Il contributo analizza il ruolo che il contesto socio-territoriale ricopre nella strutturazione del lavoro volontario in quattro grandi città italiane – Milano, Firenze, Roma e Napoli. L’obiettivo è comprendere come la composizione sociale delle aree urbane e la collocazione spaziale delle associazioni influenzino la partecipazione, a partire dall’ipotesi che le forme assunte dall’attivismo civico siano in qualche modo connesse alla posizione socio-economica dei volontari.
Nella prima parte si delineano le principali caratteristiche della partecipazione civica, individuando i gruppi sociali maggiormente coinvolti e i fattori che sembrano influenzare l’attivismo sociale. La seconda parte mette in luce la dimensione fortemente locale del volontariato, evidenziando come la prossimità fisica, le reti di vicinato e il senso di appartenenza comunitaria rappresentino gli elementi costitutivi dell’impegno civico.
Nella terza parte, utilizzando i dati dell’indagine IREF 2023-2024, si analizza il profilo sociale dei volontari e la loro provenienza in termini di classe sociale. I risultati mostrano la centralità dei nuovi ceti medi, principale motore della partecipazione civica, e la sovrapposizione tra la geografia del volontariato e la morfologia sociale delle città. In conclusione, il contributo propone una lettura del volontariato come fenomeno sociale radicato nei contesti economici, politici e culturali della città che, a livello locale, ne plasmano forma, contenuti e pratiche.
Parole chiave: volontariato, associazioni, nuovi ceti medi, città, stratificazione sociale, segregazione residenziale
In questo saggio si intende esplorare l’impatto del contesto locale sulle caratteristiche delle associazioni e del volontariato[1] in quattro città italiane a partire dai dati dell’indagine IREF 2023-2024. Pur essendo molto rilevante, la dimensione locale delle attività di volontariato non è stata oggetto di un’analisi dettagliata all’interno degli studi sull’associazionismo in Italia. I ricercatori tendono a trascurare il contesto del quartiere per concentrarsi invece sulle caratteristiche dei volontari o sulle differenze interregionali (La Valle, 2005; Guidi, Fonović, Cappadozzi, 2021). Come osserva Ramella (1994), per comprendere appieno le associazioni è necessario posizionarle rispetto al contesto socio-spaziale in cui si inseriscono, per poi analizzare i meccanismi che influenzano la partecipazione: le identità, le ideologie, le reti sociali, i modelli residenziali, il ruolo delle amministrazioni locali e le forme di rappresentanza politica. Questo approccio risulta particolarmente importante in un Paese come l’Italia, caratterizzato com’è da un mosaico di aree geografiche, ognuna delle quali con le proprie tradizioni e istituzioni.
Anche quando le associazioni volontarie concentrano la loro azione su questioni di portata globale, agiscono principalmente a livello locale e sono radicate nelle aree dove svolgono le proprie attività: «[...] il concetto di “locale” per la maggior parte del volontariato significa radicalmente locale, della comunità immediata» (Guidi, Fonović, Cappadozzi, 2021: 12). Le attività volontarie sono strutturate in questo modo per facilitare la partecipazione, ma anche perché le informazioni circolano più facilmente attraverso reti sociali caratterizzate dalla prossimità. Dunque, i volontari sono maggiormente propensi ad unirsi a gruppi all’interno dei quali partecipano già amici e parenti e le attività organizzate da questi gruppi sono particolarmente attraenti per i residenti locali. L’accessibilità riveste un’importanza maggiore per bambini, anziani e gruppi sociali emarginati, che solitamente hanno minori opportunità di spostarsi sul territorio.
L’ipotesi di fondo che orienta questo lavoro è che il volontariato, nella sua forma organizzata all’interno delle associazioni sociali, rifletta e renda visibili le aspirazioni, le capacità di classe e le contraddizioni politico-culturali dei nuovi ceti medi. Questo gruppo – composto prevalentemente da professionisti e altri individui qualificati che lavorano nei settori del welfare o della cultura – rappresenta lo zoccolo duro dell’impegno associativo. L’attività volontaria gli offre la possibilità di esprimere le proprie capacità sociali e di ottenere un forte riconoscimento politico e sociale, partecipando allo stesso tempo alla riconfigurazione di alcuni aspetti del tessuto urbano.
