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ISSN 2282-1694
impresa-sociale-2-2022-servizi-per-l-infanzia-co-produzione-e-innovazione-per-un-supporto-sostenibile-in-un-ottica-post-covid

Editoriale

L’inserimento lavorativo, malgrado le politiche

Carlo Borzaga, Gianfranco Marocchi

Saggi

Quello strano istituto dell’art. 112

Luigi Gili

L’economia sociale in Italia: dimensioni ed evoluzione

Carlo Borzaga, Manlio Calzaroni, Eddi Fontanari, Massimo Lori

Il terzo settore dei servizi sociali nella crisi sanitaria

Annalisa Turchini

Coproduzione nei servizi per l'infanzia

Agostino Cortesi, Maria Sangiuliano, Nicole Traini, Massimo Zancanaro

Il contributo del terzo settore contro la dispersione scolastica

Grazia Falzarano, Melania Verde

Il ruolo delle imprese sociali nell'agricoltura sociale

Francesco Amati, Italo Santangelo

Una buona valutazione nella cooperazione allo sviluppo

Maura Viezzoli

Saggi brevi

Comunità energetiche rinnovabili

Andrea Bernardoni, Carlo Borzaga, Jacopo Sforzi

Casi studio

Rigenerazione urbana e approccio alle capacitazioni

Gaetano Giunta, Liliana Leone

Numero 2 / 2022

Saggi

Servizi per l’infanzia: co-produzione e innovazione per un supporto sostenibile in un’ottica post-covid

Agostino Cortesi, Maria Sangiuliano, Nicole Traini, Massimo Zancanaro

Abstract

Questo contributo discute un approccio innovativo ai servizi per l’infanzia sviluppato come parte di un progetto finanziato dalla Commissione Europea. L’approccio si basa sulla partecipazione attiva dei genitori nella progettazione e nella conduzione dei servizi in un’ottica collaborativa. Come parte del progetto, è stata implementata una piattaforma digitale per supportare gruppi di genitori all’interno di ben definite comunità ad organizzare e a gestire attività educative e di cura dell’infanzia. Nel corso del progetto, sono state sperimentate diverse modalità sia in una prospettiva grassroots, cioè servizi interamente auto-organizzati da comunità territoriali, sia in ambito aziendale, come iniziative di bilanciamento famiglia-lavoro. L’articolo presenta tre casi di studio effettuati nel periodo post-covid e sintetizza gli aspetti positivi e i punti di attenzione emersi, delineando delle linee guida per future implementazioni di questo approccio.

Keywords: co-produzione, servizi per l’infanzia, trasformazione digitale

DOI: 10.7425/IS.2022.02.05

Introduzione

I servizi pubblici alla famiglia erano in difficoltà già prima dell’impatto della pandemia Covid-19. Nel 2016, il report dell’associazione inglese NESTA (Rutter, 2016) riportava che l’80% delle famiglie con figli sotto i 15 anni utilizzava servizi per l’infanzia e che il 60% di queste famiglie dovevano ricorrere a servizi privati per mancanza di posti in strutture pubbliche. In Italia la situazione era di poco migliore, l’Istat riportava per il biennio 2017/2018 che i servizi a titolarità pubblica coprivano il 51% dell’offerta nella fascia tra 0 e 3 anni ma l’offerta complessiva copriva solo il 24,7% della potenziale utenza (Istat, 2020). Nella fascia tra 3 e 6 anni invece la situazione era leggermente migliore con il 67% dell’offerta a gestione pubblica, anche se in alcune regioni (tra cui Lombardia e Veneto) prevale l’offerta privata fino al 60%) (Istat, 2020). In queste analisi, non viene comunque considerato il periodo del doposcuola, né tantomeno lo sono i servizi integrativi durante i periodi estivi (es. campi estivi) entrambi generalmente gestiti dalle famiglie stesse o da strutture private.

La pandemia ha ulteriormente aggravato la situazione in molte famiglie sia nel periodo di lockdown tra marzo e maggio 2020 sia nelle fasi successive (Gromada et al., 2020). Un’indagine conoscitiva elaborata da Istat e dall’Università Ca’ Foscari (Istat, 2021) sottolinea che le strutture pubbliche e private hanno gestito bene la crisi: il 27,5% delle strutture ha disposto la chiusura di una sola sezione e meno del 12% la chiusura totale del servizio. Nello stesso report viene però anche riportata una diminuzione del 6% delle richieste del “bonus nido” e una riduzione del 18% del numero di mensilità erogate: indicatori questi di una riduzione della frequenza alle strutture. È da notare infine che sia il lockdown che i frequenti periodi di quarantena a cui le famiglie sono esposte hanno indotto un forte stress sia ai genitori che ai bambini (Spinelli et al., 2020; Gassman-Pines et al., 2020; Marchetti et al. 2020).

