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ISSN 2282-1694
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Editoriale

L’inserimento lavorativo, malgrado le politiche

Carlo Borzaga, Gianfranco Marocchi

Saggi

Quello strano istituto dell’art. 112

Luigi Gili

L’economia sociale in Italia: dimensioni ed evoluzione

Carlo Borzaga, Manlio Calzaroni, Eddi Fontanari, Massimo Lori

Il terzo settore dei servizi sociali nella crisi sanitaria

Annalisa Turchini

Coproduzione nei servizi per l'infanzia

Agostino Cortesi, Maria Sangiuliano, Nicole Traini, Massimo Zancanaro

Il contributo del terzo settore contro la dispersione scolastica

Grazia Falzarano, Melania Verde

Il ruolo delle imprese sociali nell'agricoltura sociale

Francesco Amati, Italo Santangelo

Una buona valutazione nella cooperazione allo sviluppo

Maura Viezzoli

Saggi brevi

Comunità energetiche rinnovabili

Andrea Bernardoni, Carlo Borzaga, Jacopo Sforzi

Casi studio

Rigenerazione urbana e approccio alle capacitazioni

Gaetano Giunta, Liliana Leone

Numero 2 / 2022

Saggi

Il contributo del terzo settore nelle azioni di contrasto alla dispersione scolastica

Grazia Falzarano, Melania Verde

Introduzione

La pandemia da Covid-19 ha segnato il sistema scolastico italiano, già fortemente provato, imponendo riforme in itinere. Nello specifico, la chiusura delle scuole, durante la prima fase pandemica e l’apertura a singhiozzo, nelle fasi successive, ha sacrificato apprendimenti e fruizione di beni relazionali, comportando la stasi della motivazione ed incrementando il disagio giovanile, con effetti significativi, soprattutto nelle regioni meridionali, già segnate, come è noto, da alti tassi di abbandono scolastico. In questo saggio si prova a riflettere sul contributo degli enti di Terzo settore nel garantire un’istruzione di qualità e nel contrastare il fenomeno della dispersione scolastica. In particolare, nella prima parte ci si sofferma sul problema, ovvero sul fenomeno della dispersione scolastica in Italia e in Europa, pre e post pandemia; nella seconda parte, invece, si pone il focus su chi e su come si sta intervenendo. La riflessione si concentra, poi, sulle diverse iniziative portate avanti dagli enti di Terzo settore, sia direttamente che indirettamente, nell’ambito della formazione e dell’educazione formale e informale, a livello nazionale oltre che internazionale, per sostenere un’educazione di qualità, in generale, e per contrastare la dispersione scolastica, in particolare.

Dall’emergenza sanitaria a quella educativa

La pandemia da Covid-19 ha causato uno shock a tutti i livelli, agendo in modo trasversale ed asimmetrico. Dall'analisi comparativa (World Bank, 2020) emerge come la pandemia abbia influito negativamente sia sulla capacità reddituale delle famiglie, sia sulla qualità delle relazioni sociali; e la scuola come luogo privilegiato di aggregazione e di apprendimento ne ha pagato certamente le conseguenze. L'interruzione della didattica, a più riprese, legata anche all'incapacità di far fronte in maniera adeguata all'emergenza, soprattutto in fase iniziale, ha accentuato le già esistenti barriere sia materiali che non materiali. Secondo il report redatto dalla World Bank (2020), la pandemia ha avuto effetti diretti sull’educazione comportando la stagnazione del learning, la crescita delle disuguaglianze e di conseguenza, il declino della frequenza scolastica, con molteplici effetti indiretti, tra cui vulnerabilità emotiva e stress. La crisi economica connessa al Covid-19 ha registrato anche la riduzione dell’investimento nell’istruzione dei propri figli da parte dei genitori (soprattutto di quelli più fragili e già deprivati da un punto di vista socioeconomico), creando, nel medio-lungo termine, un circolo vizioso dato dall’incremento della povertà educativa e l’abbassamento del capitale umano[1]. L’Unesco già nel 2020 (report, 2020) ha stabilito un quadro di emergenza di riferimento sul quale poter adeguare le politiche nazionali per ridurre l’impatto della pandemia, avendo come priorità, anche in piena pandemia, l’apertura delle scuole. L’interruzione e/o la fruizione a singhiozzo della didattica, ha sacrificato, oltre agli apprendimenti, anche il godimento di quelli che in letteratura vengono definiti “beni relazionali”[2], comportando una drastica riduzione sia quantitativa che qualitativa delle relazioni genuine tra gli individui. Altro aspetto da considerare è quello legato alla “dispersione nascosta” dei ragazzi con disabilità e di chi è in particolare condizione di disagio socioeconomico. Con l’istituzione della Dad (didattica a distanza) e poi della Did (didattica integrata)[3], i primi si sono visti privare la possibilità di un percorso specifico, soprattutto durante la prima fase pandemica, a contatto diretto con l’insegnante; i secondi, di strumenti didattici quali personal computer, connessioni internet stabili, piattaforme di apprendimento per seguire le lezioni; mancanze, queste, colmate solo in parte dai singoli istituti. Il cosiddetto “divario di abilità” è stata la falla più grande del nostro sistema scolastico. L’inclusione e la digitalizzazione come processo implicito e non conclusivo della globalizzazione hanno mostrato, durante la pandemia, un indice di regresso che mai si sarebbe dovuto registrare in situazioni di tale emergenza (divario tecnologico e mancato accesso ai servizi essenziali dello stato). Le difficoltà incontrate durante la Dad, lamentate dagli stessi docenti e discenti, sono stati macigni allo sviluppo delle categorie soprattutto più fragili. Un rumore silenzioso ascoltato solo da coloro che affrontano quotidianamente sfide non semplici per molti e che hanno visto sfumare via piccole e grandi opportunità di crescita. Uguaglianza ed inclusione, benchmark del progresso, devono essere perseguiti in sinergia, garantendo un'uguaglianza formale attraverso policy efficaci ed un'uguaglianza sostanziale adattandosi alle diverse esigenze e fattispecie considerate. Ancora oggi, però, la dignità, l’uguaglianza e l’inclusione rimangono troppo spesso solo principi scritti a lettere. Ci troviamo di fronte ad una nuova crisi del welfare state italiano, che non è in grado di garantire la crescita dei funzionamenti essenziali propri di ogni individuo. Ricordiamo che, secondo Amartya Sen, (Musella, 2021), un buon sistema di welfare, è quello in cui è possibile sviluppare le proprie capabilities, nel senso di capacity ed ability, volte a determinare le proprie scelte di vita, nella libertà ovviamente di poterle attuare. Il problema della dispersione scolastica, a prescindere da qualsiasi disamina fenomenologica, si può ricondurre alla non consapevolezza, delle istituzioni piuttosto che dei policy maker che la conoscenza, in tutte le sue forme, rende gli uomini liberi.

