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ISSN 2282-1694
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Welfare e impresa sociale di garanzia

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Nuove geografie del valore e imprese coesive

Domenico Sturabotti, Paolo Venturi

Giovani, volontariato e nuova impresa sociale

Sandra Gallerini, Fabio Lenzi

Casi studio

Venture philanthropy: il caso di Fondazione CRT

Valter Cantino, Stefania Coni, Simona Fiandrino

Recensioni

Il capitale quotidiano

Flaviano Zandonai

Numero 7 / 2016

Saggi

Innovazione sociale e pratiche tecnoscientifiche: il caso delle reti wireless comunitarie

Stefano Crabu, Paolo Magaudda

Abstract

Nel corso dell’ultima decade, un numero crescente di discipline interessate ai processi dell’innovazione ha rivolto l’attenzione al fenomeno delle reti wireless comunitarie (RWC). Queste ultime, consolidatesi ormai a livello globale, si configurano come un’infrastruttura costruita e autogestita da appassionati e cittadini, interessati a collaborare su base volontaristica con l’obiettivo di generare un nuovo modello di comunicazione digitale alternativo a Internet e ai servizi commerciali offerti sul mercato dagli Internet Service Provider (ISP). Le RWC rappresentano un caso emblematico per esplorare non solo gli aspetti tecnici di tecnologie sempre più pervasive nella società contemporanea, ma anche per mettere a fuoco le relazioni fra dimensioni sociali, politiche e tecnoscientifiche che sostengono le pratiche di innovazione. Infatti, le più recenti esperienze di RWC hanno acquisito un ruolo centrale nella ridefinizione delle forme di partecipazione e attivismo politico legato ai media digitali, e alle sue forme di innovazione.

Questo saggio, sulla base dei dati raccolti attraverso una ricerca qualitativa sulla nascita e sviluppo della principale RWC attiva in Italia, mette in luce in che modo le reti comunitarie rappresentano una peculiare forma di innovazione sociale, là dove un insieme di individui – al di fuori delle tradizionali istituzioni di innovazione e sviluppo e sulla base di valori e credenze politiche – cooperano per dare vita a una nuova infrastruttura capace di sostenere la partecipazione e l’inclusione sociale nella società digitale. Nel fare questo, l’articolo enfatizza la dimensione processuale dell’innovazione sociale quale pratica emergente dalla cooperazione attiva fra soggetti umani e tecnologie, nel corso della quale visioni politiche, strumenti tecnici e partecipazione sociale si influenzano e si trasformano vicendevolmente.


During the last decade, a growing number of disciplines dealing with innovation processes focused started to investigate the phenomenon of wireless community networks (WCN). These networks, now consolidated on a global level, represent an infrastructure that is entirely built and self-managed by citizens voluntarily cooperating to create a new model of digital communication other than the Internet and commercial services offered on the market by Internet Service Providers (ISP). WCN, therefore, represent an emblematic case to explore not only the technical aspects of more and more pervasive technologies within contemporary society, but also to focus on relations between social, political and techno-scientific dimensions supporting innovation practices. In fact, most recent experiences of WCN acquired a central role in redefining participation practices and political activism linked to digital media, and its forms of innovation.

This paper, on the basis of data collected through a qualitative research on the origin and development of the main RWC in Italy, throws light upon the way in which community networks represent a peculiar form of social innovation, where a system of individuals – beyond traditional innovation and development institutions and on the basis of political values and beliefs – cooperate to originate a new infrastructure managing to endorse participation and social inclusion in the digital society. In doing this, the paper emphasizes the procedural dimension of social innovation as an emerging practice in the active cooperation among human beings and technologies, during which political visions, technical tools and social participation have an impact on each other and transform themselves.

Introduzione

Negli ultimi decenni, cittadini e organizzazioni della società civile hanno assunto un ruolo sempre più rilevante nel generare e sostenere nuove forme di innovazione all’interno di numerosi contesti, fra i quali la salute, l’educazione, il social networking e le tecnologie per l’informazione e la comunicazione (ICT) (Tapia, Ortiz, 2010; Maiolini et al., 2015). Nel caso delle ICT, in particolare, queste forme emergenti di innovazione sono sempre più caratterizzate da un’inedita cooperazione orizzontale fra attori sociali diversi, come scienziati e ricercatori, hackers, volontari, attivisti politici e cittadini, interessati in vario modo a collaborare in progetti ad alto contenuto tecnologico e con un riconosciuto valore sociale (Le Dantec, DiSalvo, 2013; Crabu, Magaudda, 2015). Questo fenomeno ha attirato l’attenzione di diversi ambiti d’indagine, fra cui la sociologia, il diritto e l’economia, dove queste nuove forme di collaborazione sono state spesso ricondotte alla nozione di innovazione sociale (Nicholls, Murdock, 2012). Sebbene il concetto di innovazione sociale non possieda una definizione univoca, esso può essere utilizzato per descrivere quelle forme emergenti di collaborazione tra attori sociali eterogenei – organizzazioni di volontariato, soggetti operanti nel terzo settore, associazioni informali e altri gruppi di interesse – che intervengono in modo innovativo in determinati ambiti per la risoluzione di problematiche sociali, rispetto alle quali l’azione dello Stato o del settore privato si è rivelata inadatta o insoddisfacente. Si tratta spesso di attività che, da un lato, possono generare nuove idee, prodotti e servizi e, dall’altro, definire nuove configurazioni di collaborazione per la giustizia sociale, l’equità, la gestione dei beni comuni e la salvaguardia dei diritti sociali (Pol, Ville, 2009; Iaione, 2015).

