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ISSN 2282-1694
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Editoriale

L’inserimento lavorativo, malgrado le politiche

Carlo Borzaga, Gianfranco Marocchi

Saggi

Quello strano istituto dell’art. 112

Luigi Gili

L’economia sociale in Italia: dimensioni ed evoluzione

Carlo Borzaga, Manlio Calzaroni, Eddi Fontanari, Massimo Lori

Il terzo settore dei servizi sociali nella crisi sanitaria

Annalisa Turchini

Coproduzione nei servizi per l'infanzia

Agostino Cortesi, Maria Sangiuliano, Nicole Traini, Massimo Zancanaro

Il contributo del terzo settore contro la dispersione scolastica

Grazia Falzarano, Melania Verde

Il ruolo delle imprese sociali nell'agricoltura sociale

Francesco Amati, Italo Santangelo

Una buona valutazione nella cooperazione allo sviluppo

Maura Viezzoli

Saggi brevi

Comunità energetiche rinnovabili

Andrea Bernardoni, Carlo Borzaga, Jacopo Sforzi

Casi studio

Rigenerazione urbana e approccio alle capacitazioni

Gaetano Giunta, Liliana Leone

Numero 2 / 2022

Saggi

Il terzo settore dei servizi sociali nella crisi sanitaria. Effetti sul lavoro e sulle entrate economiche

Annalisa Turchini

Abstract

Il paper esplora gli effetti della pandemia sui fornitori di servizi sociali del terzo settore concentrandosi su specifiche dimensioni di analisi, quali lavoro retribuito, lavoro volontario ed entrate[1]. I servizi sociali, come noto, sono uno degli ambiti operativi più rilevanti per le imprese sociali e non marginale per il resto del terzo settore. Attraverso i dati tratti dalla IV edizione dell’indagine Inapp[2] sui Servizi sociali erogati dagli enti non profit si delinea un quadro delle conseguenze economiche e occupazionali che, nel 2020, hanno interessato gli enti erogatori di servizi sociali con l’obiettivo di comprendere come la presenza di lavoro retribuito e quella di lavoro volontario abbiano influito sugli enti in termini di operatività e mantenimento dei livelli di budget. Le unità di riferimento dell’analisi sono gli enti del terzo settore classificati come previsto dalle 7 sezioni del RUNTS (Registro Unico Nazionale Terzo Settore): Imprese Sociali, Organizzazioni di Volontariato, Associazioni di Promozione sociale, Enti filantropici, Reti associative, Società di Mutuo Soccorso, Altri enti di Terzo Settore. L’indagine Inapp da cui sono tratte le evidenze empiriche ha carattere ricorrente, è di tipo campionario e ha come universo di riferimento 63.898 enti non profit appartenenti ai settori di attività economica: Istruzione e ricerca, Sanità, Assistenza sociale e Protezione civile e Sviluppo economico e coesione sociale. La rilevazione 2020 ha debitamente considerato le straordinarie condizioni in cui hanno operato gli enti e le limitazioni imposte dalla pandemia, aggiungendo al questionario di rilevazione una sezione dedicata agli effetti dell’emergenza Covid-19.

Keywords: servizi sociali, imprese sociali, terzo settore, pandemia, lavoro retribuito, lavoro volontario, entrate economiche

DOI: 10.7425/IS.2022.02.04

Introduzione

Da un punto di vista tecnico, per servizi sociali[3] si intendono tutte le azioni di cura, assistenza e sostegno atte a superare condizioni di disagio di particolari fasce di popolazione (anziani, disabili, minori, soggetti con dipendenze, immigrati, ecc.) con l’obiettivo di attenuare lo stato di bisogno fisico, economico e di emarginazione, sostenendo un suo possibile superamento. Sotto un profilo teorico-politico, i servizi sociali sono, invece, l’infrastruttura su cui viaggiano gli interventi di contenimento delle disparità sociali ed economiche volti a stabilire condizioni di inclusione ed equità per ampie fasce di popolazione.

Il campo dei servizi sociali è, dunque, ampio e multiforme tanto che, rispondere ad una semplice domanda come “Quali sono i servizi sociali?” apre la porta a malintesi terminologici capaci di disorientare i cittadini sul perimetro effettivo dei servizi. Uno dei principali equivoci è dato da un utilizzo circoscritto del termine, intendendo per servizi sociali unicamente le azioni di accesso, selezione e valutazione dell’utenza fornite dal Servizio sociale professionale e dal Segretariato sociale. Nella realtà queste sono soltanto due delle 79 prestazioni di cui si compone il sistema dei servizi sociali come classificato dal Nomenclatore degli interventi e servizi sociali[4] messo a punto dal CISIS con tutte le Regioni e Province Autonome.

Con l’intenzione di superare le definizioni teoriche e pervenire a condizioni empiriche utili alla misurazione del fenomeno, questo paper adotta la definizione più estensiva di servizi sociali che comprende, come da Nomenclatore, 79 voci (e 6 sotto-voci) di servizio elementare raggruppate in 9 aree omogenee d’intervento[5] al fine di agevolarne la comprensione e la divulgazione delle attività riferite al sistema degli interventi sociali.

A partire dal campo dei servizi sociali, ambito operativo strategico per le imprese sociali (Marocchi, 2022) e non marginale per il resto del terzo settore, si esplora, in modo empirical based, l’evoluzione delle tipologie giuridiche degli erogatori di servizi sociali e la distribuzione degli addetti negli enti, per capire quali effetti abbia determinato la pandemia sul lavoro retribuito, su quello volontario e sulle entrate[6].

