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ISSN 2282-1694
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Editoriale

Welfare e impresa sociale di garanzia

Giorgio Fiorentini

Saggi brevi

Nuove geografie del valore e imprese coesive

Domenico Sturabotti, Paolo Venturi

Giovani, volontariato e nuova impresa sociale

Sandra Gallerini, Fabio Lenzi

Casi studio

Venture philanthropy: il caso di Fondazione CRT

Valter Cantino, Stefania Coni, Simona Fiandrino

Recensioni

Il capitale quotidiano

Flaviano Zandonai

Numero 7 / 2016

Saggi brevi

Giovani, volontariato e nuova impresa sociale

Sandra Gallerini, Fabio Lenzi

Abstract

Quali percorsi possono favorire il matching tra cultura del volontariato e impresa sociale? Negli ultimi anni Cesvot ha cercato di rispondere a questa domanda di ricerca attraverso alcuni studi svolti in collaborazione con l’Università degli Studi di Firenze (Raffini, 2015) e Iris - Idee & Reti per l’Impresa Sociale (Lenzi, Regine, 2015). Nonostante non ci sia un dialogo costante con le imprese e una progettualità comune nel tempo, il volontariato sembra attento alle attività dei cosiddetti incubatori di startup, soprattutto se finalizzati alla valorizzazione e accompagnamento di piccole associazioni che abbiano idee d’impresa innovative. La triangolazione giovani-volontariato-imprenditoria sociale sembra essere il fulcro di un possibile processo di reinvenzione dei rapporti tra agire privato e agire pubblico, agire economico e agire sociale, capace di offrire risposte innovative ai bisogni sociali e al tempo stesso alla creazione di lavoro.

Cesvot ha indagato il mondo del volontariato come ambito privilegiato di sviluppo di pratiche di innovazione sociale e quindi come potenziale incubatore di nuovi modelli di imprenditorialità sociale giovanile in cui la dimensione economica-strumentale si coniuga alla dimensione sociale e solidale. Attraverso focus group territoriali, prima, e un percorso laboratoriale con le associazioni socie, poi, Cesvot, integrando metodologie quantitative e qualitative, ha coinvolto attivamente associazioni di volontariato che hanno sviluppato pratiche di innovazione sociale, cooperative sociali (selezionate fra le più attive in tema di innovazione e che si configurano come imprese sociali de facto) e imprese sociali ex lege (i cui consigli di amministrazione siano caratterizzati dalla predominanza di giovani under40).


Is it possible to support the matching between voluntary culture and social enterprise? This question was recently answered by CESVOT, through the definition of study paths in partnership with the University of Florence (Raffini, 2015) and Iris – Ideas & Networks for Social Enterprise (Lenzi, Regine, 2015). Despite the apparent lack of a constant dialogue with enterprises and a shared focus on projects, voluntary work seems to be interested in the activity of hubs and start-ups, especially if they aim at enhancing and accompanying small associations with innovative entrepreneurial ideas. The triangulation between young people, voluntary work and social entrepreneurship is identified as the core of a possible process of redesigning the relations between public and private, economic and social spheres, which can offer innovative answers to social needs and at the same time creating job opportunities.

CESVOT studied the world of voluntary work as a preferred field for the development of social innovation practices, and therefore as a potential hub of new social entrepreneurship models, where economic and instrumental dimensions on the one hand are linked to the social and solidarity dimensions on the other hand, thus generating new entrepreneurial models. Thanks to territorial focus groups in the first place, and secondly through a workshop courses with partner associations, CESVOT, by integrating quantitative and qualitative methodologies, actively involved voluntary associations that developed social innovation practices, social cooperatives (selected among the most active ones in the domain of innovation, that are de facto recognized as social enterprises) and ex lege social enterprises (whose boards of directors are mostly characterized by of people under 40).

