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ISSN 2282-1694
Tempo di lettura:  4 minuti
Argomento:  Diritto
data:  04 luglio 2020

Imprese di comunità, come inquadrarle? Una proposta alla luce della Sentenza 131/2020 della Corte costituzionale

Andrea Bernardoni, Carlo Borzaga

La recente sentenza 131/2020 della Corte costituzionale oltre a legittimare l'art. 55 accelera anche i tempi per un inquadramento delle imprese di comunità entro la disciplina dell'impresa sociale e quindi come parte del Terzo settore, introducendo i limitati adattamenti a tal fine necessari.


I primi commenti comparsi su rivistaimpresasociale.it alla recente sentenza della Corte costituzionale n. 131 del 2020 (Marocchi - Gori) hanno evidenziato come essa abbia offerto un importante contributo alla piena legittimazione costituzionale del Terzo settore e delle pratiche di co-programmazione e co-progettazione contenute nell’art. 55 del Codice del Terzo settore – CTS; tuttavia tale sentenza è estremamente importante anche per quello che dice in merito alle imprese di comunità, dal momento che la Corte si è pronunciata sul ricorso governativo sulla legge regionale n. 2 del 2019 della Regione Umbria che ha disciplinato con una propria legge proprio le cooperative di comunità, peraltro in un momento in cui è aperto un confronto tra policy maker, mondo della ricerca e centrali cooperative sull’opportunità di riconoscere e sostenere tali soggetti e su come farlo.

Gli stimoli offerti dalla sentenza sono molteplici e produrranno a pieno i loro effetti nel medio periodo; è però utile proporre da subito alcune prime considerazioni.

In primo luogo, la Corte non mette in discussione, e quindi di fatto riconosce, l’esistenza delle cooperative di comunità come espressione delle libertà civili, in quanto non contesta le norme, come quella della Regione Umbria, già approvate da diverse regioni che, pur in assenza di una normativa nazionale, hanno in vario modo sia riconosciuto e regolamentato che sostenuto finanziariamente questo tipo di imprese.

In secondo luogo, la Corte, riprendendo integralmente la definizione utilizzata dalla legge regionale dell’Umbria n. 2 del 2019, concorda circa le caratteristiche con cui la norma identifica le cooperative di comunità: esse, “anche al fine di contrastare fenomeni di spopolamento, declino economico, degrado sociale urbanistico, perseguono l'interesse generale della comunità in cui operano, promuovendo la partecipazione dei cittadini alla gestione di beni o servizi collettivi, nonché alla valorizzazione, gestione o all'acquisto collettivo di beni o servizi di interesse generale; tali cooperative, oltre a rispettare quanto previsto dalle norme del codice civile in materia di società cooperative, stabiliscono la propria sede e operano in uno o più Comuni della Regione, nonché prevedono nello statuto o nel regolamento forme di coinvolgimento dei soggetti appartenenti alla comunità di riferimento, modalità di partecipazione degli stessi all'assemblea dei soci e la possibilità di nominarli nel consiglio di amministrazione”. In questo modo la Corte costituzionale riconosce che le cooperative di comunità possono essere impegnate anche nel recupero delle aree rurali colpite da spopolamento, nella riqualificazione delle aree urbane economicamente, socialmente e urbanisticamente degradate e nella promozione della partecipazione dei cittadini alla gestione di beni e servizi collettivi o asset comunitari come previsto dalla legge regionale dell’Umbria.

In terzo luogo, la Corte stabilisce esplicitamente che le cooperative che si autodefiniscono di comunità possono assumere la natura di impresa sociale; infatti, ricorda la Corte, in forza della normativa statale, le cooperative di comunità possono: “a) essere costituite come cooperative sociali e, ai sensi dell'art. 1, comma 4, del d.lgs. n. 112 del 2017, «acquisiscono di diritto la qualifica di imprese sociali»; oppure b) essere qualificate come imprese sociali, in quanto però rispettino i requisiti costitutivi previsti dal d.lgs. n. 112 del 2017 - tra i quali in primo luogo l'assenza di scopo di lucro - e si iscrivano nell'apposita sezione del registro delle imprese, manifestando così l'adesione al complessivo regime della impresa sociale, atteso che, per tale tipologia di ETS, il predetto adempimento «soddisfa il requisito dell'iscrizione nel registro unico nazionale del Terzo settore» (art. 11, comma 3, CTS)”. Questa tipologia di cooperative di comunità rientra nel perimetro degli ETS e, per questa ragione, i rapporti tra queste organizzazioni e le amministrazioni pubbliche possono essere regolate applicando l’art. 55 del CTS.

In quarto luogo, la Corte compie una distinzione netta tra le cooperative di comunità qualificate come imprese sociali e quindi come ETS e le quelle che “siano differentemente costituite (perché gli statuti non contemplano la clausola di non lucratività di cui all'art. 2514 cod. civ.) o qualificate (perché le cooperative non ritengano di acquisire la qualifica di impresa sociale)”, alle quali di conseguenza non sono riferibili le forme di coinvolgimento attivo disciplinate dall’art. 55 del CTS.