Per valutare questa ipotesi, prima di tutto si analizza la dimensione locale del volontariato, mostrando come esso si generi e si riproduca attraverso reti di prossimità e luoghi di incontro che connettono individui e territori. In secondo luogo, si analizza il profilo socio-economico dei volontari, evidenziando la preminenza dei nuovi ceti medi e discutendo in che modo tale composizione influenzi i significati attribuiti all’impegno civico. Si esamina poi il rapporto tra il volontariato e la morfologia sociale delle aree urbane, soffermandosi sulle relazioni fra partecipazione associativa e segregazione residenziale; dai risultati emerge che i quartieri centrali caratterizzati da un elevato mix sociale costituiscono un terreno particolarmente fertile per l’attività associativa perché tendono ad attirare individui e famiglie riconducibili ai nuovi ceti medi. La ricerca mostra come il volontariato, lungi dall’essere un fenomeno distribuito in modo omogeneo attraverso lo spazio urbano, rispecchi l’eterogeneità territoriale della città.
Nella prima parte di questo saggio, si discute il quadro teorico di riferimento, proponendo una lettura della partecipazione in relazione alla stratificazione sociale e al ruolo dei nuovi ceti medi. In questa prospettiva, il volontariato viene interpretato come una pratica selettiva che riflette le aspirazioni sociali, culturali e politiche delle diverse classi. Si presenta una breve rassegna della letteratura che integra, da un lato, gli studi sociologici sulle forme di cittadinanza attiva (Biorcio, Vitale, 2017) e, dall’altro, gli approcci che analizzano la partecipazione associativa in relazione alla struttura di classe, dove il volontariato si configura anche come potenziale fonte di riconoscimento politico e influenza sociale (Trigilia, 1995).
Nella seconda parte, si cerca di comprendere il ruolo del contesto locale nella distribuzione diseguale del fenomeno associativo. Viene sottolineato il carattere squisitamente locale del volontariato, inteso come pratica sociale che viene modellata dalle caratteristiche socio-spaziali del tessuto urbano. Utilizzando i dati dell’indagine IREF 2023-2024 e gli elenchi permanenti degli enti del volontariato e delle Onlus resi pubblici dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dall’Agenzia delle entrate, si analizza il rapporto tra associazioni e territorio, indagando come la composizione sociale dei quartieri influenzi la distribuzione spaziale delle associazioni lungo l’asse centro-periferia.
Nella terza parte, a sostegno delle tesi proposte, viene descritto il profilo sociale dei volontari che emerge dai dati dell’indagine IREF 2023-2024, prestando particolare attenzione al ruolo giocato dalla classe di appartenenza nei percorsi di attivismo civico. I risultati evidenziano la centralità dei nuovi ceti medi, che costituiscono il principale motore della partecipazione civica nelle città considerate. Viene anche analizzata la dimensione spaziale del fenomeno, mettendo in relazione la composizione sociale dei quartieri, i modelli di segregazione residenziale e la distribuzione territoriale delle associazioni. L’analisi evidenzia come la geografia del volontariato tenda a sovrapporsi alla morfologia sociale delle città, influenzando i livelli di partecipazione e producendo aree con una debole presenza associativa proprio nei contesti più marginalizzati, dove maggiore sarebbe il bisogno di reti associative e risposte collettive ai problemi sociali.
Nelle conclusioni viene ripreso il confronto con le ipotesi presenti in letteratura, cercando di sintetizzare la natura del legame tra partecipazione associativa e il contesto socio-territoriale, evidenziando la natura di classe del volontariato e le contraddizioni che ne derivano – tra cui la scarsa presenza di attività volontarie nei quartieri più svantaggiati e la limitata partecipazione dei gruppi sociali marginali. Nel complesso, con questo lavoro si intende offrire un contributo alla letteratura sul tema, proponendo una prospettiva spazialista in cui il territorio rappresenta una dimensione analitica cruciale per interpretare la strutturazione sociale del volontariato. Sul piano teorico-concettuale, il contributo utilizza il concetto di classe sociale come categoria interpretativa per comprendere le pratiche sociali, collocando la partecipazione civica nel più ampio quadro della stratificazione sociale. In questo modo si supera una lettura individualistica del fenomeno, interpretandolo invece come una pratica profondamente influenzata dalle strutture sociali e dalle differenti dotazioni di risorse degli abitanti delle grandi città italiane.
Nelle precedenti ricerche sui volontari – in Italia e altrove – è emersa chiaramente una maggiore propensione da parte delle persone relativamente benestanti a dedicare più tempo alle attività volontarie (Guidi, Maraviglia, 2021). Questo aspetto viene talvolta spiegato facendo ricorso all’ipotesi della “centralità sociale”: le persone che appartengono a coorti di età centrali, con elevati livelli di istruzione e una posizione lavorativa di prestigio, tendono ad avere tassi più elevati di partecipazione e maggiori probabilità di ricoprire posizioni influenti all’interno delle associazioni (La Valle, 2006; Biorcio, 2008; Biorcio, Vitale, 2010).