Questo saggio intende contribuire al dibattito sull’innovazione sociale enfatizzando la dimensione processuale ed emergente delle pratiche di collaborazione, nell’ambito delle quali si assiste alla crescente necessità di allineare visioni politiche, contesti culturali locali, sistemi tecnologici e conoscenze scientifiche. Per fare questo si assumerà la prospettiva teorica degli Science and Technology Studies (S&TS), che fornisce un quadro interpretativo in grado di mettere in luce le relazioni di mutua produzione tra le dimensioni culturali, politiche e tecnologiche centrali nei processi di innovazione sociale (Callon et al., 2009; Bijker et al., 2010; Brown, 2014). L’articolo presenterà poi l’esperienza del progetto Ninux, una tipologia emergente di infrastruttura locale per la comunicazione digitale costruita “dal basso”, che rientra nella categoria delle cosiddette reti wireless comunitarie (RWC) (Caso, Giovanella, 2014; Crabu et al., 2016). Le RWC sono delle infrastrutture bottom-up che si basano su un’architettura di rete “distribuita”, costruita e autogestita da una comunità di volontari composta da diversi tipi di soggettività, fra cui hackers e nerd, studenti e operatori tecnici, attivisti politici e semplici cittadini.

La presentazione dei dati empirici permetterà di qualificare i processi di innovazione sociale come percorsi cooperativi, ma al tempo stesso erratici, che si concretizzano in spazi non immediatamente riconducibili a quelli dove le attività di innovazione e sviluppo possono avere tradizionalmente luogo, come aziende o centri di ricerca. In questo modo osserveremo l’innovazione sociale nel suo farsi, a partire dalle pratiche in cui cornici culturali, artefatti tecnologici e conoscenze scientifiche interagiscono in una dinamica di reciproca riconfigurazione (Bijker, Law, 1992).

Innovazione sociale, tecnologie e pratiche sociomateriali

La governance dell’innovazione – nelle sue diverse declinazioni organizzative, tecnologiche e istituzionali – rappresenta un tema strategico nelle trasformazioni della società contemporanea (Bruni, 2014). I governi nazionali, così come le istituzioni internazionali, promuovono sempre più spesso programmi di finanziamento a sostegno della creazione ed adozione di nuove tecnologie che razionalizzano, sotto il profilo economico e finanziario, i processi produttivi e l’erogazione di beni e servizi. In questo scenario le scienze sociali si interrogano sulle modalità di creazione, adozione e consumo delle tecnologie, per indagare in profondità i mutamenti sociali e istituzionali (Fagerberg, 2005).

Fra la pluralità di modelli e concetti analitici elaborati dalle scienze sociali per rendere conto dei processi innovativi, ha assunto una crescente rilevanza la nozione di innovazione sociale, intesa come un vettore capace di generare un impatto innovativo portatore di un riconoscibile valore sociale. Non solo i ricercatori, ma anche i policy maker – nazionali e sovranazionali – hanno posto particolare enfasi sul tema dell’innovazione sociale, in particolare riconoscendo al social networking e alle ICT un ruolo significativo a sostegno di iniziative volte alla creazione di nuove tecnologie e infrastrutture della comunicazione (Arvidsson, Giordano, 2013; Maiolini et al., 2015).

