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ISSN 2282-1694
impresa-sociale-2-2022-l-economia-sociale-in-italia-dimensioni-ed-evoluzione

Editoriale

L’inserimento lavorativo, malgrado le politiche

Carlo Borzaga, Gianfranco Marocchi

Saggi

Quello strano istituto dell’art. 112

Luigi Gili

L’economia sociale in Italia: dimensioni ed evoluzione

Carlo Borzaga, Manlio Calzaroni, Eddi Fontanari, Massimo Lori

Il terzo settore dei servizi sociali nella crisi sanitaria

Annalisa Turchini

Coproduzione nei servizi per l'infanzia

Agostino Cortesi, Maria Sangiuliano, Nicole Traini, Massimo Zancanaro

Il contributo del terzo settore contro la dispersione scolastica

Grazia Falzarano, Melania Verde

Il ruolo delle imprese sociali nell'agricoltura sociale

Francesco Amati, Italo Santangelo

Una buona valutazione nella cooperazione allo sviluppo

Maura Viezzoli

Saggi brevi

Comunità energetiche rinnovabili

Andrea Bernardoni, Carlo Borzaga, Jacopo Sforzi

Casi studio

Rigenerazione urbana e approccio alle capacitazioni

Gaetano Giunta, Liliana Leone

Numero 2 / 2022

Saggi

L’economia sociale in Italia: dimensioni ed evoluzione

Carlo Borzaga, Manlio Calzaroni, Eddi Fontanari, Massimo Lori

Il presente contributo fornisce in buona parte la sintesi dei principali risultati contenuti nel rapporto Euricse-Istat pubblicato nel 2021 e curato da Carlo Borzaga, Manlio Calzaroni, Eddi Fontanari e Massimo Lori e a cui hanno collaborato Mauro Caramaschi, Carla Troccoli, Chiara Carini e Anna Berton. Il rapporto è stato realizzato nell’ambito della convenzione di ricerca “Dimensioni, evoluzione e caratteristiche dell’economia sociale” stipulata tra l’Istituto nazionale di statistica ed Euricse, con il contributo finanziario della Provincia Autonoma di Trento.

DOI: 10.7425/IS.2022.02.03

Introduzione

Negli ultimi vent’anni è andato crescendo l’interesse dei ricercatori, dei policy maker, delle istituzioni nazionali e internazionali e della società in generale per le organizzazioni e le imprese promosse e gestite in forma partecipata da soggetti diversi dagli apportatori di capitale e che non hanno come obiettivo unico o principale il profitto, ma la risposta ad un bisogno del gruppo promotore o della comunità. Esse sono sempre più spesso accomunate con il termine di Economia Sociale.

A partire dall’ultimo quarto del XX secolo è risultato infatti sempre più evidente che queste organizzazioni – peraltro diffuse già prima della rivoluzione industriale – hanno contribuito ad una crescita economica sostenuta e sostenibile a vantaggio anche dell’occupazione, hanno affrontato in modo efficace diversi problemi sociali ancora non risolti e contribuito a ridurre i livelli di disuguaglianza (CIRIEC, 2017). È così cresciuta la consapevolezza che il loro ruolo vada rivalutato, riconoscendo che rappresentano un disegno istituzionale e una modalità di organizzazione efficiente, quanto e talvolta più di quelle tradizionali, di un’ampia platea di attività produttive – dalla conservazione e trasformazione di prodotti agricoli, alla gestione di servizi di interesse generale, alle produzioni ad alto contenuto di conoscenza.

La diffusione dell’interesse per le organizzazioni dell’economia sociale è confermata anche dall’attenzione che la Commissione Europea ha dedicato a tali organizzazioni e allo studio della loro dimensione ed evoluzione (European Commission 2020a; 2020b). Un’attenzione e un interesse che sono cresciuti nel tempo, fino all’approvazione nel 2021 dell’Action Plan per l’Economia Sociale (European Commission, 2021), con l’intento di promuovere un ulteriore potenziamento di queste organizzazioni nei Paesi dell’Unione Europea favorendo così il perseguimento del più generale obiettivo di realizzazione di un modello di crescita più sostenibile, equo e inclusivo.

I confini di questo insieme di organizzazioni sono però diversi a seconda dei contesti giuridici e delle culture prevalenti. In alcuni Paesi vengono incluse solo le organizzazioni che, per legge o tradizione, non distribuiscono utili ai loro proprietari; in altri vi si fanno rientrare anche le cooperative; in altri ancora si tende ad includere anche le forme di impresa convenzionali che assumono volontariamente una qualche responsabilità sociale (ILO, 2017). Variano quindi sia nella letteratura scientifica che nei provvedimenti legislativi, anche i termini utilizzati per identificare il settore: non profit, terzo settore, economia sociale, economia sociale e solidale sono i termini che ricorrono con maggior frequenza, usati spesso come sinonimi anche se, ad un’analisi più attenta, ricomprendono insiemi di organizzazioni diversi.

Assumendo a riferimento il contesto europeo, il termine più diffuso è quello di economia sociale (e – più recentemente – quello di economia sociale e solidale) che include tre grandi famiglie di organizzazioni – le associazioni, le cooperative e le mutue – con l’aggiunta più recente delle fondazioni e delle altre istituzioni non profit anche se costituite in forma di società di capitale, come le imprese sociali (CIRIES, 2012; SEE, 2021). Questa è anche l’impostazione adottata dalla Commissione Europea nell’Action Plan.

A identificare e definire questo sistema di organizzazioni concorrono una serie di caratteristiche che ne spiegano il funzionamento (CIRIEC, 2017) e che insistono sulle differenze nel comportamento economico e nei modelli di governance rispetto agli altri attori economici. Un primo elemento caratterizzante le organizzazioni dell’economia sociale risiede nella loro mission che esclude o assegna un’importanza secondaria e strumentale alla generazione e distribuzione di utili a favore del perseguimento della soddisfazione del bisogno di una particolare categoria di soci (ad esempio, cooperative e associazioni mutualistiche), oppure dell’intera comunità (ad esempio, cooperative sociali o associazioni di volontariato). A supporto di questo orientamento opera il vincolo di legge o statutario di non distribuzione degli utili che prevede l’accantonamento in appositi fondi, generalmente non appropriabili dai soci, destinati di fatto al rafforzamento della solidità e della sostenibilità finanziaria dell’organizzazione. La strumentalità del capitale viene ulteriormente sancita dal funzionamento del processo decisionale che segue il principio democratico di “una testa, un voto” a conferma della natura prettamente partecipativa della governance.

Il panorama dell’economia sociale così definito risulta particolarmente variegato e racchiude vere e proprie imprese, come nel caso delle cooperative (single o multi-stakeholder), ma anche realtà prive di una struttura imprenditoriale, come molte associazioni. La sua rilevanza è però fuori discussione: solo in Europa secondo un recente studio (CIRIEC, 2017) l’economia sociale conta più di 2,8 milioni di organizzazioni che occupano più di 13,6 milioni di lavoratori, pari al 6,3% della popolazione in età da lavoro nei 28 Paesi dell’Unione Europea.

In Italia il concetto di economia sociale è stato finora poco utilizzato e sia la ricerca che il dibattito pubblico e l’attività legislativa hanno privilegiato singole componenti: le cooperative mutualistiche, da una parte, i vari tipi di associazioni, le cooperative sociali e imprese sociali, dall’altra. Di recente, dal 2016, questa seconda componente è stata unificata dal legislatore e identificata come terzo settore.

Il presente contributo si propone quindi di ricostruire un quadro unitario delle dimensioni e delle caratteristiche dell’intera economia sociale in Italia, nella convinzione che ciò costituisca una condizione per coglierne con maggior precisione il ruolo economico e sociale e, di conseguenza, le opportune modalità di sostegno e di controllo.