Partendo da questo dato, Trigilia considera la partecipazione associativa come una proiezione socio-spaziale delle aspirazioni culturali dei nuovi ceti medi, orientata al riconoscimento politico e sociale. Questo approccio è in linea con l’analisi di Ramella (1994) del volontariato in Italia, evidenziando come le capacità di classe dei nuovi ceti medi vengono proiettate e amplificate attraverso le attività associative. Questo approccio mira a spiegare le relazioni che Biorcio e Vitale (2021) osservano tra volontariato e partecipazione politica, dove quest’ultima è definita come “ogni azione che direttamente o indirettamente mira a proteggere determinati interessi o valori (consolidati o emergenti), o sia diretta a mutare o a conservare gli equilibri di forza nei rapporti sociali” (Sani, 1996: 503, citato da Biorcio e Vitale, 2021: 290). Questa lettura dell’associazionismo aiuta quindi a spiegare gli alti livelli di impegno politico mostrati dai volontari, evidenziando al contempo una serie di contraddizioni che sono costitutive del fenomeno.
Trigilia suggerisce che l’ideologia dei nuovi ceti medi e le forme di volontariato ad essi collegate siano spesso condivise dai giovani che aspirano a fare parte di questa classe, anche quando sono ancora in formazione o quando le loro aspirazioni incontrano ostacoli nel mercato del lavoro. Questo indica che la partecipazione associativa potrebbe svolgere un ruolo importante nella riproduzione di questa classe, estendendo il suo dominio dall’ambito dell’impiego nei sistemi di welfare e nel settore della cultura, ad esempio, a quello della società civile e della produzione culturale:
«Il contributo dell’istruzione alla crescita dell’associazionismo culturale è noto e documentato. Anche lo status sociale medio-alto è in genere legato al dinamismo associativo, con particolare riferimento ai gruppi del nuovo ceto medio dipendente dei servizi pubblici e privati. Questi gruppi, oltre ad avere livelli di istruzione elevati, dispongono di maggior tempo libero rispetto ai liberi professionisti, agli imprenditori e ai lavoratori autonomi in genere. Dispongono inoltre di un livello di reddito che permette di impiegare il loro tempo in attività non strettamente legate alla sfera del lavoro e consente livelli di consumo non esclusivamente legati all’acquisizione di beni materiali. Essi maturano dunque nuove aspirazioni che trovano soddisfazione nelle diverse forme dell’associazionismo culturale: da esigenze di approfondimento specialistico di determinate conoscenze a bisogni di tipo espressivo, fino alla ricerca di prestigio sociale che si esprime nell’appartenenza ad alcune associazioni» (Trigilia, 1995: 108).
Queste teorie hanno una serie di punti di contatto con altri dibattiti nelle scienze sociali, compreso quello sul comportamento politico-elettorale dei nuovi ceti medi. Alcuni studiosi hanno caratterizzato l’orientamento politico dei nuovi ceti medi in Europa come distintamente post-materiale, con elementi multiculturali e meritocratici, un certo entusiasmo per i consumi culturali cosmopoliti, e una forte enfasi sul ruolo dello Stato nella gestione delle tensioni sociali (Burris, 1986; Ley, 1994). Secondo questo filone di analisi, la visione del mondo dei nuovi ceti medi incorpora elementi di collettivismo e di statalismo, che contribuisce a spiegare la loro propensione a partecipare alle associazioni e ai movimenti che sono attivi in ambito socio-culturale (de Lillo, 1988). Ramella (1994) sostiene che «lo status sociale rappresenta, cioè, un quadro di vincoli e opportunità che configurano disuguali chances non solo per l’adesione alle associazioni, ma soprattutto per la partecipazione e l’assunzione di ruoli direttivi e di responsabilità» (p. 107). Ciò significa che «[...] le variabili legate allo status si convertono in risorse che possono essere utilizzate per confermare ed estendere sul terreno socio-culturale e del prestigio sociale le linee della stratificazione verticale» (p. 113).
Grazie all’elevato capitale sociale e culturale, i nuovi ceti medi sono in grado di mediare tra gli altri interessi in campo, ottenendo conseguentemente un riconoscimento sociale. In ragione della loro posizione sociale, i nuovi ceti medi tendono ad opporsi alle forme tradizionali di rappresentanza degli interessi e a partecipare ad altre forme di aggregazione. Il “radicalismo dei ceti medi” che risulta è stato ampiamente discusso nella letteratura sociologica, prendendo spunto dal lavoro originale di Frank Parkin sulla campagna per il disarmo nucleare in Gran Bretagna (Parkin, 1968). Parkin osserva che più della metà dei sostenitori del movimento erano laureati e molti erano professionisti del welfare (insegnanti, assistenti sociali, ecc.) o della cultura (giornalisti, bibliotecari, architetti, ecc.). Raggiunge la conclusione, quindi, che molti di questi individui scelgono di lavorare in questi settori proprio perché li considerano più vicini ai loro valori.