Un approccio di co-produzione, cioè di partecipazione attiva dei genitori nella gestione del servizio, è stato spesso proposto come un'alternativa o un supporto ai servizi pubblici e privati gestiti da professionisti, in generale, nell’ottica di riduzione dei costi: infatti, sempre secondo il report NESTA, il costo del personale incide per il 77% e quindi la co-produzione rappresenta la scelta più efficace per una riduzione dei costi. È però importante considerare che la co-produzione in ambito di welfare rappresenta anche un mezzo per sperimentare un’opportunità di coinvolgimento significativo delle persone nelle tematiche che più critiche per la nostra società (se veda a questo proposito la discussione in Pestoff, 2006 e, in una prospettiva più generale, Loeffler, 2021).

Il termine co-produzione ha origine nel lavoro di Elinor Ostrom (Ostrom, 1996) che nel 2009 ha vinto il premio Nobel per l’economia proprio per le sue ricerche che hanno dimostrato che le persone comuni sono capaci di creare regole e istituzioni che consentano una gestione sostenibile ed equa delle risorse condivise. Dall'inizio della pandemia, le sperimentazioni di co-produzione di servizi sono notevolmente aumentate in tutta Europa sia nella forma di progetti iniziati da aziende private e imprese sociali, sia come iniziative spontanee di cittadini (Steen, Brandsen, 2020). La co-produzione però non è priva di rischi e di effetti collaterali, tra cui un incremento delle diseguaglianze nell'accesso ai servizi e un incremento dei costi (Steen et al., 2018) nonché in rapporto alle pubbliche amministrazioni, una possibile perdita di controllo e una riduzione del valore pubblico (Meijer, Thaens, 2021).

L’approccio Families_Share (Cortesi et al., 2022) è un insieme di pratiche e una piattaforma digitale a supporto di gruppi di genitori per auto-organizzarsi in gruppi per collaborare ad attività di servizi per l’infanzia. La piattaforma, oltre che fornire funzionalità specifiche utili alla progettazione e svolgimento delle attività, costituisce anche uno strumento efficace per la promozione di questo approccio collaborativo.

Nella ricerca presentata in questo articolo sono stati analizzati tre casi di studio di realizzazione di servizi co-prodotti dedicati alla cura dell’infanzia nell’estate del 2021. Nel seguito dell’articolo, viene prima presentato l’approccio Families_Share e vengono brevemente descritte le sperimentazioni fatte prima della pandemia e durante il lockdown. Nella sezione seguente, vengono descritti in dettaglio i casi studi della ricerca in oggetto. Viene poi proposta una discussione sulle opportunità, le barriere e i rischi di un approccio partecipativo in un’ottica post-covid basata sulle osservazioni partecipate e sull’analisi interviste in profondità con i partecipanti e le partecipanti.

L’approccio Families_Share

Benché sperimentazioni di co-produzione di servizi di supporto alle famiglie siano già avvenute in Italia (si veda ad esempio, Pedercini, 2005; Gheduzzi et al., 2020; Manzo, Minello, 2020) e all’estero (ad esempio, Pestoff, 2011), l’approccio proposto dal progetto Families_Share si distingue per la diversità dei contesti presi in esami, per l’attenzione verso la componente digitale e per lo sforzo verso la definizione di un approccio strutturato e riproducibile.

Families_Share è stato un progetto finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del Horizon 2020, concluso nel 2019 (Cortesi et al., 2022). Nel corso del progetto sono state svolte diverse sperimentazioni di soluzioni collaborative e auto-organizzate per la cura all’infanzia in 6 diverse città e 4 nazioni: Bologna, Venezia e Trento in Italia, Gyor in Ungheria, Kortrijk in Belgio e Thessaloniki in Grecia. Queste sperimentazioni hanno permesso di raccogliere evidenze di aspetti positivi e barriere per la realizzazione di questo approccio alla co-produzione di servizi e attività educative per l’infanzia sia in contesti grassroot, cioè caratterizzati da un impegno volontaristico e non-profit di reti sociali sul territorio (Smith, 2000), che contesti di welfare aziendale (Hein, Cassirer, 2010).

In particolare, per quanto riguarda l’Italia, sono state condotte tre sperimentazioni. A Venezia e a Bologna si sono sperimentate iniziative di tipo grassroot. A Venezia, le iniziative sono state organizzate da un gruppo di genitori che in seguito si sono costituiti in un'associazione di promozione sociale supportata dai Servizi Progettazione Educativa del Comune, mentre a Bologna hanno avuto un carattere più comunitario, ma con un forte coinvolgimento di realtà associative esistenti e con un forte contributo della pubblica amministrazione locale. A Trento, invece, l’approccio di co-produzione è stato sperimentato in una prospettiva di welfare aziendale per cui il servizio Risorse Umane dell’azienda coinvolta ha avuto il ruolo di coordinamento e monitoraggio ma non di organizzazione e gestione delle attività.

