooperativa opera sono liberi di decidere se far parte di una CER anche dopo la sua costituzione.

In secondo luogo, la cooperativa garantisce la partecipazione attiva e democratica dei soci nel definire le strategie, la tipologia di fonte rinnovabile da utilizzare (es. eolica, solare, termica, fotovoltaica, energia idraulica, energia marina, biomasse), l’impegno finanziario richiesto ad ogni socio, lo sviluppo futuro e la destinazione degli utili generati dall’attività dell’impresa (es. nuovi servizi per la comunità di tipo culturale, socio-assistenziale, educativo o relativi alla mobilità sostenibile).

Infine, il modello cooperativo – fondato sulla messa in rete dei suoi membri – rappresenta una forma certamente in grado di favorire la cooperazione tra tutti i differenti portatori di interessi (pubblici e privati) che operano nello stesso territorio, garantendo così il controllo da parte degli abitanti sulla gestione dell’energia prodotta e un radicamento locale del capitale (economico e sociale) accumulato che rimane a disposizione della comunità.

Pur essendo quella cooperativa la forma giuridica più opportuna per la costituzione di una CER, tuttavia, le Comunità energetiche rinnovabili di dimensioni molto contenute – con poche decine di KW di potenza istallata – come sono larga parte delle CER costituite rispettando i vincoli fissati dalla Legge 8 del 2020 -, in alternativa alla forma cooperativa possono essere costituite in forma di associazione non riconosciuta. Nelle CER di dimensioni molto contenute, infatti, i costi di costituzione e di funzionamento in forma di cooperativa potrebbero essere troppo rilevanti ed assorbire la gran parte degli incentivi di cui può beneficiare la CER. Per questa ragione l’associazione non riconosciuta, che ha meccanismi di governance simili a quelli cooperativi e minori costi di costituzione e di funzionamento può rappresentare una valida alternativa alla forma cooperativa per le CER di piccole dimensioni. L’associazione non riconosciuta, però, non avendo personalità giuridica, non è lo strumento più idoneo per costituire CER di dimensioni medie e medio grandi in quanto questa forma giuridica non tutela adeguatamente gli amministratori ed i soci dalle responsabilità e dai rischi collegati alle attività delle comunità energetiche e presenta dei limiti nell’accesso al capitale di debito.

In merito al secondo punto, va ricordato che le CER, nel consentire ai cittadini, alle amministrazioni pubbliche e alle PMI di essere protagonisti nelle politiche energetiche del Paese, richiedono loro di “far rete” e di cooperare. Riuscire a far cooperare soggetti diversi tra loro è un aspetto che, se pur incentivato da motivazioni spesso prevalentemente di tipo economico (risparmio sui costi dell’energia), non è da sottovalutare, specie in contesti caratterizzati da un’elevata frammentazione sociale. Per comprendere le migliori strategie e azioni funzionali alla costituzione di una CER e al suo mantenimento nel tempo, è necessario analizzare le motivazioni e le modalità operative con cui i diversi attori locali decidono di costituirne una. Affinché si sviluppi all’interno di una CER un alto senso di comunità e un alto livello di partecipazione e coinvolgimento dei suoi membri, gli attori che propongono lo sviluppo di una comunità energetica devono avere competenze relazionali ed essere dotati di un forte leadership territoriale; devono saper dialogare con le famiglie, con gli amministratori pubblici, con i dirigenti scolatici, con gli operatori del Terzo settore ed i piccoli imprenditori del territorio; devono saper valorizzare le risorse che ciascun membro può mettere a disposizione della comunità riuscendo a costruire un percorso di sviluppo della CER integrato con i bisogni economici e sociali del territorio in cui la comunità energetica opera.

In questa prospettiva un ruolo importante nella promozione delle CER, oltre a quello degli operatori di sviluppo a livello nazionale e locale (es. enti pubblici e centrali cooperative), potrebbe essere svolto dalle imprese sociali e di comunità già esistenti. Diversi sono i motivi per cui le imprese sociali e di comunità possono rappresentare un’ottima base di partenza per lo sviluppo delle comunità energetiche.