La teoria di Parkin può essere criticata da diversi punti di vista, anche perché si basa su una visione piuttosto stereotipata del movimento operaio e della sua rappresentanza politica; tuttavia, ha contribuito ad un cambiamento di paradigma all’interno delle scienze sociali e ad una proliferazione di ricerche sui movimenti sociali e sulla composizione sociale delle diverse forme di aggregazione socio-politica. La tesi che i nuovi ceti medi fossero alla base della proliferazione dei movimenti sociali nel dopoguerra si è diffusa poi tra gli studiosi ed entro i primi anni Novanta la maggior parte dei sociologi accettarono questa ipotesi, sostenendo che i nuovi movimenti sociali sono dominati dai nuovi ceti medi e caratterizzati da una spinta “postmaterialista” (Hanspeter et al., 1995: 19).
Studi più recenti mettono in evidenza altri aspetti del radicalismo dei ceti medi. Ad esempio, Estanque (2023) descrive le proteste esplose in Portogallo e in Brasile nel periodo 2011-2013. Come altri movimenti dello stesso periodo (quali Occupy Wall Street, Indignados, ecc.), i protagonisti delle proteste erano prevalentemente giovani con elevati titoli di studio che lavoravano nelle professioni di welfare o della cultura o che studiavano per intraprendere questo tipo di carriera. Estanque spiega il radicalismo di questi movimenti nei Paesi sud-europei facendo riferimento ai processi di mobilità sociale:
«In the European context, and in Portugal in particular, the “middle class effect” unfolded under a double logic. First, because the outbreaks were largely caused by the contraction of the welfare state, which had been the main “escalator” of the salaried middle class. Second, because in Southern Europe the dynamics of the youth who rallied in the “non-organic” demonstrations and the “acampados” also voiced the rage and the rebelliousness of those segments that had more schooling, better qualifications and greater familiarity with the new networks and platforms of online activism. There was a pervasive desire to stand up for social cohesion and justice, while there was also a latent sense of personal dissatisfaction with a consumerist dream that had been either left unfulfilled or unexpectedly cut short» (Estanque, 2023: 137).
Bagguley (1995) sostiene che i professionisti del welfare e della cultura mostrano ovunque un’elevata propensione a partecipare ai nuovi movimenti sociali legati all’ambiente o al genere, ad esempio. Seguendo Parkin, Bagguley raggiunge la conclusione che in molti casi il processo di radicalizzazione di questi attori precede il loro inserimento definitivo all’interno di questi settori, mostrando l’esistenza di un rapporto complesso tra i processi di socializzazione all’interno della famiglia, la partecipazione a movimenti e associazioni, il funzionamento del sistema d’istruzione e l’inserimento occupazionale. Visti da questa prospettiva, i nuovi ceti medi sono caratterizzati da tendenze contraddittorie e da forme di mobilità sociale che possono essere sia di tipo discendente, sia ascendenti. Possiamo ipotizzare, quindi, che entrambe queste forme di mobilità influenzino il radicalismo dei nuovi ceti medi, sia quando sono coinvolti in processi di declassamento, sia quando i loro membri arrivano dai ceti subalterni per approdare poi nei nuovi ceti medi.
Reay (2014) descrive un esempio delle tensioni e delle contraddizioni che caratterizzano le scelte dei nuovi ceti medi in merito ai figli. Da una parte, nota la disponibilità di alcuni genitori inglesi di ceto medio ad iscrivere i figli a scuole caratterizzate da un mix socio-culturale elevato. La maggior parte delle persone che ha intervistato erano professionisti del settore pubblico, e molti vedevano la partecipazione alle scuole pubbliche come un segno della propria appartenenza socio-culturale alla comunità locale; frequentare una scuola mista rappresentava, per loro, un’opportunità per mettere in pratica i propri valori e per prendere le distanze dalla logica individualistica del neoliberalismo inglese. Tuttavia, Reay sottolinea il carattere contraddittorio di questa scelta, notando che la valorizzazione del multiculturalismo e della solidarietà sociale rappresentava simultaneamente un modo per trasmettere competenze ai figli e, quindi, attrezzarli per poter svolgere ruoli prestigiosi in ambito lavorativo. La scelta di vivere in un quartiere misto e di frequentare scuole “di frontiera” veniva giustificata facendo riferimento a questi due elementi contraddittori.
Goossens (2024) raggiunge conclusioni simili sulla base di uno studio delle motivazioni offerte da 35 famiglie di ceto medio in Belgio che avevano scelto di mandare i propri figli a scuole miste. Per queste famiglie, la partecipazione a scuole miste – in termini sia etnici che sociali – rappresentava una strategia alternativa per favorire lo sviluppo dei figli, navigando, da un lato, tra i valori dell’uguaglianza e della solidarietà e, dall’altro, con l’obiettivo di conseguire competenze preziose per poter competere in futuro per posizioni influenti.