I risultati principali del progetto sono stati la redazione di una serie di linee guida e l'individuazione di best practices nonché la co-progettazione e la realizzazione di una piattaforma digitale per facilitare comunità locali ad organizzare questo tipo di servizi[1].

In accordo con i principi della co-produzione, l’approccio Families_Share prevede una forte componente di auto-gestione, anche se le esperienze del progetto hanno insegnato che, nel caso specifico dei servizi per l’infanzia, l’aiuto di professionisti esterni è spesso necessario per sopperire alle difficoltà organizzative e per coadiuvare i genitori. Le linee guida preparate includono anche consigli e informazioni sulle scelte dei luoghi e la gestione delle attività, nonché sui vincoli normativi e assicurativi che questo tipo di approccio richiede.

La piattaforma digitale, che comprende un servizio cloud-based e una app per smartphone, è stata progettata coinvolgendo in modi e a livelli diversi oltre tremila persone nelle città europee in cui il progetto è stato attivo. Nelle varie fasi di co-design sono stati raccolti diversi requisiti sulle funzionalità necessarie per facilitare servizi di questo tipo e anche diversi requisiti non funzionali che hanno portato alla luce l’importanza di alcuni vincoli valoriali che l’approccio comporta (Casula et al., 2022): ad esempio, la gestione della fiducia all’interno della comunità e aspetti legati alla sicurezza si sono rivelati cruciali. La piattaforma offre una combinazione di servizi tipici della gestione di processi collaborativi insieme alle funzionalità di social network chiuso. In particolare, la app per smartphone permette di creare e gestire gruppi di genitori con diversi livelli di visibilità e apertura, supporta le fasi iniziali di discussione di una proposta di attività e la raccolta di manifestazione di interessi nonché le fasi di organizzazione e di divisione dei compiti; infine offre funzionalità specifiche per organizzare il calendario dei turni e gestire gli inevitabili cambiamenti dell’ultimo minuto. Permette inoltre di gestire in modo riservato le informazioni sui bambini che partecipano alle attività. Infine, offre le funzionalità di messaggistica all’interno di un gruppo per notificare l’andamento delle attività o per coordinarsi tra i membri del gruppo.

La vasta eterogeneità dei contesti in cui la sperimentazione è stata svolta si è tradotta in attenzioni e modalità diverse di utilizzo degli strumenti realizzati, sia per quanto riguarda l’innovazione sociale, sia per quanto riguarda quella digitale. Le azioni svolte per la costruzione della comunità, i rapporti intercorsi con gli enti del terzo settore e il ruolo svolto dalle pubbliche amministrazioni all’interno del progetto, sono quindi stati molto diversi da contesto a contesto, come illustrato nel seguito. Anche laddove la piattaforma non ha avuto un forte riscontro nell’uso delle funzionalità specifiche ha comunque costituito uno strumento efficace per la promozione di questo approccio collaborativo.

In particolare, nelle comunità più piccole e coese, così come il caso aziendale, si sono riscontrati meno problemi legati alla sicurezza e alla fiducia reciproca e quindi un inferiore bisogno di supporto funzionale da parte della piattaforma digitale rispetto alle comunità più ampie o comunque costituite da persone che inizialmente non si conoscevano; in modo simile, in alcuni contesti la gestione dei turni costituiva un enorme problema mentre in altri casi le attività erano suddivise in gruppi più piccoli in cui la pianificazione non rappresentava una difficoltà. La piattaforma è però stata realizzata in modo che ogni comunità potesse attivare le funzionalità e i criteri dell’app più adatti al caso specifico (Cortesi et al., 2022).

La maggior parte delle iniziative e delle sperimentazioni sono state progettate e realizzate prima della pandemia (Cortesi et al., 2022; Schiavo et al., 2020; Leonardi et al.,2019). La raccolta delle linee guida e la progettazione della piattaforma si sono basate quindi sull’assunto che le attività fossero svolte in spazi comuni (scuole, ludoteche, spazi associativi) e in presenza. Durante il periodo di lockdown all’inizio del 2020, sono state realizzate alcune iniziative di co-produzione di servizi in remoto, in particolare nelle città di Bologna, Venezia e Trento (per il caso di studio di Trento, si veda Leonardi et al., 2021). Inoltre, nello stesso periodo, un questionario distribuito a 67 famiglie della rete del progetto dimostra la diffusa percezione di efficacia di un modello di condivisione dell'assistenza all'infanzia basato su piattaforma digitale in epoca post-lockdown (risponde decisamente utile il 72% degli intervistati che sono per oltre l’80% donne tra i 35 e 44 anni).

Figura 1. Due schermate della app Families_Share: a sinistra, i dettagli per un’attività pianificata per un determinato giorno con l’indicazione dei partecipanti e delle partecipanti e degli orari (la schermata è accessibile solo ai genitori che hanno aderito all’attività); a destra, un’immagine di un messaggio nella sezione del social network ristretto ai partecipanti e alle partecipanti ad uno specifico gruppo.

