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ISSN 2282-1694
impresa-sociale-12-2018-forme-dinamiche-e-reti-sussidiarie-del-terzo-settore-nella-realta-napoletana

Numero 12 / 2018

Casi studio

Forme, dinamiche e reti sussidiarie del terzo settore nella realtà napoletana

Luigi Delle Cave

Abstract

Analizzando i risultati di una ricerca condotta nell’ambito del Comune di Napoli, il saggio ripercorre il processo di trasformazione che nell’ultimo ventennio ha interessato la governance locale a Napoli e analizza il ruolo che il terzo settore cittadino ha assunto nella definizione degli assetti del welfare locale e nello sviluppo di reti e partnership territoriali. Il saggio recupera le categorie analitiche e metodologiche della Social Network Analysis per fornire un’interpretazione del principio di sussidiarietà in chiave relazionale e ricostruire la rete del terzo settore napoletano, cogliendone dinamiche di stratificazione e gerarchizzazione interna, in un welfare locale sempre più ancorato all’adozione di pratiche sussidiarie tra una pluralità attori.


Analyzing the data research carried out in Naples, the essay traces the transformation process has affected local governance in Naples during last two decades and investigates the role that third sector has assumed in the local welfare and in the development of networks and partnerships. The essay recovers the analytical and methodological categories of Social Network Analysis to provide an interpretation of the principle of territorial subsidiarity from relational point of view and to construct the network of third sector in Naples, capturing the dynamics of stratification into the network, inside a general local welfare scenario caracterized by the presence of practices of subsidiarity among a multiplicity of actors.


Introduzione

Nel corso dell’ultimo trentennio il dibattito scientifico sul terzo settore si è sviluppato lungo differenti piste di ricerca, maturando una pluralità di approcci e prospettive teoriche dentro i cui confini si sono mossi economisti, politologi e sociologi. Lo sforzo analitico profuso da studiosi di diverse discipline ha contribuito a delineare la geografia di un fenomeno che ha assunto forme sempre più complesse ed articolate, ponendosi come una delle principali manifestazioni delle capacità auto-organizzative della società civile occidentale (Salamon, Anheier, 1996; Anheier, 2002). Tuttavia, l’interesse per la crescita e lo sviluppo delle organizzazioni del terzo settore (da qui Ots) si lega in maniera sempre più stringente al ruolo che gli enti non profit ricoprono nei processi di definizione dei sistemi di welfare locale e si inscrive all’interno di un più ampio processo di ristrutturazione delle architetture di governo delle politiche sociali (Geddes, Le Galès, 2001).

Nel più ampio scenario welfaristico italiano, segnato da processi di rispazializzazione e di sussidiarizzazione degli interventi (Kazepov, 2008), la Legge di riforma dei servizi sociali n. 328/00 ha promosso il passaggio da forme di regolazione burocratica a modelli decentrati di governance (Fedele, 2005), definendo un sistema di protezione sociale che si dipana sia in verticale, lungo i diversi livelli di governo, sia in orizzontale, lungo le linee di cooperazione fra soggetti pubblici e soggetti privati (Pavolini, 2003).

Lungo questo crinale, la ridefinizione del rapporto tra “centro” e “periferia” (Della Porta, 1999) e la calibratura delle politiche verso la dimensione territoriale ha spinto gli enti locali a ricercare integrazioni attraverso un sistema di partnership con gli enti non profit, chiamati a collaborare con l’amministrazione locale fin dalla fase di progettazione degli interventi. Il principio di sussidiarietà attribuisce alle Ots il ruolo di soggetti co-agenti nella definizione ed implementazione delle politiche (Bifulco, 2005; Bifulco, 2008; Donolo, 2005; Paci, 2008) e contempla l’alleanza (la rete) fra attori e territori diversi che hanno come obiettivo principale la gestione del bene comune (Corbisiero, 2009). In questo processo di mutamento le Ots hanno saputo imprimere al welfare una forte pressione verso l’allargamento dei confini della cittadinanza sociale (Bobbio, 2004), fornendo una spinta innovatrice e riformatrice agli assetti territoriali del welfare, intervenendo rispetto a bisogni ed esigenze emergenti, pur a fronte di una notevole riduzione di risorse economiche e di spesa (Borzaga, Ianes, 2006).

L’accento posto sulla dimensione della sussidiarietà territoriale (Endo, 1994; Moreno, 2007) mostra come nelle singole realtà locali i soggetti del terzo settore si siano fortemente mobilitati e integrati secondo logiche, modalità e prassi eterogenee, ponendosi non solo come importanti fattori di coordinamento sociale e politico, ma connettendo diversi livelli istituzionali e configurando reti con un’ampia platea di soggetti (Piselli, 2010). L’esito delle politiche – e gli stessi assetti locali del welfare – non sono più legati alla performance del singolo attore ma all’azione sinergica di più soggetti interdipendenti, collocati in network composti da attori pubblici ed organizzazioni non profit, che scambiano risorse (economiche, relazionali, informative, competenze…) per risolvere problematiche di rilevanza collettiva.

Sotto questa luce, l’immagine della rete ha assunto nel corso degli ultimi anni una forte valenza analitica nel descrivere la forma che sottende gli assetti di governance delle politiche sociali, segnando un nuovo orientamento nell’interpretazione di scenari istituzionali caratterizzati da elevati livelli di frammentazione. Il ruolo del terzo settore va riletto, pertanto, anche all'interno di una dimensione reticolare e va collocato in una sfera dell’agire pubblico dove identità organizzative eterogenee definiscono e strutturano obiettivi condivisi, ponendosi come soggetti co-agenti nella programmazione degli interventi, oltre che nell’organizzazione e nella gestione dei servizi.

Partendo da tali riflessioni, il saggio propone un’interpretazione del principio di sussidiarietà in chiave relazionale, analizzando i risultati di una ricerca condotta nell’ambito del Comune di Napoli. L’analisi ripercorre il processo di trasformazione che ha interessato la governance locale in materia di politiche socio-assistenziali e indaga – attraverso le categorie della Social Network Analysis (Wasserman, Faust, 1994; Scott, 2004) – il ruolo che il terzo settore cittadino ha assunto nella definizione del welfare locale e nell’attivazione e sviluppo di reti e partnership territoriali, mettendo in evidenza le dinamiche di stratificazione del network del terzo settore napoletano e offrendo una lettura della dimensione reticolare che caratterizza l’agire di tali organizzazioni.

Il terzo settore nel processo di definizione delle politiche sociali del Comune di Napoli

Nel caso specifico della realtà napoletana, il percorso di riforma introdotto dalla Legge n. 328/00 ha dato avvio ad un processo di mutamento nel terzo settore cittadino, la cui ricaduta non va colta soltanto in relazione alla dimensione quantitativa assunta dal fenomeno. Al cospetto di un considerevole incremento del numero di organizzazioni[1], il terzo settore è stato attraversato da profondi processi di differenziazione interna, accompagnati da una fase di regolamentazione normativa che ha contribuito, come si vedrà, a definire e distinguere in maniera sempre più chiara funzioni e ruoli tra i diversi profili organizzativi. Parte del terzo settore è così rimasta strettamente ancorata ad una dimensione di filantropismo “puro” mentre parte delle organizzazioni non profit si è sviluppata lungo un piano d’azione maggiormente proteso verso la dimensione di impresa.