Diverse ricerche hanno analizzato le tensioni che emergono tra la partecipazione sociale, da un lato, e strategie di “disaffiliazione” tra i ceti medi che scelgono di vivere in quartieri misti (Weck, Hanhörster, 2015). L’evidenza disponibile suggerisce che alcuni di questi individui si impegnino e partecipino alla trasformazione del proprio quartiere, creando in questo modo una nuova infrastruttura sociale più in linea con i propri bisogni e con l’habitus del nucleo (Butler, Robson, 2001). Come si avrà modo di approfondire in seguito, una simile contraddizione caratterizza la situazione dei volontari di ceto medio quando partecipano alle attività delle associazioni sociali e culturali nelle città italiane.
È quindi possibile ipotizzare la presenza di una tensione tra la capacità dei nuovi ceti medi di generare pratiche innovative, da un lato, e la loro tendenza al compromesso e all’incorporazione nelle istituzioni, dall’altro. Santoro (2017) suggerisce che – sullo sfondo di forme di rappresentanza politica deboli e screditate – le associazioni italiane spesso esprimono «forme di partecipazione politica da parte di membri della società civile che si presentano come una nuova forma di mediazione con il sistema politico riguardo a questioni di rilevanza collettiva, spesso concentrate intorno ai beni comuni o interessi comuni». Allo stesso tempo, però, il rapporto tra associazioni e l’amministrazione locale tende ad essere fragile e instabile, anche a causa della loro dipendenza dai finanziamenti pubblici (Diamanti, 1995).
Allo stesso modo, è possibile individuare anche una tensione tra la posizione sociale dei volontari e quella dei beneficiari delle attività – spesso di estrazione sociale più bassa – che può condurre al paternalismo o alla frammentazione piuttosto che alla solidarietà. La tensione è particolarmente evidente tra l’associazionismo inteso come espressione del dovere civico, da un lato, e il volontariato inteso come forma di organizzazione politica, dall’altro. Trigilia suggerisce che la stessa debolezza del tessuto statale e sociale nel Sud potrebbe spingere le componenti più giovani e marginali dei nuovi ceti medi (studenti e giovani laureati con contratti a tempo determinato) verso forme di volontariato sempre più radicali e innovative, nel tentativo di compensare l’impossibilità di realizzare appieno le loro ambizioni professionali attraverso il mercato del lavoro. Questa tesi è in linea, come abbiamo visto, con l’evidenza presentata da Estanque relativamente ai movimenti di protesta.
Quanto appena richiamato ci porta ad ipotizzare una maggiore presenza di studenti e giovani nelle associazioni nel Sud Italia, come di fatto viene confermato dall’evidenza empirica presentata anche in questo saggio. Attraverso la loro esperienza all’interno delle associazioni, i giovani attivisti diventano una potenziale risorsa anche per nuove forze politiche (Trigilia, 1995; Santoro, 2017). Secondo Ramella (1994: 114-5), «[è] probabile che la composizione sociale dell’associazionismo subisca variazioni non solo a seconda del settore culturale ma anche del genere di attività svolte dalle associazioni, delle strategie di selezione messe in opera, nonché, infine, delle peculiarità del contesto locale: per esempio, in relazione all’esistenza di tradizioni locali che promuovono momenti di aggregazione interclassista, oppure alla presenza di forme di socialità legate ai ceti popolari o di particolari subculture politiche che favoriscono la mobilitazione associativa delle classi inferiori».
Questa cornice interpretativa ci porta a ridefinire l’ipotesi della centralità sociale precedentemente richiamata, poiché gli effetti osservati per età, genere e istruzione possono essere in parte spiegati dalla composizione dei nuovi ceti medi, che tendono ad avere al loro interno un numero significativo di persone altamente qualificate. L’analisi di Trigilia suggerisce che queste persone provengono dalla parte centrale della gerarchia sociale, piuttosto che dal vertice o dalla base. In altre parole, i volontari sono più “intermedi” che “centrali”, almeno in termini di posizionamento nella struttura di classe sociale. Infine, la teoria ci aiuta a spiegare l’espansione tardiva e disomogenea del volontariato nel Sud Italia, facendo riferimento all’espansione tardiva dei servizi pubblici e quelli del terziario avanzato in questa parte del Paese.