Nonostante l’innovazione sociale sia stata ampiamente studiata da un punto di vista teorico e con finalità definitorie, nel dibattito accademico non esiste ancora una definizione univoca di tale concetto (Pol, Ville 2009; Pirone, 2012). Per gli scopi di questo saggio, senza la pretesa di essere esaustivi, con il termine “innovazione sociale” intenderemo un insieme di attività, volte a generare interventi e strumenti, che si pongano l’obiettivo di far fronte a problematiche di rilevanza sociale, fra cui la salute, l’educazione, la democratizzazione dell’accesso alle tecnologie per la comunicazione digitale etc. L’innovazione sociale, quindi, si orienta anche verso quegli ambiti, talvolta caratterizzati da conflitti sociali, dove le istituzioni di governo, le politiche pubbliche o gli operatori presenti sul mercato fanno fatica a intervenire in maniera equa e responsabile (Phills et al., 2008). Sotto questo profilo, la dimensione “sociale” dell’innovazione viene fatta derivare dalla condivisione di elementi, valori e credenze che portano gli innovatori ad adottare una logica d’azione capace di costruire soluzioni efficaci ed efficienti a un determinato problema comune, generando al contempo un beneficio complessivo per la società, piuttosto che per il singolo individuo o per la singola organizzazione. In altre parole, l’innovazione è “sociale” quando guarda alla creazione di vantaggi in relazione alla società nella sua complessità, piuttosto che al profitto privato o ai guadagni generati dalle attività di mercato. Si tratta, quindi, di un tipo di innovazione per certi versi alternativa, benché compresente, all’innovazione business-oriented, là dove primeggia una peculiare attenzione alla creazione di nuove idee e strumenti che abbiano un impatto positivo sulla qualità della vita della comunità su cui quell’innovazione insiste (Cajaiba-Santana, 2014).

Questo insieme di caratteristiche hanno portato l’innovazione sociale a diventare un concetto mainstream nelle politiche pubbliche. Allo stesso tempo, tuttavia, sono rimaste carenti le indagini empiriche volte a comprendere la sua morfologia, così come la sua configurazione sociale, tecnologica e organizzativa. A partire dal riconoscimento di queste criticità, questo saggio intende mostrare che l’innovazione sociale rappresenta l’esito complesso di tensioni e convergenze fra saperi, istituzioni, visioni politiche e tecnologie; una trama organizzativa in cui sono in gioco attori sociali fra loro molto diversi, che cooperano in contesti non necessariamente riconducibili ai luoghi convenzionali della ricerca e dello sviluppo. L’obiettivo di questo lavoro è quindi quello di considerare l’innovazione sociale non solo come un insieme di relazioni che coinvolgono agenti sociali operanti entro una comunità predefinita, ma anche in riferimento al ruolo che la dimensione tecnologica e materiale svolge nel supportare e abilitare gli stessi attori nella costruzione di queste relazioni. Nel perseguire questo obiettivo, adotteremo una prospettiva maturata nel campo degli Science & Technology Studies, in grado di mettere in luce l’innovazione sociale nella sua processualità, quale pratica situata e “sociomateriale” (Orlikowski, 2007; Crabu, 2014), ovvero agita da attori sociali in collaborazione con tecnologie e conoscenze all’interno di contesti eterogenei e non tradizionali (Callon, 1999).

Il fenomeno delle reti wireless comunitarie nel quadro internazionale

Le RWC sono infrastrutture locali, di matrice volontaria spesso di dimensione cittadina, basate sulla tecnologia delle antenne wireless e finalizzate a interconnettere gli utenti attraverso una rete decentralizzata, autonoma rispetto a Internet e autogestista. La scelta di sviluppare questo tipo di rete su base volontaria fonda la sua ragion d’essere su un insieme di motivazioni che sono allo stesso tempo tecnologiche, culturali e politiche. Più precisamente, i partecipanti a queste esperienze condividono l’ideale rappresentato dalla necessità di sostenere l’uso di reti decentralizzate, non sottoposte al controllo governativo o allo sfruttamento commerciale. Il funzionamento di queste reti è basato sull’utilizzo di protocolli sviluppati dagli stessi utenti esperti, che partecipano anche in prima persona alla costruzione dell’infrastruttura materiale (per esempio, in caso di necessità, al montaggio sui tetti delle antenne per trasmettere il segnale wireless).

Il modello di innovazione incarnato dalle RWC risulta particolarmente emblematico rispetto ad alcune recenti tendenze della società e delle culture digitali, anche in relazione al dibattito sull’innovazione sociale. Da un lato, le RWC rappresentano uno degli sviluppi più recenti delle tecnologie della comunicazione digitale e, dunque, possono essere considerate come un piccolo frammento, critico e alternativo, del più ampio processo di costruzione della società digitale (Castells, 1996; Balbi, Magaudda, 2014). Allo stesso tempo, sono un caso esemplare rappresentativo delle possibilità che gli stessi utenti hanno nel modificare e influenzare, in parziale autonomia, la scienza e l’evoluzione tecnologica, portando dunque in evidenza la componente collaborativa e “sociale” di queste innovazioni (Epstein, 1996; Oudshoorn, Pinch, 2003).