Gli effetti della pandemia sui livelli di istruzione ed abbandono scolastico: i numeri

In termini di effetti del Covid sulla scuola, il dato che maggiormente preoccupa riguarda il primo ciclo di istruzione (scuola primaria, scuola secondaria di I grado); infatti, l’abbandono scolastico tra gli adolescenti, prima della pandemia, in Italia già al 13.5% (Comunità di Sant’Egidio, 2021), per quanto fosse fra i tassi più elevati in Europa, evidenziava comunque un trend in discesa.

Nell’ultimo anno si è registrata, seppur i dati non siano ancora completamente aggiornati, una consistente crescita a causa delle disposizioni di distanziamento imposte, nonché per via della Dad, della Did e del disagio arrecato dall’uso di presidi sanitari, dalla scarsa motivazione, delle difficoltà infrastrutturali (mancanza di connessioni adeguate o di dispositivi digitali ad esempio) che hanno sottolineato, come già ribadito, le differenze della condizione socioeconomica e culturale delle famiglie anche all’interno di una stesso contesto o gruppo classe, evidenziando in modo drammatico tutti quegli studenti più esposti o fragili, e rendendoli più vulnerabili a tal punto da progettare un' autoesclusione dal mondo della scuola, in modo particolare chi era già a rischio di abbandono precoce. Fenomeno più diffuso al sud per estrazione sociale assieme a quello di genere (abbandono più frequente tra i ragazzi) segnano in negativo il Mezzogiorno e la media italiana. Inquietanti ed inequivocabili sono state le segnalazioni giunte alle procure minorili; il caso di Napoli, dove sono giunte 900 segnalazioni solo nei primi mesi del 2021 rispetto alle 800 di tutto il 2019, rende bene l’idea.

Se si considerano i dati ISTAT (2020) per abbandono del ciclo secondario di studi, la percentuale riscontrata nella provincia di Napoli è già particolarmente elevata pari a circa il 22% (con percentuali altrettanto alte nelle province di Caserta 17,9% e Salerno 19%, seguono poi Benevento 11,2%, Avellino 7,5%). A tal proposito, analizzando i dati Covid e pre-Covid nella città di Napoli, è emerso come la percentuale di abbandono del I ciclo di istruzione secondaria sia addirittura triplicata rispetto alle annualità precedenti, dallo 0,60% (2028-2019) al 2,58% (2020-2021). Tali percentuali si riferiscono principalmente alla Municipalità 2 di Napoli (zona Avvocata-Mercato Pendino) ove maggiore è risultato il margine di differenza[4]. Diverse le proposte per arginare il problema: dagli “school facilitator” con il compito di orientare i bambini nei loro momenti di perplessità, all’istituzione dell’obbligatorietà della scuola materna. La regione Campania, nel luglio 2021, ha approvato un piano di finanziamenti da 10 milioni di euro per contrastare la povertà educativa, alla luce della situazione pandemica in concomitanza dell’apertura delle scuole. Ma sulle strategie di contrasto si rinvia ai paragrafi successivi.