Queste considerazioni ci aiutano a capire il legame tra le associazioni e le zone in cui operano. Un’analisi basata sulla composizione di classe dei volontari aiuta a spiegare la distribuzione disomogenea del volontariato tra le diverse regioni e aree del Paese. All’interno di ogni città, è plausibile che vi sia un maggiore coinvolgimento in organizzazioni volontaristiche nei quartieri con una presenza significativa di studenti e giovani professionisti. Il contesto locale può influenzare la vita delle associazioni in tanti modi, comprese le identità e le solidarietà locali che esso produce. In Italia, le famiglie tendono a risiedere negli stessi quartieri per periodi alquanto lunghi, una situazione che favorisce lo sviluppo di identità territoriali relativamente stabili. I residenti tendono di conseguenza ad identificarsi con una specifica comunità e a condividere un senso di appartenenza ad essa, mentre le associazioni fanno leva su questi stessi legami comunitari. Tali elementi evidenziano la necessità di considerare come la vita associativa sia strutturata dal contesto socio-spaziale in cui è inserita. In questa prospettiva, la dimensione locale rappresenta un’arena sociale fondamentale nella quale motivazioni, identità, reti sociali, forme organizzative, modelli di partecipazione e bisogni sociali emergono e si influenzano reciprocamente sullo sfondo delle caratteristiche socio-economiche e culturali della popolazione.
Il quartiere urbano è il luogo principale in cui si esprimono le dinamiche associative. Tematiche, motivazioni e identità vengono filtrate attraverso questo contesto, creando una miscela contraddittoria di identità, valori e relazioni che sono sia locali che globali. I volontari che aiutano ad organizzare attività extrascolastiche per i bambini del quartiere possono fare riferimento ai diritti umani, mentre coloro che promuovono l’inclusione sociale dei gruppi migranti all’interno del loro quartiere possono ispirarsi al multiculturalismo. Per quanto ampi possano essere questi valori e principi, la loro promozione all’interno di un determinato contesto locale dipende inevitabilmente dalle relazioni sociali, le interazioni e le dinamiche che sono plasmate dalla composizione sociale e dalla storia dell’area in questione (Colombo, 1999).
L’indagine IREF 2023-2024 fornisce informazioni sulla localizzazione delle attività svolte dai volontari nelle quattro città (Figura 1). Circa la metà dei volontari è coinvolta in associazioni situate nel proprio quartiere, con il valore più alto a Milano (51,1%) e il più basso a Firenze (40,5%). [verificare: la figura 1 mostra la quota di volontari che svolgono attività di volontariato nel quartiere in cui vivono?]
Figura 1. - Volontari che svolgono attività nel quartiere in cui vivono (N = 733)

Fonte: Indagine IREF 2023-2024, nostre elaborazioni.
Di solito, le attività organizzate dalle associazioni sono rivolte agli abitanti locali, come mostra la Tabella 1. La maggior parte delle persone che partecipano proviene dalla stessa area, sebbene alcuni provengano da parti più distanti della città. La categoria “altri Paesi” è stata utilizzata dai rispondenti per indicare cittadini stranieri. A Napoli, per esempio, il 16,5% dei rispondenti ha risposto che molti o comunque una quota rilevante (28,7%) dei partecipanti alle attività della loro associazione sono cittadini stranieri. Queste cifre sono molto più alte rispetto a quelle osservate a Roma (18,2% e 6,2%), Milano (13,8% e 11,7%) o Firenze (6,3% e 6,8%), e riflettono le caratteristiche e la localizzazione della popolazione immigrata prevalentemente al centro di questa città (Pratschke, Benassi, 2024).
Tabella 1 - Da dove vengono le persone che partecipano alle attività? Risultati per Milano, Firenze, Roma e Napoli (%, N = 733)
|
|
|
Molte |
Abbastanza |
Poche |
Non saprei |
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Milano |
Dal quartiere dove lei abita |
29,3 |
20,7 |
38,3 |
11,7 |
|
|
Da quartieri molto distanti |
16,5 |
29,8 |
35,1 |
18,6 |
|
|
Dalle cittadine della provincia |
4,8 |
15,4 |
48,9 |
30,9 |
|
|
Da altre regioni italiane |
6,9 |
11,2 |
42,6 |
39,4 |
|
|
Da altre nazioni |
13,8 |
11,7 |
45,7 |
28,7 |
|
Firenze |
Dal quartiere dove lei abita |
27,3 |
18,5 |
39,0 |
15,1 |
|
|
Da quartieri molto distanti |
10,7 |
36,6 |
32,7 |
20,0 |
|
|
Dalle cittadine della provincia |
6,3 |
25,9 |
43,9 |
23,9 |
|
|
Da altre regioni italiane |
7,8 |
17,6 |
41,5 |
33,2 |
|
|
Da altre nazioni |
6,3 |
6,8 |
39,5 |
47,3 |
|
Roma |
Dal quartiere dove lei abita |
23,1 |
18,2 |
43,6 |
15,1 |
|
|
Da quartieri molto distanti |
12,4 |
29,8 |
38,7 |
19,1 |
|
|
Dalle cittadine della provincia |
5,3 |
14,2 |
39,1 |
41,3 |
|
|
Da altre regioni italiane |
10,2 |
8,4 |
40,0 |
41,3 |
|
|
Da altre nazioni |
18,2 |
6,2 |
37,3 |
38,2 |
|
Napoli |
Dal quartiere dove lei abita |
26,1 |
28,7 |
35,7 |
9,6 |
|
|
Da quartieri molto distanti |
6,1 |
50,4 |
35,7 |
7,8 |
|
|
Dalle cittadine della provincia |
9,6 |
27,8 |
47,8 |
14,8 |
|
|
Da altre regioni italiane |
1,7 |
10,4 |
54,8 |
33 |
|
|
Da altre nazioni |
16,5 |
28,7 |
32,2 |
22,6 |
Fonte: Indagine IREF 2023-2024, nostre elaborazioni.