Sul piano politico-istituzionale, la costante (e diffusa) crescita del terzo settore va inquadrata all’interno di una più ampia fase di riforma storica delle politiche sociali cittadine, che ha preso forma attraverso la promozione di nuovi servizi assistenziali e la programmazione di interventi che hanno coinvolto in maniera diretta le Ots nella costruzione degli assetti del welfare territoriale[2]. Già agli inizi degli anni ’90, un primo tentativo di razionalizzare e sistematizzare un filone di azioni in materia socio-assistenziale parte da un’organica conoscenza delle problematiche legate ai minori: lo sviluppo del volontariato, prima ancora della cooperazione sociale, prende avvio proprio in quel decennio con alcune sperimentazioni legate alla Legge n. 216 del ’91[3], finalizzata alla promozione di interventi per minori nelle aree a rischio criminalità. A livello comunale, le iniziative promosse da diverse associazioni di volontariato e da alcune cooperative sociali segnano un primo (importante) passaggio verso una gestione partecipata tra Ente comunale e realtà non profit nella costruzione di politiche rivolte ai minori.

Seppur ancora in forma embrionale, tali sperimentazioni poggiano su formule di intervento a carattere prevalentemente volontario e lasciano intravedere significativi segnali di cambiamento legati soprattutto alla possibilità di introdurre modalità di azione fortemente innovative. Con la Legge n. 285 del 1997[4] la partecipazione delle Ots alla definizione dei piani di programmazione e di intervento conduce al consolidamento di alcune sperimentazioni e progetti, grazie soprattutto alla possibilità di accedere a risorse strutturali stanziate a livello nazionale attraverso il “fondo per l’infanzia e l’adolescenza”. In quegli anni, il rapporto tra amministrazione comunale e terzo settore si consolida e formule di collaborazione vengono sperimentate anche in altri settori (immigrazione, tossicodipendenza…), oltre a quello dei minori. Tra il 1997 e il 1998, prima del Piano Regolatore sociale, vengono infatti inaugurate misure innovative, riconducibili sostanzialmente a due tipi di interventi. Il primo – legato alla Legge n. 285/97 per l’adolescenza e l’infanzia – apre un rapporto diretto con il terzo settore e offre la possibilità di sviluppare interventi di educativa territoriale, attraverso numerose attività progettuali. Il secondo riguarda l’iniziale adozione di interventi di assistenza domiciliare agli anziani e ai portatori di handicap, attraverso cui si comincia non soltanto a dare un contributo monetario all’assistenza, ma si compie un primo tentativo di costruire un servizio pubblico che entra in maniera diretta sul territorio.

Su tale scia, si apre una stagione particolarmente importante e feconda, durante cui una parte dei soggetti del terzo settore napoletano contribuisce ad animare ed ispirare quel processo rinnovamento delle politiche sociali, assumendo gradualmente un ruolo di interlocutore privilegiato dell’amministrazione comunale. Sul piano strettamente politico-istituzionale, il dibattito sorto sulle problematiche territoriali legate al tema dell’esclusione sociale prende vita all’interno di un “Tavolo di confronto permanente sulle politiche sociali”, sorto per iniziativa di diverse anime della realtà non profit napoletana e a cui prendono parte – oltre ai rappresentanti comunali – anche altri attori istituzionali (Asl) e rappresentanze sindacali. Il tavolo apre un canale di comunicazione immediato e diretto tra Ots e Comune, alimentando un grande fermento partecipativo che coinvolge un’ampia parte del terzo settore nelle discussioni sui provvedimenti da attuare nel più vasto scenario delle politiche sociali comunali.

Al tavolo di confronto siedono alcuni attori del terzo settore che assumeranno un peso strategico nella configurazione dei rapporti tra una specifica anima della realtà non profit locale e l’amministrazione comunale. Proprio in quegli anni, infatti, si irrobustisce a livello locale il posizionamento di alcune organizzazioni di secondo livello, nate nella prima metà degli anni ’90 dall’iniziativa di alcune cooperative “storiche” presenti nel panorama non profit cittadino. La pressione politica esercita da tali attori imprime un impulso significativo al processo di rinnovamento delle politiche sociali comunali, introducendo elementi di rottura rispetto al passato e fornendo esperienze di progettazione caratterizzate da elevati livelli di flessibilità e qualità degli interventi.

I cambiamenti che seguono all’approvazione della Legge n. 285/97 avviano un primo (graduale) processo di professionalizzazione del terzo settore: sia sotto il profilo organizzativo che gestionale, la legge prevedeva l’erogazione di servizi attraverso prestazioni e interventi più strutturati, con la necessità di impegnare personale a tempo pieno, che desse stabilità e continuità al servizio e fosse in possesso di elevati livelli di professionalità e competenze specifiche. Molte associazioni, pioniere delle sperimentazioni condotte nel corso dei primi anni ’90, assumono la forma giuridica di cooperative sociali oppure danno avvio ad un processo di “gemmazione” che, attraverso il distacco di alcuni operatori (spesso volontari) dal nucleo associativo originario, porta alla costituzione di una nuova organizzazione non profit (cooperativa sociale).

L’approvazione della Legge n. 328/00 si innesta su un processo di forte espansione del terzo settore cittadino: nel nuovo quadro istituzionale definito dalla riforma e caratterizzato dall’introduzione di meccanismi concorrenziali e da logiche di “quasi-mercato”, il processo di esternalizzazione dei servizi da parte dell’amministrazione comunale conclude la fase pionieristica avviata nel corso degli anni ’90 e apre scenari di sviluppo segnati da intense dinamiche di mutamento del terzo settore. Da semplici forme associative, ancora in stato embrionale, venutesi a costituire nel tentativo di cristallizzare impulsi solidaristici provenienti dalla società civile, alcuni enti non profit hanno poi assunto forme organizzative sempre più complesse ed articolate. L’orientamento verso la dimensione di impresa ha coinciso con la messa a regime di alcuni servizi cittadini che escono dal novero delle “sperimentazioni” con cui erano stati identificati nel corso del decennio precedente. Sulla scia di quanto era già stato tracciato dalla stagione normativa avviata nel corso degli anni ’90 (che ha ridefinito in maniera più precisa i confini tra i vari soggetti non profit[5]), gli scenari istituzionali caratterizzati dall’esternalizzazione dei servizi (regolati attraverso meccanismi concorrenziali) hanno innescato un processo di polarizzazione interna al terzo settore cittadino, imprimendo una notevole spinta allo sviluppo delle cooperative sociali, cui viene attribuito un ruolo preponderante nella definizione degli assetti di welfare territoriale.

Il terzo settore cittadino: tra centro e periferia del network

L’attuale regime di scarsità di risorse della finanza pubblica ha accentuato anche nel terzo settore napoletano una propensione all’azione sempre più market-oriented (Corbisiero, 2009). L’attenzione ai costi e la valorizzazione della funzione di riduzione della spesa hanno, infatti, caratterizzato in modo crescente lo scenario di regolazione dei rapporti tra attore pubblico e Ots, accentuando l’esigenza di dare forma ad un assetto di welfare territoriale che rispettasse principi di efficacia ed efficienza nella gestione della spesa, con un complessivo arretramento dell’attore pubblico nel processo di erogazione dei servizi. A fronte di tale scenario, le Ots cittadine sono state spinte ad attivarsi nella ricerca di rapporti con una varietà di partner territoriali (pubblici e privati) e ad agire risorse di capitale sociale per assicurarsi legittimazione e canali di finanziamento. Le spinte propulsive del terzo settore sono venute cristallizandosi in un network territoriale nelle cui maglie gli enti non profit collegano i diversi soggetti lungo l’asse della sussidiarietà verticale ed orizzontale.