Introduzione

Il non profit riveste un ruolo determinante per lo sviluppo dei territori; dai dati del primo Rapporto “Coesione è Competizione” curato da Fondazione Symbola e Unioncamere nel 2014 emerge una forte correlazione tra performance economica, coesione e benessere del territorio (Symbola, Unioncamere, 2014): la coesione sociale e il legame con il territorio hanno inoltre un effetto di ammortizzatore e di perequazione, una sorta di rete di protezione contro la crisi. In alcune regioni in cui la crisi economica ha colpito più duramente, un tessuto sociale particolarmente coeso e vitale ha fatto sì che gli effetti sulla riduzione del benessere territoriale fossero più blandi o, comunque, distribuiti in maniera più equa; laddove invece, pur a parità di intensità negativa del ciclo economico, la coesione territoriale è risultata meno evidente, più intenso è stato l’impatto sull’equità e sul benessere territoriale (Venturi, Zandonai, 2014a). Il nuovo Rapporto “Coesione è Competizione” (Symbola, Unioncamere, 2016) conferma questo trend, sottolineando la centralità, in questo processo, delle imprese coesive, ossia quelle imprese fortemente legate alla comunità di appartenenza e al territorio in cui operano, che investono nel benessere economico e sociale, nelle competenze e cura dei propri lavoratori, nella sostenibilità e nella qualità, che sono radicate nella filiera territoriale e tese a soddisfare le esigenze di fornitori, clienti e stakeholder, e che hanno relazioni con il nonprofit e le istituzioni territoriali.

Ancor prima dell’annuncio della riforma del Terzo settore, a partire dal 2013 Cesvot ha intrapreso un filone di studi sul tema dell’impresa sociale, in particolare guardando al volontariato come ambito privilegiato di sviluppo di pratiche di innovazione sociale e, quindi, come potenziale incubatore di nuovi modelli di imprenditorialità sociale – soprattutto giovanile – in cui la dimensione economica si coniuga a quella sociale e solidale. Dopo un primo studio dedicato alla natura giuridica, al corpo sociale e alle attività svolte dalle imprese sociali ex lege presenti in Toscana (Bagnoli, Toccafondi, 2013), negli anni a seguire sono stati presi in esame i modelli di impresa sociale che – in particolare in ambito sanitario e socio-sanitario – evidenziano una correlazione tra volontariato e impresa sociale. In questo saggio si illustrano alcune chiavi di lettura di questa correlazione, partendo dal presupposto che l’imprenditoria sociale è uno strumento innovativo per fare economia, secondo una logica fondata sulla cooperazione/collaborazione paritaria, su ideali comuni, sulla relazionalità e l’inclusione sociale, e interrogandoci se e come può essere una valida risposta alla crisi.

Volontariato e impresa sociale

Con la ricerca “Volontariato e impresa sociale. L’innovazione sociale come risposta alla crisi” (Raffini, 2015), Cesvot si è interrogato sul possibile matching tra la cultura del volontariato e l’impresa sociale, con l’intendo di capire se la triangolazione giovani-volontariato-imprenditoria sociale possa essere il fulcro di un processo di reinvenzione dei rapporti tra agire privato e agire pubblico, agire economico e agire sociale, capace di offrire risposte innovative ai bisogni sociali e al tempo stesso alla creazione di lavoro.

L'ampio e variegato mondo del volontariato è vicino, complementare, e in molti aspetti ha zone di sovrapposizione con il mondo dell’impresa sociale, e ne condivide principi, valori, modelli di riferimento e in alcuni casi modalità d’azione. Le associazioni di volontariato sono spesso dei partner naturali delle imprese sociali. E le stesse imprese sociali, in molti casi, possono essere direttamente o indirettamente emanazione del mondo del volontariato, i cui valori sembrano favorire lo sviluppo della cultura organizzativa propria dell’impresa sociale.