Ulteriore triste risvolto della dispersione scolastica è quello di avere sempre più giovani Neet (Not in Education, Employment and Training). Nel 2019 la percentuale dei 13-34enni Neet era pari al 23.8% ed è salita al 25.1% nella metà del 2020. A livello europeo, l’Italia, insieme a Grecia e Spagna, è agli ultimi posti per il basso tasso di occupazione (Eurostat, 2021). Secondo il rapporto BES, Benessere Equo e Sostenibile, (fonte Istat- rilevazione di forza lavoro) nell’anno 2019, la percentuale di occupati in Italia di 20-64 anni è del 63,5 per cento, così ripartita, Nord: 72,9 %, Centro 68,3% e Mezzogiorno 48,5%, dove la Campania si trova al penultimo posto tra la Calabria e la Sicilia. Un’ulteriore analisi svolta in collaborazione con il Global Labor Organization (GLO) ha evidenziato come nella classificazione a livello provinciale (Nuts 3) in Italia sia più alto l’abbandono scolastico e vi siano poche opportunità lavorative; la provincia di Caltanissetta mostra la più alta probabilità di incorrere Neet (drop-out), seguita dalle province di Catania, Palermo, Trapani e Benevento.

Una visione d’insieme del fenomeno dell’abbandono scolastico, molto più precisa ed accurata, potrebbe derivare dal progetto dell’Istat di creare un Registro Tematico su Istruzione e Formazione per una chiara tracciabilità dei dati. In merito a questo punto, è rilevante citare un ulteriore studio promosso dall’ANS (Anagrafe Nazionale Studenti), che monitora l’assolvimento del diritto e dell‘obbligo di istruzione, sulle giuste motivazioni che spingono gli studenti all'abbandono.

Secondo il rapporto redatto da Ufficio Gestione Patrimonio Informativo e Statistico ANS-Miur, 2021), negli ultimi cinque anni si è registrato, di contro a quanto precedentemente riportato, un calo della dispersione scolastica. In realtà, l’apparente discrasia è dovuta all'utilizzo di diversi parametri di ricerca, sulle “uscite” motivate dal sistema scolastico come trasferimenti in scuole non paritarie, trasferimenti all’estero, passaggi a percorsi regionali di Istruzione e Formazione Professionale, ecc.

Tuttavia, è bene ricordare come la dispersione scolastica sia un processo complesso che si struttura nel tempo attraverso il ripetersi e/o il sommarsi di diversi fenomeni. Tra questi vanno ricordati: i frequenti trasferimenti e cambiamenti di sede; i ritardi, le assenze ripetute e la frequenza irregolare; le difficoltà di adattamento alle regole, alle richieste e agli orari dell’istituzione scolastica; le difficoltà di relazione dei ragazzi con i pari e con gli insegnanti; le difficoltà di collaborazione con le famiglie; la scarsa partecipazione, il disinteresse, la bassa motivazione dei ragazzi in classe; le difficoltà di apprendimento, il basso rendimento, l’accumulo di insuccessi; le bocciature e le ripetenze. La varietà delle manifestazioni rientranti nel fenomeno della dispersione scolastica e la pluralità e sovrapposizione degli indicatori rendono da sempre difficile l’elaborazione di dati quantitativi certi sul fenomeno.

L’Italia in Europa 

Significativo anche il report dell’Istat del 2021 sui Livelli di Istruzione e Partecipazione alla Formazione. Nell’analisi si considera la fascia di età 18-24 che non ha ancora completato il ciclo di studi secondari e coloro che nella fascia dai 24 ai 65 anni non possiedono un titolo di studi, cosiddetto terziario. Se ci si sofferma sul primo aspetto, secondo quanto riportato nel 2020, l'Italia si è collocata al terzo posto tra i 19 paesi dell’Unione Europea per abbandono scolastico dei giovani tra 18 e 24 anni: il 13,1% (543 mila). Dagli ultimi dati Istat pubblicati nel Ciclo di Audizioni del giugno 2021, emerge come la quota dei giovani dai 18 ai 24 anni, al di fuori di Early Leavers from Education and Training (ELET), sia ancora alta in Italia rispetto alla stima in Europa. Il gap a livello territoriale resta comunque ampio tra il sud e il nord del nostro Paese, soprattutto con il Nord-Est, dove l’abbandono si fa sentire di meno, nonostante nel 2020 la differenza registrata per quanto riguarda l'abbandono scolastico nel Mezzogiorno sia scesa a 5,3 punti rispetto al 7,7 registrata nel 2019. Allo stesso modo, la quota dei giovani dai 30 ai 34 anni che ha conseguito un titolo di studio terziario, obiettivo di una società della conoscenza come quanto prefissato dalla Strategia Europa 2020, è risultata stabile, sebbene negativa rispetto alla media registrata in Europa. In relazione a questo punto, una visione d’insieme ci viene data dalla consultazione del report redatto dall’Eurostat (2021), ove vengono raccolti ed elaborati dati forniti dai ministeri ed istituti statistici nazionali: l’Istat, l’Istituto delle Statistiche dell’Unesco e l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico. Nel febbraio del 2021 è stata adottata la Risoluzione per la Cooperazione Europea in materia di istruzione ed educazione (2021-2030), secondo l’International Standard Classification of Education (ISCED) che conta cinque priorità strategiche: di cui inclusione e qualità, long life learning, rafforzamento delle competenze, creazione di uno spazio Europeo dell’Istruzione, con l’obiettivo di rafforzare entro il 2025, quelle di transizione al verde e al digitale (globalizzazione) al fine di eliminare le disuguaglianze accentuate dalla crisi pandemica. Il report (Eurostat, 2021) classifica le aree regionali secondo nomenclature di unità territoriali statistiche (NUTS 1 e 2) dividendo macroaree, regioni a maggiore impatto socioeconomico e micro aree, le basic regions, in cui sono attuabili le policy come previsto dalla politica europea di coesione territoriale. Le mappe devono essere comprese operando una distinzione tra i diversi sistemi d’istruzione nazionali, considerando la general education (istituti liceali) e la vocational education (istituti tecnici specializzanti), indicati rispettivamente con gradazioni di colore (arancione e blu); i grafici devono essere letti secondo la concentrazione delle scuole a livello territoriale. Per quanto riguarda l’Upper Secondary Education (Mappa 1) il 2019 ha registrato 17.6 milioni di studenti europei frequentanti la scuola secondaria. Come si evince, in Italia si registrano in media valori percentuali compresi tra il 42.0 ed il 51.6 degli studenti iscritti ai programmi di general education; le regioni del Lazio, Umbria, Basilicata hanno valori più alti (≤ 60.0), mentre l’unica differenza è data dalla provincia autonoma di Bolzano e di Trento dove predomina la scelta per percorsi di studio tecnici, che offrono opportunità lavorative già entro un anno dal conseguimento del diploma, secondo i dati elaborati dal Miur (2021). Sulla base delle percentuali ottenute, di cui sopra, il quadro italiano (ovvero la maggior parte delle regioni del nord e l’intero sud) si presenta pressoché uniforme circa la preferenza degli studenti nella scelta di istituti liceali (general education) (Mappa 1, gradazione grigio chiaro). La scelta preclude la possibilità di percorsi professionalizzanti in linea con le richieste del mercato del lavoro, che non può eludere da una considerazione generale europea.