I casi di studio

Nel corso dell’estate 2021, sono state organizzate tre diverse iniziative per esplorare l’approccio Families_Share in un contesto post-pandemico, due di tipo grassroot e una di tipo aziendale.

La ricerca è stata organizzata seguendo il modello Ricerca Azione (Greenwood, Leavin, 1977) per cui i ricercatori del progetto hanno partecipato attivamente alla costituzione dei gruppi e allo stesso tempo hanno effettuato osservazioni intese validare il modello proposto condividendo con i partecipanti e le partecipanti le riflessioni sul metodo.

A Bologna è stato adottato un modello ibrido privato/pubblico che ha visto un forte coinvolgimento del terzo settore, in particolare dell’associazionismo locale. Sono 18 associazioni in ambito educativo che hanno concesso la loro partnership permettendo l’uso di spazi dove svolgere le attività auto-organizzate. Il coinvolgimento delle associazioni ha anche favorito la diffusione dell’iniziativa tramite i loro canali. La presenza di questi partner, oltre che per garantire continuità del progetto nel tempo, è stata fondamentale anche per affrontare il problema relativo alle responsabilità: è grazie al tesseramento dei genitori ad una di queste associazioni che le famiglie del progetto potevano accedere ad un’assicurazione costruita ad hoc per le attività auto-organizzate. Inoltre, la presenza delle associazioni come rete di supporto, garantiva la possibilità di avere personale di fiducia per la copertura dei turni scoperti nelle attività auto-organizzate. Un ruolo importante l’ha avuto l’ente pubblico, in particolare il Comune di Bologna, attraverso un Patto di Collaborazione, uno strumento agile ed immediato per collaborare con la pubblica amministrazione al raggiungimento degli obiettivi concreti del progetto. Questo strumento oltre a permettere l’accesso a spazi gratuiti, comunicazione, permesso di occupazione di suolo pubblico, è rinnovabile anno per anno da qualsiasi cittadino coinvolto nel progetto, così da poter assicurare la continuità del progetto del tempo.

Per la costruzione della comunità di genitori, è stato raccolto un questionario compilato da circa 100 persone interessate al progetto. Nel questionario si chiedevano informazioni sul nucleo familiare (numero di figli, età, lavoro part-time full time, ecc.) e le abitudini in termini di aiuti per la gestione dei figli (supporto dei nonni, nessun aiuto, ecc.). Queste informazioni hanno permesso di creare una rete di persone interessate che sono state invitate in maniera periodica ad una serie di eventi sul territorio con il fine di conoscersi e socializzare, creando una rete fiduciaria e andando a formare dei gruppi di auto-muto aiuto in ogni quartiere. Durante il lockdown è stato mantenuto il rapporto con le famiglie offrendo, grazie alle associazioni del territorio, dei servizi di supporto (come l’aiuto nei compiti, lo svolgimento di piccoli lavori, ecc.). Con la fine dell’emergenza, si è iniziato a pianificare il campo estivo auto-organizzato con genitori che, grazie a questo processo, già si conoscevano e frequentavano.

Il campo estivo diurno è stato organizzato nell’estate del 2021 negli spazi di un centro culturale a Bologna. Il coinvolgimento di una associazione culturale ha permesso non solo l’accesso agli spazi ma anche la possibilità di usufruire di una copertura assicurativa per i partecipanti e le partecipanti all’iniziativa compresa nella quota associativa. Sono stati coinvolti 10 bambini e bambine di età compresa tra i 7 e 9 anni e 8 adulti (6 genitori e 2 nonni; solo 2 maschi) coadiuvati da una community manager. Per due settimane a giugno e settembre, due tra i genitori volontari si sono presi cura tra le 9 e le 14 dei bambini e bambine presenti (tra gli 8 e i 10 ogni giorno) coinvolgendoli in attività di gioco e di studio. Un’educatrice professionale è stata coinvolta, pagata dal gruppo di genitori, per le giornate in cui non era possibile, per impegni lavorativi, assicurare la presenza costante di due adulti.

Ogni giorno, veniva realizzato un laboratorio condotto da un adulto che condivideva con i bambini un proprio hobby. Ci sono stati esperimenti di fisica, tornei di carte e scacchi, laboratori di sport, di pittura e altre attività manuali. La maggior parte delle famiglie si conosceva prima dell’organizzazione del campo e questo ha semplificato la gestione delle attività. Le responsabilità dei genitori volontari non erano limitate alla cura dei bambini e alla conduzione dei laboratori, ma includevano la gestione degli spazi, dalla pulizia quotidiana alla gestione delle chiavi e dell’allarme. Tutte queste attività erano organizzate e gestite in modo autonomo dai partecipanti e dalle partecipanti. Nell’iniziativa di Bologna, la piattaforma digitale di Families_Share non è stata utilizzata per l'organizzazione e la gestione del campo perché i partecipanti e le partecipanti, dopo la presentazione di questa possibilità, hanno preferito l’uso di un gruppo Whatsapp.