I risultati prodotti dalla ricerca empirica mettono in luce due livelli di lettura di questo fenomeno locale. Ad un primo livello, quello delle relazioni informali[6], i dati emersi dalla ricerca confermano la tendenza del non profit a replicare approcci e strategie di networking per radicarsi all’interno del variegato mondo del non profit cittadino. Questo livello di rete cattura l’elemento più fluido dei processi che si sviluppano all’interno del network. La fitta trama di legami interorganizzativi configura una vasta area dentro cui gli enti non profit attivano circuiti di comunicazione, scambiano informazioni e mettono in rete risorse di natura organizzativa, senza che tali processi assumano alcuna formalizzazione. Le reti si strutturano su base prevalentemente (ma non solo) fiduciaria e trovano nella reciprocità il principio regolatore che ne coordina il funzionamento.

Il secondo livello di lettura attiene invece alla dimensione formale delle relazioni, ovvero alla struttura di legami che nascono intorno a forme di partenariato tra enti non profit. In questo caso, il network mostra processi di segmentazione interna al terzo settore cittadino, in cui si rinvengono logiche di natura aggregativa che spingono ai margini della rete le organizzazioni meno strutturate e determinano, al contempo, elevati livelli di concentrazione di risorse economiche, organizzative, relazionali in specifiche porzioni del network, popolate prevalentemente da organizzazioni in cui la propensione alla dimensione di impresa è più evidente.

Sotto l’aspetto strutturale (Tabella 1), entrambe le reti presentano una configurazione alquanto simile, con un’area centrale molto densa e una zona periferica in cui ritroviamo piccoli raggruppamenti di organizzazioni. Anche gli scostamenti in termini di ampiezza e densità sono decisamente contenuti, poiché gran parte delle relazioni tra le organizzazioni si caratterizzano per la presenza di un doppio legame (formale e informale) che rafforza la natura del rapporto. Infatti, laddove è stata riscontrata l’esistenza di una partnership tra due o più organizzazioni, il livello formale della relazione si sovrappone (o sottende) la dimensione informale del rapporto. Nella maggioranza dei casi la nascita di una collaborazione formalizzata è l’esito di un legame tra organizzazioni costruito precedentemente su basi informali, attraverso una diretta conoscenza dei rappresentanti degli enti oppure, ad esempio, attraverso incontri ripetuti nelle sedi istituzionali della pianificazione zonale (Tabella 1).

Tabella 1: Densità ed ampiezza delle reti formale, informale e sovrapposta


Alla luce di ciò si è scelto di analizzare in maniera più approfondita l’articolazione del terzo settore napoletano prendendo in considerazione il network delle relazioni sovrapposte, presentato nella Figura 1, che isola quei legami in cui la natura formale e informale del rapporto si sovrappongono, esprimendo pertanto la presenza di una doppia relazione tra le organizzazioni. Questo network cattura in maniera chiara il processo di strutturazione interno al terzo settore napoletano. All’interno della rete sono presenti 186 attori (nodi), rappresentati (come mostra la legenda) da cooperative sociali, associazioni, consorzi, fondazioni, enti morali/religiosi e imprese sociali.

Figura 1: Intero network delle organizzazioni del terzo settore (Comune di Napoli) - Ralazioni sovrapposte

Il network si compone nel complesso di piccoli reticoli e singoli nodi che gravitano intorno ad un’area centrale della rete. La frammentazione del network tra “area periferica” ed “area centrale” riflette un processo di ri-articolazione interna al terzo settore cittadino: da un lato troviamo le associazioni più piccole, non consorziate, che privilegiano la loro autonomia ed offrono servizi in forma prevalentemente volontaria; dall’altro, le organizzazioni maggiori, dotate di strutture organizzative più articolate, che diventano interlocutori privilegiati di enti pubblici e che sono in grado di cooperare o competere sul mercato.

L’area “periferica” del network è popolata soprattutto da associazioni di volontariato e di promozione sociale, organizzazioni di piccole dimensioni organizzative, che operano prevalentemente all’interno di un’area territoriale circoscritta, coincidente spesso con il quartiere in cui è localizzata la sede legale/operativa dell’organizzazione. I reticoli in cui sono inserite nascono e si consolidano per lo più intorno ad iniziative locali, interventi di “welfare leggero” finanziati dall’amministrazione comunale attraverso bandi di gara destinati in maniera specifica al supporto dell’associazionismo cittadino, oppure attraverso (piccoli) finanziamenti erogati direttamente dalla municipalità di appartenenza.

Il radicamento territoriale di tali organizzazioni esprime il principale elemento sui cui spesso si strutturano partnership tra i diversi attori che in alcuni territori danno forma a reticoli altamente coesi, caratterizzati anche dalla presenza di soggetti eterogenei per forma giuridica e mission. L’intreccio tra diverse realtà organizzative consente di rafforzare alleanze attraverso l’apertura del reticolo verso organizzazioni territoriali maggiormente strutturate, in grado di arricchire la rete di capitale economico ed organizzativo. Queste dinamiche sono evidenti soprattutto in specifiche realtà municipali, dove il posizionamento strategico assunto da alcune organizzazioni ne ha consolidato il ruolo di leader a livello locale.

L’area “centrale” del network, invece, è popolata soprattutto da cooperative sociali la cui azione è andata gradualmente coagulandosi intorno a diverse organizzazioni consortili. La configurazione dei grappoli inter-organizzativi avviene anzitutto sulla base di meccanismi “affiliativi”, costruiti sull’appartenenza delle singole organizzazioni ad enti di secondo livello che raggruppano sul territorio soggetti nati da differenti esperienze. La tendenza a convergere verso tali organizzazioni spiega il costituirsi di porzioni di rete caratterizzate prevalentemente dalla presenza di organizzazioni dello stesso rango (forma giuridica), poiché gran parte delle cooperative sociali confluiscono all’interno di realtà consortili e sviluppano la propria rete di rapporti (formali) con altre organizzazioni socie. Ciò accade soprattutto nel caso delle cooperative di piccole dimensioni: esse agiscono all’interno di reticoli territoriali, che si compongono e ricompongono a seconda delle esigenze, seguendo modalità d’azione che portano ad una continua riconfigurazione delle reti locali, pur sempre all’interno delle geometrie territoriali definite dal consorzio. In altri termini, i “gradi di libertà” di cui dispongono le cooperative consorziate rispondono ad una logica per cui la competizione tra attori locali viene giocata rafforzando il posizionamento di soggetti collettivi, catalizzatori di risorse organizzative, economiche e politiche. Gli organismi di secondo livello sono andati così costituendosi come luoghi “istituzionali”, il cui ruolo di coordinamento tra le diverse organizzazioni non profit locali ha generato forme di raccordo tra vari soggetti, regolandone la concorrenza e accrescendo (al contempo) il peso politico di tali attori collettivi.

La rete rilevante: attori e pratiche sussidiare

In buona misura, dunque, quel segmento del terzo settore identificabile con la cooperazione sociale si colloca sullo scacchiere cittadino aderendo alle principali realtà consortili presenti sul territorio. Una densa trama di relazioni si costruisce intorno ad un nucleo centrale di cooperative che insieme ad alcune associazioni locali danno forma alla rete rilevante del terzo settore. Per una maggiore chiarezza espositiva, si è scelto di individuare tali attori attraverso il calcolo degli indici di centralità[7]; il principio di visualizzazione proposto nella Figura 2 accresce la dimensione grafica dei nodi in rapporto alla centralità che ciascun soggetto assume all’interno della rete. Ciò ha consentito di evidenziare quelle organizzazioni che si pongono come baricentro del network e di approfondire la riflessione sui processi di stratificazione interni alla rete.