Coinvolgendo attivamente i protagonisti del volontariato e dell’impresa sociale del territorio in un percorso di ricerca-azione, questo studio ha voluto indagare mission e vision delle imprese sociali, il rapporto tra volontariato e impresa sociale, le forme organizzative adottate (in particolare per le imprese sociali di carattere sanitario e socio-sanitario). La ricerca, prima, e il percorso di studio laboratoriale, poi, hanno permesso di tracciare alcuni possibili scenari di transizione delle organizzazioni non profit verso l’impresa sociale, considerandone opportunità e rischi, nel medio periodo e in relazione alla crisi economica, alla realizzazione del welfare mix e alla riforma del Terzo settore. Il focus della ricerca è stata la Toscana (Cesvot è un centro servizi regionale), anche se gli esiti possono essere reinterpretati alla luce del proprio contesto territoriale. Per rispondere alla domanda iniziale (matching tra volontariato e impresa sociale), si deve partire dal presupposto che non è facile conciliare la dimensione del volontariato con quella del lavoro, così come non è facile delimitare i confini e le prerogative di entrambe le sfere di azione; si tratta di aspetti che in effetti sono stati e sono tuttora al centro del dibattito della riforma Terzo settore.

La ricerca prende avvio dalla lettura del contesto europeo, dove si assiste ad un sempre maggior interesse dei policy maker nei confronti dell’impresa sociale, pur consapevoli della diversità tra i vari contesti socio-economici, politici e della conformazione del Terzo settore (a partire dai soggetti che ne sono protagonisti: cooperative, associazioni, società ecc.). Fino a dieci anni fa la maggioranza dei paesi europei non aveva una normativa in materia, mentre oggi solo una minoranza di Stati non dispone di un inquadramento normativo dell’impresa sociale. Il dato italiano sull’impresa sociale è paragonabile a quello della Francia e non molto dissimile da quello del Belgio che – come Italia e Francia – ha una forte tradizione cooperativa; l’Italia rientra tra i paesi in cui l’incidenza dell’impresa sociale, rispetto al totale delle imprese, si attesta tra il 2,5% e il 3%, mentre si colloca al terzultimo posto per incidenza di imprese sociali giovani, prima di Ungheria e Germania (Raffini, 2015; Global Entrepreneurship Monitor, 2012).

La ricerca è stata avviata nel 2014 e fa quindi riferimento a dati del 2013[1] (Venturi, Zandonai, 2012; Venturi, Zandonai, 2014a; Venturi, Zandonai, 2014b; Raffini, 2015), anno in cui in Italia si contano 12.570 cooperative sociali e solo 774 imprese sociali ex lege (iscritte alla sezione L del Registro Imprese); in Toscana, sempre nel 2013, si registrano 3.200 associazioni di volontariato iscritte all’albo regionale, 2.000 associazioni di promozione sociale iscritte al relativo albo regionale, 600 cooperative sociali attive sul territorio (53% di tipo A, 41% di tipo B e 6% consorzi) (Osservatorio sociale regionale, 2014). Le imprese sociali ex lege sono solo 44[2]: dodici di queste hanno una forte caratterizzazione giovanile (quindi oltre il 25%), avendo nella propria governance una presenza maggioritaria di under40.

Nel caso toscano, lo sviluppo dell’impresa sociale è correlabile al radicamento storico delle organizzazioni di volontariato (in prevalenza in ambito socio-sanitario) e alla strutturata rete di relazioni tra queste e le istituzioni locali; solo una minoranza di casi sono il frutto di iniziative di autoimprenditorialità da parte di persone fisiche. L’impresa sociale in Toscana rispecchia le specificità del modello italiano ed europeo in quanto pone al centro “la natura collettiva dell’impresa e il nesso costitutivo tra dimensione imprenditoriale e dimensione volontaria, cui si aggiunge la spiccata propensione ad attivarsi nel settore dei servi¬zi alla persona”. Le esperienze di imprese sociali monitorate da Cesvot affondano le proprie radici in parte nell’associazionismo e in parte in processi bottom up: nel caso di gemmazione diretta da associazioni di volontariato, l’impresa sociale nasce come spin-off delle stesse associazioni, assumendo la forma di cooperativa sociale o di impresa sociale ex lege; se l’impresa sociale nasce da un’iniziativa dal basso, indipendente ed autonoma, nella fase di startup necessita di una maggiore spinta imprenditoriale da parte dei fondatori non potendo poggiare direttamente su strutture e risorse preesistenti. Infine l’impresa sociale può essere anche il risultato di una trasformazione in senso imprenditoriale dell’associazione.