L’intensità con cui nel 2020[7] l’emergenza sanitaria ha dominato e orientato il corso degli eventi (Borzaga, 2020) costituisce un vincolo imprescindibile nella lettura dell’evoluzione del sistema dei servizi sociali che, pur sommandosi a dinamiche strutturali già in atto, non può non avere un ruolo primario.

Al riguardo, le norme di contrasto al diffondersi del Covid-19 emanate in fase di lockdown[8] hanno avuto ricadute diverse sul terzo settore a seconda della natura degli enti e delle attività di servizio sociale prestate; ne sono esempi, la regolamentazione restrittiva alla presenza dei volontari[9] o quella che imponeva lo stato di fermo a specifici segmenti d’attività (ad es. le Associazioni sportive, i Centri diurni, ecc.).

Che effetti ha avuto la pandemia sul lavoro retribuito e su quello volontario[10] negli enti di terzo settore impegnati nei servizi sociali? Quali differenze si evidenziano tra soggetti a vocazione d’impresa come le imprese sociali e gli altri enti di cui si compone il nuovo perimetro del terzo settore? La maggiore consistenza di lavoro retribuito delle Imprese sociali ha costituito un fattore di vantaggio in termini di mantenimento dei livelli di budget?

La IV rilevazione Inapp sui Servizi sociali erogati dagli enti non profit cerca di rispondere a queste domande. L’indagine, realizzata nei primi mesi del 2021, su dati riferiti al 2020 è di tipo campionario; ha come universo di riferimento 63.898 enti non profit appartenenti ai settori di attività economica Istruzione e ricerca, Sanità, Assistenza sociale e Protezione civile e Sviluppo economico e coesione sociale. Le unità di analisi della rilevazione sono gli organismi non profit impegnati nei servizi sociali[11], classificati come previsto dalle 7 sezioni del RUNTS, in: Imprese Sociali, Organizzazioni di Volontariato, Associazioni di Promozione sociale, Enti filantropici, Reti associative, Società di Mutuo Soccorso, Altri enti di Terzo Settore. 

Per l’edizione dell’indagine 2020, al questionario di rilevazione è stata aggiunta una sezione dedicata all’organizzazione del lavoro e dei servizi sociali nel periodo Covid-19 volta ad esplorare le conseguenze della pandemia su lavoro, operatività ed entrate. In parallelo, le dimensioni di analisi ricorrenti sono rappresentate da informazioni strutturali sull’ente (denominazione, tipologie giuridiche di terzo settore, anno inizio attività, ecc.), tipologie di servizi sociali erogati (aree di offerta dei servizi, servizi prevalenti, servizi elementari), risorse umane e professionali (numero addetti retribuiti e volontari, inquadramento contrattuale, qualifica, professioni sociali), governance (organi di governo, sistemi di controllo di qualità, ecc.), fonti finanziarie (budget, 5x1000, natura delle fonti finanziarie) e relazioni con il territorio (relazioni degli enti con soggetti istituzionali, del non profit e attori non formali).

I fornitori di servizi sociali del terzo settore: evoluzione delle tipologie giuridiche e distribuzione degli addetti

Nel 2020 gli enti fornitori di servizi sociali sono 33.973 a fronte degli 18.971 del 2016, una consistente crescita da attribuire a due diversi fattori: una crescita relativa che si attesta a 6.433 enti appartenenti ai settori di Istruzione e ricerca e di Sviluppo economico e coesione sociale in precedenza non inclusi nel campione; una crescita reale ed effettiva di 8.569 enti appartenenti ai settori già inclusi nel campione (Assistenza sociale e protezione civile e Sanità) con un aumento netto di erogatori di servizi sociali del non profit[12] di circa il 45%. Non si esclude che la consistente crescita di fornitori di servizi sociali abbia carattere contingente e un forte legame con il peggioramento generale delle condizioni socioeconomiche della popolazione causato dal travolgente passaggio della pandemia che, nel 2020, ha assesto il suo colpo peggiore, trovando cittadini e istituzioni impreparati ad affrontarne gli effetti sociali ed economici.

Gli addetti totali dei servizi sociali (Grafico 1) sono 1.205.030[13], ripartiti in 600.589[14] retribuiti e 604.441 volontari: nelle imprese sociali si concentra la netta maggioranza dei retribuiti (395.028 unità di personale pari al 65,8% di tutte le forze retribuite), mentre nelle organizzazioni di volontariato prevale il lavoro volontario (384.682 volontari/e pari al 63,6% del totale dei volontari attivi nei servizi sociali).

Cresce il numero di addetti totale[15] (954.240 nel 2016) con un incremento in termini assoluti di entrambe le componenti, sia quella retribuita che volontaria, e aumenta l’incidenza del lavoro retribuito rispetto a quello volontario: nel 2016 i retribuiti erano il 47,6% nel 2020 sono il 49,8% a fronte dei volontari che nel 2016 erano il 52,4% e nel 2020 scendono a 50,2%.

Grafico 1. Confronto addetti e numero enti erogatori, anni 2016-2020. [Nel 2020 la crescita reale del numero di erogatori è di 8.569 enti, il resto è da attribuire all'ampliamento campionario a 2 nuovi settori di attività].

Fonte: Inapp, 2022 – IV Indagine sui servizi sociali erogati dagli enti non profit.