Figura 2: La rete "rilevante"

La struttura relazionale illustrata nel grafo (Figura 2) è stata costruita sulla base del network globale (sullo sfondo della figura) e mostra la rete di rapporti che legano le organizzazioni “rilevanti”. Osserviamo la morfologia del network. Esso si compone di 32 organizzazioni, mostra un livello di densità medio-basso (28,2%) e rivela una significativa tendenza (come vedremo) a strutturarsi intorno ad alcuni attori chiave. Oltre la metà delle organizzazioni presenti nella rete è rappresentata da cooperative sociali (18 unità) – in maggioranza di tipo “A” – mentre la restante parte si compone prevalentemente di associazioni di volontariato (n. 4) e di promozione sociale (n. 5) (Tabella 2). In generale, si tratta di organizzazioni costituitesi soprattutto a partire dagli anni ‘90, una fase storica caratterizzata (come visto) da intensi processi di mutamento e ridefinizione delle politiche sociali comunali che ha aperto una nuova fase di programmazione degli interventi attraverso il coinvolgimento diretto di molte di queste organizzazioni.

Tabella 2: Organizzazioni del terzo settore per forma giuridica - rete "rilevante"

Le radici volontaristiche da cui sono fiorite gran parte delle iniziative di stampo cooperativistico ed associativo individuano quel filo rosso che lega gran parte delle organizzazioni comprese nel network: dei 32 enti non profit, sono 22 quelli nati dall’iniziativa spontanea di un gruppo di persone, che ha ricondotto istanze politiche, civiche, cattoliche all’interno di forme organizzative in grado di intervenire – sotto una veste comune e portando interessi condivisi – nel dibattito politico sorto in quegli anni sul più vasto tema dell’esclusione sociale (Tabella 3).

Tabella 3: Costituzione dell'organizzazione

La maggior parte di queste organizzazioni è nata in una fase di sviluppo del terzo settore napoletano durante cui l’elemento filantropico e quello solidaristico costituivano i caratteri prevalenti in virtù dei quali, sia le cooperative sociali che la sfera (eterogenea) dell’associazionismo cittadino, muovevano le proprie istanze. Le rivendicazioni sociali e politiche rese manifeste nella ricerca di una maggiore attenzione da parte dell’amministrazione comunale ai temi della povertà e dell’esclusione sociale sono corse parallele ad un processo di integrazione tra le iniziative proposte dall’ente comunale e le spinte innovative avanzate dalle organizzazioni non profit.

Sulla scia di tale fermento, il ruolo di alcune organizzazioni è andato progressivamente consolidandosi nello scenario del terzo settore napoletano e la configurazione assunta dal network consente di puntualizzare alcune dinamiche analizzate in precedenza, di riflettere sui livelli di governo della rete e sui processi attraverso cui sono venute cristallizzandosi posizioni prevalenti.

In primo luogo, le organizzazioni rappresentate dai nodi collocati nella zona centrale della “rete rilevante” hanno consolidato la propria presenza sul territorio attraverso un lungo processo di radicamento che le ha viste coinvolte in maniera attiva nelle dinamiche di sviluppo storico del terzo settore cittadino. Sono quegli stessi attori che sul finire degli anni ‘90 avevano dato vita al “Tavolo di confronto permanente sulle politiche sociali” e che nel corso dell’ultimo decennio, come si vedrà più avanti, hanno continuato un’azione di pressione “dal basso”, perseguita attraverso l’istituzione di forme di rappresentanza collettiva[8]. Gli attori che troviamo al centro della “rete rilevante” assumono un ruolo da protagonista nello scenario locale del welfare: alcune di queste organizzazioni gestiscono, oggi come in passato, una parte notevole dei servizi esternalizzati dall’amministrazione comunale e hanno consolidato il proprio ruolo di leadership attraverso una graduale crescita organizzativa[9], estendendo la propria azione su un’area territoriale alquanto vasta che copre in alcuni casi diverse municipalità del comune. Sono 27, infatti, le Ots che hanno dichiarato di gestire progetti e/o servizi in almeno 2 municipalità, avvalendosi non solo di strutture proprie (aspetto che interessa solo una piccola parte delle organizzazioni, quelle caratterizzate da più ampie dimensioni organizzative), ma di beneficiare anche delle sedi di altre organizzazioni non profit (con cui sono in rete) e delle strutture scolastiche di istituti superiori e scuole secondarie (di primo grado) con cui gestiscono principalmente progetti per il recupero di minori a rischio di dispersione scolastica. Tra queste ritroviamo cooperative e associazioni storiche coinvolte nel processo di riforma delle politiche sociali cittadine che hanno aperto i primi canali di contatto con le istituzioni locali e rafforzato (successivamente) la propria posizione attraverso reti trasversali alla dimensione sovra-comunale e comunale del terzo settore. A livello sovra-comunale, le organizzazioni non profit che gravitano nella parte centrale delle “rete rilevante” aderiscono ad organismi federativi nazionali (di secondo e terzo livello), assumendo un forte peso nei tavoli di contrattazione regionale[10]. A ciò va aggiunto, come accennato, il consolidamento e il successivo processo di espansione che ha interessato alcuni consorzi, dalla cui iniziativa, sul finire degli anni ‘90, è sorto il “Forum regionale del terzo settore”[11].

A livello locale, queste stesse organizzazioni hanno poi consolidato sotto-gruppi molto coesi, attivando circuiti territoriali che alimentano flussi informativi e accrescono la capacità d’azione di ciascun attore. Per molte di esse i momenti di confronto istituzionale (tavoli e consulte municipali) rappresentano importanti occasioni per mettersi in rete con altri soggetti del terzo settore e stabilire punti di contatto con l’amministrazione comunale (e municipale). Nella Figura 3 viene presentata, ad esempio, la configurazione di un reticolo costruito intorno alla partecipazione di alcune Ots ad un tavolo per la definizione di alcune linee di intervento sul tema dell’educativa territoriale (fase 1).

Figura 3: Tavolo educativa territoriale

La rete mostra il quadro istituzionale della governance con al centro l’attore pubblico che regola il processo di definizione delle politiche. Osservando la fase 1, tutte le organizzazioni presenti nel network sono legate all’amministrazione comunale, poiché referenti istituzionali dei servizi di educativa territoriale, mentre alcune di esse sono già in rete in quanto partner stabili in altre iniziative progettuali sul tema dell’adolescenza e dell’infanzia. Oltre a definire un momento di confronto diretto, il tavolo sull’educativa territoriale ha offerto a tali organizzazioni la possibilità di scambiare le rispettive esperienze e dare forma ad ulteriori iniziative, con l’esito di ampliare gradualmente la rete di legami tra gli attori locali. La creazione di un network tra diverse ludoteche territoriali è un’iniziativa che nasce proprio all’interno di questa rete e che ha visto partecipare varie cooperative sociali attive nel campo dei servizi ai minori. Non solo. Alcune di esse si sono messe in rete per la realizzazione di un intervento rivolto a minori a rischio criminalità, attivando un network territoriale costruito anche con il coinvolgimento di parrocchie e del tribunale per i minori. All’interno della rete è stato poi definito un progetto presentato in risposta ad un bando del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. La fase 2 della Figura 3 ricostruisce il network relativo a questa iniziativa progettuale. Nella rete sono presenti quasi tutti gli attori che nella fase 1 avevano preso parte al tavolo tecnico sull’educativa territoriale. La preesistenza di legami tra una parte di queste organizzazioni ha sicuramente agevolato la nascita di una nuova rete, ma il momento di incontro istituzionale ha rappresentato, soprattutto per una cooperativa sociale (promotrice dell’iniziativa), l’occasione per condividere con altri attori la possibilità di accedere a fondi ministeriali ed implementare alcune azioni progettuali sul territorio comunale. Per tale via, i legami tra i diversi attori del reticolo sono venuti consolidandosi sulla base di uno scambio di risorse (organizzative, economiche, politiche…) e si sono rafforzati per la presenza di un’ampia base fiduciaria, che da un lato attribuisce al reticolo carattere di stabilità, dall’altro facilita la crescita di sinergie organizzative, consolidando modelli di intervento e accelerando processi di messa in rete delle competenze.