La ricerca di Cesvot, essendo condotta sul campo, ha permesso di stimolare un confronto tra le diverse anime, spesso non comunicanti, del Terzo settore. Nonostante differenti sensibilità ed approcci degli attori coinvolti, un aspetto comune è il considerare il destinatario delle proprie attività e dei servizi una “persona”, ponendo quindi al centro la dimensione sociale e umana, piuttosto che quella economica e strumentale. La ricerca ha inoltre individuato alcune parole chiave che riassumono gli elementi caratterizzanti e distintivi dell’impresa sociale: sostenibilità, networking, formazione, ricerca, innovazione, nuove tecnologie.

La sostenibilità, in chiave ambientale e sociale, è stato uno degli aspetti più dibattuti nell’ambito dei focus group e delle interviste realizzate: fare “impresa sociale” implica un buon equilibrio tra dimensione imprenditoriale e sociale, che deve essere costantemente rinnovato, così come una costante autoriflessione sul proprio ruolo e sulle proprie modalità di azione. Laddove l’impresa sociale si sviluppa come “gemmazione” diretta da esperienze di volontariato, la dimensione sociale rischia di prevalere su quella imprenditoriale, anche c'è la consapevolezza che per realizzare un progetto di impresa sociale sia fondamentale la presenza di una “reale” dimensione imprenditoriale, sia sul piano delle competenze che organizzativo e culturale.

Un’altra parola chiave (più volte emersa nei focus group) è innovazione sociale, interpretata non tanto come la capacità di “inventare” prodotti o servizi nuovi (non è la novità a rendere un prodotto innovativo), quanto il suo effettivo impatto sulla società. L’innovazione sociale è intesa, quindi, come capacità di offrire risposte a bisogni sociali che ad oggi non hanno trovato risposta (o trovato una risposta non adeguata), ricombinando in forma nuova risorse materiali e immateriali preesistenti. Fare innovazione è spesso l’elemento che sprona a spingersi oltre la frontiera dell’esistente e che consente, in termini imprenditoriali, di essere competitivi. Si è capaci di innovare se l’organizzazione non rimane chiusa nei propri modelli d’azione ma sperimenta nuove progettualità.

In tal senso il networking e la formazione continua sono due elementi essenziali. Oggi, coerentemente con l’adozione del paradigma socio-economico dello sviluppo umano, non possono continuare ad esistere forme di impresa che, attraverso il proprio agire sul piano economico, non tengano conto del loro ruolo all’interno della società, in termini di capacità di riduzione delle disuguaglianze di reddito e territoriali (attraverso la produzione di ricchezza, di posti di lavoro ecc.) e di aumento dei livelli di benessere e di coesione sociale. La singola organizzazione è rilevante non come soggetto distinto ma come componente di un sistema più ampio, composto da attori di natura spesso eterogenea che, attraverso appunto relazioni innovative, realizzano un “meta-obiettivo” di rilievo generale e allo stesso tempo coerente con gli specifici obiettivi di ciascuno. La rete e la condivisione consentono il superamento dei propri confini. “Potremmo dire, in sintesi, che l’innovazione prodotta nell’ambito del terzo settore nasce dalla società e torna alla società, con una relazione bidirezionale e orizzontale” (Raffini, 2015). Il fattore distintivo della natura sociale di un’impresa è – a prescindere dalla sua configurazione giuridica – la sua capacità di networking con soggetti di diversa natura (imprese non profit, imprese sociali in senso stretto, enti pubblici, ecc.) con i quali collaborare nella realizzazione di iniziative di importanza sociale, anche svolgendo funzioni diverse da quelle tipiche della sua natura economica.