Mappa 1. Statistiche dei livelli di istruzione ed educazione a livello regionale (europeo). Studenti iscritti a corsi di istruzione superiore di secondo grado (istituti liceali). Anno 2019. Percentuale complessiva di alunni e studenti iscritti a corsi di istruzione superiore di secondo grado, secondo la classificazione regionale NUTS 2. Nota: Germania, classificazione regionale NUTS, livello 1. Turchia: dati nazionali. Macedonia del nord: dati 2018.

Fonte: Eurostat (codici dati online: educ_uoe_enrs04; educ_uoe_enrs06).

L'educazione terziaria, secondo il quadro europeo, si riferisce al più alto grado di preparazione e comprende vari livelli, dai corsi di laurea ai dottorati di ricerca. I dati del settore terziario riflettono maggiormente le differenze territoriali, demografiche e della forza lavoro; per cui la concentrazione maggiore si registra in alcune delle principali aree urbane. È da notare che solo un quarto delle regioni europee ha raggiunto gli obiettivi in relazione al più alto grado di istruzione. Nel rapporto Eurostat 2021 (Mappa 2), l’Italia si colloca in basso assieme ad altri stati dell’est Europa, classificata come area rurale con poche opportunità lavorative per personale qualificato. A ciò si aggiungono anche le difficoltà per le PMI di reperire figure specializzate (STEM)[5] nei distretti industrializzati, specie nel nord-est, area territoriale di riferimento, come rivela il rapporto della Cgia (2021). La Campania e le altre regioni del sud si mantengono in linea con il nord Italia, se si vuole azzardare una valutazione in finibus sulla base della classificazione europea (Mappa 2), con percentuale che va dal 13.0 al 19.1. (colore grigio chiaro), tranne per la Basilicata nella quale la percentuale di studenti iscritti a percorsi di studio terziari è stimata intorno al 9.5%; un dato che porta necessariamente ad una valutazione territoriale, demografica congruente con i bacini universitari presenti. Posto che il Mezzogiorno è da anni arenato da un punto di vista socioeconomico, per cui solo poche aziende sopravvivono e le restanti optano per la delocalizzazione delle attività produttive o addirittura sono costrette a chiudere, la scelta dei giovani (opportunità lavorative, trasferimenti) si ripercuote inevitabilmente sul fenomeno della dispersione scolastica complessivamente considerato, alla luce dei dati forniti a livello europeo.

Mappa 2. Statistiche dei livelli di istruzione ed educazione a livello regionale (europeo). Studenti iscritti a corsi di educazione terziaria. Anno 2019. Percentuale complessiva di alunni e studenti iscritti, secondo la classificazione regionale NUTS 2. Nota: la percentuale complessiva di alunni e studenti iscritti a corsi di educazione terziaria non comprende lo sviluppo educativo in seno all'istruzione prescolastica. Irlanda: istituti privati e/o indipendenti sono parzialmente inclusi. Germania e Turchia: dati nazionali. Montenegro e nord Macedonia: dati 2018.

Fonte: Eurostat (codici dati online: educ_uoe_enrt01; educ_uoe_entra11).

Quali le soluzioni? Come intervenire?