Gli enti presentano una suddivisione tra lavoro retribuito e volontario coerente con la propria vocazione. Da un lato (Tabella 1) ci sono gli enti a vocazione d’impresa quali le imprese sociali[16] (nella quasi totalità oggi in forma di cooperative sociali), dove la quasi totalità degli addetti è retribuita (93,2% retribuiti, 6,8% volontari), le fondazioni[17] (50,8% retribuiti e 49,2% volontari) e altri enti del terzo settore (81,1% i retribuiti e 18,9% i volontari). Dall’altro si trovano i soggetti a vocazione volontaria con una decisa prevalenza di lavoro volontario, nello specifico: le organizzazioni di volontariato (11,4% retribuiti e 88,6% volontari) e le associazioni di promozione sociale (11,0% i retribuiti e 89,0% i volontari). Anche nelle reti associative e nelle società di mutuo soccorso prevale, con peso diverso, il lavoro volontario sebbene il numero degli addetti impegnati nei servizi sociali sia molto marginale (le reti associative contano un totale di 3.450 addetti e le società di mutuo soccorso 1.142).

Tabella 1. Distribuzione dei retribuiti e volontari dei servizi sociali per tipologia giuridica di ente. Valori percentuali. Anno 2020.

Fonte: Inapp, 2022 – IV Indagine sui servizi sociali erogati dagli enti non profit.

La diversificazione tra vocazione volontaria e vocazione d’impresa (Turchini, 2019) è un principio d’ispirazione della Riforma tradotto in specifica prescrizione[18] che, come dimostrato dalle evidenze empiriche, è già ampiamente adottato da tutti i soggetti attivi nei servizi sociali.

Per approfondire come i fornitori di servizi sociali si stiano evolvendo sotto al profilo della natura giuridica è utile il confronto tra i dati del 2020 con quelli della precedente edizione dell’indagine, riferita al 2016, considerando esclusivamente la crescita netta, cioè raffrontando soltanto i settori storicamente inclusi nel campione (Assistenza sociale e protezione civile e Sanità) ed escludendo la porzione di crescita relativa, indotta dall’inclusione dei nuovi settori (Istruzione e ricerca e Sviluppo economico e coesione sociale).

Come mostra il Grafico 2 la crescita più consistente riguarda le Imprese sociali (o cooperative sociali) che passano dal 25,6% del 2016 all’attuale 33,4% (+7,7%) seguita dalle Organizzazioni di volontariato con un incremento nel 2020 di +6,2%. Viceversa, si assottiglia la presenza delle Fondazioni (dal 7,3% del 2016 al 4,1% del 2020) il cui carattere imprenditoriale, probabilmente, non è riuscito ad attutire la forte riduzione di operatività registrata in aree di servizio sociale a diffusa prevalenza di fondazioni (es. i Servizi Diurni erogati dal 53,8% delle Fondazioni). L’Associazionismo di promozione sociale rispetto al 2016 registra un calo del 2,8% segnalando che, nella precedente indagine erano presenti, nei servizi sociali, un 8.3% di Associazioni non riconosciute ora non più rilevate in quanto non comprese tra le sezioni del RUNTS. Infine, molto scarsa la presenza di Reti associative (0,3% nel 2020) e Società di mutuo soccorso[19] (0,2%), mentre resta sostanzialmente stabile la presenza di Altri enti del non profit (dal 8,9% del 2016 al 8,8% del 2020). Nel 2016 sotto la voce altri enti erano comprese varie tipologie di non profit (Enti ecclesiastici, ONG[20], ecc.). Attualmente, invece, la voce costituisce una sezione del RUNTS[21] e la sua consistenza desta qualche perplessità alimentando l’ipotesi che sia stata creata ad hoc per raccogliere i molti soggetti che non si riconoscono o non sono/non vogliono identificarsi in nessuna delle altre sezioni.

Grafico 2. Confronto distribuzione, 2016-2020, (per i soli settori Assistenza sociale e Sanità) dei fornitori non profit di servizi sociali per tipologia giuridica. Valori percentuali. Anno 2020.

Fonte: Inapp, 2022 – IV Indagine sui servizi sociali erogati dagli enti non profit.

I dati mostrano un’ampia crescita quantitativa del settore dei servizi sociali che interessa sia il numero degli erogatori, sia quello degli addetti, maggiormente orientata a sostenere la vocazione d’impresa come confermato dagli apprezzabili incrementi di imprese sociali e addetti retribuiti. La lettura di tale fenomeno non può non considerare possibili nessi con la Riforma[22] del terzo settore che “rende senz’altro più favorevole il quadro legislativo dell’impresa sociale, rispetto a quello vigente[23] allentando alcuni vincoli (tra cui quello relativo alla distribuzione di utili) ed introducendo specifiche misure fiscali di promozione e supporto” (Terzjus, 2021).

Inoltre, nei servizi sociali, l’intento della Riforma di stabilire limiti al mix lavoro volontario e retribuito, ha orientato la scelta verso il lavoro retribuito, utile allo sviluppo di un’offerta di segno più professionale (Gori, 2018). In ambiti d’interesse generale specifici e puntuali come i servizi sociali, dunque, l’evoluzione della natura giuridica dei fornitori cavalca le prescrizioni stabilite dalla Riforma, per compiere scelte precise orientate a dare sostanza e maggior strutturazione organizzativa al settore. Non si esclude, tuttavia, che nei servizi sociali la coincidenza tra l’adeguamento statutario richiesto dalla Riforma e le restrizioni imposte dalla pandemia al contributo dei volontari possano aver influito sulla scelta della natura giuridica, disponendo verso forme a prevalenza di lavoro retribuito come le imprese sociali.