In realtà, l’esigenza di procedere a questa ricostruzione è stata sostenuta e sollecitata a livello internazionale fin dal 2006 con la pubblicazione del primo manuale per la costruzione del conto satellite dell’economia sociale (CIRIEC, 2006) – fatta coincidere in questo caso essenzialmente con cooperative e mutue – proprio per fornire uno strumento operativo utile a far fronte all’institutionalism invisibility che caratterizzava il settore.

In questo lavoro – che sintetizza in buona parte i principali risultati contenuti nel rapporto Euricse-Istat sull’economia sociale (Euricse, Istat, 2021) – si è cercato di tener conto nell’analisi oltre che delle imprese cooperative (Istat, 2019) anche delle altre organizzazioni senza fine di lucro, in particolare associazioni e fondazioni. È stato così possibile completare il quadro sulle caratteristiche, peculiarità, diffusione e distribuzione geografica e settoriale di tutte le organizzazioni dell’economia sociale.

L’articolo è strutturato come segue: dopo la descrizione delle fonti dei dati utilizzati nell’analisi, si presenta la dimensione complessiva dell’economia sociale italiana; il paragrafo successivo espone brevemente le principali caratteristiche dell’occupazione; a seguire si approfondiscono la specializzazione settoriale e le dinamiche evolutive delle organizzazioni dell’economia sociale. Verrà infine trattato il ruolo a livello regionale dell’economia sociale nei servizi di welfare e interesse generale per poi giungere alle conclusioni finali.

I dati

Lo studio integra diverse fonti di dati rese disponibili dall’Istituto Nazionale di Statistica (Istat).

Nello specifico, per realizzare questo rapporto di ricerca, nell’ambito del SIR (Sistema Integrato dei Registri), sono stati utilizzati i registri statistici: Asia imprese attive, Asia occupazione, Frame SBS e Censimento permanente delle istituzioni non profit.

Il registro Asia imprese attive è costituito dalle unità economiche che esercitano arti e professioni nelle attività industriali, commerciali e dei servizi e fornisce informazioni sulla localizzazione e la struttura (attività economica, addetti dipendenti e indipendenti, forma giuridica, data di inizio e fine attività, fatturato) di tali unità[1].

Il registro Asia occupazione contiene le informazioni sull’occupazione delle imprese facenti parte di Asia imprese attive e ha una struttura di tipo LEED (Linked Employer Employee Database). Asia occupazione aggiorna i dati sull’occupazione delle imprese attraverso l’integrazione di fonti amministrative di natura previdenziale, fiscale, camerale e assicurativa. La struttura di tipo LEED consente di indagare l’occupazione a livello di impresa, singolo lavoratore e relazione tra quest’ultimo e la prima. L’occupazione è misurata in termini di posizioni lavorative totali in media annua, calcolate sulla base delle presenze settimanali del lavoratore.

Il registro, chiamato Frame SBS, stima annualmente le principali variabili del conto economico delle imprese, utilizzando le informazioni micro raccolte da più fonti amministrative. Il campo di osservazione di Frame SBS è il medesimo di Asia imprese ad esclusione del settore economico delle attività finanziarie e assicurative.

Il Censimento permanente delle istituzioni non profit è costituito dalla sintesi di due fonti: il registro statistico e la rilevazione campionaria delle istituzioni non profit. Il registro aggiorna annualmente le informazioni sulla struttura e sulle principali caratteristiche del settore non profit scalabili a livello territoriale, mentre la rilevazione campionaria integra i contenuti informativi del registro tramite approfondimenti specifici con cadenza triennale.

La struttura dell’economia sociale e la dinamica di breve termine

Nel 2015, l’economia sociale in Italia – formata da cooperative, associazioni, fondazioni e altre istituzioni non profit[2] – era costituita da 379.176 organizzazioni con un valore aggiunto complessivo di oltre 49 miliardi di Euro[3], 1,52 milioni di addetti (di cui 1,49 dipendenti) e più di 5,5 milioni di volontari (Tabella 1)[4].

Tabella 1. Numero organizzazioni, valore aggiunto, addetti e dipendenti dell’economia sociale. Anno 2015. Valori assoluti e percentuali.

Fonte: Istat – Asia imprese, Asia occupazione, Censimento permanente Istituzioni non profit, Frame SBS.

Il ruolo delle Organizzazioni dell’Economia Sociale (OES) risulta dunque particolarmente significativo, soprattutto se tradotto in termini di peso percentuale sull’economia privata. Infatti, rispetto al settore privato, l’economia sociale rappresenta l’8,0% delle organizzazioni, il 6,7% del valore aggiunto, il 9,1% degli addetti e il 12,7% dei dipendenti[5].

Andando ad approfondire la forma giuridica delle OES (Tabella 2), emerge come il 75,7% (286.942) sia costituito in forma di associazione. Le cooperative rappresentano invece il 15,6% delle unità, (3,8% le cooperative sociali). Tuttavia, se si considera il peso economico le proporzioni si invertono: sono le cooperative a contribuire maggiormente alla formazione del valore aggiunto dell’economia sociale con una quota del 60%, pari a 28,6 miliardi di Euro (8,1 le sociali, 20,5 le altre).

Tabella 2. Numero organizzazioni, valore aggiunto, addetti, dipendenti e volontari dell’economia sociale per forma giuridica. Anno 2015. Valori assoluti. Eventuali differenze tra le somme ed il relativo totale sono da attribuire esclusivamente ad arrotondamenti nei decimali.

Fonte: Istat – Asia imprese, Asia occupazione, Censimento permanente Istituzioni non profit, Frame SBS.

Risulta tuttavia degno di nota anche l’apporto, in termini di valore aggiunto, di tutte le altre forme giuridiche: le associazioni (12,5 miliardi di Euro), le istituzioni non profit con altra forma giuridica ovvero enti ecclesiastici, società di mutuo soccorso, società sportive, imprese sociali e altri enti con forma giuridica di ente privato (4,7 miliardi di Euro) e le fondazioni (3,3 miliardi di Euro).

In queste forme giuridiche ha un ruolo decisivo la figura del volontario, in particolare nelle associazioni che nel 2015 hanno mobilitato oltre 5 milioni di persone, ovvero più del 90% dei volontari complessivamente attivati dalle organizzazioni dell’economia sociale. In termini medi i volontari impiegati dalle associazioni sono 17,5 contro i 15,0 e i 9,6 attivi rispettivamente nelle istituzioni non profit in altra forma e nelle fondazioni.

Il principale bacino occupazionale dell’economia sociale è invece rappresentato dalle cooperative che impiegano oltre i tre quarti degli addetti (1,15 milioni di cui 380 mila nelle sociali e 771 mila nelle altre). La rilevanza delle cooperative dal punto di vista occupazionale emerge ancora più chiaramente prendendo in esame il numero medio di addetti e, specificatamente, confrontando il dato delle associazioni (0,5 addetti medi) con quello delle cooperative sociali (26,6) e delle altre cooperative (17,2).

Le differenze tra le diverse forme giuridiche interessano anche il valore aggiunto medio, con le associazioni che raggiungono i 43.558 Euro, discostandosi nettamente dal dato medio dell’intera economia sociale, pari a circa 130 mila Euro. Spiccano invece le cooperative sociali con un valore medio di 566.851 Euro, seguite dalle fondazioni con 509 mila Euro. Il valore aggiunto medio delle altre cooperative è inferiore ai 460 mila.

Le OES[6] possono essere distinte, in relazione al tipo di attività svolta, tra unità market, che operano prevalentemente sul mercato e sono orientate alla vendita di beni e servizi, e unità non market[7].