Il grafo della Figura 4 descrive un’altra esperienza che va in questa direzione. Il reticolo è composto da 7 soggetti (2 cooperative, 4 associazioni e 1 fondazione) e l’intreccio tra diverse realtà organizzative ha consentito di rafforzare alleanze attraverso l’apertura del network ad organizzazioni territoriali maggiormente strutturate, in grado di arricchire la rete di capitale economico e organizzativo.

Figura 4: Porzione di rete sovrapposta

Si tratta di un grappolo di organizzazioni localizzate nella VIII municipalità napoletana, la cui azione (come per le due associazioni precedenti) è strettamente radicata al territorio e si struttura intorno alla posizione strategica che assume uno degli attori presenti nel reticolo: la fondazione.

Nata ufficialmente nel 1995 ad opera di un gruppo di persone attive da anni nel settore dei servizi di carattere culturale, sociale, ricreativo ed educativo, l’organizzazione si configura inizialmente come associazione di volontariato, volta alla realizzazione di percorsi teorici e operativi di cittadinanza attiva e di coesione sociale. Ispirata ai valori cattolici, si è occupata fin dalla sua costituzione delle fasce deboli e dei minori a rischio presenti sul territorio, grazie al costante lavoro di una équipe qualificata ed ampiamente diversificata sotto il profilo professionale. Oltre ad un consiglio direttivo, l’organizzazione si avvale infatti di un nutrito gruppo di collaboratori: sociologi, psicologi, operatori di strada, assistenti sociali, educatori, docenti di lingua, operatori informatici, formatori, tutor, volontari nonché alcuni legali che offrono consulenza civile e penale.

A partire dal 2002, l’ente ha assunto la veste giuridica di fondazione; l’arco di tempo che segna il passaggio dall’associazione di volontariato alla fondazione è caratterizzato da un processo di crescita rintracciabile nel significativo aumento dei progetti e dei servizi gestiti, alcuni dei quali riconducibili anche ad importanti sperimentazioni avvenute nella seconda metà degli anni ‘90 in ambito cittadino. La molteplicità di iniziative di cui l’organizzazione si fa promotrice interessano diverse aree del disagio sociale, attraverso l’attuazione di interventi destinati (in particolare) a minori a rischio, immigrati, famiglie e giovani. L’assetto organizzativo dell’associazione è venuto così ad allinearsi alle nuove esigenze gestionali e l’incremento dei flussi di finanziamento ha spinto l’ente ad assumere una forma giuridica in cui la motivazione volontaristica (da cui l’associazione aveva tratto fondamento) è andata a conciliarsi con la ricaduta economica generata dalle iniziative messe in atto. La vicinanza di questo attore al mondo cattolico ha consentito, inoltre, di beneficiare di strutture (istituti religiosi) dove poter svolgere le proprie attività con l’ausilio dei partner locali e di occupare nel network una posizione strategica, fungendo da canale di intermediazione tra le piccole organizzazioni periferiche e il centro della rete. Difatti, la posizione che tale attore occupa nel network individua un buco strutturale[12] (Burt, 1992) attraverso cui la fondazione ha l’opportunità di mediare il flusso di informazioni tra i soggetti e catalizzare risorse (anche di natura economica), distribuendole in maniera strategica sul territorio.

Ciò ha rafforzato il ruolo che nel corso degli ultimi anni la fondazione è andata gradualmente ricoprendo sia a livello municipale che comunale; la funzione di ponte tra due aree ben definite della rete e l’eterogeneità di contatti di cui dispone, si sono tradotte in un vantaggio posizionale che le ha permesso di ampliare in maniera considerevole il numero di attività svolte e di estendere il proprio raggio d’azione ben oltre i confini comunali. Il richiamo alla partnership con soggetti più piccoli mostra la capacità dell’ente di costruire capitale sociale interorganizzativo; la stessa costituzione di piccoli “enti satelliti”, che assumono nella fattispecie la forma giuridica di associazione (in 2 casi) e di cooperativa sociale (in 1 caso), riproduce una logica d’azione che consente all’ente madre di distribuire risorse sul territorio e fluidificare meccanismi di controllo in particolari ambiti di intervento. La costituzione della fondazione si accompagna così ad un processo di professionalizzazione e imprenditorializzazione dell’ente: in primo luogo, il ricorso a figure professionali sempre più specializzate per gestire un’ampia gamma di servizi (educativi, di prima accoglienza, di orientamento, di segretariato sociale); in secondo luogo, il consolidamento della propria rete territoriale attraverso il rafforzamento di partenariati con alcune delle principali organizzazioni cittadine; infine, la filiazione diretta di alcuni piccoli enti, che gravitano intorno alla fondazione e attraverso cui la stessa implementa parte delle proprie iniziative territoriali.

La leadership cittadina del terzo settore

Al di là delle esperienze appena descritte, la composizione della “rete rilevante” mostra un processo di stratificazione del network che ribadisce in maniera alquanto chiara la rilevanza di alcuni attori. Attraverso l’analisi delle clique (reticoli massimamente coesi) è stato individuato un attore costantemente presente in tutti i sotto-gruppi: si tratta di un stesso consorzio che occupa una posizione centrale nella “rete rilevante” e che intrattiene rapporti di natura formale e informale con gran parte delle organizzazioni del network.

Intorno al consorzio gravitano diverse organizzazioni, legate tra di loro da rapporti di natura affiliativa: 7 delle 18 cooperative sociali presenti nel network condividono, infatti, l’appartenenza a questo stesso consorzio e mostrano la tendenza a strutturare gruppi altamente coesi, composti prevalentemente da cooperative associate. Ciò emerge in maniera chiara osservando la Figura 5, in cui gli attori sono stati raggruppati sulla base della comune appartenenza ad una (o più) organizzazioni di secondo livello. La configurazione del network mostra due aree di particolare interesse, entrambe caratterizzate dalla presenza di densi gruppi di cooperative, ciascuno dei quali ha sviluppato una fitta rete di partenariati.

Figura 5: Rete sovrapposta attori principali

La prima delle due aree, posizionata nella parte bassa del grafo, presenta una configurazione circolare dal carattere acentrico, poiché le organizzazioni che lo compongono hanno dato forma ad una struttura a rete che non presenta alcun punto di equilibrio. Le partnership che di volta in volta le organizzazioni costituiscono sono l’esito di intensi processi di interazione, legati ad una distribuzione dei compiti e delle funzioni tra i diversi attori: le risorse organizzative e il capitale umano che alcune cooperative sociali apportano all’interno del reticolo, si aggiungono ai legami politici che l’associazione (nodo nero) è in grado di agire (soprattutto in un comune della provincia di Napoli) e che derivano dalla militanza politica di alcuni dei principali promotori dell’associazione, anch’essi partecipi – nel corso degli anni ‘90 – del processo di riforma delle politiche sociali cittadine.