In primo luogo, le finalità. Le imprese sociali e di comunità, a differenza delle imprese convenzionali, perseguono un’esplicita finalità sociale che si concretizza nella produzione di benefici diretti a favore di un’intera comunità o di soggetti svantaggiati che in essa vivono e più in generale nello sviluppo della comunità in cui operano (Borzaga, Fazzi, 2011; Mori, Sforzi, 2019). Grazie a queste finalità, coerenti con gli scopi istituzionali delle comunità energetiche, esse possono, da un lato, fornire alle CER il capitale reputazionale necessario per il buon esito nella fase di avvio dell’iniziativa e, dall’altro, rappresentare una garanzia affinché i benefici generati dalla comunità energetica siano effettivamente condivisi in modo equo tra i suoi membri e rimangano nel territorio in cui sono stati prodotti.

In secondo luogo, il radicamento territoriale. Le imprese sociali, e in modo ancora più marcato le imprese di comunità, possono essere degli efficaci promotori delle CER perché hanno uno stretto rapporto con le comunità in cui operano, ne conoscono i bisogni sociali ed economici e impiegano nei processi produttivi anche risorse apportate gratuitamente dai diversi attori della comunità (es. lavoro volontario, beni inutilizzati, donazioni, finanziamenti). Le imprese sociali e di comunità, inoltre, sono presenti in tutto il territorio nazionale, sia nelle aree urbane che in quelle rurali, e possono supportare la realizzazione degli interventi previsti nel PNRR, che finanziano la realizzazione delle comunità energetiche nei comuni con meno di 5.000 abitanti.

Infine, i modelli di governance. Un elemento distintivo delle imprese sociali e di comunità è la dimostrata capacità di coinvolgere nella proprietà e nella gestione diverse categorie di stakeholder attraverso modelli di governance inclusiva (Bernardoni, Picciotti, 2017; Sacchetti, 2018; Sforzi, 2018). Questo aspetto è centrale anche per le comunità energetiche ed è immaginabile che una CER promossa da un attore che adotta modelli di governance inclusiva o multistakeholder riesca a coinvolgere più agevolmente i portatori di interesse pubblici e privati presenti nel territorio.

Prime esperienze di comunità energetiche rinnovabili nate dal basso

Il ruolo degli enti del Terzo settore, delle imprese sociali e delle imprese di comunità nella promozione delle CER trova conferma dall’analisi delle prime comunità energetiche costituitesi dopo l’approvazione della legge N. 8 del 2020. 


Comunità Energetica e Solidale di Napoli Est

La Comunità Energetica e Solidale di Napoli Est è stata costituita nel 2020 nel quartiere di San Giovanni a Teduccio, su iniziativa di Legambiente Campania, che ha fornito le competenze tecniche per lo sviluppo della CER, e della fondazione Famiglia di Maria, con il supporto di Fondazione con il Sud che ha cofinanziato il progetto. La fondazione Famiglia di Maria è un ente filantropico di origine cattolica che nell’Ottocento gestiva un orfanotrofio nel quartiere; oggi è un’istituzione educativa laica che collabora con i servizi sociali del comune e gestisce un centro socioeducativo a San Giovanni a Teduccio (Legambiente, 2020).

San Giovanni a Teduccio fino agli anni Settanta del secolo scorso era una città industriale e operaia in cui erano insediate importanti imprese industriali e legate all’agroindustria come la Cirio in cui lavoravano circa 100 mila persone, la maggior parte operai. A partire dagli anni Ottanta è iniziato il declino industriale del territorio, le attività produttive hanno chiuso o sono state delocalizzate e lentamente San Giovanni a Teduccio è divenuto un quartiere con grandi fratture sociali, con un alto tasso di abbandono scolastico e un’elevata disoccupazione. Il quartiere ospita inoltre un complesso di alloggi costruito dopo il terremoto dell’Irpinia, due edifici di dieci piani di altezza e lunghi trecento metri, il cosiddetto “Bronx”, che rappresentano un esempio, in negativo, di come la cattiva architettura può produrre degrado e marginalità sociali. In questo contesto ha trovato progressivamente spazio anche l’illegalità.