La seconda sperimentazione è stato il campo estivo organizzato a Venezia dall'associazione di promozione sociale nata a seguito del progetto Families_Share. Il campo ha avuto luogo, per 4 settimane tra luglio e agosto. In questo contesto, il ruolo dell’impresa sociale è stato fondamentale non solo per il protagonismo dell’associazione promotrice, ma anche per la rete di collaborazioni che quest’ultima ha attivato con altre realtà del terzo settore, essenziali per la realizzazione delle attività. In particolare, un consorzio di associazioni che ha in gestione, dal Comune di Venezia, il centro civico nel quale il campo è stato organizzato, ha accolto la proposta dell’associazione promotrice e ha messo a disposizione spazi e giardino a titolo gratuito. Un’ulteriore associazione di promozione del territorio attiva sui temi della genitorialità consapevole e dell’educazione outdoor ha inoltre proposto un partenariato nell’ambito di un progetto finanziato da fondi della Regione Veneto, grazie al quale è stato possibile affiancare ai genitori volontari, l’intervento di educatrici retribuite durante alcune delle giornate, limitando il contributo richiesto alle famiglie quasi esclusivamente ai costi assicurativi. Nel caso di studio di Venezia, il ruolo del soggetto pubblico è stato importante ma non diretto, bensì mediato dal supporto dato dal Comune di Venezia e dalla Regione Veneto alle associazioni coinvolte.

Nello svolgimento del campo, ogni giorno sono state organizzate attività autogestite tra le 9 e le 16 con la compresenza di almeno due adulti volontari per un gruppo dai 12 ai 14 bambini e bambine tra i 3 e i 12 anni. Per ciascuna settimana hanno partecipato 8 famiglie, con una buona presenza di fratelli/sorelle. In totale, 18 adulti sono stati coinvolti (principalmente donne, 4 padri hanno preso parte attivamente ai turni, questi ultimi in qualche caso con un ruolo marginale a copertura di turni parziali, altri con un maggiore impegno e ruolo creativo nella proposta di attività). Per alcune mezze giornate ogni settimana, si è resa necessaria la presenza di un’educatrice, mentre il gruppo di genitori ha coperto la maggior parte dei turni (mezza giornata ogni turno, e 2 turni per ogni famiglia partecipante) ogni settimana, in modo da consentire la compresenza di due adulti su ogni turno. Le educatrici professionali, quando presenti, hanno sempre proposto attività ludiche/laboratoriali cercando il coinvolgimento attivo del genitore in turno, e incoraggiando i genitori nell’avere un ruolo propositivo nell’ideazione, a propria volta, di attività. La compresenza di volontari e personale retribuito è complessivamente risultata positiva, con qualche caso di criticità nel quale le educatrici hanno criticato un eccessivo ‘laissez-faire’ da parte dei genitori rispetto ad un gruppo di bambini molto vivaci, e viceversa, con l’impressione di alcuni genitori che in taluni momenti le educatrici avrebbero potuto adottare un atteggiamento più flessibile.

Solo una parte delle famiglie ha partecipato a tutte le settimane proposte: il forte turnover degli inserimenti da una settimana all’altra e la necessità di instaurare nuove relazioni, la multiculturalità che ha caratterizzato il gruppo, sono state fonte di arricchimento, ma anche di criticità: ad esempio, specie per alcune delle madri di famiglie migranti si è osservata una difficoltà a mettersi in gioco nelle attività di volontariato a causa di difficoltà linguistiche, orari di lavoro spezzati difficilmente combinabili con i turni e scarsa fiducia nelle proprie capacità di gestire gruppi di bambini. Nell’iniziativa di Venezia, la piattaforma digitale di Families_Share è stata inizialmente proposta a tutti i genitori che hanno ricevuto linee guida in formato digitale sulla creazione di un profilo e l’utilizzo, oltre ad assistenza personalizzata su richiesta (oltre ai materiali di un kit di supporto più ampio su come attivarsi nella proposta di attività ludiche, regole di base per la gestione dei gruppi di bambini/e, etc). In generale, l’app è stata usata dai genitori registrati, ma diversi partecipanti (alcuni dei quali presenti in tutte le 4 settimane), non hanno poi proseguito nell’inserire autonomamente le proprie preferenze su turni nell’app, preferendo modalità di comunicazione più informali, oralmente o usando WhatsApp. Pochi genitori, nonostante le raccomandazioni, hanno inserito i contenuti delle attività che andavano a proporre ai bambini sull’app stessa, lasciando quindi inutilizzata la potenzialità del comunicare ai bambini in anticipo le attività creative in programma. Solo una minima parte dei genitori segnava sull’app anche la partecipazione dei propri bambini, pur avendone registrato il profilo. Dall’altra parte, la tecnologia si è invece rivelata utile per la programmazione dei turni soprattutto per la gestione dei cambi all’ultimo minuto anche se è stata per lo più utilizzata da un gruppo ristretto di partecipanti che avevano un ruolo più di coordinamento.