Nel 2015, il 41,3% delle OES presentava un orientamento market. Questa componente, seppur minoritaria dal punto di vista del numero delle organizzazioni, impiegava il 93,9% di addetti dell’economia sociale e generava circa il 90% del valore aggiunto complessivo. Diversamente, le OES non market impiegavano meno addetti (il 6,1% del totale), avvalendosi prevalentemente di personale non retribuito (63,8% dei volontari attivi nell’economia sociale), e generando poco più del 10,1% del valore aggiunto dell’intero settore.

Rispetto alla forma giuridica, si nota che le OES non market sono prevalenti tra associazioni (69,4%), fondazioni (60,3%) e altre forme giuridiche (72,5%). Le cooperative sociali risultano invece tutte market.

Le entrate delle OES risultano comunque nell’85,5% dei casi prevalentemente di natura privata, evidenziando quindi oltre a un’importante funzione redistributiva anche una elevata capacità di stare sul mercato.

L’occupazione nelle organizzazioni dell’economia sociale

L’approfondimento delle caratteristiche delle persone impiegate presso le organizzazioni dell’economia sociale nell’anno 2017 evidenzia una elevata presenza femminile intorno al 60% dei lavoratori assai superiore al 39,2% delle altre imprese (Tabella 3). Rispetto all’età si rileva una maggiore concentrazione dei dipendenti delle OES nella classe di età 30-49 (55,4%), mentre gli over 50 costituiscono il 31,8%, quota quest’ultima lievemente più alta di quella delle altre imprese (28,0%).

Tabella 3. Dipendenti delle OES e delle altre imprese per sesso, classe di età, qualifica professionale, carattere dell’occupazione, regime orario e titolo di studio. Anno 2017. Composizioni percentuali.

Fonte: Istat – Registro Istituzioni non profit, Asia imprese, Asia occupazione.

Osservando le qualifiche professionali, si registra che gli operai rappresentano il 57,0% dei dipendenti delle OES (53,3% nelle altre imprese) e gli impiegati il 38,2% (37,7% nelle altre imprese), mentre, rispetto alle altre imprese, i quadri nelle OES risultano sottorappresentati (1,4% contro 3,8%).

Passando al carattere dell’occupazione, l’80,8% dei dipendenti impiegati nelle OES ha un contratto a tempo indeterminato, percentuale leggermente inferiore a quella rilevata nelle altre imprese (l’85,1%). L’analisi del regime orario mette in evidenza che il 54,1% dei dipendenti delle OES ha un contratto a tempo pieno, mentre nelle altre imprese la percentuale è significativamente più elevata (73,2%).

I titoli di studio più diffusi tra i dipendenti delle OES sono il diploma di scuola secondaria superiore (32,7%) e il diploma di licenza secondaria di I grado (28,9%), in linea con quanto si osserva nelle altre imprese (39,5% e 29,9% rispettivamente). Al contrario, le OES e le altre imprese si differenziano con riferimento ai dipendenti laureati (diploma di istruzione terziaria, laurea di I livello, diploma accademico di I livello – laurea magistrale, diploma accademico di II livello), pari al 21,4% nelle prime e inferiori al 15% nelle seconde.

Per concludere i dipendenti delle OES sembrano caratterizzarsi per la maggiore presenza di donne e di contratti a part-time[8] e per un livello di istruzione superiore rispetto a coloro che lavorano nelle altre imprese.

Specializzazione settoriale

Anche se le OES operano praticamente in tutti i settori di attività[9], esse presentano una concentrazione maggiore nei settori delle attività artistiche, sportive e di intrattenimento (37,0%) e degli altri servizi (35,0%), attività tipiche delle istituzioni non profit[10] (Tabella 4). Sebbene più distanziato, il settore successivo per consistenza numerica è quello della sanità e assistenza sociale (11,3%).

Tabella 4. Numero e valore aggiunto delle organizzazioni dell’economia sociale per attività economica. Anno 2015. Valori assoluti e composizione percentuale. Eventuali differenze tra le somme ed il relativo totale sono da attribuire esclusivamente ad arrotondamenti nei decimali.

Fonte: Istat – Asia imprese, Censimento permanente Istituzioni non profit, Frame SBS.

Quest’ultimo settore è però il più rilevante dal punto di vista economico: le OES che vi operano generano un valore aggiunto pari a 12,7 miliardi di Euro (25,9% del totale). Seguono i settori del trasporto e magazzinaggio (5,9 miliardi, 11,9% del totale), degli altri servizi (5,4 miliardi, 11,0%) e dei servizi di supporto alle imprese (4,6 miliardi, 9,3%). Presi nel loro complesso questi quattro settori rappresentano più della metà (58,1%) del valore aggiunto dell’intera economia sociale. Diversamente, il settore delle attività culturali, sportive e ricreative, sebbene raccolga un numero elevato di organizzazioni (37,0%), pesa molto meno in termini di valore aggiunto (5,3%).

La sanità e assistenza sociale con più di 445 mila addetti (29,3%), i servizi di supporto alle imprese con quasi 224 mila addetti (14,6%) e il trasporto e magazzinaggio con più di 200 mila (13,6%) si confermano i settori più rilevanti anche sul fronte dell’occupazione (Tabella 5). Questi tre settori assieme raccolgono il 57,5% degli addetti dell’economia sociale. Il settore degli altri servizi, pur presentando un valore aggiunto piuttosto elevato occupa poco meno di 100 mila addetti, ma impiega una percentuale elevata di volontari: circa il 42% del totale complessivo.

Tabella 5. Addetti e volontari dell’economia sociale per attività economica. Anno 2015. Valori assoluti e composizione percentuale. Eventuali differenze tra le somme ed il relativo totale sono da attribuire esclusivamente ad arrotondamenti nei decimali.

Fonte: Istat – Asia imprese, Censimento permanente Istituzioni non profit, Asia Occupazione.

La quasi totalità – il 98,8% - delle organizzazioni dell’economia sociale diverse dalle cooperative operano in quattro settori: altri servizi, attività artistiche, sportive e ricreative e nei settori tradizionali del welfare – istruzione e sanità e assistenza sociale – attivando in questi comparti più dell’81,0% del valore aggiunto prodotto (Tabella 6 e 7). Questa specializzazione conferma la natura di interesse generale delle loro attività e di conseguenza del loro agire.

Tabella 6. Numero organizzazioni dell’economia sociale per attività economica e tipologia di organizzazione. Anno 2015. Valori assoluti e composizione percentuale. Eventuali differenze tra le somme ed il relativo totale sono da attribuire esclusivamente ad arrotondamenti nei decimali.

Fonte: Istat – Asia imprese, Censimento permanente Istituzioni non profit.

Tabella 7. Valore aggiunto dell’economia sociale per attività economica e tipologia di organizzazione. Anno 2015. Valori assoluti in migliaia di Euro e composizione percentuale. Eventuali differenze tra le somme ed il relativo totale sono da attribuire esclusivamente ad arrotondamenti nei decimali.

Fonte: Istat –Asia imprese, Frame SBS, Censimento permanente Istituzioni non profit.

Le cooperative sono invece presenti nei diversi settori in modo più uniforme, seppur con una maggiore presenza nelle costruzioni (8.794), negli altri servizi di supporto alle imprese (8.587), nella sanità e assistenza sociale (8.280) e, infine, nel trasporto e magazzinaggio (7.628) (Tabella 6). Con riguardo al valore aggiunto delle cooperative (Tabella 7), i comparti più rilevanti sono la sanità e assistenza sociale (6,3 miliardi di Euro), i trasporti (5,9 miliardi di Euro), i servizi di supporto alle imprese (4,6 miliardi di Euro), il commercio (3,9 miliardi di Euro) e le attività manifatturiere[11] (3,2 miliardi di Euro).