In ogni caso, è evidente come nei servizi sociali gli ETS siano già perfettamente in sintonia con quanto previsto dalla Riforma in tema di prevalenza lavoro retribuito e volontario, anzi sia le imprese sociali, sia il variegato gruppo di enti a vocazione volontaria (odv, aps, ecc.) presentino valori che vanno oltre le soglie stabilite dalla norma[24].

Lavoro retribuito e lavoro volontario: gli effetti della pandemia

Nell’edizione 2020 dell’indagine sui servizi sociali erogati dal non profit è stata aggiunta una sezione dedicata alla verifica degli effetti dell’emergenza Covid-19 sugli enti. Alcuni dei quesiti erano volti a comprendere gli effetti sul lavoro volontario e su quello retribuito, di seguito illustrati, altri ad approfondire le conseguenze sulle entrate, oggetto del prossimo paragrafo.

La pandemia ha avuto un diverso impatto sulle forze di lavoro attive nei servizi sociali determinando situazioni di sofferenza operativa maggiori per il lavoro volontario (Grafico 4) rispetto a quello retribuito, complessivamente più resiliente (Grafico 3).

I retribuiti (Grafico 3) hanno attutito meglio le limitazioni vigenti durante lo stato di lockdown: sono 28,1% gli enti che dichiarano di aver continuato a fruire dei lavoratori retribuiti con le stesse modalità pre-pandemiche mentre sono soltanto il 20,6% gli organismi che hanno continuato a fruire senza restrizione alcuna dei propri volontari. Nutrito il valore degli enti che ha scelto il lavoro agile (22,4%) come modalità operativa per i propri retribuiti, diversamente dai volontari dove soltanto l’8,7% degli enti ha attivato forme di smart working, continuando a fruire del loro contributo da remoto. Anche le opportunità di formazione specialistica[25] sono state offerte dagli enti al 4,3% dei volontari contro l’8,0% dei retribuiti. I comportamenti che evidenziano situazioni positive hanno riguardato, invece, soltanto il personale retribuito con l’assunzione di nuove risorse: sono l’8,6% gli enti che hanno assunto nuovo personale retribuito e 5,2% quelli che hanno aumentato l’orario di lavoro al personale già dipendente. Molto modesto l’effetto sostituzione tra vecchie e nuove forze volontarie modalità a cui ha fatto ricorso solo dallo 0,8% degli enti.

Grafico 3. Conseguenze Covid-19: confronto tra lavoro retribuito e volontario nei servizi sociali. Valori percentuali. Anno 2020.

Fonte: Inapp, 2022 – IV Indagine sui servizi sociali erogati dagli enti non profit.

Più rilevanti e ampie le conseguenze negative sul lavoro (Grafico 4) ed è il lavoro volontario ad essere stato maggiormente interessato da difficoltà operative: il 32,1% degli enti ha continuato ad avvalersi dei volontari, ma applicando le restrizioni sancite dalle norme, il 28,0% delle organizzazioni è stato costretto all’allontanamento temporaneo dei volontari di cui si avvaleva e il 2,0% ha optato per l’allontanamento definitivo. Poco utilizzata la formula dell’intervento di un soggetto terzo per gestire la presenza dei volontari[26] (0,9%). Di tutt’altro carattere gli effetti sul lavoro retribuito dove il ricorso alla CIG (31,2%) ha dominato la scena anche se con valori assai inferiori alla media delle imprese profit (sono, infatti, il 41,8% le imprese che nel periodo giugno-ottobre 2020 sono ricorse alla CIG o strumenti analoghi – Istat, 2020a)[27].

Gli effetti più gravi, dunque, quali l’allontanamento definitivo dei volontari e il licenziamento dei retribuiti, hanno interessato una quota residuale di addetti, segno della resilienza degli ETS. In sostanza, sia nella componente volontaria, sia in quella retribuita, nel 60%-70% dei casi la crisi pandemica è stata gestita attraverso gli strumenti disponibili per ciascun tipo di inquadramento. Il contenimento delle interruzioni dei rapporti di lavoro (volontario e retribuito) ha agevolato, in tal modo, l’operatività nel periodo dell’emergenza e la ripresa a pieno regime in fase post-crisi.

Grafico 4. Conseguenze Covid-19: confronto tra lavoro retribuito e volontario nei servizi sociali. Valori percentuali. Anno 2020.

Fonte: Inapp, 2022 – IV Indagine sui servizi sociali erogati dagli enti non profit.

Ulteriori situazioni di sofferenza operativa hanno investito le forze retribuite: il 19,9% degli erogatori ha ridotto l’orario di lavoro al personale retribuito e il 10,2% ha adottato l’obbligo di ferie ai fini di una diminuzione temporanea del costo del lavoro. Anche le collaborazioni e il lavoro a tempo determinato hanno subito in negativo il passaggio Covid-19: il 7,6% degli enti indica di aver ridotto queste forme contrattuali. Infine, l’1,3% dei fornitori di servizi sociali ha licenziato personale, pratica che, in considerazione dei divieti[28], è presumibile sia avvenuta in forma individuale e per motivi non economici.

I dati mostrano una complessiva tenuta operativa dei servizi sociali rispetto alla crisi socioeconomica mondiale scatenata dal Covid-19, sostenuta maggiormente dalle forze di lavoro retribuite. I livelli occupazionali sono stati costanti e, in alcuni casi in espansione, grazie allo stato di operatività (totale o parziale) degli enti che a partire da ottobre 2020 ha interessato la quasi totalità dei fornitori sociali (oltre il 90%). Il carattere labour intensive delle prestazioni traccia un profilo del settore alternativo a quello delle imprese “capitalizzate e competitive”, giocato su modalità di resilienza differenti. Se la media delle imprese italiane ha puntato sul lavoro agile e sulla CIG per sostenere produzione e occupazione (Banca d’Italia, 2020), nei servizi sociali, soprattutto la CIG, ha avuto un ruolo ed un utilizzo meno pervasivo.