La seconda zona del network, posizionata invece nella parte alta dell’immagine, presenta una struttura composta dal consorzio (cui si accennava in precedenza) e da 7 cooperative socie che agiscono sia in ambito comunale che regionale. Il peso del consorzio e l’influenza che in termini relazionali esercita sugli altri attori del network va ricercato in due aspetti chiave. Il primo rimanda alla storia della organizzazione: il consorzio nasce nei primi anni ‘90 dall’iniziativa di alcune cooperative storiche sorte sul territorio comunale. Le organizzazioni che hanno dato vita al consorzio sono state tra le prime cooperative cittadine a ritagliarsi uno spazio d’azione non solo nel campo delle politiche socio-assistenziali, ma ancor prima in ambito sanitario. I primi finanziamenti erogati dai presidi sanitari locali e ancorati ad alcune interessanti sperimentazioni nel settore della tossicodipendenza hanno coinvolto in maniera diretta proprio queste organizzazioni, confluite poi all’interno del consorzio. La rilevanza strategica assunta da tale soggetto emerge in rapporto alla sua capacità di mobilitare risorse di natura economica, politica ed organizzativa, e di agire legami trasversali dentro la rete.

Il secondo aspetto attiene invece alle caratteristiche personali di un suo rappresentante e alla leadership che tale attore è andato assumendo nel quadro del terzo settore cittadino (Colozzi, Prandini, 2008), ricoprendo una pluralità di ruoli (promotore del Forum regionale del terzo settore, membro del consiglio di amministrazione di Banca Etica, uno dei principali canali nazionali che sostengono il finanziamento al credito delle organizzazioni non profit) e connettendo il consorzio lungo diversi piani d’azione. Rappresentanza politica e accesso al credito diventano, pertanto, due leve strategiche per il consorzio, che attraverso il suo socio è in grado di ampliare il proprio raggio d’azione ben oltre la dimensione comunale. A queste vanno aggiunte le risorse personali legate ad una leadership carismatica, ad una marcata capacità comunicativa e visibilità pubblica, alla capacità di muovere reti e porsi come punto di connessione tra differenti realtà organizzative e livelli istituzionali (locali, sovra-locali), molti di quei tratti dell’imprenditore sociale che stanno sempre più connotando l’agire delle Ots.

A tutto ciò va aggiunto il controllo diretto che questo consorzio esercita su alcune cooperative socie, nate a seguito di un processo di gemmazione che ha visto nascere enti di piccole dimensioni, che attraverso il distacco di alcuni operatori (spesso volontari) dal nucleo originario, ha portato alla costituzione di una nuova organizzazione non profit (cooperativa sociale). La ricaduta di tale dinamica suggerisce almeno due riflessioni: sotto il profilo occupazionale, la nascita di nuove organizzazioni mostra la capacità di tali attori di intercettare risorse economiche erogate attraverso di strumenti finanziari, finalizzati ad alimentare una crescita del terzo settore che avesse un impatto rilevante anche in termini occupazionali (Musella, 2003; Musella, 2004; Fantozzi, Musella, 2010); sul piano relazionale, invece, il processo di gemmazione, anche se in forme ancora emergenti e rarefatte, esprime una nuova dinamica di sviluppo del terzo settore, che non interessa esclusivamente le grandi organizzazioni di secondo livello. Questa logica, che definiamo centrifuga, porta le Ots ad estendere il proprio raggio d’azione sul territorio comunale: molte associazioni, pioniere delle sperimentazioni condotte nel corso dei primi anni ‘90, hanno poi dato avvio ad un processo di gemmazione che ha consentito di rafforzare la loro presenza sul territorio e sviluppare, accanto ad un’anima prevalentemente filantropica, un piano d’azione imprenditoriale. All’interno della “rete rilevante” sono 7 le organizzazioni la cui nascita deriva da un simile processo: nello specifico, 2 sono state generate direttamente da un ente non profit madre e 5 da una iniziativa comune intrapresa da più organizzazioni (già tra di loro in rete), che hanno dato forma a nuove Ots per ampliare la gamma di servizi offerti ed insediarsi in maniera strategica in territori municipali dove erano assenti, o rafforzare il loro posizionamento in municipalità dove erano già impegnate nella gestione di servizi.

Riflessioni conclusive

L’analisi sviluppata in questo saggio offre diversi spunti di riflessione in merito al ruolo che le Ots assumono negli assetti di governance locale (Geddes, Le Galès, 2001). Seguendo le tracce del mutamento delle Ots cittadine si è visto scorrere sullo sfondo il costituirsi di un welfare dalla dimensione reticolare, nelle cui trame gli enti non profit si pongono come punti di raccordo che connettono un sistema complesso di attori interdipendenti (Corbisiero, 2012; Piselli, 2010). Il quadro di insieme descritto nei paragrafi precedenti lascia spazio, tuttavia, ad alcune specifiche considerazioni. Guardando in primis all’assetto istituzionale, una prima indicazione riguarda il potenziamento dei meccanismi attraverso cui la governance territoriale si cristallizza. Strumenti di partecipazione – nella fattispecie tavoli tecnici e consulte territoriali – che aprono le arene pubbliche a nuovi soggetti coinvolti nel processo di definizione delle politiche, sono stati percepiti come momenti di confronto molto efficaci nell’imprimere un’accelerazione al processo di integrazione tra attori pubblici e privati. L’importanza di tali strumenti trova riscontro nei dati raccolti nel corso della ricerca: la quasi totalità delle organizzazioni prende parte ai tavoli e alle consulte municipali e per molte Ots i momenti di confronto istituzionale rappresentano anche importanti occasioni per mettersi in rete con altri soggetti del terzo settore e stabilire punti di contatto con l’amministrazione comunale (e municipale). Ciò nonostante, la convocazione di consulte territoriali da parte dell’attore pubblico è caratterizzata da un forte elemento di discontinuità: le occasioni di confronto sono sporadiche e vengono alimentate soprattutto dalla spinta pro-attiva di una parte delle Ots cittadine, che si pongono come connettori in una rete che tiene insieme soggetti pubblici e privati, alimentando flussi comunicativi tra i diversi interpreti del welfare e costruendo reti sussidiarie dentro cui si muovono istanze di interesse collettivo.

Da qui una seconda riflessione, che ha come focus la lettura delle ricadute, prodotte a livello locale, dalla configurazione assunta dal network del terzo settore cittadino. Proprio l’analisi in profondità di questo assetto, condotta con il ricorso all’approccio metodologico della Social Network Analysis, ha consentito di mettere in luce dinamiche aggregative interne al terzo settore napoletano. Nel corso degli anni, come visto, l’avvio di un processo di natura reticolare ha portato al rafforzamento di alcuni reticoli di Ots dal carattere strettamente corporativo, nelle cui maglie sono venute concentrandosi risorse relazionali, economiche, politiche. Attraverso logiche di natura affiliativa, le alleanze individuate nella rete rilevante del terzo settore hanno portato soprattutto al consolidamento del ruolo delle cooperative sociali e dei consorzi di cooperative, divenuti nodi cruciali nei processi governance e attori in grado di integrare diversi piani d’azione, da quello politico-istituzionale a quello più propriamente economico. Si tratta di enti non profit che vantano un forte radicamento territoriale e trovano nelle risorse personali della propria leadership la componente che garantisce continuità e stabilità al percorso di crescita e sviluppo organizzativo. Non a caso una buona parte di esse, quelle dalla storia più che ventennale, è presieduta ancor oggi dai principali protagonisti della cooperazione sociale e dell’associazionismo cittadino, tra i primi attori a spingere il terzo settore napoletano su un piano d’azione politico, attraverso forme di mobilitazione collettiva finalizzate ad imprimere un nuovo impulso alle politiche socio-assistenziali comunali. D’altro canto, però, lo strutturarsi di sistemi a rete fortemente radicati sul territorio mostra come la stessa logica di rete e la capacità di networking rappresentino un’importante asse strategico su cui occorre che le Ots facciano leva. Le opportunità che ne derivano sono legate non solo alla condivisione di risorse (relazionali, professionali, informative…) e alla capacità di strutturare interventi innovativi, ma anche alla possibilità offerta ai diversi attori territoriali di riconoscersi in maniera reciproca e condividere pratiche di intervento già sperimentate per arginare forme di disagio sociale. Le pratiche sussidiarie riprese nei precedenti paragrafi mostrano, infatti, come la dimensione “reticolare” rappresenti un valore aggiunto per le Ots e una risorsa cruciale per muoversi all’interno di un quadro istituzionale segnato in maniera sempre più marcata da una continua riduzione delle risorse. Alcune Ots cittadine, ad esempio, si sono mosse attivamente nella costruzione di reti locali e sovra-locali, anche per accedere a canali di finanziamento regionali, governativi e (in alcuni casi) europei, aprendosi a nuove prospettive di crescita e sviluppo, strette tra la necessità di sostenere costi amministravi e gestionali, dare continuità all’erogazione dei servizi e fronteggiare i ritardi di pagamento da parte dell’amministrazione comunale, ancora la principale fonte di finanziamento per un’ampia parte delle Ots coinvolte nell’indagine (29 enti), che copre in media circa il 70% del loro bilancio economico.