La dimensione della formazione e della ricerca sono centrali poiché sia il volontariato che l’impresa sociale traggono la propria ricchezza dalla conoscenza. Favorire processi di trasmissione delle competenze e di apprendimento informale sono alla base sia dell’azione volontaria che delle imprese sociali.

La crescente professionalizzazione porta a sviluppare un “nuovo volontariato” (Salvini, Corchia, 2011; Salvini, Psaroudakis, 2015), soprattutto da parte dei giovani. I nostri studi in questo senso, svolti in collaborazione con l’Università di Pisa (Salvini, Psaroudakis, 2015), confermano l’avvio di un processo di trasformazione del volontariato tradizionale, alla cui base vi è una relazione sempre più stretta tra solidarietà e professionalità e la tendenza ad affiancare il principio di reciprocità a quello di gratuità, che fa del volontariato, rifacendosi a Ulrich Beck, un “fare per sé e fare per gli altri”. È nell’ambito di questo nuovo approccio che il volontariato diventa un incubatore di impresa sociale in cui i giovani possono essere protagonisti. La crescente professionalizzazione implica, per alcuni, il rischio di un snaturamento del volontariato inteso in senso tradizionale mentre, per altri, può essere un input per nuovi approcci senza che ciò porti ad uno smarrimento della sua vocazione originaria. Due anime del volontariato – quella “pura” e quella “nuova” – che tendono a convivere ma assumendo un’evidente connotazione generazionale.

Imprese sociali in ambito socio-sanitario

Proseguendo nell’analisi tra volontariato e impresa sociale, nel 2015 Cesvot, in collaborazione con Iris - Idee & Reti per l’Impresa Sociale, ha cercato di esaminare le caratteristiche delle imprese sociali che operano in ambito sanitario e socio-sanitario, partendo dal dato sulle imprese sociali ex lege toscane, la maggior parte delle quali opera soprattutto in questo settore e con un modello imprenditoriale pressoché unico nel panorama nazionale. E' stata realizzata un’analisi specifica dei casi di successo, estrapolando dalle imprese sociali esistenti tre diversi livelli di complessità finalizzati a descrivere un percorso di crescita modulare di queste esperienze di business sociale (Lenzi, Regine, 2015; in cui si veda in particolare “Il modello di sanità low cost delle imprese sociali in Toscana: un caso di successo al servizio dei cittadini”).

Il Terzo settore, a livello nazionale, è presente in sanità quasi esclusivamente nell’ambito della ricerca medica, dove le grandi organizzazioni di raccolta fondi si sottraggono all’anomalia di un Terzo settore ripiegato sul sociale e sviluppano, a partire da esperienze associative o fondazionali, una presenza ormai irrinunciabile per l’ambito sanitario. La sanità è dunque un ambito estraneo alle caratteristiche del Terzo settore? Difficile peraltro pensare che questa assenza sia dovuta alla complessità del mondo della sanità, laddove l’intreccio di capacità professionali, innovazione tecnologica e disponibilità di strutture specifiche non appare tuttavia così distante, in particolare se si parla della sola diagnostica, da quella riscontrabile nell’ambito dei servizi socio‐sanitari, terreno da sempre largamente frequentato dalle organizzazioni del Terzo settore. Certo, appare difficile pensare allo sviluppo di attività di impresa sociale in ambito sanitario nella forma tradizionale dell’impresa sociale cooperativa, la cui cultura “orizzontale” sembra mal adattarsi alle caratteristiche “verticali” delle professioni sanitarie, nelle quali il lavoro di équipe assume un senso “gerarchico”, definito dai rispettivi codici deontologici, assai più netto che nella cultura delle professioni sociali.