Quanto sin qui tracciato spinge ad interrogarsi sul luogo in cui i volontari vivono. Alcune differenze significative emergono tra le quattro città: il 57,4% degli intervistati a Napoli vive in zone centrali, un dato che scende al 36,9% a Roma, al 35,1% a Milano e al 22% a Firenze. Riflettendo la diversa morfologia sociale delle quattro città, le associazioni sono distribuite in modo diverso al loro interno. Questi dati evidenziano una delle specificità di Napoli rispetto alle altre città, ossia la tendenza dei giovani appartenenti ai nuovi ceti medi a risiedere in quartieri centrali, i quali sono relativamente misti dal punto di vista della composizione socio-economica e etnica. La partecipazione associativa in queste aree facilita quindi l’integrazione in un ambiente già piuttosto variegato, caratterizzato da interazioni e scambi tra classi e comunità etniche diverse.
La popolazione immigrata a Napoli è concentrata soprattutto nei quartieri centrali, principalmente nelle zone adiacenti alla Stazione Centrale e al quartiere San Lorenzo, ma anche in altre parti dei quartieri Avvocata e Montecalvario. Di conseguenza, i quartieri centrali presentano una composizione sociale favorevole allo sviluppo delle associazioni. Al contrario, la concentrazione di benessere economico e l’elevato valore degli immobili nel centro di Milano, Firenze e Roma hanno spinto molti studenti e giovani professionisti a trasferirsi nella prima periferia urbana. Anche in questi quartieri si osserva un certo mix sociale – dovuto anche alla presenza di alloggi popolari – che crea condizioni favorevoli per la partecipazione associativa.
Per analizzare la distribuzione degli enti del Terzo settore nelle quattro città, abbiamo utilizzato gli elenchi permanenti degli enti del volontariato e delle Onlus ammessi al finanziamento “5 per mille”, resi pubblici dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali per il 2022 e dall’Agenzia delle entrate per il 2023. Abbiamo geolocalizzato gli enti usando l’indirizzo della sede principale (791 enti a Firenze, 2.044 a Milano, 828 a Napoli e 4.422 a Roma), e per mostrare l’eterogeneità spaziale del fenomeno associativo all’interno delle quattro città abbiamo suddiviso le città in griglie regolari composte da celle di piccole dimensioni (250m x 250m). Una volta definite le griglie, abbiamo assegnato gli enti alle celle per poi calcolarne l’incidenza a livello locale. Le mappe includono i confini delle circoscrizioni a Firenze e Napoli, delle zone urbanistiche a Roma e dei nuclei di identità locale a Milano. Le mappe mostrano che la distribuzione degli enti è più uniforme e più estesa a Milano e Roma, mentre a Napoli gli enti sono più concentrati nel centro della città. Firenze è più piccola e risulta difficile fare lo stesso tipo di confronto, ma la distribuzione si presenta di nuovo piuttosto policentrica e diffusa.
Figura 2 - Distribuzione spaziale degli enti del Terzo settore a Milano (2022-2023)

Fonte: Elenchi permanenti degli enti del volontariato e delle Onlus ammessi al “5 per mille”; Ministero del lavoro e delle politiche sociali (2022) e Agenzia delle entrate (2023).
Figura 3 - Distribuzione spaziale degli enti del Terzo settore a Firenze (2022-2023)

Fonte: Elenchi permanenti degli enti del volontariato e delle Onlus ammessi al “5 per mille”; Ministero del lavoro e delle politiche sociali (2022) e Agenzia delle entrate (2023).