Da un punto di vista politico, l’esperienza delle RWC si inserisce all’interno di una più generale analisi critica sull’uso dei media e delle tecnologie della comunicazione (Fuchs, 2011). In questo senso, le RWC possono essere viste come l’espressione di una specifica corrente culturale del “mediattivismo”, divenuto particolarmente vitale negli ultimi anni, anche in seguito al cosiddetto “Datagate”, ovvero lo scandalo sulle rivelazioni fatte nel 2013 da un ex-tecnico della CIA e dell’Agenzia per la Sicurezza Nazionale americana sul programma di controllo e sorveglianza di massa delle telecomunicazioni avviato da Stati Uniti e Regno Unito.

Infine, un’ulteriore implicazione delle reti distribuite riguarda il tema dell’innovazione tecnoscientifica, e in particolare le modalità attraverso cui le RWC danno forma a processi di innovazione “dal basso” (Eglash et al., 2004; Von Hippel, 2005; Chesbrough et al., 2006), i quali appaiono sempre più centrali anche per le politiche comunitarie a sostegno delle attività di ricerca e sviluppo nell’ambito delle ICT quale settore strategico per il rilancio della competitività europea (si pensi, ad esempio, al programma Horizon 2020 della Commissione Europea, con il quale sono stati stanziati 774,26 milioni di euro per il 2014 e 854,1 milioni per il 2015 a sostegno delle attività di ricerca nel campo delle ICT). La partecipazione attiva di cittadini e utenti finali nella costruzione dell’infrastruttura tecnologica rende, dunque, le RWC un esempio peculiare di innovazione sociale nel campo delle ICT.

Pur collocandosi in una pluralità di ambiti disciplinari, le RWC sono state finora oggetto di una ricerca sporadica e marginale, soprattutto per la difficoltà di inquadrarne i contorni all’interno di una prospettiva di analisi definita. Le RWC sono un fenomeno propriamente tecnologico, con rilevanti implicazioni di ordine tecnico, ma al tempo stesso anche sociale, dove i cittadini collaborano su base volontaria, e a partire da contesti culturali comuni, per costruire una nuova infrastruttura e definire modalità di comunicazione innovative (Balbi et al., 2016).

L’esperienza italiana delle RWC si inserisce in una più generale tendenza di evoluzione delle infrastrutture distribuite per la comunicazione digitale a livello internazionale, manifestatasi a livello europeo nel corso dell’ultima decade. Negli ultimi anni, in diversi paesi europei sono stati lanciati progetti di costruzione di reti comunitarie basate sulla decentralizzazione dell’infrastruttura, autogestite dai membri della comunità e spesso organizzate intorno a gruppi di attivisti che condividono una serie di orizzonti culturali, a cui si è accennato in precedenza. L’esempio probabilmente più complesso e articolato è rappresentato dalla rete della Catalunia Guifi.net, un network comunitario decentralizzato nato nel 2004 e costituito oggi da più di 30mila “nodi”. Una delle particolarità che distingue, in parte, la rete Guifi.net dal contesto italiano è il fatto che ha sviluppato un processo di istituzionalizzazione e di collaborazione con vari enti locali, i quali sono stati direttamente coinvolti nella costruzione di altre “isole” di grandi dimensioni. Anche grazie a queste collaborazioni, la rete Guifi.net è oggi una delle più grandi in Europa, dove comunque esistono anche altre esperienze rilevanti, come la rete Freifunk in Germania e la rete Wlan-SI in Slovenia. Sebbene di più piccole dimensioni, la rete italiana denominata Ninux rappresenta la declinazione locale di questo fenomeno di portata internazionale.

L’esperienza italiana di Ninux

Il movimento italiano delle RWC è composto da varie “isole” locali, la gran parte delle quali si sono federate a livello nazionale in un’organizzazione informale chiamata Ninux. Nel 2016 Ninux conta, a livello italiano, circa una decina di gruppi attivi in altrettante città. I volontari che costruiscono materialmente le infrastrutture a livello locale condividono una visione comune rispetto alle implicazioni sociali delle RWC, alle sue dimensioni tecnologiche, ai principi relativi alle finalità di queste reti e il loro rapporto con il mercato. Questi principi, riassunti nel Manifesto, evidenziano gli elementi di innovazione sociale che questo progetto incarna, in particolare:

  • l’importanza di Ninux quale vettore per la democratizzazione della rete e per la lotta a digital divide;
  • il sostegno al movimento open content in favore della conoscenza aperta e condivisa;
  • una presa di distanza dall’attuale governance di Internet e dalle logiche commerciali che lo caratterizzano.

Questo insieme di principi è l’esito di una traiettoria di sviluppo che ha permesso alla comunità d Ninux di consolidare un progetto che tiene insieme, in una particolare modalità di innovazione sociale, sia la costruzione di una nuova infrastruttura tecnica che aspettative e valori riguardanti il rapporto sociale fra individui e tecnologie della comunicazione.