E’ possibile – e utile – “progettare” una presenza del Terzo settore per l’erogazione di prestazioni sanitarie? Il tentativo di rispondere positivamente a questa domanda passa attraverso alcune considerazioni di partenza:

  • è inutile (e non etico) duplicare l’offerta del SSN laddove essa si riveli efficace ed appropriata;
  • la salute è un luogo di realizzazione dei diritti fondamentali della persona e pertanto l’accesso equo ed appropriato alla sanità è questione primaria di giustizia sociale;
  • il SSN appare carente proprio dove il Terzo settore conta i suoi migliori pregi: personalizzazione e gestione di servizi con minore complessità (del resto l’odontoiatria e la diagnostica di base necessitano di un mix di professionalità, tecnologie e strutture generalmente più sostenibili);
  • l’adozione di modalità costitutive ed operative multistakeholder per le organizzazioni di Terzo settore rappresenta un vantaggio in termini di efficacia ed efficienza rispetto alle organizzazioni che presentano modelli di governance tradizionali, ad esempio riguardo alla riduzione delle asimmetrie informative, alle pratiche di partecipazione attiva, alle capacità di controllo sull’organizzazione, alla capacità di apprendimento organizzativo, all’attivazione di risorse aggiuntive esterne all’organizzazione.

La riflessione nasce dall’esperienza che alcune organizzazioni di volontariato – presenti in particolare nel settore del soccorso sanitario – svolgono ormai da un paio di decenni in Toscana, gestendo in proprio strutture diagnostiche di base di grande rilevanza sul territorio. Le caratteristiche principali di queste esperienze sono state aggregate in condizioni preliminari dello sviluppo, modello gestionale e tipologia dell’offerta.

Nell’ambito delle condizioni preliminari (e culturali) dello sviluppo rientrano elementi come:

  • nascita e sviluppo entro un modello associativo (sia da un punto di vista istituzionale, sia culturale): partecipazione e controllo democratico, logica associativa e non imprenditoriale, assenza di finalità lucrative;
  • organizzazioni a base sociale ampia (appartenenza comunitaria): il cliente/beneficiario è spesso socio dell’associazione (controllo sociale indiretto, attivazione di meccanismi proto-mutualistici) e con orientamento multistakeholder (soci utenti, volontari attivi, rappresentanza di altre organizzazioni – es. donatori di sangue – correttore spirituale, professionisti della sanità, dipendenti/operatori);
  • presenza di legami fiduciari forti con il territorio/comunità in ragione delle competenze di settore (tutte le associazioni svolgono da sempre il servizio di soccorso sanitario) e della storia (istituzioni di carattere comunitario presenti in molti casi da secoli a livello locale);
  • (spesso) compresenza o pregressa presenza, nelle strutture, di studi medici per i medici di medicina generale, di studi di medici specialisti privati (un quasi-avviamento).

Nel modello gestionale, invece si possono osservare:

  • titolarità dell’attività sanitaria svolta in capo all’associazione (autorizzazione sanitaria);
  • gestione diretta delle attività in capo all’associazione o attraverso una società commerciale controllata (sempre più frequentemente in forma di impresa sociale);
  • proprietà delle strutture e delle tecnologie;
  • staff amministrativo dedicato interno, con rapporto a tempo indeterminato (per funzioni di direzione, approvvigionamento, relazione con l’utenza, prenotazione/accettazione);
  • selezione dei professionisti sanitari in base a requisiti professionali ed etici;
  • rapporto contrattuale con i professionisti sanitari nella forma della libera professione.

Infine, la tipologia dell’offerta:

  • prestazioni di diagnostica e di riabilitazione in convenzione con il SSN o a pagamento (spesso entrambe le condizioni);
  • ambulatorio infermieristico di base (generalmente con prestazioni gratuite);
  • presidio della qualità e dell’appropriatezza (per le strutture convenzionate c’è l’obbligo di accreditamento e di governo del rischio clinico);
  • funzione di calmiere del mercato (talvolta prezzo sociale: minimo tariffario ordine dei medici);
  • prestazioni gratuite (homeless, immigrati);
  • sportelli per prenotazione CUP (prestazioni convenzionate con il SSN) e circuito di prenotazione autonomo talvolta condiviso fra più strutture;
  • facilitazioni economiche per varie categorie (soci propri e di terzi, indigenti, cronici, anziani, ecc.);
  • possibilità di interazione con altri servizi di prossimità (ad es. soccorso sanitario, servizi di trasporto sociale, attività di assistenza e beneficienza, telesoccorso ecc.).