Nel settore della sanità e dell’assistenza, che presenta la quota di valore aggiunto più elevato dell’intera economia sociale, il contributo delle cooperative e delle altre OES è piuttosto equilibrato: rispettivamente 6,3 e 6,4 miliardi di Euro. Diversamente, il valore aggiunto delle altre OES risulta maggiore di quello delle cooperative nei settori degli altri servizi (4,8 miliardi di Euro contro 610 mila Euro), dell’istruzione (3,1 miliardi di Euro contro 420 mila Euro) e delle attività artistiche e di intrattenimento (2,3 miliardi di Euro contro 306 mila Euro).

La medesima distribuzione settoriale tra cooperative e altre organizzazioni dell’economia sociale si riscontra in riferimento agli addetti (Tabella 8), con l’eccezione della sanità e assistenza sociale dove si osserva che sono le cooperative a occupare una quota maggiore di lavoratori (283.766 addetti rispetto ai 161.304 delle altre OES). Anche in questo caso, bisogna comunque considerare l’importanza del volontariato, soprattutto nelle organizzazioni diverse dalle cooperative che, in questo settore, coinvolgono quasi 1,26 milioni di volontari, pari al 23% del totale.

Tabella 8. Addetti dell’economia sociale per attività economica e tipologia di organizzazione. Anno 2015. Valori assoluti e valori percentuali. Eventuali differenze tra le somme ed il relativo totale sono da attribuire esclusivamente ad arrotondamenti nei decimali.

Fonte: Istat – Asia imprese, Censimento permanente Istituzioni non profit, Asia Occupazione.

Andando a verificare il peso dell’economia sociale sull’intera economia privata (Tabella 9), dal punto di vista del numero di organizzazioni, l’incidenza maggiore si riscontra nei settori della ricreazione, sport e cultura (48,1%), degli altri servizi (39,3%) e dell’istruzione (17,1%), ovvero nei settori dove prevalgono le forme organizzative di tipo associativo.

Spostando invece l’attenzione sul valore aggiunto e sull’occupazione, il settore dove le organizzazioni dell’economia sociale sono di assoluta rilevanza è quello dell’istruzione (che rappresenta oltre il 60,0% del valore aggiunto e degli addetti del comparto), seguito dai settori della sanità e assistenza sociale (35,9% del valore aggiunto, 45,1% degli addetti), degli altri servizi (41,5% del valore aggiunto, 18,9% degli addetti), e delle attività culturali, sportive e ricreative (25,3% del valore aggiunto, 21,0% degli addetti). Più distanti, ma caratterizzati da un impatto significativo dell’economia sociale, risultano i settori dei servizi di supporto alle imprese con un 12,6% sul valore aggiunto e un 19,2% sugli addetti, e del trasporto e magazzinaggio con, rispettivamente, il 10,2% e il 18,9%.

Tabella 9. Incidenza dell’economia sociale sul numero di organizzazioni, valore aggiunto e addetti dell’economia privata per attività economica. Anno 2015. Valori percentuali.

Fonte: Istat – Asia imprese, Asia occupazione, Censimento permanente Istituzioni non profit, Frame SBS.

L’evoluzione delle organizzazioni dell’economia sociale

Nel corso degli ultimi anni l’economia sociale ha conosciuto una fase di crescita decisamente importante, che è coincisa in parte con la congiuntura economica negativa prodotta dalla crisi finanziaria del 2008-09 e che rende ancora più inspiegabile la sottovalutazione operata ai danni di queste organizzazioni soprattutto in sede di definizione degli indirizzi di politica economica.

I dati disponibili evidenziano infatti dal 2011 al 2017 una crescita dell’economia sociale sia in termini di organizzazioni, passate da 346.873 a 394.968 (+14%), sia di dipendenti, passati da 1,42 a 1,55 milioni (+8,8%) (Tabella 10).

Tabella 10. Numero organizzazioni e dipendenti dell’economia sociale in Italia. Anni 2011- 2017.

Fonte: Istat – Asia imprese, Asia occupazione, Censimento permanente Istituzioni non profit.

In particolare, nel periodo 2007-2017, le cooperative sono state interessate da un incremento notevole – di oltre il 20% – del numero di dipendenti, saliti da quasi 957 mila a 1,15 milioni (Tabella 11).

Tabella 11. Numero organizzazioni e dipendenti delle imprese cooperative in Italia. Anni 2007-2017.

Fonte: Istat – Asia imprese, Asia Occupazione.

Uno sviluppo particolarmente marcato ha riguardato inoltre il sottoinsieme del terzo settore (cooperative sociali più altre organizzazioni non profit), che racchiude le organizzazioni dell’economia sociale impegnate nell’erogazione di servizi di interesse generale ovvero in un comparto estremamente strategico a supporto delle politiche di welfare (Tabella 12). In questo caso, negli ultimi due decenni, i dipendenti delle istituzioni del terzo settore sono passati dai 531.926 del 1999 ai quasi 845 mila del 2017 facendo registrare un incremento del +58,8% (+70,6% in termini di organizzazioni), che in buona parte si è verificato soprattutto negli ultimi anni (dal 2011 al 2017). Quest’ultimo trend aiuta a comprendere la funzione strategica – durante i periodi di crisi – di queste organizzazioni nell’intercettare le nuove richieste e i bisogni sociali di cui l’ente pubblico difficilmente sarebbe in grado di farsi carico e di affrontare efficacemente e che si traducono in un incremento del loro livello di attività e di occupazione. Questa evoluzione trova conferma anche nell’andamento del numero di volontari impiegati nel terzo settore, che nel 2015 (ultimo anno disponibile) ha raggiunto quota 5,5 milioni rispetto ai 3,2 del 1999, con un incremento del +71,6%.

Tabella 12. Numero organizzazioni, dipendenti e volontari del terzo settore in Italia. Anni 2007-2017.

Fonte: Istat – Censimento permanente Istituzioni non profit.

Tutto ciò assume particolare rilievo se si considera che le altre imprese private hanno vissuto negli anni più duri della crisi economica un periodo estremamente difficile contrassegnato da un calo sensibile delle persone occupate. Dal 2007 al 2015 le altre imprese hanno infatti ridotto il numero dei dipendenti di oltre il 6%, contrazione che è stata riassorbita solamente tra il 2016 e il 2017 (Tabella 13).

Tabella 13. Numero organizzazioni e dipendenti delle altre imprese in Italia. Anni 2007- 2017.

Fonte: Istat – Asia imprese, Asia Occupazione.

Anche negli anni più recenti, l’economia sociale mostra una dinamica positiva sia del numero di organizzazioni, passate da 379.176 nel 2015 a 394.968 nel 2017 (+4,2%), sia del numero di dipendenti, passati da 1,49 a 1,55 milioni (+3,5%) (Tabella 14).

Tabella 14. Organizzazioni e dipendenti dell’economia sociale e delle altre imprese. Anni 2015 e 2017. Valori assoluti e variazioni percentuali.

Fonte: Istat – Registro Istituzioni non profit, Asia imprese, Asia occupazione.

L’analisi per forma giuridica evidenzia un decremento solo per il numero di cooperative (-0,8%), che non viene però confermato dal trend dei dipendenti, interessato da una crescita del 2,2% e che molto probabilmente è spiegato dai processi di fusione che negli ultimi anni hanno interessato questa forma d’impresa.

La minore crescita dei dipendenti delle OES rispetto a quelli impiegati nelle altre imprese nel biennio 2015-2017 deve esse letta contestualmente alla continua espansione dell’occupazione nell’economia sociale nel periodo 2007-2015, a fronte della significativa perdita di occupazione registrata nel medesimo arco temporale dalle altre imprese. In questo contesto, risulta invece decisamente superiore alla media la crescita dei dipendenti tanto delle fondazioni quanto delle associazioni con rispettivamente un +13,6% e un +12,3%. Diversamente, nelle altre forme giuridiche dell’economia sociale (enti ecclesiastici, società di mutuo soccorso, società sportive, imprese sociali e altri enti con forma giuridica di ente privato), si registra una riduzione dei dipendenti (-1,5 punti percentuali).

