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ISSN 2282-1694
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Editoriale

Welfare e impresa sociale di garanzia

Giorgio Fiorentini

Saggi brevi

Nuove geografie del valore e imprese coesive

Domenico Sturabotti, Paolo Venturi

Giovani, volontariato e nuova impresa sociale

Sandra Gallerini, Fabio Lenzi

Casi studio

Venture philanthropy: il caso di Fondazione CRT

Valter Cantino, Stefania Coni, Simona Fiandrino

Recensioni

Il capitale quotidiano

Flaviano Zandonai

Numero 7 / 2016

Recensioni

Il capitale quotidiano. Un manifesto per l'economia fondamentale

Flaviano Zandonai

Filippo Barbera, Joselle Dagnes, Angelo Salento, Ferdinando Spina (a cura di) (2016), Il capitale quotidiano. Un manifesto per l’economia fondamentale, Donzelli, Roma.

Prima di essere un manifesto, “Il capitale quotidiano” è soprattutto un progetto di ricerca ambizioso per gittata temporale – rilegge, di fatto, gli ultimi tre decenni della storia politica ed economica italiana – e per ampiezza e complessità del campo di analisi: dalla produzione culturale al welfare dei servizi sociali, dalla grande distribuzione alimentare al trasporto ferroviario, fino alla gestione dei rifiuti e delle risorse idriche. Ciò che hanno in comune settori così diversi definisce, al contempo, l’oggetto di ricerca e la relativa ipotesi interpretativa. Il focus di analisi è la cosiddetta “economia fondamentale”, che, nell’introduzione al volume, viene definita sulla base di un duplice criterio. In primo luogo concerne beni e servizi per la cui fruizione non esistono, o non devono esistere, significative barriere all’ingresso in particolare per quanto riguarda il reddito. In secondo luogo, l’economia fondamentale è anche place-based, ossia legata a contesti territoriali relativamente definiti e rispetto ai quali si misura sia l’efficacia della sua produzione che la sua sostenibilità.

Il modello interpretativo che guida la ricerca, e che viene presentato nei primi due capitoli, è legato invece alla progressiva perdita di quello che si potrebbe definire “valore di coesione” di questi diversi ambiti, con conseguente impoverimento proprio del carattere “fondamentale” dell’economia. L’effetto combinato di modelli d’impresa neo-liberista e di politiche nazionali di stampo tecnocratico – introdotte in particolare nel corso degli anni ‘90 del secolo scorso – hanno consentito di orientare ad estrarre valore da questi particolari beni e servizi attraverso modelli for profit che massimizzano l’interesse economico degli azionisti e del management. Il predominio dell’economia estrattiva su quella fondamentale ha generato, o meglio sta generando, una serie di reazioni di “autodifesa della società”, analizzate nel quarto capitolo. Un complesso altrettanto variegato di “teorie, movimenti, prassi di riconnessione” all’interno del quale trovano spazio fenomeni come le monete complementari, l’agricoltura sociale, l’economia solidale, il movimentismo dei beni comuni. A queste esperienze vengono affiancate matrici culturali chiamate in qualche modo a intercettarne i tratti istituenti e forse, al tempo stesso, a focalizzare meglio il campo semantico di queste stesse matrici per verificare il loro effettivo carattere “paradigmatico”: economia civile, innovazione sociale, decrescita, scuola territorialista, ecc.

La parte finale costituisce il “manifesto” che sottotitola l’opera. Manifesto che ha l’obiettivo di rendere maggiormente riconoscibili queste nuove e diverse espressioni di economia fondamentale anche al proprio interno, definendo un orizzonte di significati che ne rafforzi la capacità d’azione come corpus unitario. La proposta viene formulata agendo sostanzialmente su due leve. La prima riguarda l’impresa come organizzazione eterarchica, in grado cioè di perseguire funzioni obiettivo plurime e di gestire catene di produzione dove il valore è multidimensionale. Una missione sociale ad ampio raggio che per essere perseguita necessita di un’organizzazione “aperta a interessi, progettualità e risorse eterogenee”, i cui apporti sono regolati non su base gerarchica, ma attraverso processi deliberativi che ridefiniscono la classica corporate governance. La seconda leva è invece rappresentata dal dispositivo della “licenza sociale” su base contrattuale e/o regolativa attraverso il quale, di fatto, si autorizza un soggetto ad operare in regime d’impresa in settori di economia fondamentale. La possibilità di agire in contesti territoriali e settoriali definiti – ad esempio attraverso contratti di servizio e clausole ambientali, sociali e culturali – consente allo Stato e alle sue articolazioni di “esigere che anche questi attori economici offrano a loro volta una serie di utilità sociali”.

L’intento di riconnessione che caratterizza la parte finale del libro e la proposta più marcatamente di policy rappresenta un utile elemento di confronto rispetto ad un dibattito che, anche al di fuori dell’ambito scientifico, è assetato di soluzioni sistemiche a fronte di una crisi che condivide lo stesso attributo, cioè la natura non congiunturale. Da questo punto di vista, il lavoro di ricerca, oltre a indagare le radici profonde di problemi strutturali e a scoprire così le nuove fondamenta dell’economia, evidenzia alcuni limiti a livello di impostazione. Il primo è di aver fatto coincidere il carattere estrattivo dell’economia con l’impresa disconnessa dai tessuti territoriali e relazionali, non considerando la possibile presenza di fenomeni estrattivi simili anche all’interno delle economie redistributive gestite dalle diverse articolazioni della Pubblica Amministrazione, in particolare in un paese come l’Italia. Il secondo limite consiste nell’aver accentuato l’impatto dei modelli di estrazione del valore nei diversi settori presi in analisi. Nel campo dei servizi sociali, ad esempio, viene proposta una lettura secondo la quale tutto quello che esula dalla gestione diretta da parte dei soggetti pubblici si configura come fenomeno estrattivo. Eppure la storia del terzo settore e dell’impresa sociale – solo in parte approfondita – può essere considerata anche come apporto di “economia fondamentale” perché ha contribuito a re-indirizzare le risorse pubbliche su bisogni emergenti e ne ha generate altre, ad esempio attraverso le donazioni, piuttosto che smobilitando risorse private di cittadini e famiglie in contesti di mercato o “quasi mercato” (ad esempio attraverso accreditamenti e titoli di spesa). Forse, in questo quadro, a fare da vero “estrattore di valore” è stata la deriva del mercato pubblico dell’outsourcing basato su criteri che hanno premiato solo il prezzo più basso. Il risultato di questa impostazione, anche se con toni diversi nei capitoli relativi ad altri settori, è che l’economia fondamentale si configura essenzialmente come un progetto basato su esperienze pioniere e informali, alla ricerca di un percorso di institution building, piuttosto che un’opzione volta ad accettare la sfida di rigenerare segmenti di economia e imprenditorialità peraltro impegnati, proprio in questa fase storica, in azioni di riorientamento in senso più marcatamente sociale e coesivo (ad esempio guardando all'economia sociale nella campo della GDO). Un limite non da poco, quest’ultimo, per un manifesto che si propone di ridefinire le fondamenta del modello economico e sociale.

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