È quindi possibile sostenere che la sentenza, riconoscendo la legittimità costituzionale delle cooperative di comunità e la possibilità che esse assumano la qualifica di impresa sociale indipendentemente dalle attività svolte - purché abbiano come obiettivo lo sviluppo locale e il contrasto al degrado economico e sociale della comunità di riferimento - rende ampiamente maturi i tempi per un pieno riconoscimento a livello nazionale di questa forma di impresa. E, ragionevolmente, nel compiere tale operazione, può essere utile inquadrare più ampiamente, nell’ambito dell’impresa sociale, le imprese di comunità anche indipendentemente dalla forma giuridica, laddove i requisiti dell’impresa sociale risultino comunque rispettati e con essi la possibilità di accedere alle forme di relazione con le amministrazioni locali per gli Enti di Terzo settore.

Questo ultimo aspetto è oltremodo rilevante considerando che le ricerche che hanno studiato le caratteristiche delle imprese di comunità presenti nel nostro Paese hanno individuato nel rapporto con i Comuni e gli altri enti locali una delle leve strategiche per lo sviluppo di questa forma di impresa. Le evidenze empiriche hanno sottolineato che la presenza di un rapporto collaborativo con gli enti locali rappresenta un importante fattore di sviluppo delle imprese di comunità che, viceversa, sono penalizzate quando i rapporti con gli enti locali sono regolati dall’adozione di logiche competitive e di mercato. Partendo da queste considerazioni, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale, appare evidente che la norma nazionale, per promuoverne la diffusione e sostenerne lo sviluppo, dovrà includere le imprese di comunità nel perimetro degli ETS in modo da poter regolare i rapporti tra queste organizzazioni e le amministrazioni pubbliche sulla base della co-programmazione e della co-progettazione, creando in questo modo i presupposti giuridici per rendere le imprese di comunità tra protagonisti di una nuova stagione di amministrazione condivisa in cui i cittadini attivi e le amministrazioni pubbliche collaborano su un piano paritario per realizzare attività di interesse generale.

La sentenza della Corte rafforza quindi la tesi secondo cui è opportuno che l’impresa di comunità venga riconosciuta come una tipologia di impresa sociale con una modifica del d.lgs. n. 112 del 2017 le caratterizzi in base all’obiettivo – l’interesse della comunità - e non ai settori di attività, consentendo quindi a queste imprese – come già previsto per le imprese di inserimento lavorativo - di impegnarsi nella produzione di qualsiasi tipo di beni e servizi di pubblica utilità come ad esempio la gestione del servizio idrico o la produzione e distribuzione di energia da fonti rinnovabili, settori in cui non possono operare le imprese sociali tradizionali. In sostanza, come scrivono anche su Impresa Sociale Borzaga e Sforzi, la via maestra, più che la redazione di una distinta normativa ad hoc, sembra essere quella di un limitato intervento sul d.lgs. 112/2017 che inserisca le imprese di comunità nell’alveo dell’impresa sociale. A tale proposito, gli interventi che sarebbe necessario inserire nel d.lgs. 112/2017 sono così riassumibili:

  1. prevedere per tutte le imprese di comunità – incluse quelle costituite nella forma di cooperative a mutualità prevalente - l’obbligo di adottare forme di governance inclusive di tutti gli stakeholder rilavanti;
  2. prevedere la categoria dei soci cittadini utenti oltre che quella dei soci volontari, ovviamente consentendo anche ai primi di collaborare anche gratuitamente e senza particolari limitazioni alla gestione dell’impresa e alle sue attività. Il carattere stesso di queste imprese porta ad avere una base associativa molto ampia – tendenzialmente, l’intera comunità locale – che aggrega coloro che fruiscono dei servizi o che sostengono la cooperativa in quanto parte della comunità e che operano a vario titolo per sostenerla e vanno rimossi quindi per queste imprese vincoli che possano portare a censure per il fatto che i lavoratori non siano maggioritari nella base sociale;
  3. prevedere dei vincoli stringenti, non presenti per le imprese sociali tradizionali, al possesso ed alla circolazione delle quote o delle azioni delle imprese di comunità costituite come società di capitali in modo da garantire anche nel tempo il legame tra l’impresa e la comunità in cui opera.
Rivista-impresa-sociale-Andrea Bernardoni Legacoopsociali

Andrea Bernardoni

Legacoopsociali

Responsabile dell'Area Ricerche presso Legacoopsociali Nazionale, ricopre l'incarico di Responsabile del Dipartimento cooperative sociali, imprese sociali e cooperative di comunità presso Legacoop Umbria dove è anche Responsabile dell'Ufficio economico e finanziario.

Rivista-impresa-sociale-Carlo Borzaga Euricse - Università degli Studi di Trento

Carlo Borzaga

Euricse - Università degli Studi di Trento

Già professore ordinario di Politica economica presso l’Università degli Studi di Trento, dal 2008 al 2022 è stato presidente di Euricse, di cui ora è presidente emerito. È stato tra i fondatori di EMES e di Iris Network, che ha presieduto per dieci anni. I suoi interessi di ricerca spaziano dal mercato del lavoro all’analisi economica delle cooperative, delle organizzazioni non profit e delle imprese sociali, dai sistemi di welfare all’organizzazione dell’offerta di servizi sociali e sanitari.

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