Quale fenomeno complesso la dispersione scolastica contempla implicite e nascoste ragioni che devono essere concretamente affrontate in una panoramica generale. Diversi i fattori e le variabili, di cui sopra, che incidono sul fenomeno. Fattori di rischio individuali (allievo e contesto familiare), variabili legate alla scuola (qualità della didattica, contesto geografico, basse aspettative, ecc.) e fattori di sistema (mercato del lavoro) (Invalsi Open, 2020). L’abbandono scolastico, infatti, implica diffidenza (disaffiliated), mancanza di competenze adeguate (mortalità scolastica), temporaneo stop-out, capable drop-out (allievo nei confronti della scuola) e push-out (scuola nei confronti dell’allievo ripetente) (Invalsi open, 2010). D’uopo, a tal punto, sottolineare la “dispersione inapparente” (Vertecchi, 2012) di coloro che, pur frequentando, non possiedono né una preparazione adeguata né un titolo di studio che possa migliorare la qualità di vita (carenza di motivazione, impoverimento sociale). Occorre, perciò, una visione a 360 gradi che non escluda percorsi di studio, al di là di quelli storicamente settoriali, con offerta formativa per così dire dinamica che possa, ugualmente, offrire potenziale umano qualificato. Digitalizzazione ed innovazione di cui tanto si discute non solo in relazione ai metodi di insegnamento e di apprendimento ma anche all’aggiornamento dei programmi offerti in base agli standard educativi richiesti. La dispersione opera, infatti, su due livelli; da una parte il soggetto che si disperde, dall'altra il sistema che produce dispersione. La scuola, nella sua storica concezione di istituzione primaria formativa assieme alla famiglia, deve poter dare ampio spazio all’inclinazione individuale. Per cui, concentrarsi solo su risultati sterili dati da programmi obsoleti e da inutili competizioni, implica la deprivazione di altre forme di conoscenza e l’incapacità di stimolare spirito critico. Il “senso della possibilità” (Bartolini, 2010), vale a dire l’alternativa su cui la mente umana riesce a plasmarsi, viene schiacciato da metodologie standardizzate che ghettizzano altri tipi di conoscenze. Il sistema scolastico, dunque, rivela criticità endemiche che ne precludono la possibilità di essere precursore del cambiamento.

Importante, a tal riguardo, è il programma operativo nazionale, cosiddetto PON del Ministero della Pubblica Istruzione (2021) che, attraverso i fondi strutturali europei, in ultimo il Recovery Plan (Next Generation EU Funds), si prefigge, l’obiettivo di uniformare il livello educativo, eliminando le disuguaglianze territoriali con strumenti chiave come la formazione continua (long life learning) volta all'innalzamento e potenziamento delle skills, dotando le scuole di strumenti di autovalutazione con griglie di gradimento a disposizione di tutti gli stakeholders coinvolti. Secondo il piano di investimenti 2014-2020 (Fondo per lo Sviluppo e la Coesione), le regioni italiane meno sviluppate, secondo il PIL pro capite, che contano 3.132 scuole, si trovano al sud, quelle più sviluppate riguardano il nord Italia; mentre quelle in transizione sono la regione dell'Abruzzo e del Molise. Nello specifico: il sud con PIL pro capite ≤ 75% (media UE); il nord, PIL pro capite ≥ 100% (media UE); Abruzzo e Molise PIL pro capite 75÷100%, (media UE); dati aggiornati secondo il Fondo Europeo di sviluppo regionale 2021-2027 (FESR). Si può ben dedurre che il fenomeno non riguarda esclusivamente l'istruzione e la formazione come concetti astratti ma sia fortemente collegato al background sociale, economico e culturale, per cui le differenze devono essere necessariamente poste in relazione con lo sviluppo del territorio, ovvero crescita economica, ed il progresso, nel senso di benessere sociale. Il perseguimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 diviene uno strumento coadiuvante nella lotta alla povertà educativa, sia attraverso lo sforzo congiunto dei privati, con la formazione aziendale e sia quello delle istituzioni, con l'adozione di adeguate politiche di sviluppo. Difatti, il contrasto alla povertà, il primo dei Sustainable Development Goals, rappresenta uno degli aspetti cruciali nel contrasto alla dispersione scolastica, senza considerare che una realtà territoriale ben sviluppata, attraverso le infrastrutture assieme al settore dell'innovazione, siano ritenute in stretta correlazione ad essa. Negli ultimi anni il governo ha promosso, a corredo del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza, il progetto sul Benessere Equo e Sostenibile (rapporto Unioncamere 2021), di qui in seguito BES, attraverso il quale il progresso viene, appunto, misurato con indicatori economici, sociali, ambientali che sono stati integrati tenendo conto anche della situazione pandemica che stiamo vivendo. Il BES è entrato a far parte del processo di programmazione economica, integrandosi con il documento di economia e finanza (DEF), redatto annualmente dal governo. Il nuovo set di indicatori misura la qualità di vita, soprattutto considerando le differenze territoriali, di età, genere e titolo di studio; in questo modo, interagendo con i 12 domini, tra cui, la salute, in relazione ai tempi che stiamo vivendo, l’istruzione e formazione, il benessere economico e delle relazioni sociali, la politica ed istituzioni, la qualità dei servizi, riesce a fornire una valutazione trasversale del concetto di benessere. L’Italia, dunque, nonostante gli sforzi intrapresi ed interventi ad hoc, attraverso policy su misura tramite fondi strutturali, non riesce ancora a raggiungere gli standard europei.