L’analisi dell’evoluzione dell’economia sociale per settore d’attività mette in evidenza una crescita dal 2015 al 2017 del numero di organizzazioni attive nell’ambito dell’istruzione (16,2%) e delle attività culturali, sportive e ricreative (13,6%) e un calo significativo in quello delle attività finanziarie (-9,8%) e degli altri servizi (-5,4%) (Tabella 15).

Tabella 15. OES e altre imprese per settore di attività economica. Anni 2015 e 2017. Valori assoluti e variazioni percentuali.

Fonte: Istat – Registro Asia Istituzioni non profit, Registro Asia imprese, Registro Asia occupazione.

A fronte del numero consistente di lavoratori che vi operano, è interessante rilevare l’aumento dei dipendenti nei settori delle attività ricreative (+27,0%) e della sanità e assistenza sociale (+13,0%); in ambedue i casi superiore a quello registrato dalle altre imprese (rispettivamente +16,5% e +10,7%) (Tabella 16). Diversamente, nell’istruzione e negli altri servizi, il tasso di crescita dei dipendenti delle OES è decisamente inferiore a quello registrato nelle altre imprese: +2,5% contro +15,5% (istruzione) e +5,8% contro +10,7% (altri servizi).

Inoltre, il tasso di crescita dei dipendenti delle organizzazioni dell’economia sociale è inferiore a quello delle altre imprese anche nei servizi di supporto alle imprese, dove al +16,2% delle altre imprese corrisponde una crescita pari a zero dell’occupazione tra le OES.

Un’analisi più articolata merita il trend negativo delle OES attive nel settore delle attività finanziarie e assicurative: -47,8% rispetto al +9,8% evidenziato dalle altre imprese. In questo caso la contrazione è legata principalmente all’entrata in vigore della Legge 33/2015 che ha comportato per le banche popolari con un patrimonio superiore a 8 miliardi la trasformazione in società per azioni (entro luglio 2016). Pertanto tale provvedimento ha determinato l’assunzione della forma giuridica di società per azioni da parte di alcune unità economiche che nel 2015 erano cooperative attive nel settore delle attività finanziarie e assicurative e di conseguenza lo spostamento delle unità economiche in questione tra le altre imprese (Tabella 16).

Tabella 16. Dipendenti delle OES e delle altre imprese per settore di attività economica. Anno 2015 e 2017. Valori assoluti e variazioni percentuali.

Fonte: Istat – Registro Istituzioni non profit, Asia imprese, Asia occupazione.

Servizi di interesse generale

Sullo sfondo della crisi del welfare state, è ormai riscontrabile nella maggior parte dei Paesi un processo di “nonprofitzation” del sistema di protezione sociale (Salamon, 2015): il passaggio da uno Stato erogatore diretto di beni e servizi ad uno Stato prevalentemente regolatore e finanziatore che espleta la propria funzione pubblica attraverso la partnership con attori privati (La Spina, Majone, 2000). In Italia, come in altri Paesi, la riorganizzazione del welfare ha comportato uno slittamento dei confini tra pubblico e privato, realizzato attraverso il progressivo affidamento di servizi e funzioni di interesse generale, anche attraverso la formula del contracting-out, a soggetti privati e in particolare alle organizzazioni dell’economia sociale. In questo processo, le OES ricoprono un ruolo rilevante, accentuato anche dai processi di rescaling delle politiche su scala locale. L’economia sociale non opera peraltro nel vuoto sociale, ma si sviluppa all’interno di specifiche reti e strutture sociali, risultando quindi embeddedness, ovvero radicata in distinti ordini istituzionali (culturale, cognitivo, strutturale e politico) (Zukin, Di Maggio, 1990). Su un piano meno astratto, l’ecosistema dell’economia sociale è riconducibile a quattro pilastri fondamentali: la capacità di auto-organizzazione dei cittadini; il grado di riconoscimento e legittimazione sociale su diversi livelli (politico, giuridico, economico); la capacità di accedere a diversi tipi di risorse; lo sviluppo della ricerca e delle competenze (European Commission, 2020). Il contesto e l’ambiente istituzionale sono quindi fondamentali per analizzare diffusione, sopravvivenza, forme organizzative, ma soprattutto per comprendere il ruolo delle organizzazioni dell’economia sociale. In quest’ottica, in questo paragrafo si tenterà di definire l’apporto delle OES al benessere, largamente inteso, dei cittadini, adottando una prospettiva d’analisi regionale, alla luce del carattere sempre più locale delle politiche di welfare.

Sanità

Per cogliere il peso dell’economia sociale nella sanità a livello regionale è stato costruito un indicatore rapportando il valore aggiunto prodotto dalle OES in questo settore alla popolazione regionale (Tabella 17). Le regioni maggiormente connotate da un peso elevato delle OES sono del Centro-Nord (Lazio, Lombardia, Bolzano e Liguria), ma anche del Sud (Molise e Puglia).

Tabella 17. Valore aggiunto pro capite delle OES in sanità per regione. Anno 2015. Valori in Euro.

Fonte: Istat – Censimento permanente delle istituzioni non profit, Frame SBS.

Nella Figura 1, oltre al valore aggiunto pro capite delle OES in sanità (asse delle ordinate), è riportata la quota della spesa sanitaria pubblica destinata al finanziamento dei fattori produttivi esterni (asse delle ascisse). Rispetto a quest’ultimo indicatore, si osserva che le regioni che esternalizzano maggiormente sono Lazio, Lombardia, Molise, Puglia contrariamente a Valle d’Aosta, provincia autonoma di Bolzano, Friuli-Venezia Giulia, Umbria e Toscana. Se si eccettua la provincia autonoma di Bolzano, la relazione tra i due indicatori è piuttosto stretta per cui, al crescere della quota di spesa sanitaria destinata ai fattori esterni, cresce anche il valore aggiunto delle OES nella sanità.

Figura 1. Spesa sanitaria pubblica destinata ai fattori produttivi esterni e valore aggiunto pro capite delle OES in sanità per regione. Anno 2015. Valori in Euro.

Fonte: Cergas, Ministero della Salute, Frame SBS, Censimento permanente delle istituzioni non profit.

Come si è avuto modo di osservare nella figura precedente, il peso dell’economia sociale nella sanità cambia da regione a regione creando diversi mix pubblico/privato nelle reti di offerta delle prestazioni sanitarie. Per facilitare l’analisi dei sistemi sanitari locali, le regioni possono essere suddivise convenzionalmente in tre gruppi secondo la rilevanza economica delle OES (Tabella 18), individuando come valori soglia due livelli di valore aggiunto pro capite: 40 Euro e 100 Euro. Pertanto, il primo gruppo raccoglie le regioni con un valore pro capite delle OES in sanità inferiore a 40 Euro (Friuli-Venezia Giulia, Umbria, provincia autonoma di Trento, Campania, Sardegna, Emilia-Romagna, Calabria, Basilicata, Marche, Piemonte, Valle d’Aosta, Sicilia), il secondo gruppo quelle con una spesa pro capite compreso tra i 40 e gli 100 Euro (Toscana, Veneto, Abruzzo, Liguria, Molise, provincia autonoma di Bolzano); infine, il terzo gruppo quelle con un pro capite superiore ad 100 Euro (Puglia, Lombardia e Lazio). Il primo gruppo, oltre ad essere caratterizzato dal basso peso dell’economia sociale anche in termini di addetti impiegati in ambito sanitario (3,3%), ha come ulteriore peculiarità la centralità del ruolo dell’attore pubblico sia per la quota contenuta di trasferimenti a soggetti privati (31,2%) sia per il peso sugli occupati (62,0% degli addetti totali). Il secondo gruppo è simile al precedente per la centralità dell’attore pubblico e il limitato ricorso a soggetti privati, tuttavia, in esso raddoppia il peso dell’economia sociale in termini sia di valore aggiunto pro capite sia della quota di addetti nella sanità. Infine, il terzo gruppo presenta un rapporto pubblico-privato nella rete di offerta più equilibrato (con trasferimenti a soggetti privati superiori al 40%), con un peso rilevante sia delle OES che delle altre imprese.