L’incremento del personale retribuito fa supporre, infine, che il lavoro retribuito sia stato un fattore di resilienza strategico adatto a rispondere alle fluttuazioni (anche in aumento) di richiesta di servizi. L’occupazione retribuita rispetto a quella volontaria, infatti, contribuisce maggiormente a sostenere le necessità operative ordinarie e straordinarie dei servizi sociali garantendo un’organizzazione del lavoro regolata e stabile.

Il valore economico degli enti e gli effetti della pandemia sulle entrate

Prima di affrontare il tema delle conseguenze economiche dell’emergenza sanitaria, è opportuno dare un quadro di massima del valore economico delle attività di servizio sociale promosse dagli enti non profit precisando anche la provenienza finanziaria delle entrate. Si precisa che, a prescindere dal regime contabile dell’ente, per entrate s’intendono i ricavi da attività d’interesse generale che per oltre il 70% provengono da interventi e servizi sociali e/o prestazioni sociosanitarie.

La porzione più consistente di enti, esattamente il 45,2%, non supera i 50mila euro, il 16,9% si posiziona entro i 150mila euro e il 17,0% arriva a 500mila euro di budget annuo. Il restante 21,0% si attesta su ricavi più elevati ripartiti come segue: soltanto il 2,2% degli enti dichiara di avere entrate che superano i 5milioni di euro, il 9,8% si attesta tra 1.000.001 e 5 milioni di euro e l’8,9% tra 500.001 e 1 milione di euro.

Tabella 2. Distribuzione delle entrate per tipologia giuridica di ente erogatore di servizi sociali. Valori percentuali. Anno 2020.

Fonte: Inapp, 2022 – IV Indagine sui servizi sociali erogati dagli enti non profit.

Il budget annuo dichiarato[29] attesta, dunque, la prevalenza di flussi finanziari di modesta entità che richiedono una lettura incrociata con la tipologia giuridica di ente per capire la compatibilità con le forze di lavoro impiegate (in termini di costi). La Tabella 2 restituisce un quadro di massima coerente con la natura giuridica degli enti e la prevalenza di lavoro volontario e retribuito. Ben il 75,6% delle organizzazioni di volontariato dichiara di avere ricavi annui complessivi compresi entro i 50mila euro, seguite dal 60,5% delle associazioni di promozione sociale attestate sullo stesso livello di budget.

Viceversa, gli enti filantropici (o fondazioni) e le imprese sociali si distribuiscono su tutti i livelli di entrate, con una prevalenza di fondazioni nella fascia più bassa (26,3% entro i 50mila euro e 23,7% entro i 150mila euro) mentre le cooperative tendono a distribuirsi su tutti i livelli con una prevalenza della fascia intermedia compresa tra i 150 mila e 500mila euro (28,9%). Gli altri enti del TS popolano la classe di entrate più bassa (30,8%) con percentuali consistenti anche per la classe intermedia (il 19,2% si posiziona entro i 500mila euro e il 18,0% arriva a 5milioni).

Nella fascia di entrate più alta (oltre i 5milioni di euro) totalizzano valori significativi soltanto gli enti a vocazione d’impresa quali le imprese sociali (3,9%), le fondazioni (3,4%) e altri enti del terzo settore (4,0%).

Le fonti a cui attingono gli enti erogatori di servizi sociali, prescindendo dalla consistenza economica degli importi[30], sono molteplici e di diversa natura (Tabella 3).

Tabella 3. Le fonti di finanziamento dei servizi sociali. Possibili più risposte. Valori percentuali. Anno 2020.

Fonte: Inapp, 2022 – IV Indagine sui servizi sociali erogati dagli enti non profit.

La quota più alta di enti attinge da donazioni di cittadini (48,9%), seguita da un sostanzioso valore di enti (40,5%) che vedono nell’autofinanziamento la base economica per promuovere servizi sociali. In entrambi i casi il circuito finanziario si fonda sull’autopromozione delle attività da parte degli enti. Su tutt’altro piano, e precisamene quello dei fondi pubblici, si posiziona un’altra consistente fetta di erogatori che attingono, soprattutto, da fondi regionali (41,5%) e comunali (39,8%). Poco battuti, invece, fondi provenienti da Fondazioni rivolti in prevalenza verso risorse di origine bancaria (16,9%).

In questo scenario ha agito l’emergenza sanitaria, determinando effetti importanti sulle entrate. Si è chiesto agli Enti di Terzo settore di indicare la conseguenza di maggiore rilievo indotta dall’emergenza Covid sulle loro entrate, sulla loro operatività e sulla loro organizzazione. Si attesta a 54,0% (Tabella 4) la quota di enti che hanno segnalato come effetto prevalente la diminuzione delle entrate (consistente in una diminuzione di budget di oltre il 25%), mentre il 15,6% non ha subito alcuna ripercussione e il 3,6% degli enti che, nel 2020 mostra un incremento delle entrate (inteso come variazione positiva di oltre il 25% del budget precedente). Soltanto il 5,1% è stato nell’impossibilità operativa nel periodo del lockdown, l’11,8% ha manifestato come principale effetto dell’emergenza le trasformazioni organizzative che hanno interessato il numero di addetti o le mansioni da questi svolte oppure le modalità di erogazione dei servizi. Infine, il 9,9% degli enti ha accusato difficoltà (o impossibilità) di reperire risorse finanziarie tramite fundraising e/o campagna di raccolta fondi per oltre 10 mesi del 2020.

