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ISSN 2282-1694
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Editoriale

Welfare e impresa sociale di garanzia

Giorgio Fiorentini

Saggi brevi

Nuove geografie del valore e imprese coesive

Domenico Sturabotti, Paolo Venturi

Giovani, volontariato e nuova impresa sociale

Sandra Gallerini, Fabio Lenzi

Casi studio

Venture philanthropy: il caso di Fondazione CRT

Valter Cantino, Stefania Coni, Simona Fiandrino

Recensioni

Il capitale quotidiano

Flaviano Zandonai

Numero 7 / 2016

Editoriale

Welfare e impresa sociale di garanzia

Giorgio Fiorentini

L’impresa sociale è una formula imprenditoriale a doppia garanzia. La prima nei confronti dei cittadini (fruitori e clienti dei servizi offerti), sia per una motivazione valoriale di fondo e per meccanismi di partecipazione e democraticità (valori che la contraddistinguono), sia per un approccio gestionale ove il profitto è mezzo, e non fine, della propria attività. La seconda nei confronti dello Stato (sussidiarietà orizzontale e circolare) che si affida all’impresa sociale, la cui formula imprenditoriale offre stabilità continuativa, efficienza, efficacia ed economicità.

Analiticamente, la formula imprenditoriale dell’impresa sociale si caratterizza per:

  • costi fissi e generali contenuti con un break even raggiunto con una quantità di produzione inferiore rispetto all’impresa for profit;
  • un raccordo con il territorio, ove la partecipazione e la filiera corta produttiva ed erogativa scambiano beni e servizi a costi/prezzi equilibrati e a controllo sociale implicito, sia dal lato dell’offerta che della domanda;
  • appropriatezza di produzione ed erogazione;
  • flessibilità e resilienza nel rapporto con la domanda;
  • capacità di personalizzazione e orientamento al servizio (proprio dell’impresa sociale);
  • anticipazione e contestualizzazione delle proprie attività;
  • micronizzazione della domanda, intesa anche come lettura “calligrafica” dei bisogni;
  • un vantaggio competitivo, determinato anche da un possibile e discrezionale partenariato fra “capitale umano dipendente e retribuito” e “capitale umano volontario dipendente funzionalmente e sempre più professionalizzato”;
  • evitare la selezione avversa: carattere distintivo degli erogatori in rete, che, in un quadro di riduzione/contenimento dell’asimmetria informativa, rende realistica l’autoregolazione non opportunistica (ovvero la non ricerca di opportunismi speculativi esterni o interni), con evidenti risultati di efficienza ed efficacia di servizio;
  • sottrarsi all’azzardo morale, che viene contenuto/neutralizzato grazie al rapporto contrattuale responsabilizzante tra le parti in campo (simmetria informativa, autocontrollo e controllo sociale organizzativo), anche in questo caso con evidenti risultati di efficienza ed efficacia di servizio.

L’impresa sociale è indiscussa protagonista del welfare che, in quest’ultimo periodo, è ritornato al centro del dibattito pubblico e sociale, considerato che il welfare state ha dimostrato (e dimostra) molti limiti oggettivi; le concettualizzazioni dinamiche si sono tradotte in welfare-mix, welfare society, welfare generativo e così via. È necessario cambiare paradigma: una proposta è l’adozione del concetto di welfare universalistico a protezione e sussidiarietà variabile.

Con questo approccio di welfare, ove le risorse sono in parte pubbliche e in parte private, si fronteggiano le criticità e le sfide innescate dalla crisi economica, dalle trasformazioni socio-demografiche ed epidemiologiche, dai cambiamenti culturali, dalla dinamica delle aspettative dei cittadini che muta anche per effetto dei diversi stili di vita e del crescente ruolo attribuito al welfare come fattore di sviluppo economico.