Terzo Settore, istruzione e contrasto alla dispersione scolastica

Gli enti di Terzo settore risultano molto impegnati, sia all’interno del contesto nazionale che in ambito internazionale, nel garantire, in generale, un’istruzione di qualità, inclusiva ed equa e nel promuovere opportunità di apprendimento continuo per tutti (obiettivo 4 - Sviluppo sostenibile). A livello internazionale, con particolare riguardo ai paesi in via di sviluppo e meno sviluppati, tale impegno si sostanzia in attività di advocacy; ricco e diversificato è anche l’impegno degli enti di Terzo settore in progettualità di diversa natura, che hanno luogo in molte parti del mondo, e che riguardano attività connesse all’accesso all’istruzione, al sostegno a distanza per l’educazione scolastica, alla formazione professionale ed universitaria, alla promozione della parità di genere e dell’istruzione femminile, alla formazione degli insegnanti. Nel contesto nazionale, invece, nell’ambito dell’istruzione, un’area in cui il ruolo delle organizzazioni del Terzo settore è ampio e variegato, è quello in esame in questo paper, e cioè quello del contrasto alla dispersione scolastica, con particolare riferimento a parti del territorio italiano vulnerabili. In tal senso, per riportare qualche caso specifico, nei territori di Foggia, Locri e Catania sono da segnalare le esperienze della Federazione SCS dei Salesiani che, con il progetto Le case di Don Bosco, si occupa di sostegno scolastico (attività educative e socio-ricreative, per il tempo libero, di arte espressiva, sport, ed educazione alla cooperazione e legalità) per ridurre il rischio di abbandono attraverso un approccio partecipativo. E ancora l’esperienza di ACSI in Sicilia di sostegno alla formazione educativo-didattica e sportiva finalizzata al rispetto dell’obbligo scolastico, al contrasto alla dispersione e al fenomeno del bullismo, anche nell’ottica del rafforzamento dei legami intergenerazionali. Le attività di ActionAid, nei territori di L’Aquila, Reggio Calabria e Napoli con progetti di supporto a famiglie in condizione di povertà, di origine sia italiana sia straniera, finalizzati a combattere il rischio di esclusione e dispersione attraverso attività educative anche extrascolastiche, di educazione civica e di mediazione linguistica e culturale.

Secondo quanto riportato dal Forum del Terzo settore, in Il Terzo settore e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, rapporto, 2021[6], l’obiettivo 4 (Istruzione) è tra gli obiettivi di sviluppo sostenibile più perseguiti: in particolare 35 enti su 51 rispondenti (le grandi reti nazionali che costituiscono il Forum) hanno dichiarato di perseguire questo obiettivo. Più in generale, circa il 60% dei soci aderenti al Forum ha come attività prioritaria istruzione e formazione: si parla di 80mila organizzazioni che lavorano con funzione di supporto e aiuto alle istituzioni pubbliche, in ogni ambito e in contesti diversi, dai nidi, all’alternanza scuola-lavoro, alle attività extrascolastiche.

Volgendo poi lo sguardo al caso dei Neet, vediamo che molteplici sono poi le organizzazioni del Terzo settore che si occupano territorialmente di potenziare la crescita umana ed economica di questa particolare categoria di giovani. Alcuni esempi sono dati dal progetto Neet and Greet di Action Aid destinato ai giovani dai 15 ai 29 anni per quanto riguarda l’inclusione e l’orientamento al lavoro con open space formativi e quello dell’Unicef, il Neet Equity, range d’età 16-22, attraverso politiche attive di rigenerazione urbana e laboratori (Napoli, Taranto, Carbonia).

Tra le esperienze più importanti in ambito educativo, occorre annoverare i progetti curati dall’impresa sociale Con i Bambini, interamente partecipata dalla Fondazione con il Sud, costituita nel 2016, in attuazione dei programmi del Fondo per il Contrasto alla Povertà Educativa Minorile. Tra i principali ambiti di intervento, rientrano l’offerta di servizi per la prima infanzia; le azioni di contrasto alla dispersione scolastica, varie forme di disagio giovanile e devianza minorile; gli interventi innovativi dentro e fuori la scuola, ecc.. Con i Bambini ha pubblicato ad oggi 13 bandi[7], selezionando complessivamente oltre 400 progetti in tutta Italia, sostenuti con un contributo di oltre 335,4 milioni di euro, coinvolgendo mezzo milione di bambini e ragazzi insieme alle loro famiglie.