A livello di ripartizione geografica, mostrano valori di decremento delle entrate superiori alla media nazionale il Nord-est (60,9%) e il Nord-ovest (57,8%), aree maggiormente colpite dalla pandemia, viceversa il Mezzogiorno sembra essere il contesto con il valore più elevato di enti passati indenni nel ciclone pandemico (19,9%). Sempre il Mezzogiorno (12,2%) e il Centro (12,4%) sono i territori dove l’emergenza è stata sfruttata per avviare trasformazioni organizzative, in percentuale lievemente superiore alla media.

Tabella 4. Conseguenza ritenuta di maggiore rilievo del Covid-19 sulle attività e sulle entrate degli enti erogatori di servizi sociali. Valori percentuali. Anno 2020.

Fonte: Inapp, 2022 – IV Indagine sui servizi sociali erogati dagli enti non profit. (1) L’incremento o decremento delle entrate è definito come variazione (positiva o negativa) di oltre il 25% sui ricavi. (2) L’impossibilità operativa è definita come fermo totale delle attività nel periodo del lockdown. (3) Per trasformazioni organizzative s’intendono cambiamenti relativi a: numero di addetti o le mansioni da questi svolte oppure le modalità di erogazione dei servizi. (4) Per difficoltà di raccolta fondi s’intende l’impossibilità di effettuare campagne di raccolta per almeno 10 mesi nel corso del 2020.

Tuttavia, se nel corso della pandemia gli enti[31] a prevalenza di lavoro retribuito hanno avuto un grado di operatività maggiore rispetto a quelli a prevalenza di lavoro volontario, tale vantaggio non sembra aver influito altrettanto positivamente sulle entrate. Come mostra la Tabella 5, sono proprio le imprese sociali ad accusare in misura maggiore la diminuzione delle entrate (65,6%) a fronte, invece, delle organizzazioni di volontariato che presentano la frequenza più bassa di enti in calo di entrate (39,7%).

Tabella 5. Conseguenza prevalente (risposta unica) della pandemia sulle entrate degli enti di terzo settore per tipologia giuridica. Valori percentuali. Anno 2020.

Fonte: Inapp, 2022 – IV Indagine sui servizi sociali erogati dagli enti non profit.

Coerentemente con il quadro di operatività delineato, sono ancora gli enti a vocazione d’impresa a manifestare i valori minori di inoperatività, segnatamente altri enti del terzo settore (1,9%), enti filantropici (2,8%) e imprese sociali (2,9%) mentre, tra le ODV (7,7%) e le Aps (10,8%) si registrano difficoltà operative maggiori. Sul piano delle trasformazioni organizzative le imprese sociali (11,9%) sono un passo indietro agli enti filantropici (19,7%) e alle Aps (16,2%) più propense a sfruttare la crisi per avviare processi di riorganizzazione.

Sebbene, dunque, il lavoro retribuito abbia agevolato l’operatività e favorito comportamenti resilienti da parte degli enti a prevalenza di remunerati, non ha avuto pari efficacia rispetto al mantenimento del budget ai livelli precedenti l’emergenza sanitaria. Piuttosto, sembra che la tenuta delle prestazioni di servizio, soprattutto nel caso delle imprese sociali, abbia determinato una sorta di “sovraesposizione operativa bianca” cioè senza esiti economici. In tal senso, la presenza sul campo[32] di operatrici e operatori sociali retribuiti ha rappresentato un importante presidio per fronteggiare l’esplodere dei bisogni sociali, ma le difficoltà e le limitazioni imposte dalla pandemia, probabilmente, hanno ingessato organizzativamente le organizzazioni (tra cui le imprese sociali) danneggiando, in parte, il versante dei ricavi.

Conclusioni

Nel corso della crisi sanitaria mondiale, le imprese sociali, detentrici della fetta più consistente di lavoro retribuito, hanno sviluppato comportamenti resilienti e virtuosi in misura maggiore rispetto al resto del terzo settore, grazie all’apertura di sedi e all’operatività dei servizi sociali erogati. La maggiore propensione delle imprese sociali a mantenere in stato di attività i servizi ha avuto effetti apprezzabili sul complessivo fronteggiamento dei nuovi e vecchi bisogni sociali della popolazione in fase di emergenza ed è stata la cifra dello sviluppo di precise attitudini quali: la pronta riconversione o dismissione di alcuni servizi in altri, la scelta di nuove modalità di erogazione (ad es. online) e non da ultimo, la capacità di organizzare il personale e le strutture secondo nuove priorità (anche in termini di utenza) e nuove modalità organizzative.

Sul piano economico, invece, sebbene la diminuzione delle entrate abbia toccato il terzo settore in misura ridotta rispetto al mondo profit (Istat, 2020b)[33], essa rappresenta la conseguenza Covid più importante e diffusa e sono proprio le imprese sociali ad averne sofferto maggiormente.

Il calo del fatturato che nel 2020 ha interessato tutti i settori di attività economica (Banca d’Italia, 2020) sembra, quindi, accomunare le imprese sociali più al mondo profit che al resto degli ETS. Gli enti a vocazione volontaria, nonostante le difficoltà di raccolta fondi, sono riusciti a mantenere livelli di entrate più prossimi al tenore pre-pandemico.