I diritti sociali assicurano al cittadino i servizi pubblici e di pubblica utilità necessari al raggiungimento di livelli minimi di esistenza civile; in senso lato rappresentano il complesso delle tutele e dei servizi erogati dallo Stato (nella sua articolazione istituzionale in regioni, enti locali, strutture di offerta sanitaria ecc.) al fine di garantire una rete di protezione sociale su istruzione, sanità, previdenza sociale (in caso di malattia, gravidanza, disoccupazione), servizi socio-assistenziali (per bambini e ragazzi senza famiglia, anziani, malati cronici e disabili) e tutti i servizi che offrono un asset di welfare.

Per poter rispondere istituzionalmente e organizzativamente alla soddisfazione dei bisogni, è necessario combinare al meglio le risorse economico-finanziarie, sociali e strutturali per il tramite di aziende pubbliche e private. Paradossalmente, siamo in presenza di un’espansione dei bisogni sociali e all’opposto una carenza di risposta, in alcuni casi inevitabile, delle istituzioni pubbliche, per mancanza di risorse disponibili.

La doverosa ricerca di un punto di equilibrio finanziario per garantire una risposta ai bisogni sociali comporta la necessità di valutare la tipologia degli stessi, in modo da prospettare assetti organizzativi del rapporto domanda-offerta di servizi sociali che permettano di mantenere l’efficacia del sistema socio-assistenziale con l’utilizzo di minori risorse.

Affermare che l’indirizzo da perseguire sia un “welfare state puro”, con offerta di servizi come esclusiva dello Stato, significa ingannare artatamente il sistema paese o forse è un modo per auto-conservare le istituzioni (i ruoli e le posizioni istituzionali ed organizzative che in esse si ricoprono), non riconoscendo che un welfare basato su risorse derivanti solo dal prelievo fiscale non è sostenibile. Infatti la copertura economico-finanziaria (e di imprenditorialità sociale) per il welfare in toto è sempre più critica, ancor più per i rischi di non autosufficienza delle fasce deboli e per le esigenze di una popolazione che si struttura in una filigrana di segmenti sempre più articolata.

L’esigenza di maggiori risorse, considerato che la spesa pubblica non può aumentare per i vincoli finanziari del contesto nazionale e comunitario, spinge verso forme di finanziamento privato e/o di gestione privata delle risorse a disposizione. In un contesto di economia sociale di mercato[1],che si caratterizza per libertà di mercato e giustizia sociale, si è osservato che la sola economia di mercato non è in grado di equilibrare un corretto rapporto fra domanda e offerta di servizi in logica di equità sociale, e lo stesso si verifica con un approccio fondato sulla sola economia sociale. L’integrazione fra assetto sociale ed economico concilia una condizione paritetica delle opportunità e la libera iniziativa privata. In logica sussidiaria lo Stato ha una funzione di regolazione e di intervento a fronte del fallimento del mercato nella sua funzione sociale.

Nel dibattito scientifico e pubblico le posizioni che dialetticamente si confrontano sono, prevalentemente, riassumibili in due linee di pensiero:

1. La copertura può essere incrementata attraverso una maggiore produttività pubblica (efficientamento), cercando e rinvenendo le risorse impiegate in altri settori (meno valoriali - o senza valorialità - rispetto a quello sociale) oppure aumentando la pressione fiscale (opzione, vista la situazione italiana, sempre meno praticabile). Questa linea di pensiero è ormai un “mantra” obsoleto che non riesce a fare passi avanti[2].
2. L’ integrazione aumentativa e/o efficacista della spesa pubblica, tramite il ruolo sussidiario delle imprese sociali con un effetto leva, con finanziamenti privati gestiti prevalentemente da imprese sociali non profit (ma anche profit)[3], strutturando una “filiera sussidiaria aziendale”. Attraverso la formula imprenditoriale dell’impresa sociale si perseguono risultati di soddisfazione della domanda/bisogno sociale.[4]

Proprio questo secondo approccio ci induce a promuovere l’impresa sociale come gestore prevalente della spesa sociale (in logica di co-progettazione e partnership con lo Stato), in grado di costruire un modello efficiente ed efficace di gestione del welfare. Tutto ciò grazie alle caratteristiche proprie della formula imprenditoriale dell’impresa sociale, come peraltro contemplata nella Riforma del Terzo Settore (l. n. 106/16).