Prendiamo in esame, per non dilungarci troppo, il solo bando Adolescenza 11-17. Nelle Regioni del Mezzogiorno d’Italia, isole comprese, dove i tassi di dispersione scolastica risultano particolarmente elevati, sono stati approvati progetti per circa 28 milioni di euro (circa il 34% dei quasi 83 milioni disponibili a livello nazionale); anche se l’accorpamento tra alcune Regioni non rende il calcolo del tutto eloquente, è evidente che si tratta di risorse rilevanti soprattutto per le Regioni del Sud dove le Fondazioni (ex-bancarie o di altro genere grant-making) sono quasi del tutto assenti. La figura mostra i finanziamenti per Regione e rende chiara la opportunità che si è aperta con questa tipologia di bandi, grazie al sistema dell’imprenditorialità sociale, per bambini e ragazzi del Sud. Si tratta di numeri importanti che il Terzo settore mette in campo per agire contro il fenomeno della povertà educativa.

Figura 1. Risorse destinate alle Regioni del Mezzogiorno d’Italia nel bando “Adolescenza”. Biennio 2016-2018. Valori in migliaia di euro.

Fonte: www.conibambini.org

In ultimo, si segnala la Fondazione Pirelli, la quale avvicina ragazzi, frequentanti scuole di ogni ordine e grado, ad un settore, quello automotive, innovativo ed in continua crescita. Attraverso percorsi di conoscenza, studiati per ogni fascia d’età, di storia, geografia ed arte, si stimola curiosità, creatività ed attrattiva nei confronti di ambiti lavorativi in penuria di laureati in discipline STEM e non solo. In questo caso, la Fondazione Pirelli agisce sotto un duplice aspetto rispetto alla dispersione scolastica: sia in seno all’orientamento, agendo quale fattore di prevenzione di un possibile drop out, sia per quanto riguarda eventuale rallentamento della performance scolastica, coadiuvando le scuole ed integrandosi con i programmi canonici di studio.

Secondo quanto fin qui riportato, seppur in via esemplificativa, attraverso il sintetico richiamo di talune esperienze – in mancanza di indagini ad hoc sul nesso Terzo settore-contrasto alla dispersione scolastica –, è chiaro che il Terzo Settore svolge un ruolo-decisivo, soprattutto in determinate aree del paese, nel perseguire un’istruzione di qualità e nella lotta alla dispersione scolastica, sia pre-pandemia, sia durante la stessa. Individuato il target, costituito, nella maggior parte dei casi, da ragazzi e bambini provenienti da famiglie in condizioni di svantaggio socioeconomico, si stabiliscono le strategie da attuare a seconda dell’obiettivo specifico da raggiungere.

Il rapporto tra Terzo settore e scuola

Le azioni di risposta al problema di cui si discute realizzate dal Terzo settore sembrano differenziarsi da quelle della scuola. Difatti, i due attori non agiscono sempre in sinergia e, nel caso di eventuale collaborazione, questa è spesso puramente formale. Da un’analisi condotta, seppur qualche anno fa, dall’Associazione Bruno Trentin e Fondazione Agnelli su iniziativa di We World (Checchi, 2014), si evince come nei progetti antidispersione, sulla base di domande di iniziative ed offerte di iniziative, le risposte del Terzo settore si registrano a prescindere dall’incidenza del fenomeno a differenza di quelle scolastiche che risultano direttamente proporzionali alla crescita dello stesso. Questo perché, mentre la scuola agisce in maniera più standardizzata rispetto al problema, il Terzo settore interviene in modo più localizzato, in allineamento alla comunità di riferimento. Dalla ricerca è emerso come nelle principali aree metropolitane quali Milano, Roma, Napoli e Palermo, in relazione alle scuole secondarie di I e II grado, il sostegno come lotta alla dispersione è finalizzato soprattutto all’aiuto ed il recupero scolastico (compiti, ripetizioni), seguito da centri di aggregazione giovanile (attività ricreative ed extrascolastiche). Le attività del Terzo settore differiscono, nondimeno, in base alle esigenze della comunità di riferimento, autoctona e non autoctona. Come quanto evidenziato dalla ricerca (Checchi, 2014), se il settore educativo risulta essere prioritario, svariate sono le aree di intervento, quali il disagio giovanile, l'assistenza agli stranieri, disabilità sino ad arrivare al sostegno della genitorialità. Fattori, questi, che possono, anzi devono essere, considerati concause della dispersione scolastica e/o della sua performance. Imprescindibile da qualsiasi tipo di intervento è la percezione delle dimensioni del fenomeno che permette agli enti di stilare un ordine di priorità all'interno di un elenco non rigido di attività che possa contemplare anche altre azioni, non strettamente rientranti nell’ambito educativo, inteso in senso stretto. La socializzazione, quale attività extrascolastica, potrebbe esserne un esempio. Non è possibile stabilire a priori un budget generale per interventi generalizzati, sia per l'incidenza dell'elemento volontario del Terzo settore, sia per le dimensioni dell'ente stesso (maggiore è la crescita, maggiore è l'investimento), sia per la capacità economica di autofinanziamento che per le possibilità di ricevere fondi pubblici; inoltre, per l'obiettivo da raggiungere, per l'intensità nelle azioni di contrasto, per la retribuzione del personale che opera sia in "compresenza" sia individualmente. Sarebbe significativo, ma di difficile attuazione il cosiddetto principio di complementarità (azioni sinergiche) da parte della scuola ed il Terzo settore, in quanto la dispersione scolastica rappresenta un fenomeno molto ampio nel quale incidono numerose variabili legate, come più volte ribadito, a tre macroaree: contesto istituzionale, socioeconomico e problemi specifici del minore. L’eterogeneità delle cause e delle variabili, costituiscono elementi condizionanti l’attuazione di un piano di intervento generale che implica, al contrario, un monitoraggio costante e specifiche strategie. Dunque, il Terzo settore riveste un ruolo chiave per quanto riguarda le forme di intervento più significative, su base volontaria, soprattutto al nord, a base collaborativa al sud agendo in maniera diversificata, offrendo anche spazi e strumenti a disposizione dei giovani.