In sintesi, è come se la dinamicità tipica delle imprese sociali si fosse cristallizzata e l’impegno sul campo non abbia prodotto risultati economici. Parte delle motivazioni di tale fenomeno potrebbero essere attribuite alle specificità dei servizi sociali, settore travolto dalla crescita dei bisogni sociali della popolazione. In tal senso, la maggiore praticabilità operativa delle imprese sociali, permessa dalla forte presenza di lavoro retribuito, potrebbe essere stata pienamente diretta verso finalità solidali e mutualistiche lasciando più sullo sfondo il conseguimento e il miglioramento di obiettivi economici di budget.

Il rilascio dei dati definitivi dell’indagine sui servizi sociali consentirà approfondimenti tematici e la verifica di ulteriori ipotesi, come ad esempio i profili di innovazione sviluppati dalle imprese sociali nel corso della crisi sanitaria e il ruolo della rete territoriale sulla tenuta organizzativa degli enti.

Bibliografia

Banca d’Italia (2020), Relazione annuale, Anno 2020, Roma. 

Borzaga C. (2020), “La rilevanza economica del Terzo wettore: La situazione e l’impatto della riforma”, Euricse Working Paper Series, 112|20.

Borzaga C., Musella M. (a cura di) (2020), L’impresa sociale in Italia. Identità, ruoli e resilienza, IV Rapporto Iris Network, Trento.

Gori L. (2018), Dall’impresa sociale alle ‘imprese sociali’. La problematica pluralità di modelli normativi di impresa sociale nella Riforma del Terzo Settore, paper presentato in occasione del XII Colloquio Scientifico sull’impresa sociale, Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale, Università degli Studi di Trento.

Istat (2020a), Situazione e prospettive delle imprese nell’emergenza sanitaria Covid-19, Statistiche Report Istat, 15 giugno 2020, Roma.

Istat (2020b), Situazione e prospettive delle imprese nell’emergenza sanitaria Covid-19, Statistiche Report Istat, 14 dicembre 2020, Roma.

Marocchi G. (2022), Lo sviluppo della cooperazione sociale nei servizi di welfare, Forum di Impresa Sociale, 11 gennaio.

Terzjus (2021), Riforma in movimento, 1° Rapporto sullo stato e le prospettive della legislazione sul Terzo settore in Italia, Terzjus Report, Editoriale Scientifica.

Turchini A. (2019), Terzo settore e servizi di welfare, Inapp Report 2019.