E’ una opportunità da cogliere.

Bibliografia

Bandera L., Maino F., Mallone G. (2013), “Le assicurazioni: nessi e sinergie possibili”, in Maino F., Ferrera M. (a cura di) (2013), Primo Rapporto sul secondo welfare in Italia, Percorsi di Secondo Welfare. 

Cergas (2014), Il welfare aziendale contrattuale in Italia, rapporto di ricerca, CERGAS Centro di Ricerche sulla Gestione dell'Assistenza sanitaria e Sociale , Università Bocconi, Milano.

Fiorentini G., Sapelli G., Vittadini G. (2014), Imprenditore: risorsa o problema? Impresa e bene comune, BUR Biblioteca Universale Rizzoli Milano.

Fosti G. (a cura di) (2013), Rilanciare il welfare locale. Ipotesi e strumenti: una prospettiva di management delle reti, Egea, Milano.

Gori C. (a cura di) (2012), L’alternativa al pubblico? Le forme organizzate di finanziamento privato nel welfare sociale, Franco Angeli, Milano.

Mises L. von (1919), Nation, Staat und Wirtschaft (trad. it. Stato, nazione ed economia. Contributi alla politica e alla storia del nostro tempo, Bollati Boringhieri, Torino, 1994).

Pavolini E., Ascoli U., Mirabile M.L. (2013), Tempi moderni. Il welfare nelle aziende in Italia, Il Mulino, Bologna.

Treu T. (2016), Welfare aziendale 2.0, Nuovo welfare, vantaggi contributivi e fiscali, Ipsoa, Milano.

Note

  1. ^ L’economia sociale di mercato trova fondamento nelle idee di Ludwig von Mises con la sua opera “Nation, Staat und Wirtschaft” (Mises, 1919), che in seguito furono rielaborate dalla Scuola di Friburgo e furono alla base dell’ascesa economica della Germania dopo la seconda guerra mondiale. Questa impostazione è stata assunta dall’Unione Europea nel trattato di Lisbona del 2007.
  2. ^ E’ da quasi vent’anni - dal Rapporto della Commissione Onofri del 1997 - che nel nostro Paese si dibatte sullo sviluppo di una policy organica (ad esempio per le non autosufficienze e sul diverso utilizzo delle ingenti provvidenze economiche con cui si dà ad esse risposta).
  3. ^ Su un concetto di impresa sociale che comprenda imprese sociali nonprofit “di sistema”, imprese sociali ex lege, imprese sociali profit a “rating sociale” si veda ad esempio (Fiorentini et al., 2014). In questo editoriale con la denominazione “impresa sociale” si intende la classificazione ora descritta, fermo restando che la percentuale di imprese sociali nonprofit è preminente (almeno l’80%).
  4. ^ Il finanziamento privato è oggetto di riflessione, varie sono le caratteristiche e le opzioni di ruolo prospettate: opportunità di supplenza del welfare aziendale contrattualistico; finanziamenti da parte delle fondazioni di origine bancaria; coperture assicurative proposte dalle assicurazioni private; risorse garantite dai fondi sanitari e previdenziali; risorse dei singoli individui che accantonano risorse personali; utilizzo del patrimonio delle famiglie (come ad esempio tramite la vendita della nuda proprietà). Su questi temi ricordiamo: (Gori, 2012), (Fosti, 2013), (Pavolini et al., 2013), (Treu, 2016), (Bandera et al., 2013), (Cergas, 2014). I finanziamenti gestiti da imprese profit (per esempio assicurazioni private), che solitamente massimizzano il profitto, mostrano, con evidenze empiriche, una scarsa probabilità di diventare protagoniste risolutive di uno sviluppo adeguato del welfare.
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