Un importante e recente passo avanti nei rapporti Terzo settore-scuola, al fine di rendere la scuola aperta ed inclusiva, in costante rapporto con il territorio, è stato il bando da cinque milioni di euro pubblicato nel 2021 dal Ministero della Pubblica Istruzione finalizzato alla selezione di Enti del Terzo Settore con cui far partire iniziative di co-progettazione, (tra i temi contemplati, la lotta alla mafia e la legalità, l’internalizzazione dei percorsi formativi, la sostenibilità, la promozione della lettura ed l’inclusione), ai sensi dell’art. 55, comma 3, del d.lgs. n. 117/2017 (Codice del Terzo settore, “Coinvolgimento degli enti del terzo settore”). Già nell’ ottobre 2020 fu siglato un Protocollo d'Intesa tra il Ministero dell’Istruzione ed il Forum Nazionale del Terzo settore per il superamento delle diseguaglianze nell’accesso al sistema educativo. Un accordo triennale per dare vita ad interventi di contrasto alla povertà educativa dei giovani, che ha creato le premesse per l’apertura di uno spazio di co-programmazione e collaborazione strutturale tra il Ministero e il Terzo settore. L’obiettivo è stato quello di avviare una nuova modalità nei rapporti con il Terzo settore, ispirata al principio di collaborazione, che ha un ruolo fondamentale per assicurare il legame e la sintonia tra l’istruzione e il mondo esterno.

Per concludere, l’art. 55 del Codice del Terzo settore ha contribuito in modo decisivo ad una svolta nelle relazioni tra enti pubblici e Terzo settore, considerati oggi “alleati” nell’individuare le strade per assicurare diritti e rispondere ai bisogni dei cittadini.

La rete del Terzo settore, in ambito educativo, rappresenta un presidio capillare sui territori e di sostegno soprattutto nelle aree più fragili e periferiche del paese, essa si è mostrata inoltre essenziale in questa emergenza sanitaria; tutte le alleanze e le collaborazioni nate nei e fuori i territori si spera diventino - come sostenuto da Claudia Fiaschi, ex portavoce del Forum Nazionale del Terzo settore - “strumento di progresso e abbiano un impatto strutturale nel contrasto alla povertà educativa e alla dispersione scolastica”.

DOI: 10.7425/IS.2022.02.06

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Note

  1. ^ Sull’importanza degli investimenti in capitale umano: Santoro, Verde, 2013. Sul costo della dispersione scolastica: Verde, 2021.
  2. ^ “Beni invisibili che le persone si scambiano intrattenendo rapporti” (Pugno, 2006).
  3. ^ Piste per una riflessione sull’esperienza di educazione a distanza al tempo del Covid-19 (Tosco, 2021).
  4. ^ I dati sono stati estrapolati a conclusione di una procedura di ammonizione-denuncia da parte degli istituti per tutti quei ragazzi inadempienti all’obbligo scolastico (Segnalazione / Conferma / Ammonizione / Persistenza / Denuncia) indicata con circolare dell’Ufficio Scolastico della Campania (Osservatorio sulla Dispersione Scolastica).
  5. ^ Nota su STEM. Spopola la richiesta di personale qualificato in STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) coincidente con la trasformazione a cui sono chiamati tutti i Paesi europei e non. Moltissime multinazionali, infatti, non solo richiedono giovani talenti in tali discipline ma offrono percorsi di aggiornamento aziendali che si affiancano a quelli convenzionati solo con specifiche facoltà ed università.
  6. ^ Si tratta di una ricognizione delle attività e delle aspettative che hanno gli enti di Terzo settore aderenti al Forum in merito ai 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile disegnano un modello di sviluppo includente, dove molti principi e valori si sovrappongono a quelli perseguiti dagli enti di Terzo settore. Il Forum Nazionale del Terzo Settore ha voluto promuovere nel 2017 una prima osservazione per indagare il rapporto tra gli enti e gli SDGs. Più della metà delle Reti nazionali aderenti al Forum è impegnata nel conseguimento di almeno 10 o più SDGs.
  7. ^ Prima Infanzia 0-6 anni, Adolescenza 11-17, Nuove Generazioni 5-14 anni, Un passo avanti, Ricucire i sogni, Cambio rotta, A braccia aperte, Un domani possibile, Non uno di meno, Comincio da zero, Bando per le comunità educanti, Spazi aggregativi di prossimità e Vicini di scuola.
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