Tuttavia, pur a fronte di un processo di un depauperamento delle risorse, (che interessa anche il livello regionale), i dati della ricerca mostrano come nel corso del periodo considerato[13] oltre il 90% di queste organizzazioni abbia svolto le proprie attività in maniera continuativa durante tutto l’arco temporale e come il bilancio economico sia aumentato per il 50% delle organizzazioni (16 enti), sia rimasto stabile per circa il 22% di esse (7 enti), mentre sia diminuito per il restante 28% (9 enti). Tra quelle organizzazioni che hanno visto crescere il proprio flusso di finanziamento, tale incremento è corrisposto in molti casi con l’apertura di nuovi servizi e con l’ampliamento sia del numero di attività svolte sia della gamma di destinatari delle proprie iniziative.

In risposta, dunque, ai vincoli di finanziamento, queste organizzazioni – soprattutto quelle più strutturate sotto il profilo organizzativo – si sono mosse prevalentemente lungo due direttrici. In primo luogo, hanno cercato di ampliare in maniera considerevole il proprio raggio d’azione, gestendo progetti in altre realtà provinciali, regionali e sovra-nazionali, mostrando una notevole propensione alla ricerca di canali di finanziamento alternativi (oltre quello comunale[14]) e un elevato dinamismo nella costruzione di partnership con nuovi attori (locali e sovra-locali), operando secondo una logica d’azione “reticolare”, indicativa di quanto tale aspetto sia strategicamente rilevante per muovere passi concreti verso una più ampia dimensione di impresa. Soprattutto per realtà organizzative meno strutturate, per cui appare necessario avviare iniziative e attività che svincolino l’organizzazione stessa dall’unico (e forte) legame che porta questi soggetti a dipendere, quasi in via esclusiva, dai finanziamenti concessi dal livello comunale. La via tracciata in sede europea, attraverso la promozione di alcune leve finanziarie quali, ad esempio, la Sovvenzione Globale[15], ha rappresentato un strumento che muove verso questa direzione. Il finanziamento di progetti per la creazione di impresa e auto-impiego – di cui molte Ots si sono servite per creare nuovi enti non profit e avviare processi di professionalizzazione delle proprie risorse umane – rappresentano infatti linee d’azione di auspicabile replicabilità, poiché volte a sostenere sia organizzazioni non profit già protese verso il mercato, sia organizzazioni in cui la dimensione filantropica dell’agire continua ad essere prevalente.

In secondo luogo, accanto al canale pubblico, che resta ad oggi la fonte economica prevalente per gran parte di questi soggetti, alcune organizzazioni stanno provando a rafforzare la propria offerta di servizi aprendosi gradualmente al mercato. Tale tendenza trova riscontro non solo nell’apertura di asili nido e ludoteche ma anche nell’esplorazione di settori innovativi come quello del turismo sociale, del commercio equo e solidale, dell’editoria.

La capacità di queste organizzazioni di muoversi lungo traiettorie eterogenee resta, pertanto, l’esito di un impulso che intreccia la dimensione solidale – ancorata alla ricaduta pubblica del loro agire – con una dimensione orientata all’impresa e alla sfera del mercato. Questa dimensione si presenta per certi versi come risposta adattiva che parte del terzo settore cittadino sta dando alle dinamiche di mutamento del welfare e ad una gestione delle risorse pubbliche che tende a smarcare le organizzazioni non profit dai canali di finanziamento governativi, sia pure lentamente e in misura parziale. Le stesse iniziative promosse in sede europea hanno stimolato, come visto, un intervento attivo del terzo settore nella creazione di nuove organizzazioni, in cui il carattere sociale del loro agire si innesta su di un processo di mutamento della realtà non profit, dove a mutare è la stessa logica che muove tali organizzazioni. Dietro il carattere filantropico e solidaristico che ne promuove l’azione, orientandola verso interventi con finalità sociale, va alimentato il consolidamento di una dimensione di impresa che, nel vincolo della non distribuzione degli utili, genera economia ed occupazione. È all’interno di questo processo che va colta la natura del mutamento delle Ots: dopo la crescita legata alla crisi del welfare state e la ridefinizione degli assetti istituzionali ancorati a spinte decentramentiste, il graduale assottigliarsi delle fonti finanziamento pubblico sta spingendo queste organizzazioni ad integrare la dimensione locale e sovra-locale del proprio agire con la sfera del mercato, assumendo una diffusione capillare sul territorio e configurando reti in cui l’elemento sussidiario e solidaristico va ad affiancarsi alle opportunità economiche che transitano nel network del terzo settore cittadino.

Nota metodologica

Il percorso di ricerca ha seguito un approccio metodologico quali-quantitativo ed è stato strutturato in due fasi.

La prima fase attiene alla necessità di inquadrare il processo di evoluzione storica del terzo settore nell’ambito del comune di Napoli e di definire il ruolo che tali enti hanno avuto nell’organizzazione delle politiche sociali a livello cittadino. A tal fine è stata messa a punto, come strumento di indagine, una traccia di intervista semi-strutturata, caratterizzata da un basso livello di direttività e costruita intorno a 4 sezioni chiave. Le prime due indagano il processo di sviluppo del terzo settore napoletano in altrettante fasi storiche, definite in funzione di passaggi normativi rilevanti per il settore: l’introduzione della l. n. 285/97 e della l. n. 328/00. Contestualmente alle dinamiche di mutamento del sistema di welfare, sono state approfondite le tappe salienti che portano all’organizzazione delle politiche sociali a livello cittadino.
La terza sezione sposta l’analisi sui rapporti tra amministrazione comunale e Ots: l’intento è stato quello di rilevare quali sono stati, nella fase antecedente la riforma dei servizi socio assistenziali (Legge n. 328/00), i principali attori non profit che hanno aperto canali di contatto con le amministrazione locale e quali “spinte innovative” tali organismi hanno apportato al processo di organizzazione delle politiche sociali.
La quarta sezione dell’intervista indaga sull’assetto delle politiche sociali a livello locale, con l’obiettivo di comprendere quali sono gli attori principali del terzo settore che entrano in maniera rilevante nel processo di costruzione del welfare territoriale, ponendo particolare attenzione alla questione della leadership, ovvero alla presenza o meno, in ambito cittadino, di organizzazioni che assumono un ruolo predominante nel settore.

La traccia di intervista è stata somministrata ad un gruppo di 27 testimoni privilegiati, scelti in maniera ragionata in modo da raccogliere le informazioni necessarie alla ricostruzione del quadro storico del fenomeno, attraverso punti di osservazione differenti, ma al contempo complementari. Per tale ragione sono stati scelti soggetti legati alla sfera amministrativa (5 intervistati), alla dimensione non profit (9 lavoratori, 5 presidenti di cooperative, 2 presidenti di associazioni di promozione sociale, 2 presidenti di fondazioni) e al mondo accademico (4 intervistati).