Complessivamente, le valutazioni fatte dal gruppo di lavoro promotore dell’associazione Families Share hanno evidenziato come, per mitigare le criticità sopra evidenziate, sarebbe stato utile promuovere incontri conoscitivi preliminari alla partenza del campo, tra gruppo promotore, educatrici, e genitori volontari, e in generale momenti di scambio e riflessione in corso d’opera, che non è stato possibile attivare per mancata disponibilità di tempo di tutte le parti in causa. Anche l’opportunità di una vera e propria “formazione genitori” è al vaglio del gruppo promotore per future edizioni dei campi estivi: si è infatti rilevato come momenti di conoscenza e confronto tra genitori, e tra genitori ed educatrici, potrebbero risultare di grande utilità per armonizzare la partecipazione di tutti/e, condividendo aspettative, competenze di ciascuno, e trasferendo le risorse conoscitive e le buone pratiche maturate nella pratica di autogestione già nel corso del progetto H2020. Sul fronte genitori, questo potrebbe essere utile ad accrescere il livello di fiducia reciproca necessario per affidare i propri bambini ad altri genitori “non professionisti” e per sviluppare maggiore fiducia nelle proprie potenzialità e capacità nel mettersi in gioco con un ruolo educativo verso piccoli gruppi. In tali momenti “formativi” le educatrici professioniste potrebbero d’altra parte condividere approcci alla gestione dei gruppi, delineare meglio i rispettivi ruoli anche sulla base della conoscenza dei singoli genitori partecipanti, per arrivare alla co-creazione del programma di attività con più largo anticipo. L’esperienza maturata evidenzia, anche in tal senso, un ruolo chiave del terzo settore, affinché le pratiche sperimentate possano diventare sostenibili e replicabili. Una più solida e strutturata iniziativa da parte dell’associazione promotrice pare profilarsi come necessaria in vista della continuità dell’esperienza. Tale scenario aprirebbe ad interrogativi rispetto ad interessi e disponibilità in tal senso nel gruppo di genitori promotori della APS Families Share, che sono al momento attivi su base esclusivamente volontaria, aspetti che rimandano alle questioni cruciali delle dinamiche di professionalizzazione del terzo settore in contesti sempre più orientati alla sussidiarietà (Venturi, Villani, 2007; Pestoff, 2012).

Infine, il terzo campo estivo, anche questo solamente diurno, è stato gestito come parte di un’offerta di welfare aziendale all’interno di una organizzazione parapubblica di circa 600 dipendenti. Quest’organizzazione aveva già partecipato alle precedenti attività del progetto Families_Share sia prima che durante la pandemia (si vedano Leonardi et al., 2019; Schiavo et al., 2020, Leonardi et al., 2021). Nell'estate del 2021, la partecipazione è stata meno estesa degli anni precedenti coinvolgendo solamente 6 famiglie di dipendenti dell’organizzazione. Il campo è stato organizzato presso gli spazi di una cooperativa sociale nella prima settimana di settembre. Vi hanno partecipato 6 bambini e bambine di età compresa tra i 6 e 10 anni e 6 genitori (4 donne e 2 uomini) vi hanno preso parte in qualità di volontari. Le attività sono state coordinate da un educatore professionale, mentre ogni genitore ha messo a disposizione, in accordo con il servizio Risorse Umane, alcune ore durante la settimana per aiutare a turno l’educatore collaborando nelle attività educative. Alcuni genitori (2F e 1M) hanno proposto piccoli laboratori o attività didattiche (scacchi, esperimenti scientifici), mentre altri (1F e 1M) hanno preferito supportare l'attività proposta dall’educatore ed aiutare il gruppo nel momento del pranzo e negli spostamenti presso altri luoghi ricreativi (parco, azienda agricola). Per quanto riguarda l’uso della piattaforma digitale, l’app è stata usata in modo abbastanza diffuso in modo particolare per coordinare i turni tra i genitori partecipanti e gestire il calendario condiviso. L’app ha permesso di visualizzare informazioni sui contatti e indicazioni su come organizzare le attività e ha permesso di condividere foto e messaggi relative alle iniziative.