Ninux ha preso avvio a Roma nel 2001, seguendo le orme di progetti simili sviluppatisi in altri paesi, tra cui il più noto è il Seattle Wireless creato nel 2000 nel nord-ovest degli Stati Uniti (Crabu et al., 2015; Maccari, Lo Cigno, 2014; 2015). In quegli anni, in Italia, l’uso di Internet era ancora in una fase iniziale e la tecnologia wireless era sostanzialmente sconosciuta ai più; per questa ragione, hackers, nerd o appassionati di radio-telecomunicazioni vedevano nella possibilità di costruire una rete wireless dal basso una sfida entusiasmante e all’avanguardia. Intorno al 2008 si verificò quella che dai partecipanti all’isola di Roma viene definita una “svolta”. In quel periodo un’azienda americana aveva iniziato a immettere sul mercato delle antenne wireless a basso costo che, facilitando enormemente l’installazione e la messa in funzione dei nodi, furono immediatamente adottate come strumenti di riferimento da tutti i membri di Ninux. Più precisamente, si tratta di antenne e access point wireless per ambienti esterni, che non richiedono particolari attività di configurazione né di autorizzazione da parte di autorità pubbliche. Grazie a questo dispositivo molti aspetti tecnici complessi vennero in parte risolti (non è più necessario costruire artigianalmente le antenne) e, conseguentemente, la partecipazione al progetto divenne più ampia: anche persone che non possiedono una formazione specialistica possono apprendere le competenze di base necessarie alla gestione del proprio “nodo”. Anno dopo anno, grazie anche alla realizzazione di alcuni servizi (come la condivisione di file e di strumenti collaborativi), il progetto ha attirato un numero crescente di partecipanti singoli, di associazioni civiche nonché di centri sociali autogestiti, trasformando così un iniziale esperimento tra pochi amici in una rete wireless cittadina costituita, nel 2016, da circa 350 nodi.

Negli ultimi anni Ninux si è diffusa in altre città italiane, dove sono stati avviati progetti gemelli con il medesimo nome. In città come Pisa e Firenze le reti sono di dimensioni più piccole, contando una ventina di nodi attivi. Pisa rappresenta l’isola in cui la RWC ha assunto una connotazione politica più forte, soprattutto perché le attività di costruzione dell’infrastruttura sono diventate parte integrante del progetto politico di un “collettivo universitario” impegnato in pratiche di autoproduzione e autoformazione chiamato eigenLab. Quest’ultimo, oltre a riunire più di trenta attivisti molto affini alle pratiche del cyberattivismo, rappresenta una delle primissime realtà italiane ad aver sperimentato la pratica dello “sciopero digitale” attraverso l’uso dei social network. La rete di Firenze, nata poco dopo Pisa, ha raccolto la partecipazione di alcuni hacker storici fiorentini, venuti a conoscenza del progetto Ninux durante gli incontri annuali della comunità hacker italiana. Ninux Firenze non si identifica come un’esperienza esplicitamente politica, benché sia ampiamente condivisa l’idea che il modello della rete wireless distribuite rappresenti un’alternativa percorribile all’attuale organizzazione centralistica e market-oriented di Internet. Infine, una delle più recenti esperienze di maturazione del progetto Ninux è quella di Bologna, dove un gruppo di radioamatori, nerd e appassionati di nuove tecnologie ha iniziato ad installare i primi nodi in città. Le diverse declinazioni delle RWC nelle varie città evidenziano quanto le caratteristiche e le istanze sociali dei territori e dei contesti locali contribuiscano a dare forma e identità a questa tipologia di innovazione.

La ricerca: metodologia e risultati

La ricerca empirica si è concentrata sulla comprensione degli aspetti sociali, culturali e istituzionali che, in varie città italiane, hanno affiancato e sostenuto la creazione e lo sviluppo di reti wireless comunitarie. Per questa ragione, in primo luogo si è reso necessario mappare a livello nazionale le esperienze più significative, ricostruendone l’evoluzione e mettendone a fuoco le differenti specificità. In secondo luogo, ci si è focalizzati sulle culture delle reti comunitarie e sulle pratiche condivise dai partecipanti. Partendo dalle riflessioni sviluppate dalla letteratura di riferimento, la ricerca ha individuato uno snodo fondamentale nell’investigazione dei processi di innovazione, con particolare attenzione alle relazioni tra la dimensione tecnica implicata nella costruzione delle reti e le cornici politiche e culturali che sostengono le attività dei partecipanti.