Nel secondo step della ricerca, gli obiettivi e l’ipotesi definiti in precedenza sono stati tradotti, sul piano empirico, attraverso un processo di operativizziazione che ha portato ad individuare una serie di variabili (nominali e ordinali). Per la rilevazione delle variabili è stato adoperato un questionario standard, organizzato intorno a sei sezioni:

  • sezione I: profilo organizzativo
  • sezione II: risorse umane e servizi offerti
  • sezione III: adesioni ad organizzazione di II e III livello
  • sezione IV: partecipazione territoriale
  • sezione V: dimensione economica
  • sezione VI: network

Le 63 organizzazioni iscritte al “Registro cittadino degli organismi del terzo settore” (Reco, istituito con delibera del Consiglio comunale n. 8 del 20/05/2008) al 31 dicembre 2009 hanno rappresentato la popolazione di riferimento. Tutte le organizzazioni sono state contattate nel corso della ricerca, ottenendo un tasso di risposta del 60,3% (38 enti), cui è stato somministrato il questionario.

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Footnotes

  1. ^ Dal 1991 al 2001 le organizzazioni del terzo settore presenti nel capoluogo campano sono passati da 614 a 2.342 unità, con un aumento in termini percentuali pari circa al 400% (8° Censimento dell’Industria e dei Servizi, 2001).
  2. ^ Questa fase dell’analisi, di natura strettamente qualitativa, è volta ad inquadrare il processo di evoluzione storica del terzo settore nell’ambito del Comune di Napoli, definendo il ruolo che tali enti hanno avuto nell’organizzazione delle politiche sociali a livello cittadino. Le informazioni sono state raccolte attraverso una traccia di intervista semi-strutturata, somministrata ad un gruppo di 22 testimoni privilegiati che potessero dare una lettura storica del fenomeno da punti di osservazione differenti, ma al contempo complementari. Per tale ragione sono stati scelti soggetti legati alla sfera amministrativa, alla dimensione non profit e al mondo accademico.
  3. ^ Legge n. 216/1991, Primi interventi in favore dei minori soggetti a rischio di coinvolgimento in attività criminose.
  4. ^ Legge n. 285/1997, Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza.
  5. ^ Dapprima la Legge n. 266 promulgata nell’agosto del 1991, che vede «(…) riconosciuto il valore sociale e la funzione dell’attività di volontariato come espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo (…)» e poi la Legge n. 381 sulle cooperative sociali (approvata a novembre dello stesso anno). Nel dicembre del 2000 con la Legge n. 383 viene emanata una disciplina per l’introduzione di una nuova figura giuridica – le associazioni di promozione sociale – e nello stesso anno la “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” n. 328 investe le organizzazioni del terzo settore di un ruolo centrale negli assetti di welfare locale. L’ultimo atto normativo è stato realizzato nel 2005 con l’attuazione della Legge delega n. 118 sull’impresa sociale che consacra l’orientamento economico degli enti non profit e sfocia nella realizzazione di un passaggio culturale di notevole importanza, stabilendo l’impresa può anche essere un modo attraverso cui dei privati organizzano un’attività di produzione e scambio di beni e servizi non per perseguire, esclusivamente o in modo prevalente, uno scopo di lucro, ma anche e soprattutto per realizzare l’interesse generale della collettività.
  6. ^ Con i legami informali sono stati rilevati contatti di natura personale tra i rappresentanti delle organizzazioni, collaborazioni “non formalizzate” che si traducono nel prestito di strutture, di personale, nello scambio di informazioni… I legami formali derivano invece da rapporti formalizzati di natura giuridico-amministrativa tra due o più organizzazioni (Ati, Ats, contratti, protocolli d’intesa…).
  7. ^ In questa fase dell’analisi è stato preso in considerazione l’indice di centralità basato sul grado (centralità degree). Gli attori più centrali sono rappresentati da quelle organizzazioni che hanno il maggior numero di contatti all’interno del network. Più tecnicamente, infatti, la centralità esprime il massimo grado (numero di contatti) che quell’attore raggiunge all’interno di un network.
  8. ^ Il “Comitato di lotta all’esclusione sociale” e (negli anni più recenti) il movimento di protesta nato sotto la sigla “Il welfare non è un lusso”, rappresentano alcune di queste iniziative e si legano in maniera stringente al ruolo interpretato da queste principali organizzazioni del terzo settore territoriali.
  9. ^ Il riferimento alla dimensione organizzativa e la “quantificazione” della stessa è stato effettuata prendendo in considerazione alcuni aspetti strutturali delle organizzazioni e, nello specifico, il numero di risorse umane di cui si avvale (volontari, lavoratori, soci…) e il numero di progetti e servizi gestiti.
  10. ^ È il caso, per esempio, dell’Uneba (Unione nazionale istituzioni e iniziative di assistenza sociale) che è un organo di coordinamento nazionale di istituti di matrice religiosa, sotto la cui sigla si muovono alcune realtà locali impegnate nella gestione di servizi rivolti a minori; o quello del CNCA (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza) che costituisce un importante soggetto di rappresentanza nazionale, dentro cui confluiscono alcune cooperative e associazioni locali in qualità di gruppo federativo regionale.
  11. ^ L’esperienza legata all’istituzione del Forum ha costituito un elemento determinante nella realizzazione di una rete diffusa tra diverse organizzazioni locali, coinvolgendo, oltre a realtà dell’associazionismo (sia di volontariato che di promozione sociale, tra cui Arci, Acli e Auser), due consorzi campani: il primo, che partecipa sul piano formale attraverso Ancs (Associazione Nazionale Cooperazione Sociale – Legacoop), il secondo attraverso Federsolidarietà.
  12. ^ Il buco strutturale è un nodo di connessione tra gruppi di persone che altrimenti non comunicherebbero tra loro. Tale posizione si traduce nell’opportunità di connettere piani di informazioni tra gli individui (“benefici di informazione”) e di controllare i progetti portati da questi individui sui due lati opposti del buco (“benefici di controllo”) (Burt, 1992).
  13. ^ L’arco temporale individuato per la rilevazione di alcune dimensioni di analisi è stato riferito al periodo che copre due piani di zona comunali (2004-2006; 2007-2009). Nella fattispecie, sono state riferite a questi anni le seguenti dimensioni analitiche: gestione di progetti e servizi, tipologie di servizi offerti, fonti di finanziamento prevalenti, andamento bilancio economico, bilancio economico medio.
  14. ^ Tra le altre fonti di finanziamento più ricorrenti ritroviamo nell’ordine: Regione Campania, Ministeri (nello specifico il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali), Unione Europea. È bene specificare che nella rilevazione dei canali di finanziamento è stato tenuto conto dell’ente banditore e non del fondo attraverso cui il bandi sostenuto è stato finanziato.
  15. ^ La Sovvenzione Globale in materia di piccoli sussidi ha rappresentato una leva strategica adoperata in sede comunitaria per finanziare progetti finalizzati allo sviluppo e al rafforzamento dell’economia e dell’imprenditoria sociale, sostenendo l’inserimento lavorativo di soggetti a rischio di marginalità sociale. Tale strumento finanziario è disciplinato con regolamento (CE) n. 1260/99 e consente all’Amministrazione Pubblica di avere accesso a risorse stanziate in sede comunitaria per la sperimentazione di forme di compartecipazione diretta con gli operatori economici e sociali presenti sul territorio, interessati alla realizzazione degli interventi in un determinato settore, di preferenza per “iniziative di sviluppo locale”.
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