Nel caso di Trento, il lavoro fatto con le famiglie per supportare e agevolare la loro partecipazione è stato agevolato dal servizio di Risorse Umane e si è sviluppato nel contesto di iniziative già attive di welfare aziendale. La minore partecipazione rispetto agli anni precedenti può essere almeno in parte spiegata dall’adozione più estesa del telelavoro adottata dall’azienda stessa nel periodo e da altre realtà sul territorio che ha favorito altre pratiche di gestione familiare. Il modello sperimentato a Trento è un modello ibrido, simile nella natura a quello di Bologna, ma in cui l’azienda stessa ha svolto lo stesso ruolo del soggetto pubblico facilitando la logistica delle attività e la partecipazione dei genitori, non entrando però direttamente nell’organizzazione pratica. Anche a Trento, come a Bologna e a Venezia (seppure in modo più limitato), la partecipazione del terzo settore è stata cruciale per compensare la mancanza di professionalità specifica dei volontari, indispensabile in alcuni contesti.

Discussione

L’analisi dei casi di studio si basa sulle osservazioni dei ricercatori e sull'analisi delle interviste in profondità effettuate con 20 partecipanti alla fine dell’esperienza. Nella discussione, vengono presentati gli aspetti più rilevanti emersi in contrapposizione con le esperienze di Families_Share prima della pandemia e durante il lockdown.

Tutti i partecipanti e le partecipanti ai casi di studio descritti sopra sono stati invitati/e per un’intervista e complessivamente 20 hanno accettato: 6 nel caso di studio di Bologna, 9 da Venezia e 5 da Trento. Le interviste sono state condotte individualmente via telefono o in videoconferenza e hanno avuto una durata variabile da 30 minuti a poco più di un’ora. Le interviste sono state registrate e trascritte per l’analisi.

In generale, rispetto alle sperimentazioni precedenti, il numero di partecipanti in tutti e tre i casi è stato più basso ed è stato più basso anche l’utilizzo della piattaforma digitale. La presenza maschile, già molto bassa in precedenza, è stata più ridotta: questo conferma come esperienze simili tendano a riprodurre le disuguaglianze strutturali di genere che caratterizzano la distribuzione del lavoro di cura e, come si era già rilevato, che sono necessarie misure compensative e sforzi di comunicazione notevoli per contenere questa tendenza. Inoltre, a differenza degli anni passati, in tutti e tre i casi è stato necessario il coinvolgimento di figure professionali per assicurare sempre la presenza di un numero sufficiente di adulti.

In continuità con quanto già sperimentato nel corso del progetto H2020 in generale, l’approccio partecipativo delle iniziative è stato molto apprezzato dalle partecipanti e dai partecipanti.

Nella sperimentazione aziendale di Trento, ne è stato riconosciuto il valore innovativo, ma è anche emerso come la possibilità di flessibilità di orario e di presenza permesse dai regolamenti straordinari per fronteggiare l’emergenza Covid-19 abbia ridotto la necessità (o almeno l’attrattività) di questo tipo di interventi.

Per la sperimentazione di Venezia, si sono riscontrate difficoltà a causa delle diversità culturali e socioeconomiche all’interno del gruppo. Come già accennato sopra, queste diversità hanno portato ad alcune dinamiche di non semplice gestione ma nel complesso sono state fonte di grande arricchimento per tutti. Le difficoltà riscontrate da alcune delle mamme delle famiglie migranti che hanno partecipato sono state affrontate con diverse modalità: una delle mamme ha sin dall’inizio chiesto di poter occuparsi solo delle pulizie 2-3 volte la settimana e si è ritenuto giusto accogliere tale proposta; ad alcune delle altre meno sicure di sé stesse nel ruolo di ‘animatrici’ è stata proposta priorità nell’essere in turno con le educatrici professioniste che coadiuvavano il gruppo, altre hanno richiesto di potere essere in turno insieme conoscendosi già e sentendosi più a proprio agio. Tutte sono state incoraggiate/supportate nel pensare a possibili attività da proporre ai bambini, riuscendo solo parzialmente a superare l’ostacolo: nonostante alcune si siano attivate e impegnate in tal senso, altre lo hanno fatto con discontinuità e hanno optato per un ruolo di tipo più ausiliario. Una delle mamme ha esplicitamente affermato alla fine di un laboratorio complessivamente di successo, ma molto movimentato, di non sentirsi adatta a questo genere di ruolo e di aver accusato stress eccessivo.

Per quanto riguarda la domanda di ricerca sull’impatto della tecnologia digitale per un efficace supporto al servizio, dall’analisi interpretativa delle interviste emerge un modello che vede l’uso di una piattaforma dedicata in parte ostacolato dalla familiarità con altre tecnologie più semplici di cui i partecipanti fanno già uso quotidiano (ad esempio WhatsApp, email e l’uso più o meno maturo di spreadsheet) ma anche molto apprezzato quando guidato/facilitato dall’organizzazione oppure quando emergono attività che richiedono una forte integrazione e gestione.