Tabella 18. Principali caratteristiche economico-finanziarie secondo il sistema sanitario regionale. Anno 2015. Valori mediani in Euro e percentuale.

Fonte: Elaborazioni proprie su dati Cergas, Ministero della Salute e Istat.

Per approfondire l’analisi, è possibile caratterizzare i tre gruppi precedenti attraverso indicatori più o meno legati alla performance organizzativa o alla qualità dei servizi (Tabella 19). Alcuni indicatori sono tipiche quantificazioni di output (posti letto in degenza ordinaria per 1.000 abitanti, assistenza domiciliare integrata per 100 mila abitanti, dimissioni in regime ordinario per 1.000 abitanti, indice composito BES del dominio salute), altri invece misurano la performance (griglia LEA del Ministero della Salute, indice della performance del consorzio universitario CREA Sanità) o la percezione soggettiva dello stato individuale di buona salute e della qualità delle prestazioni sanitarie ricevute (speranza di vita in buona salute, livello di soddisfazione per le cure mediche ricevute in ricovero). In base a questo set di indicatori, ad eccezione del caso in cui assumono valori costanti nei tre gruppi, è possibile caratterizzare i sistemi sanitari regionali, oltre che per il mix di offerta di servizi pubblico-privata, anche in relazione alla qualità delle prestazioni fornite.

Tabella 19. Indicatori di output e performance secondo il sistema sanitario regionale. Anno 2015. Valori mediani.

Fonte: Elaborazioni proprie su dati Cergas, Ministero della Salute, CREA Sanità e Istat.

Assistenza sociale

Nel settore dell’assistenza la rilevanza dell’economia sociale nei contesti regionali sembra seguire dinamiche diverse da quelle osservate per la sanità. In effetti, nel corso degli ultimi due decenni il settore dell’assistenza sociale è cresciuto significativamente, sebbene nei conti della protezione sociale (Istat, 2020) presenti in termini di spesa pubblica un peso inferiore alla metà (11,0%) rispetto a quello della sanità (22,7%) e soprattutto della previdenza sociale (66,3%). A conferma che in Italia le politiche sociali privilegiano l’erogazione di trasferimenti monetari ai beneficiari all’offerta di servizi, dove, peraltro, i soggetti privati largamente intesi hanno un ruolo centrale.

Se si considera il valore aggiunto pro capite prodotto dalle OES nel settore dell’assistenza sociale, le differenze tra regioni risultano piuttosto ampie (Figura 2): i valori più elevati si osservano nella provincia autonoma di Trento, Piemonte, Valle d’Aosta, Emilia-Romagna, mentre Calabria, Campania, Abruzzo, Puglia e Sicilia presentano quelli più bassi.

Figura 2. Valore aggiunto pro capite delle OES nel settore dell’assistenza sociale per regione. Anno 2015. Valori in Euro.

Fonte: Istat – Censimento permanente delle istituzioni non profit, Frame SBS.

Definendo una proxy della spesa sociale dei comuni destinata ad acquistare prestazioni assistenziali da terzi attraverso la sottrazione dalla spesa sociale dei trasferimenti monetari e delle spese per il personale, emerge una grande variabilità dal punto di vista territoriale: si passa dagli oltre 350 Euro della provincia autonoma di Bolzano ai circa 9 Euro della Calabria. Il valore aggiunto pro capite delle OES nel settore dell’assistenza sociale si presenta inoltre alquanto correlato con questa variabile (il coefficiente di correlazione è pari 0,59, ma se si esclude la provincia di Bolzano, che presenta un valore anomalo, il coefficiente diventa pari a 0,74), pertanto, nell’angolo in basso a sinistra della Figura 3 si posizionano le regioni con bassi livelli sia di spesa sociale sia di rilevanza economica delle OES come Calabria, Campania, Puglia e Abruzzo, mentre nell’angolo opposto quelle con i livelli più elevati di tutti e due gli indicatori (provincia autonoma di Trento, Valle d’Aosta, Emilia-Romagna e Piemonte).

Figura 3. Valore aggiunto pro capite delle OES nell’assistenza sociale e spesa sociale pro capite al netto dei trasferimenti monetari e delle spese per il personale per regione. Anno 2015. Valori in Euro.

Fonte: Istat – Spesa sociale dei comuni, Bilanci consuntivi dei comuni, Censimento permanente Istituzioni Non Profit, Frame SBS.

È proprio a partire dal peso economico dell’economia sociale nell’ambito del settore dell’assistenza sociale che si possono tentare di individuare le differenze tra i diversi sistemi di welfare locali. Come nel caso della sanità, per classificare le regioni rimarcando le differenze territoriali, sono stati individuati due valori soglia del valore aggiunto pro capite prodotto dalle OES nel settore dell’assistenza sociale: 100 Euro e 200 Euro. Il primo gruppo raccoglie le regioni con un valore pro capite delle OES superiore a 200 Euro (Emilia-Romagna, Valle d’Aosta, Piemonte, provincia autonoma di Trento), il secondo gruppo quelle con un valore pro capite compreso tra i 100 e i 200 Euro (Lazio, Liguria, Sardegna, Basilicata, Toscana, Marche, Umbria, Veneto, provincia autonoma di Bolzano, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia), infine, il terzo gruppo quelle con un valore pro capite inferiore a 100 Euro (Calabria, Campania, Abruzzo, Puglia, Sicilia, Molise). La rilevanza dell’economia sociale è correlata ad altre variabili che caratterizzano il grado di copertura e l’assetto dei modelli di welfare locali, in particolare i livelli di spesa, il coinvolgimento dell’attore pubblico e il ruolo delle altre imprese (Tabella 20). Infatti, passando dal primo gruppo dove l’economia sociale è più radicata (valore aggiunto pro capite di 225,2 Euro) al terzo in cui è meno rilevante (57,7 Euro) decresce anche la spesa sociale pro capite dei comuni, il numero di dipendenti pubblici (oltre ovviamente a quello delle OES) e, al contrario, aumenta il valore aggiunto pro capite e i livelli occupazionali delle altre imprese. Se nel primo gruppo la spesa sociale pro capite dei comuni e i dipendenti pubblici attivi in questo settore ogni 10 mila abitanti sono pari rispettivamente a 247,0 Euro e a 28 dipendenti, nel terzo gruppo i valori scendono rispettivamente a quota 61,5 Euro e 4. Nel secondo e nel terzo gruppo è maggiore il peso della componente delle altre imprese con un valore aggiunto che si aggira intorno ai 14 Euro pro capite e un numero di circa 5,5 dipendenti per 10 mila abitanti. È bene precisare, tuttavia, che nel terzo gruppo la rilevanza dell’attore privato è maggiore in termini relativi perché l’offerta locale di servizi di welfare è più bassa come anche l’apporto dell’attore pubblico e delle OES: a titolo esemplificativo, se nel primo e secondo gruppo i dipendenti delle altre imprese rappresentano circa il 5% dei dipendenti complessivi del settore dell’assistenza sociale, nel terzo gruppo questa quota si assesta sopra il 16%.

Tabella 20. Principali caratteristiche economico-finanziarie del welfare locale nel settore dell’assistenza sociale. Anno 2015. Valori mediani.

Fonte: Istat – Spesa sociale dei comuni, Censimento permanente Istituzioni Non Profit, Frame SBS, Censimento delle istituzioni pubbliche.