È in questo contesto che Legambiente Campania e Fondazione Con il Sud, già interessati al tema, decidono di avviare il processo di costituzione di una CER. Il soggetto più adatto sul territorio è stato identificato nella Fondazione Famiglia di Maria, con cui Legambiente collabora da anni per la realizzazione di percorsi di educazione ambientale con i bambini.

La fondazione Famiglia di Maria rappresenta un importante presidio educativo e culturale all’interno del quartiere di San Giovanni a Teduccio e accoglie ogni giorno un centinaio di ragazzi a cui offre mensa, doposcuola e varie attività formative, realizzando anche progetti con le famiglie.

Tra i progetti di educazione ambientale realizzati dalla fondazione, oltre a quelli realizzati con Legambiente, ci sono altre iniziative, come la pulizia della spiaggia di San Giovanni a Teduccio, piccolo lembo di costa rimasto accessibile tra la ferrovia e gli stabilimenti dismessi. Oppure il recupero dell’area pubblica abbandonata proprio accanto alla fondazione, invasa da erbacce e spazzatura (Forti, 2020).

Come ricorda Mariateresa Imparato, presidente regionale di Legambiente Campania, “siamo andati nella periferia di una grande città perché volevamo che fosse un doppio esperimento, ambientale e sociale non basta trovare soluzioni tecniche per attivare piccoli impianti, bisogna coinvolgere i cittadini e cambiare insieme il modo di consumare energia. Con la fondazione avevamo già collaborato per progetti di educazione ambientale, quindi è stato naturale pensare a loro.”

L’attività di animazione territoriale della fondazione Famiglia di Maria ha favorito il coinvolgimento delle famiglie del quartiere che frequentavano la fondazione nel progetto della comunità energetica rinnovabile. La CER coinvolge 20 famiglie di consumatori che utilizzano l’energia prodotta dall’impianto fotovoltaico posto sul tetto dell’immobile principale della fondazione e finanziato da Fondazione Con il Sud.

L’impianto è composto da 166 pannelli, per una potenza complessiva di 53 KW. L’impianto è realizzato con componenti di maggiore qualità e tecnologia più avanzata, ed è garantito per 25 anni. Potrà produrre 60mila KWh in un anno. Un sistema di accumulo permette d’immagazzinare l’energia e mettere in rete quella in più; il ricavato sarà redistribuito a fine anno ai soci. Secondo le previsioni, ognuna delle famiglie associate riceverà tra duecento e trecento euro.

In un quartiere caratterizzato da forte diffidenza, la realizzazione della CER è stata resa possibile attraverso un importante “lavoro di comunità” facilitato dalla Fondazione Famiglia di Maria, che ha portato, dalle tre famiglie che costituivano il primo nucleo della CER, a sensibilizzare altre famiglie del quartiere fino ad arrivare a coinvolgere le 20 famiglie attualmente socie. La costituzione della comunità energetica rinnovabile rappresenta un importante risultato per la fondazione Famiglia di Maria, una forma di riscatto sociale con un valore anche simbolico, oltre che economico di contrasto alla povertà energetica. I protagonisti dell’esperienza evidenziano come questa iniziativa contrasti con la frequente identificazione del territorio come luogo di degrado e di attività illecite; al contrario, si tratta di un’esperienza spesso citata come all’avanguardia a livello nazionale e come la prima comunità energetica che è diventata operativa in Italia.

I benefici di questa iniziativa sono molteplici: vi sono benefici economici per i partecipanti alla CER stimato dai promotori tra i 200 e i 300 euro a famiglia; benefici ambientali derivanti dall’utilizzo di energia prodotta da fonti rinnovabili; e benefici culturali in quanto far parte di una comunità energetica da un lato aumenta la consapevolezza dei cittadini rispetto alle problematiche ambientali (De Vidocich et al., 2021) e dall’altro rappresenta un laboratorio di partecipazione civica che può essere applicato in altri ambiti della vita sociale ed economica della comunità.