Nel disegno della ricerca si è provveduto a identificate 4 città corrispondenti alle isole più importanti e significative, sia in relazione alle dimensioni dei network costruiti a livello cittadino (considerandone anche longevità e stabilità), sia in rapporto al contributo che network pur piccoli sono comunque riusciti a produrre nell’evoluzione nazionale di queste reti. Inoltre, nel processo di individuazione delle isole si è tenuto conto della necessità di selezionare sia reti e gruppi già altamente strutturati – utili per mettere a fuoco questioni e problemi connessi all’esistenza di reti già almeno in parte stabilizzate – sia reti più “giovani” e in via di costruzione, per poter osservare le criticità e gli ostacoli che ne caratterizzano la nascita. A partire da queste riflessioni, le isole selezionate sono state quelle di Bologna, Firenze, Pisa e Roma.

L’indagine empirica si è poi focalizzata sulla raccolta dati attraverso tre differenti tecniche di ricerca qualitativa. In primo luogo, è stata condotta una raccolta e catalogazione della documentazione esistente, prodotta sia dalle isole locali, che da altre fonti – media e organi di stampa – che hanno pubblicato informazione sulle RWC in Italia nel corso dell’ultimo anno. Una particolare attenzione è stata dedicata alle forme di comunicazione digitale impiegate dai partecipanti alle reti comunitarie e alle comunicazioni attraverso la mailing list della comunità nazionale, attraverso cui vengono discussi varie questioni inerenti il coordinamento delle attività delle reti locali. Accanto all’analisi documentale, sono state condotte 11 interviste in profondità (Silverman, 1997; Wengraf, 2001), di una durata compresa tra i 60 e i 120 minuti, con alcuni dei partecipanti ai quattro network locali contemplati dalla ricerca, suddivisi in modo proporzionale tra le diverse città. L’intero corpus di dati empirici è stato completamente trascritto in forma digitale. La fase di codifica e analisi dei dati ha fatto riferimento a una versione “lasca” e di matrice costruzionista della grounded theory (Charmaz, 2006). Per questa ragione, nel corso della ricerca abbiamo adottato una prospettiva che consentisse di analizzare l’innovazione come un processo continuo e, allo stesso tempo, localizzato nelle pratiche attraverso cui i protagonisti delle wireless community interagiscono e dialogano continuamente con tecnologie, protocolli, conoscenze, aspettative e visioni politiche. Pertanto, quando si osserva l’innovazione come processo continuo e situato, risulta opportuno focalizzare l’attenzione sui meccanismi sociali e materiali che permettono la “traduzione” di un progetto o di un’idea in “corsi d’azione” localizzati nel tempo e nello spazio (Callon et al., 2009).

Tecnologie e saperi nell’innovazione sociale: la comunità di Ninux

A partire delle esperienze raccontate dai partecipanti a Ninux, in questo paragrafo si metterà in risalto il carattere multidimensionale del processo di innovazione sociale che ha coinvolto appassionati di tecnologie, hackers, studenti di ingegneria e attivisti politici nella costruzione e sviluppo dell’infrastruttura wireless.

Alcuni degli assunti culturali fondativi di Ninux sono rintracciabili nel “Manifesto”, nel quale viene chiarito che la comunità – a differenza di altre esperienze europee come Guifi.Net in Catalogna o Freifunk in Germania – non possiede uno status giuridico formale, cosicché il coinvolgimento nelle attività avviene su base informale e senza un riconoscimento monetario. Per comprendere più in dettaglio le dinamiche di partecipazione possiamo fare riferimento alle parole di uno tra i suoi membri più attivi e conosciuti a livello nazionale, secondo il quale:

“Queste reti sono la summa di tutto il nerdismo che voi potete immaginare. Qua dentro, se siete dei nerd, ci potete trovare di tutto, tutti gli aspetti, proprio. Dal software, fino a fare un’antenna con il saldatore. Qualsiasi cosa” [informatico, presentazione pubblica del progetto, Bologna, 28 marzo 2014].

Nel gergo informatico, la parola “nerdismo” da una parte indica la tendenza al rifiuto e al superamento del ruolo dell’utilizzatore passivo di tecnologie, dall’altra definisce una propensione all’uso critico e alla manipolazione dei dispositivi tecnologici con i quali ci si trova a contatto nella quotidianità. Il riferimento all’attitudine “nerd”, quindi, permette di mettere in luce come la partecipazione in Ninux sia veicolata principalmente dalla condivisione di un orizzonte culturale in cui l’uso e la sperimentazione delle tecnologie rappresenta un aspetto consueto e ricorrente nell’esperienza ordinaria dei membri.