Note

  1. ^ S’intendono entrate i ricavi da attività d’interesse generale provenienti per oltre il 70% da interventi e servizi sociali e/o prestazioni sociosanitarie.
  2. ^ Istituto Nazionale di Analisi delle Politiche Pubbliche.
  3. ^ Per classificare i servizi sociali è stato utilizzato il “Nomenclatore degli Interventi e dei Servizi Sociali” del CISIS (Versione 2 – Anno 2013). Le 79 voci (e le 6 sotto-voci) di servizio elementare in esso contenute sono state raggruppate in 9 aree omogenee d’intervento in modo da favorire, grazie all’aggregazione in cluster, la divulgazione dei risultati frutto della rilevazione sul campo.
  4. ^ Centro Interregionale per I Sistemi Informatici Geografici e Statistici (CISIS), Nomenclatore degli interventi e servizi sociali, Versione 2 – Anno 2013.
  5. ^ Le 9 aree sono: servizi comunitari e residenziali; servizi di accesso, valutazione e progettazione; servizi per il sostegno e l'inclusione sociale; servizi di integrazione socioeducativa e lavorativa; interventi di supporto economico e di sostegno al reddito; servizi diurni; servizi domiciliari; interventi di emergenza e marginalità sociale; attività di informazione e prevenzione.
  6. ^ S’intendono entrate i ricavi da attività d’interesse generale provenienti per oltre il 70% da interventi e servizi sociali e/o prestazioni sociosanitarie.
  7. ^ Anno cui si riferiscono le evidenze del presente paper.
  8. ^ Cfr. DPCM 11 marzo 2020, “Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull'intero territorio nazionale” e DPCM 4 marzo 2020, “Misure per il contrasto e il sull’intero territorio nazionale del diffondersi del virus COVID-19”, che impone la chiusura ai servizi educati di ogni ordine e grado.
  9. ^ La Circolare n. 1/2020 del Ministero del Lavoro stabiliva che l’attività di volontariato fosse permessa nell’ambito dei servizi sociali necessari a soddisfare bisogni fondamentali della popolazione in condizione di svantaggio e fragilità. Tuttavia, gli obblighi di isolamento domiciliare prescritti ai cittadini sull’intero territorio nazionale hanno disincentivato l’intervento dei volontari.
  10. ^ Il questionario di rilevazione dell’indagine conteneva quesiti esplicitamente riferiti alle conseguenze dell’emergenza da Covid-19 sul personale retribuito e volontario.
  11. ^ Il campione totale è pari a 7.364 unità, rappresentative del territorio nazionale, ed è stato estratto dal Registro Asia non profit 2017 dell’Istat. Sono stati invitati a partecipare alla rilevazione online 27.367 enti non profit ed hanno risposto 9.519 soggetti di cui 5.460 questionari validi.
  12. ^ Secondo i dati del Censimento permanente delle istituzioni non profit dell’Istat, nel triennio 2016-2018 il non profit è cresciuto in media del 2,3%.
  13. ^ Il totale degli addetti è sovrastimato a causa dell’impegno degli addetti/e in enti diversi. Infatti, sia lavoratori retribuiti che volontari possono compiere la propria prestazione in più di un ente di terzo settore erogatore di servizi sociali.
  14. ^ Nello specifico 538.362 sono i dipendenti, 10.443 i collaboratori e 51.784 altre forme di lavoro, tra cui giovani del servizio civile, personale in comando o distacco, lavoratori interinali.
  15. ^ Anche parte dell’incremento degli addetti è dovuto all’inserimento dei 2 nuovi settori nel campione.
  16. ^ Nel paper il termine “imprese sociali” è utilizzato come sinonimo di cooperative sociali e viceversa; infatti, per effetto della trasmigrazione (partita il 21 marzo 2022) nella sezione del RUNTS denominata “Imprese sociali o cooperative sociali” di tutte le cooperative sociali e imprese sociali iscritte nel Registro delle Imprese come previsto dal D.Lgs. 112/2017 e successive norme attuative. Tale sezione del registro si è popolata per la quasi totalità da cooperative sociali che costituiscono, secondo i dati Istat del 2018, oltre il 95% delle imprese sociali di diritto, occupando il 98.6% dei lavoratori (Borzaga, Musella, 2020 - pag. 32).
  17. ^ Anche i termini ente filantropico e fondazione sono utilizzati come sinonimi per gli stessi motivi spiegati nella nota 15.
  18. ^ L’art. 13 comma 2 del D.Lgs. 112/2017 stabilisce che “nelle imprese sociali il numero dei volontari non può essere superiore a quello dei lavoratori” mentre l’art. 33 comma 1 del D.Lgs. 117/2017 fissa per le organizzazioni di volontariato che “il numero dei lavoratori impiegati nell’attività non può essere superiore al 50%” e l’art. 36 comma 1 dello stesso decreto nell’applicare lo stesso limite alle associazioni di promozione sociale sancisce precisando che esse devono avvalersi preferibilmente del contributo degli associati e volontari.
  19. ^ Entrambe le tipologie giuridiche non erano presenti nella rilevazione del 2016.
  20. ^ Nelle precedenti edizioni dell’indagine l’impegno delle ONG, prima operanti solo in campo internazionale, e ora anche nel nostro Paese nei servizi sociali, era stimato intorno al 2%.
  21. ^ Tale sistema di registrazione degli enti rappresenta una importante novità della riforma del Terzo settore. Ai sensi dell'art. 4 della L. 117/2017 gli enti del Terzo Settore sono tali solo se iscritti al Registro Unico Nazionale del Terzo Settore.
  22. ^ Al riguardo si ricorda che circa 23mila ONLUS devono assumere una natura giuridica tra quelle previste dalla riforma per poter essere un ETS.
  23. ^ Ai sensi dell’abrogato D.Lgs. 155/2006.
  24. ^ Nelle Organizzazioni di volontariato e nelle Associazioni di promozione sociale il numero dei lavoratori retribuiti (dipendenti o autonomi) non può essere superiore al 50% del numero dei volontari mentre nelle imprese sociali il numero dei volontari non può essere superiore al numero dei lavoratori dell’impresa sociale.
  25. ^ Nel questionario di rilevazione non era richiesto di indicare se la formazione fosse a distanza oppure in presenza, è comunque assai probabile che, viste le limitazioni sanitarie, questa avvenisse online.
  26. ^ In assenza di norme precise alcuni organismi di secondo livello (ad es. CSVnet) hanno chiesto pareri legali sulle modalità di utilizzo dei volontari che hanno avuto in esito il suggerimento di muoversi per il tramite di organizzazioni strutturate capaci di fornire indicazioni puntuali sulle modalità di prestazione del lavoro volontario nel corso del lockdown.
  27. ^ L’Istat informa che le imprese che hanno fatto ricorso alla CIG (o altri strumenti analoghi) sono il 70,2%.
  28. ^ Inizialmente, è stato l’art. 46 del D.L. n. 18/2020, c.d. Decreto Cura Italia, come integrato e modificato dall’art. 80 del Decreto Rilancio n. 34/2020, a disporre che a decorrere dal 17 marzo e fino al 17 agosto 2020 fosse precluso per tutti i datori di lavori l'avvio delle procedure di licenziamento collettivo e procedure per licenziamenti individuali, per ragioni economiche. In seguito, con l’art. 14 del D.L. n. 104/2020, c.d. Decreto Agosto, il Legislatore ha prorogato il divieto a far data dal 15 agosto 2020 e, mitigandone la rigidità, ha previsto che a certe condizioni i datori di lavoro possano non rispettarlo.
  29. ^ Il budget (o i redditi) sono dati assai sensibili, spesso, dichiarati dagli intervistati al ribasso. Nell’indagine il dato sul budget viene confrontato con quello degli addetti al fine di una ponderazione.
  30. ^ I dati si riferiscono alla quota di enti che fa ricorso ad una certa fonte, e non alla rilevanza di quella specifica fonte sul totale delle risorse economiche di cui l’ente dispone.
  31. ^ La scarsa consistenza di addetti, sia retribuiti che volontari, non consente di attribuire una prevalenza di lavoro per le reti associative e le società di mutuo soccorso.
  32. ^ Per presenza attiva s’intendono anche le prestazioni a distanza.
  33. ^ Nel confronto, la riduzione di fatturato dichiarata dal for profit è ben maggiore, interessando nel bimestre marzo-aprile 2020 il 70,0% delle imprese e il 68,4% nei mesi giugno-ottobre 2020.
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