Il modello di San Giovanni ha suscitato molto interesse in altre zone periferiche e, se Legambiente ha intrapreso un percorso simile su Scampia, Fondazione Con il Sud ha realizzato un bando per le comunità energetiche al Sud.


Comunità Energetica Rinnovabile di San Vito in Monte

La Comunità Energetica Rinnovabile di San Vito in Monte è stata costituita a fine 2021, applicando quanto previsto dalla Legge N. 8 del 2020, in una piccola frazione del comune di San Venanzo, in Umbria, su iniziativa della Cooperativa di Comunità Monte Peglia.

Il Monte Peglia è una montagna situata in un terreno collinare di origine vulcanica, delimitato su tre lati dalla confluenza di due fiumi e caratterizzato da una vasta area boschiva con un’importante presenza di flora e fauna. Nell’autunno del 2020 i cittadini dei comuni di San Venanzo e Parrano hanno costituito la Cooperativa di Comunità Monte Peglia con l’obiettivo di avviare un processo di rigenerazione dal basso del territorio che ha caratteristiche comuni a tante aree interne del Paese: spopolamento; difficile accesso alle vie di comunicazione; ridotte attività economiche; difficoltà nell’accesso ai servizi pubblici.

Il primo obiettivo della Cooperativa di Comunità Monte Peglia è creare una comunità energetica, con l’ambizione di far diventare il territorio “area ad emissioni zero”.

Altri obiettivi importanti della cooperativa sono la valorizzazione dei prodotti locali, la promozione dell’attività turistica, compresa l’ospitalità diffusa, e l’innovazione nell’agricoltura biologica. Per vincere la sfida dello sviluppo il territorio può contare sulle risorse naturali di cui è ricco: un’oasi naturale di 40 mila ettari, la maggior parte dei quali di demanio regionale con più di cento casolari abbandonati, patria di oltre mille specie di vegetali, quarantaquattro specie di mammiferi selvatici e trentaquattro varietà di uccelli.

La cooperativa nasce per cercare di arginare il rischio di spopolamento, visto che negli ultimi 5 anni nel Comune di San Venanzo ci sono stati 169 morti e solo 54 nati. L’obiettivo è quello di collegare tutte le imprese, le associazioni e i cittadini della zona per la valorizzazione del territorio e migliorare le condizioni sociali della popolazione creando nuova occupazione anche con l’autoproduzione di energia per tutti i soci.

La cooperativa è partita con un largo coinvolgimento dei cittadini – 48 sono i primi soci – e con il sostegno delle amministrazioni comunali di San Venanzo e Parrano.

I protagonisti dell’esperienza evidenziano come, con la chiusura della Comunità Montana Monte Peglia e Selva di Meana, e vista la debolezza delle politiche di rilancio dell’area, il territorio rischiasse il completo abbandono, pur se dotato di potenzialità non indifferenti: si tratta di uno dei pochi a livello nazionale non antropizzati, cui è stato attribuito un riconoscimento da parte dell’Unesco come Riserva della Biosfera.

Dal momento della costituzione la cooperativa si è impegnata nel guidare il territorio nel complesso percorso della transizione energetica svolgendo la funzione di aggregatore delle competenze e delle risorse presenti nella comunità. A tal fine ha promosso numerosi progetti finalizzati alla costruzione di una filiera per l’utilizzo sostenibile delle risorse boschive, alla diffusione di forme sperimentali di agricoltura biologica ed all’animazione territoriale per la costituzione delle comunità energetiche.

Dopo un anno dalla costituzione della Cooperativa di Comunità Monte Peglia, nell’autunno 2021, su iniziativa della cooperativa, con il supporto di Legacoopsociali Umbria, è stata costituita la Comunità Energetica Rinnovabile di San Vito in Monte.

San Vito in Monte è una piccola frazione del Comune di San Venanzo, situata sulla Via Etrusca che collega Perugia con Orvieto. Il borgo, popolato da appena 71 abitanti, si trova a 516 metri di quota e gode di una posizione panoramica unica su una vastissima porzione dell’Umbria e dell’Appennino Centrale. 