L’accettazione della nuova piattaforma è influenzata, soprattutto nel contesto fortemente grassroot della sperimentazione di Bologna, dalla percezione di “formalità” che lo strumento sembra presupporre in apparente contrasto con il valore volontaristico e “informale” di questo tipo di esperienze. Questo aspetto non è emerso invece a Trento in cui l’uso della piattaforma era perlopiù considerato troppo oneroso per gestire un gruppo così piccolo. A Venezia invece è risultato un forte apprezzamento per la piattaforma da parte delle persone più coinvolte nella gestione delle attività contrariamente ad un gruppo di persone coinvolte meno attivamente o comunque restie a sperimentare nuovi strumenti digitali.

Dall’analisi dettagliata delle interviste, è emersa un’idea di co-produzione leggermente diversa da quella che era stata proposta e sperimentata nel periodo precedente alla pandemia. In tutti e tre i casi di studio, seppur in modalità e con impatto diversi, si è vista più netta la divisione tra chi vedeva la partecipazione come un dovere da espletare e chi era invece disposto ad assumersi la responsabilità non solo di partecipare alle attività, ma anche agli oneri e alle preoccupazioni dell’organizzazione. Questo atteggiamento appare evidente nelle parole di un partecipante maschio del gruppo di Venezia: “io mi limitavo ad andare lì, garantivo l’orario. L’affermazione però non va letta in senso critico rispetto alla co-produzione (la persona in questione ha partecipato in modo attivo e costruttivo alle attività e ha riportato un giudizio positivo sull’esperienza fatta), bensì come una presa di coscienza del ruolo sussidiario che aveva e che intendeva avere rispetto all’organizzazione. Questo aspetto è molto rilevante per gli sviluppi di questo approccio e necessità ulteriori approfondimenti.

Conclusioni

Le esperienze raccolte nei tre casi di studio nel contesto post-pandemico (o quasi post-pandemico) riportate in questo contributo hanno evidenziato alcune differenze peculiari rispetto alle esperienze precedenti. Non è possibile dai nostri casi di studio affermare che queste differenze di prospettiva siano dovute alle mutate condizioni della società per effetto della pandemia ancora in corso, ma è indubbio che cambiamenti economici e strutturali (come lo smart working o la maggiore precarietà e instabilità delle condizioni lavorative in generale specie in alcuni settori) possano influire sulle modalità in cui il volontario in generale e le attività di co-produzione in particolare vengono interpretate. Sarà quindi necessario porre attenzione all’organizzazione futura di questo tipo di attività, peraltro ancora molto apprezzate dai partecipanti non solo per un valore economico, ma anche per l’impatto sulla propria vita sociale e di relazione, sia con altri adulti che con i propri stessi figli, per venire incontro alle possibili nuove esigenze.

L’approccio della co-produzione non è in contrasto con quello (semi-)privatistico ad alto valore sociale portato dalle imprese sociali (Pestoff, 2012) e vi è spazio per la sperimentazione di diversi modelli ibridi. Da questo punto di vista, le imprese sociali e le associazioni di promozione sociale possono svolgere nuovi ruoli di attivazione e organizzazione di dinamiche comunitarie operando forme di mediazione e incorporandole in servizi alle amministrazioni pubbliche (o, come dimostrato nel caso di Trento, anche verso le aziende private). Questi aspetti potrebbero, pertanto, richiedere, almeno in alcuni casi, un percorso per aiutare le realtà del terzo settore a percepire che il volontariato attivo da parte dei fruitori del servizio può generare vantaggio reciproco, rendendo il loro servizio più efficiente e più efficace. Viceversa, è anche importante aiutare le persone a capire e valorizzare la co-produzione come alternativa ai servizi normalmente usufruiti da strutture pubbliche, private o del terzo settore.

La ricerca azione realizzata con Families Share mostra come in prospettiva potrebbe essere interessante sperimentare, condividere le esperienze e modellizzare percorsi e pratiche di co-produzione ponendo attenzione anche alle sfide “formali” e organizzative poste dalla compresenza, nella realizzazione di un servizio, di volontari e figure professionali dipendenti. Infine, gli strumenti di supporto digitale per quanto possano contribuire a sollecitare l’interesse delle comunità e la diffusione delle proposte facilitando, in taluni contesti, le dinamiche di co-produzione, rimangono sempre comunque funzionali alla gestione dell’innovazione sociale.

Ringraziamenti

Il progetto ha ricevuto finanziamenti dal programma Horizon 2020 CAPS dell’Unione Europea (Grant agreement No 780783 24 Families_Share) e dal programma nazionale MUR FISR 2020 (F2F – Families-To-Families for sharing children care). Gli autori e le autrici ringraziano le famiglie che hanno partecipato alle attività e le associazioni che hanno collaborato.

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Note

  1. ^ Le linee guida sono disponibili all’indirizzo https://www.families-share-toolkit.eu/ mentre la piattaforma è disponibile con licenza open source all'indirizzo https://github.com/vilabs/Families_Share-platform
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