Un aspetto significativo della dimensione “sociale” del processo di innovazione delle RWC riguarda la dimensione organizzativa, e in particolare il fatto che Ninux sia costituito da un collettivo non profit informale; un insieme di persone accomunate dal medesimo interesse in uno specifico progetto di innovazione, all’interno del quale cadono i confini fra il ruolo dell’utente-utilizzatore e dell’innovatore-sperimentatore, che interviene nella manipolazione delle tecnologie, nell’installazione di un’antenna o nella creazione di nuovo software per l’infrastruttura (Oudshoorn, Pinch, 2003; Van Oost et al., 2008; Poderi, 2012). La costruzione e la gestione dell’infrastruttura wireless non va considerata come un’attività di innovazione mossa da spinte utilitaristiche e strumentali, ma piuttosto come un processo di partecipazione dei soggetti all’interno di un’ampia ecologia di relazioni che consentono di esprimere la propria creatività e la propria passione mediante la partecipazione libera e gratuita al progetto di sviluppo della rete comunitaria. Come emerge anche dalle parole di uno degli animatori della comunità bolognese, tutto ciò si riflette in una particolare concezione delle modalità di partecipazione:

“Una regola non scritta è che sotto ogni tetto, sotto ogni nodo, sotto ogni antenna ci deve essere una persona attiva nella comunità. Perché essendo pensato come qualcosa che io faccio e poi metto a disposizione della collettività, non si può immaginare di strutturarla come: ‘vabbè, vengo a casa tua, ti faccio un nodo e tu sei a posto così, e non dovrai mai preoccuparti’. Cioè, il discorso è che tu non è che passi da un doppino telefonico del provider, al cavo di rete di Ninux che viene giù dal tetto, e per te non è cambiato nulla. Ed è cambiato solo un discorso di prezzi e di performance. C’è dietro un discorso di consapevolezza sul come è fatta la rete, tra cui c’è questa regola non scritta per cui sotto ogni antenna ci deve essere una testa” [informatico, partecipante all’isola di Bologna].

In queste parole si pone l’attenzione su un altro elemento relativo alla partecipazione all’interno delle RWC, ossia la natura decentralizzata e distribuita dell’infrastruttura. Quest’ultima caratteristica è strettamente legata alle cornici culturali e politiche condivise dai membri della comunità. Si tratta di “elementi discorsivi” che fanno leva non solo sugli aspetti tecnici delle reti, ma anche e soprattutto su visioni politiche e culturali, relative all’impegno nella creazione di un’infrastruttura per la comunicazione digitale autogestita dalla cittadinanza. Come ha raccontato uno dei fondatori dell’isola fiorentina, quella delle reti comunitarie può essere considerata una vera e propria filosofia riguardante il ruolo delle tecnologie della comunicazione, delle reti e dei software:

“Quello che cercano di fare le reti comunitarie è di distribuire l’infrastruttura. Cioè, arrivare ad un punto in cui l’infrastruttura che voi utilizzate per comunicare non è più gerarchica, non è più centralizzata nelle mani di qualcun altro. Ma è distribuita, ed è basata su una comunità di volontari. […] Nella filosofia della rete wireless comunitaria ci sta il fatto di usare software libero, software open source. Ci sta la condivisione in generale” [informatico, presentazione pubblica del progetto, Bologna, 28 marzo 2014].

Si comprende quindi come la costruzione della rete comunitaria distribuita, al di là delle sue specificità tecniche, sia caratterizzata da alcuni temi comuni, ad esempio in relazione al movimento per il software libero, il quale sostiene la necessità di rendere accessibile il codice sorgente in modo da favorire le modifiche da parte di programmatori indipendenti. Si tratta di un movimento complesso e ambivalente, che ha senza dubbio il merito di aver contribuito ad introdurre nell’agenda politica – sia istituzionale che dei movimenti sociali – il tema della democratizzazione delle ICT. Fin dagli anni ‘80 il free software movement ha infatti avanzato una severa critica alla gestione privatista e monopolista che le multinazionali ICT praticano sui saperi e sulle conoscenze, in particolare quelle incorporate nei software che producono ingenti profitti (Kelty, 2008). Circoscrivendo la prospettiva d’analisi, ciò che caratterizza in modo ancora più esplicito la dimensione politica e discorsiva a sostegno di questa esperienza di innovazione sociale nel campo del networking riguarda la critica alle attuali strategie globali di governance neoliberista di Internet:

“Sicuramente le dorsali oceaniche non sono nostre. Sicuramente il punto di accesso non è vostro. Il cavo che porta la rete a casa vostra non è vostro. Ultimamente anche il modem, quell’aggeggio che avete in casa, non è vostro. Quindi, voi nel momento in cui avete un pacchetto di dati che partono dal vostro computer, da quel momento in poi non sapete più che cosa succede a quei dati. Perdete completamente il controllo di quello che succede. Voi, per parlare con una persona seduta accanto a voi, o nella stanza accanto, potreste mandare informazioni in un posto qualsiasi. Che siano gli Stati Uniti, che sia il Giappone, che sia un server gestito da qualcuno, o che sia un paese che voi non sapete qual è, non sapete che leggi ci sono, e non sapete chi è responsabile di quei dati. Questo è il contesto che motiva le persone a cercare delle alternative. Un’altra delle cose che normalmente non piace, a chi fa le reti comunitarie, sono le logiche che stanno dietro a come un provider gestisce la propria rete. Che sono esclusivamente logiche di profitto" [informatico, presentazione pubblica del progetto, Bologna, 28 marzo 2014].