Conclusioni

In conclusione, la nostra riflessione sul possibile matching tra volontariato e impresa sociale si è sviluppata a partire da tre ambiti. Innanzitutto, il volontariato e l’impresa sociale sembrano condividere valori e orientamenti ma anche modalità organizzative. In conseguenza di ciò, è stato possibile individuare un continuum nel quale ai due poli estremi si collocano, da una parte, l’impresa sociale strettamente definita, ovvero un’organizzazione che, pur coinvolgendo anche volontari, ha una natura prettamente imprenditoriale ma che persegue finalità sociali, e, dall’altra, l’associazione di volontariato nella sua forma “pura”, ovvero l’associazione di volontariato che si fonda esclusivamente sul lavoro volontario e non sviluppa una dimensione market-oriented. Lungo questo continuum troviamo una pluralità di forme in cui la dimensione del volontariato si concilia con il perseguimento di una prospettiva imprenditoriale e con il coinvolgimento di personale retribuito che le rendono imprese sociali potenziali, se non de facto. In secondo luogo, tra volontariato e impresa sociale sembra che sussista un rapporto di collaborazione, di sinergia e di scambio, almeno in alcuni casi, che porta le associazioni di volontariato ad essere un naturale ambito di incubazione di imprenditoria sociale o che almeno le porta a rafforzarsi nella generazione di benefici per la società. Infine, l’individuazione dei confini tra volontariato e impresa sociale sembra essere un presupposto su cui fondare la riflessione sui possibili matching, piuttosto che un elemento di sovrapposizione o di ambiguità.

Bibliografia

Bagnoli L., Toccafondi S. (a cura di) (2013), L’impresa sociale ex Dlgs 155/2006 e suoi sviluppi. Profili istituzionali, caratteristiche aziendali e settori di attività, Rapporto Cesvot, Camera di commercio di Firenze. 

GEM (2012), Global Entrepreneurship Monitor, 2012 Global Report, GEM Consortium.

Lenzi F., Regine A. (2015), Volontariato e impresa sociale, Rapporto Cesvot. 

Raffini L. (2015), Volontariato e impresa sociale. L’innovazione sociale come risposta alla crisi, ebook Cesvot.

Salvini A., Corchia L. (2012), Il volontariato inatteso. Nuove identità nella solidarietà organizzata in Toscana, I Quaderni Cesvot, 60. 

Salvini A., Psaroudakis I. (2015), Oltre la crisi. Identità e bisogni del volontariato in Toscana, I Quaderni Cesvot, 73. 

Symbola, Unioncamere (a cura di) (2014), Coesione è Competizione. Nuove geografie della produzione del valore in Italia, I quaderni di Symbola. 

Symbola, Unioncamere (a cura di) (2016), Coesione è Competizione. Nuove geografie della produzione del valore in Italia, I quaderni di Symbola. 

Venturi P., Zandonai F. (a cura di) (2012), L’Impresa Sociale in Italia. Pluralità dei modelli e contributo alla ripresa, Rapporto Iris Network, Altreconomia, Milano.

Venturi P., Zandonai F. (a cura di) (2014a), L’Impresa Sociale in Italia. Identità e sviluppo in un quadro di riforma, Rapporto Iris Network, Iris Network, Trento. 

Venturi P., Zandonai F. (a cura di) (2014b), Ibridi organizzativi. L’innovazione sociale generata dal Gruppo cooperativo Cgm, Il Mulino, Bologna.

Footnotes

  1. ^ Indagine Excelsior sull’andamento dell’occupazione nelle imprese.
  2. ^ Registro della Camera di Commercio di Firenze, dati 2013.
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