Per concludere, è interessante osservare il tipo di servizi offerti in termini di output nei gruppi di regioni definiti sulla base della rilevanza dell’economia sociale e, più in generale, dell’assetto pubblico-privato delle politiche sociali (Tabella 21). Rispetto alla copertura di alcuni servizi si registra un forte divario tra i sistemi di welfare locali, come nel caso dell’offerta residenziale socio-assistenziale e socio-sanitaria: i posti operativi ogni 1000 abitanti sono oltre 10 nelle regioni del primo gruppo, mentre scendono di molto a 3,7 posti nel terzo gruppo. Le differenze sono significative anche in considerazione delle prestazioni per l’infanzia: i bambini che hanno usufruito dei servizi per l’infanzia sono il 24,4% nelle regioni del primo gruppo e scendono al 15,2% nel secondo fino alla quota residuale del 4,9% nel terzo.

Tabella 21. Indicatori di output e secondo il sistema di welfare locale. Anno 2015. Valori mediani.

Fonte: Elaborazioni proprie su dati Istat, Rapporto Bes.

Istruzione

Un altro settore caratterizzato da un ruolo particolarmente rilevante dell’economia sociale è quello dell’istruzione. Si tratta di un comparto altamente strategico per l’accrescimento del capitale umano che contribuisce a rendere ciascun territorio più competitivo.

Parlando di offerta privata nel settore dell’istruzione è bene ricordare che essa è garantita prevalentemente dalle organizzazioni dell’economia sociale (Tabella 22). Su scala nazionale essa contribuisce al valore aggiunto prodotto dalle imprese private per quasi l’87%, con percentuali prossime al 100% in Valle d’Aosta, provincia autonoma di Bolzano, provincia autonoma di Trento, Friuli-Venezia Giulia e Veneto; meno rilevante, anche se ancora prevalente, risulta il peso dell’economia sociale sulla componente privata in Umbria (58,0%), Campania (62,6%), Toscana (74,5%) e Sardegna (78,4%).

Tabella 22. Valore aggiunto delle OES nel settore dell’istruzione per regione. Anno 2015. Valori percentuali e in Euro.

Fonte: Istat, Censimento permanente delle istituzioni non profit, Frame SBS.

Raggruppando le regioni in base alla consistenza del valore aggiunto pro capite delle OES nel settore dell’istruzione è possibile costruire tre gruppi distinti: il primo, caratterizzato da un valore pro capite delle OES elevato – superiore a 70 Euro – che include la provincia di Trento, il Lazio, la Lombardia, la Valle d’Aosta, il Veneto, il Friuli-Venezia Giulia e la provincia di Bolzano; il secondo con un valore pro-capite intermedio – tra 20 e 70 Euro – composto da Piemonte, Emilia-Romagna, Liguria, Sicilia, Sardegna, Toscana, Abruzzo, Umbria e Campania; l’ultimo, contraddistinto da un valore pro capite estremamente ridotto – inferiore a 20 Euro – è formato da Puglia, Marche, Calabria, Molise e Basilicata.

Questa operazione restituisce un peso crescente dell’istruzione privata all’aumentare del valore aggiunto pro capite prodotto dalle OES, con il 9,2% di iscritti nelle scuole private nel primo gruppo di regioni contro il 7,0% e il 3,3% negli altri due gruppi (Tabella 23). Questa particolare connotazione determina a sua volta una differente incidenza dell’economia sociale sull’intero settore dell’istruzione (pubblico e privato): dall’8,5% del valore aggiunto settoriale nel primo gruppo si scende infatti rispettivamente al 2,6% e all’1,1% nel secondo e nel terzo gruppo.

A fronte di questa differente strutturazione e configurazione del sistema d’istruzione a livello territoriale, risulta interessante provare ad associare a questi dati di contesto una serie di indicatori intesi a valutare e comparare la performance dei raggruppamenti di regioni sopra individuati.

Partendo dall’analisi della spesa pubblica per iscritto, non si rilevano differenze di particolare rilievo tra i gruppi di regioni nonostante si evidenzi un leggero divario tra il primo (6.551 Euro) e il terzo gruppo (6.895 Euro).

Al contrario, il primo e il terzo gruppo mostrano una differenza decisamente marcata con riferimento al tasso di giovani NEET, con un’incidenza rispettivamente del 18,5% e del 28,7%, e, secondariamente, rispetto al grado di partecipazione alla formazione continua.

Per quanto riguarda il tasso di partecipazione alla scuola dell’infanzia, non si registrano invece differenziazioni tra i gruppi, con una percentuale che supera in tutti e tre i casi il 90%.

Tabella 23. Valore aggiunto pro capite delle OES e altre imprese e principali indicatori qualitativi nel settore dell’istruzione per gruppi di regione. Anno 2015. Valori mediani in Euro e percentuale.

Fonte: Istat – Censimento permanente delle istituzioni non profit, BES, Frame SBS.

Cultura, sport e ricreazione

Come evidenziato in precedenza, un altro settore che beneficia particolarmente del contributo dell’economia sociale è quello culturale, sportivo e ricreativo. Data la connotazione potenzialmente di interesse generale di questo insieme di attività, risulta utile pure in questo caso approfondire le differenti forme imprenditoriali e organizzative che popolano il settore, soprattutto per verificare l’esistenza di un legame con la qualità della vita delle persone e delle comunità di riferimento.

Partendo dall’analisi della struttura proprietaria del settore, si evidenzia una certa rilevanza economica delle organizzazioni di natura privata[12], che generano in otto regioni e nella provincia di Bolzano più della metà del valore aggiunto delle attività culturali, sportive e ricreative (Tabella 24). Le regioni in questione, ad eccezione della Sardegna, si suddividono tra Nord (Liguria, Piemonte, Emilia-Romagna e Veneto) e Centro (Marche, Toscana e Umbria). Diversamente al Sud (con l’esclusione della Sardegna) l’incidenza del privato sul settore si assesta intorno al 30,0%.

Tabella 24. Valore aggiunto delle OES nel settore culturale, sportivo e ricreativo per regione. Anno 2015. Valori percentuali e in euro.

Fonte: Istat, Censimento permanente delle istituzioni non profit, BES, Frame SBS.

Come fatto in precedenza, è possibile, pure in questo caso, raggruppare le regioni sulla base del livello di valore aggiunto pro capite generato dalle OES. Operando in questo modo, sono stati individuati tre insiemi di regioni.

Il primo gruppo che raccoglie i territori caratterizzati da un elevato valore aggiunto pro capite delle OES – superiore a 70 Euro – presenta un valore simile per le altre imprese con un ruolo prevalente della componente privata (OES + altre imprese), ovvero Valle d’Aosta, provincia autonoma di Bolzano, Marche, Veneto e Toscana; il secondo gruppo che include invece le regioni con un valore aggiunto pro capite delle OES intermedio – tra 30 e 70 Euro – mostra un valore in linea con quello del gruppo precedente per le altre imprese con un ruolo della componente privata simile a quello del settore pubblico, è rappresentato da Friuli-Venezia Giulia, provincia autonoma di Trento, Umbria, Emilia-Romagna, Lazio, Sardegna, Lombardia, Piemonte e Liguria; infine, il terzo gruppo è composto dalle regioni con un valore aggiunto pro capite delle OES estremamente ridotto – inferiore a 30 Euro – simile a quello delle altre imprese, con un conseguente ruolo prevalente del settore pubblico (quasi il 70,0%), e comprende Abruzzo, Puglia, Molise, Basilicata, Campania, Sicilia e Calabria.

A questi dati strutturali è interessante accostare una serie di indicatori che misurano il ruolo e il grado di fruizione dei servizi culturali, sportivi e ricreativi a livello territoriale, evidenziando le ripercussioni in termini di accrescimento del benessere sociale (Tabella 25).