Le parole di questo membro della comunità di Ninux insistono sul fatto che Internet non rappresenta uno strumento di connessione e comunicazione neutro, ma piuttosto un dispositivo socio-tecnico permeato da precise logiche organizzative e funzionali, quali la centralizzazione della proprietà dell’infrastruttura, la subordinazione della privacy alle logiche di controllo dei cittadini, la gestione degli usi e dell’accesso in modo da generare profitto. Pertanto, il punto messo in discussione da Ninux non riguarda tanto la dimensione tecnologica in sé, quanto piuttosto l’attuale governance di Internet, fondata sulla centralizzazione dell’infrastruttura, che non consente l’autodeterminazione delle esperienze d’uso e il controllo dei propri dati, compromettendo in questo modo la privacy e l’autonomia degli utenti (Chenou, 2014). In questo senso, molti partecipanti alle reti distribuite assumono il “caso Snowden” come esempio delle trasformazioni di Internet, da strumento che permetteva la libera circolazione delle informazioni e la comunicazione fra le persone, a potentissimo dispositivo di sorveglianza e repressione utilizzato dagli apparati di controllo degli Stati o dalle multinazionali interessate ad utilizzare i dati prodotti per scopi commerciali. Alla luce di queste considerazioni, la verticalità e la centralizzazione dell’infrastruttura Internet non rappresentano dimensioni dai risvolti meramente tecnici – alle quali contrapporre delle soluzioni che si muovono sul solo piano dell’implementazione di tecnologie alternative – ma identificano invece elementi tipicamente “tecno-politici” da cui derivano delle precise opzioni tecnologiche da sviluppare e dunque una delle istanze che contribuiscono a definire la dimensione “sociale” di questa innovazione.

Da questa prospettiva si comprende l’importanza che assume il processo di definizione di una visione politica comune a tutti i partecipanti, che ha portato all’elaborazione di un approccio alternativo alle comunicazioni digitali, fondato sulla possibilità di un controllo non centralizzato della rete da parte degli utilizzatori-creatori. In questo modo, i partecipanti alle RWC partono da una critica al funzionamento di Internet per evidenziare la rilevanza sociale e gli squilibri di potere che ne caratterizzano il suo funzionamento, al fine di elaborare un progetto di innovazione alternativo. Pertanto ritroviamo l’idea di un nuovo modello di sviluppo dei network per la comunicazione digitale: la creazione di una nuova infrastruttura wireless che risponda a logiche, rivendicazioni, interessi e politiche orientate alla creazione di nuove forme di socialità digitale, antagoniste alle strategie della governance centralistica degli Internet Service Provider.

Conclusioni

A partire dall’analisi di alcuni aspetti della rete wireless comunitaria italiana è possibile proporre alcune riflessioni più generali sul tema dell’innovazione sociale e sugli elementi che contribuiscono a creare le condizioni per nuove forme di creatività e produzione, capaci di generare ricadute positive, non solo economiche, per la collettività. Allargando la prospettiva d’analisi, possiamo interpretare le pratiche in supporto all’innovazione sociale fin qui presentate come espressione di un lavoro eterogeneo, che richiede uno sforzo per allineare vincoli tecnici, cornici culturali locali, istanze politiche e inedite modalità organizzative. Attraverso la discussione del caso della rete Ninux è emersa un’idea di innovazione sociale non tanto intesa come modello normativo, circoscritto da specifiche caratteristiche e regole predefinite, bensì come l’esito contingente e in fieri di un processo di partecipazione attiva di differenti soggetti: una partecipazione attorno a pratiche tese a generare nuove conoscenze e tecnologie con l’obiettivo non solo di produrre risultati specifici e circoscritti, ma di porre le condizioni per un differente tessuto valoriale e politico.

Ringraziamenti

Gli autori ringraziano in particolare Federica Giovanella e Leonardo Maccari dell’Università degli Studi di Trento per il costante confronto sui temi delle reti wireless comunitarie. Per quanto l’intero articolo vada considerato come frutto della collaborazione congiunta tra i due autori, l’introduzione e i paragrafi “Innovazione sociale, tecnologie e pratiche sociomateriali”, “La ricerca: metodologia e risultati”, “Tecnologie e saperi nell’innovazione sociale: la comunità di Ninux” vanno attribuiti a Stefano Crabu; mentre i paragrafi “Il fenomeno delle reti wireless comunitarie nel quadro internazionale”, “L’esperienza italiana di Ninux” e le conclusioni a Paolo Magaudda.

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