Della comunità energetica fanno parte dieci utenti di energia elettrica (utenze domestiche e piccole attività artigianali e commerciali) che si sono costituiti in associazione al fine di produrre e scambiarsi energia verde. L’energia elettrica è prodotta da un impianto fotovoltaico di 40 Kw di potenza installato sulla copertura di un capannone artigianale di proprietà di uno dei soci della comunità energetica ed è in grado di garantire gran parte dei consumi elettrici dei soci.

Alla comunità energetica hanno aderito anche le amministrazioni comunali di San Venanzo e Parrano che intendono mettere a disposizione della CER spazi pubblici (tetti, parcheggi, ecc.) per l’installazione di impianti fotovoltaici.

Questa iniziativa genera benefici economici per i soci e benefici ambientali per la comunità; tuttavia l’aspetto più importante è stata la capacità della cooperativa di comunità, prima, e della comunità energetica, poi, di svolgere una funzione di animazione e di stimolo per il territorio avvicinando cittadini, piccole e medie imprese e amministrazioni locali alle opportunità delle CER e più in generale alle problematiche della transizione energetica. In questa esperienza l’energia è lo strumento per costruire in modo partecipato nuove traiettorie di sviluppo per l’intera comunità del Monte Peglia.

Conclusioni

La diffusione delle comunità energetiche rappresenta una grande opportunità per sperimentare su larga scala modelli imprenditoriali fondati sull’auto-organizzazione dei cittadini e sulla valorizzazione delle risorse di cui dispongono i territori. Per questa ragione, in aggiunta al valore economico, sociale ed ambientale, le CER hanno un grande valore culturale – su cui sino ad ora si è poco riflettuto – in quanto possono rappresentare dei laboratori di partecipazione attiva diffusi in tutto il territorio nazionale che potranno contribuire a sperimentare soluzioni innovative nella gestione dei beni comuni, nella costruzione di nuove politiche di sviluppo locale e nella sperimentazione di nuovi modelli di welfare che puntino sul coinvolgimento dei cittadini.

Per queste ragioni, le imprese sociali e di comunità, insieme agli enti locali, agli enti del terzo settore ed alle centrali cooperative, saranno chiamate a svolgere un ruolo importante per promuovere e sostenere lo sviluppo di CER nate dal basso, fondate sulla partecipazione dei cittadini e che operano per lo sviluppo economico, sociale ed ambientale delle comunità a cui sono legate.

Per valorizzare il ruolo delle imprese sociali e di comunità nello sviluppo delle CER sono però necessarie delle azioni di accompagnamento finalizzate a innalzare le competenze tecniche in materia di energie rinnovabili di queste organizzazioni. In questa prospettiva un ruolo importante potrà essere svolto dalle reti imprenditoriali, dalle reti associative, dalle università e dai centri di ricerca, dalle fondazioni di origine bancaria che potranno realizzare specifici percorsi formativi sulla transizione energetica dedicati alle imprese sociali e di comunità e mettere a disposizione di queste organizzazioni e di chi vuole cimentarsi con la costituzione di una CER il supporto di soggetti specializzati in ambito energetico.

DOI: 10.7425/IS.2022.02.10

Bibliografia

Bernardoni A., Picciotti A. (2017), Le imprese sociali tra mercato e comunità, Franco Angeli, Milano.

Borzaga C., Fazzi L. (2011), Le imprese sociali, Carocci, Roma.

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Forti M. (2021), La comunità che si produce energia da sola a Napoli, Internazionale, 12 luglio 2021.

Legambiente (2020), Comunità Rinnovabili, Legambiente, Roma.

Mori P.A., Sforzi J. (a cura di) (2019), Le imprese di comunità, Innovazione istituzionale, partecipazione e sviluppo locale, Il Mulino, Bologna.

Sacchetti, S. (2018), “Perché le imprese sociali devono avere una governance inclusiva”, Impresa Sociale, 11.2018, p. 15-22.

Sforzi J. (2018), “Le forme di governance delle imprese di comunità”, in Mori P.A., Sforzi J. (a cura di), Le imprese di comunità, Innovazione istituzionale, partecipazione e sviluppo locale, Il Mulino, Bologna.

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