L’importanza del settore culturale, sportivo e ricreativo nelle macroaree sopra definite può essere catturata dall’incidenza delle spese sostenute dai fruitori di questi servizi sul valore complessivo dei consumi finali. In questo caso, è il secondo gruppo a segnalarsi per la percentuale più elevata, con un 7,8%, rispetto al 7,1% del primo e al 6,3% del terzo gruppo. Parallelamente, l’importanza relativa del comparto in termini di addetti evidenzia un sostanziale allineamento tra il primo e il secondo gruppo, con rispettivamente un 3,5% e un 3,8%, confermando invece un valore inferiore nelle regioni del terzo gruppo (2,6%).

Osservando poi i valori assunti dagli indicatori più qualitativi, come il tasso di partecipazione culturale, la soddisfazione per il tempo libero e la diffusione tra la popolazione della pratica sportiva, i primi due gruppi risultano sostanzialmente allineati con valori nettamente superiori a quelli registrati nel terzo gruppo, soprattutto con riferimento al tasso di partecipazione culturale e all’attività sportiva.

Tabella 25. Valore aggiunto pro capite delle OES e altre imprese e principali indicatori qualitativi nel settore culturale, sportivo e ricreativo per gruppi di regione. Anno 2015. Valori mediani in euro e percentuale.

Fonte: Istat, Censimento permanente delle istituzioni non profit, BES, Frame SBS.

Conclusioni

Il lavoro presentato in queste pagine ha permesso per la prima volta di fornire un quadro preciso – basato sui dati della statistica ufficiale – del contributo economico e occupazionale dell’economia sociale in Italia. Nonostante l’Italia rappresenti uno dei Paesi in cui queste organizzazioni hanno conosciuto storicamente uno sviluppo particolarmente significativo, non era tuttavia ancora disponibile una ricostruzione fedele delle dimensioni del fenomeno. In passato, sono stati fatti dei tentativi che a seconda dei casi hanno provato a dar conto o della diffusione delle imprese cooperative oppure di quella del terzo settore, mantenendo però sempre distinti i due sottoinsiemi.

Il presente studio fornisce invece un quadro unitario di queste due componenti dell’economia sociale con l’intento di contribuire a una maggiore comprensione della rilevanza e del ruolo di queste forme organizzative, soprattutto alla luce del crescente interesse in sede comunitaria per il loro apporto alla costruzione di un modello di sviluppo più sostenibile, equo e inclusivo.

L’aspetto più importante che i dati restituiscono è la pervasività delle organizzazioni dell’economia sociale in praticamente tutti i settori del sistema economico italiano con un contributo di rilievo lungo la filiera agroalimentare, nelle attività maggiormente labour-intensive e nei servizi di interesse generale. È soprattutto in quest’ultimo caso che emerge il peso dell’economia sociale con un apporto particolarmente importante nell’erogazione di servizi di welfare, oltre che da parte delle cooperative sociali, anche delle altre organizzazioni dell’economia sociale (associazioni, fondazioni) che solitamente vengono trattate distintamente sottostimandone il contributo complessivo al settore.

Tale evidenza conferma quindi l’utilità di poter disporre di dati sempre più completi, aggiornati e strutturati sull’economia sociale che aiutino i policy maker a prendere decisioni più aderenti al reale funzionamento del sistema economico e a sostegno della crescita di questo comparto, ritenuto ormai un pilastro delle future politiche – non solo sociali ma anche economiche.

In futuro sarà quindi necessario puntare alla costruzione di un conto satellite[13] sulle organizzazioni dell’economia sociale che consenta di quantificare periodicamente e sistematicamente le risorse economico-occupazionali attivate – non solo direttamente ma anche per via indiretta e indotta (input/output analysis) – nel sistema economico nazionale. Il presente lavoro rappresenta infatti solamente un primo passo che si spera possa stimolare ulteriormente la riflessione e incentivare la realizzazione di questo percorso.

Bibliografia

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DiMaggio P.J., Zukin S. (1990), Structures of Capital: The Social Organization of the Economy, Cambridge University Press, Cambridge, New York.

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La Spina A., Majone G. (2000), Lo Stato regolatore, Il Mulino, Bologna.

Salamon L.M. (2015), “The Nonprofitization of the Welfare State”, VOLUNTAS, 26(6), pp. 2147-2154.

Social Economy Europe (2021), The Future of EU policies for the Social Economy: Towards a European Action Plan, Brussels.

Note

Note

  1. ^ Il registro Asia imprese attive non copre i seguenti settori di attività: agricoltura, silvicoltura e pesca (sezione A della classificazione Nace Rev.2); amministrazione pubblica e difesa; assicurazione sociale obbligatoria (sezione O); attività di organizzazioni associative (divisione 94); attività di famiglie e convivenze come datori di lavoro per personale domestico; produzione di beni e servizi indifferenziati per uso proprio da parte di famiglie e convivenze (sezione T); organizzazioni ed organismi extraterritoriali (sezione U); le unità classificate come istituzioni pubbliche e istituzioni non profit in forma associativa. I dati del registro Asia sono aggiornati annualmente attraverso un processo di integrazione di informazioni provenienti sia da fonti amministrative che da fonti statistiche.
  2. ^ Le altre istituzioni non profit in: enti ecclesiastici, società di mutuo soccorso, società sportive dilettantistiche e imprese sociali altri enti con forma giuridica di ente privato.
  3. ^ È escluso il valore aggiunto del settore agricolo e delle banche di credito cooperativo.
  4. ^ Considerando anche i gruppi di impresa con al vertice una cooperativa controllante (possesso del 50% + 1 dei diritti di voto nell’assemblea di altra impresa) e quantificando il valore economico e occupazionale generato dalle imprese controllate, il valore aggiunto prodotto dall’economia sociale sale a 51,8 miliardi di euro e gli addetti a 1,58 milioni.
  5. ^ Includendo anche i gruppi d’impresa cooperativi, il peso dell’economia sociale sull’economia privata sale al 7,0% per quanto riguarda il valore aggiunto e al 9,4% per quanto riguarda il totale addetti.
  6. ^ In questo caso vengono prese in considerazione solamente le organizzazioni che popolano il terzo settore, ovvero le cooperative sociali, le associazioni, le fondazioni e altre forme giuridiche.
  7. ^ In sintesi, le prime vendono ad altri tutto o gran parte di ciò che producono ad un prezzo economicamente significativo, mentre le seconde offrono gratuitamente beni e servizi prodotti o li vendono ad un prezzo “calmierato” (non economicamente significativo). Operativamente un’unità economica è definita “market” quando i ricavi dalla vendita di beni e servizi coprono almeno il 50 per cento dei costi sostenuti nel processo produttivo.
  8. ^ Caratteristica che sembra trovare spiegazione nella differente specializzazione settoriale delle OES rispetto alle altre imprese.
  9. ^ Il settore agricolo è escluso dall’analisi. Inoltre, nelle attività finanziarie e assicurative non è ricompreso il valore aggiunto generato dalle banche di credito cooperativo.
  10. ^ Il settore delle altre attività di servizi raccoglie in prevalenza le seguenti attività: sindacale, religiosa, politica, di tutela dei diritti, di difesa ambientale, di solidarietà internazionale, filantropica, ricreativa.
  11. ^ Va ricordato che una parte rilevante del valore aggiunto dell’industria manifatturiera è generata dall’attività di trasformazione delle cooperative agricole.
  12. ^ Non sono considerate le attività riguardanti scommesse, lotterie e case da gioco.
  13. ^ Il conto satellite è la rappresentazione della produzione ovvero dei flussi di beni e servizi generati/attivati da un determinato sottoinsieme di imprese per comprenderne la rilevanza nel sistema economico complessivo.
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