Figura 4 - Distribuzione spaziale degli enti del Terzo settore a Roma (2022-2023)

Fonte: Elenchi permanenti degli enti del volontariato e delle Onlus ammessi al “5 per mille”; Ministero del lavoro e delle politiche sociali (2022) e Agenzia delle entrate (2023).
Figura 5 - Distribuzione spaziale degli enti del Terzo settore a Napoli (2022-2023)

Fonte: Elenchi permanenti degli enti del volontariato e delle Onlus ammessi al “5 per mille”; Ministero del lavoro e delle politiche sociali (2022) e Agenzia delle entrate (2023).
La morfologia sociale delle aree urbane aiuta a spiegare anche perché circa la metà dei partecipanti (50,4%) a Napoli afferma che un considerevole numero di persone provenienti da altri quartieri partecipa alle attività delle loro associazioni (il corrispondente dato è pari al 36,6% a Firenze e al 29,8% sia a Milano che a Roma). Per le associazioni che operano nei quartieri centrali di Napoli, è più semplice attirare partecipanti dal resto della città, poiché l’infrastruttura di trasporto consente alle persone di raggiungere facilmente il centro. Attraverso l’organizzazione di eventi culturali e sociali, queste associazioni hanno quindi la possibilità di attrarre un ampio numero di partecipanti, anche se si affidano agli sforzi volontari dei residenti locali. L’indagine IREF 2023-2024 indica che le attività delle associazioni si svolgono tipicamente nei locali dell’organizzazione stessa (64,7%) o nello spazio pubblico (strade, piazze, ecc., 56,2%) e, in misura minore, in teatri e cinema (21,6%) o centri sociali (18,8%), mettendo in evidenza l’orientamento verso l’impegno pubblico, il coinvolgimento popolare e l’espressione culturale.
Le associazioni e il volontariato rappresentano pertanto forme di partecipazione territorialmente circoscritta che cercano di rispondere ai bisogni della popolazione locale attraverso la mobilitazione di una coalizione di interessi che include individui e gruppi con background socio-culturali diversi. Le coalizioni interclasse e interculturali che ne derivano rappresentano una dimensione importante di queste iniziative, da considerare insieme alle attività che promuovono. Queste alleanze tra classi sono rese possibili proprio grazie al ruolo giocato dalla prossimità spaziale nel generare identità e fiducia tra gli abitanti di un determinato quartiere (Maraviglia, Sciolla, Wilson, 2021). Facendo riferimento alla rassegna della letteratura presentata all’inizio di questo saggio, possiamo ipotizzare che i volontari di ceto medio svolgano un ruolo essenziale nella costruzione di queste coalizioni.
È necessario, inoltre, capire come le solidarietà locali possano esprimere simultaneamente fiducia e sfiducia, inclusione ed esclusione, partecipazione e disimpegno in base al contesto. Da questa prospettiva, è utile ricordare che in un contesto politico caratterizzato da un diffuso senso di disillusione, le forme di solidarietà circoscritte localmente possono facilitare lo sviluppo del collettivismo. Piuttosto che essere assenti, potremmo asserire che le identità collettive in alcuni contesti assumono forme più circoscritte, con una conseguente strutturazione territoriale della solidarietà. Allo stesso tempo, le comunità locali non sono omogenee e includono gruppi sociali con risorse e interessi contrastanti. Come vengono gestite queste differenze all’interno delle associazioni? Quali tensioni e conflitti derivano dalle differenze economiche, etniche, demografiche e politiche che esistono a livello locale? Le differenze vengono semplicemente riflesse nelle associazioni che operano in un determinato quartiere, oppure c’è spazio per ridurre le spaccature e ricomporre le fratture sociali? Sulla base della nozione di radicamento sociale, ci potremmo aspettare che la relazione tra associazioni e quartieri sia influenzata dalle caratteristiche degli stessi quartieri.
Visto in questi termini, il radicamento socio-spaziale della partecipazione associativa va studiato alla luce dei modelli di segregazione residenziale, per cercare di capire se le associazioni sono in grado di superare la geografia urbana polarizzata tra quartieri ricchi e poveri, o se finiscono inevitabilmente per riprodurre le disparità tra quartieri. Per approfondire questi temi, è utile presentare qualche dato statistico sul ruolo del contesto socio-economico nelle aree urbane, di nuovo utilizzando l’indagine IREF 2023-2024. La Tabella 2 riassume lo stato occupazionale degli intervistati nelle quattro città. In tutte le città, oltre la metà dei volontari lavora (dal 60% a Roma al 52,1% a Milano), mentre tra un decimo e un quinto sono studenti (dal 21,7% a Napoli all’11,7% a Milano) e tra un decimo e un quarto sono pensionati (da un massimo di 26,1% a Milano ad un minimo di 13,0% a Napoli). La percentuale di disoccupati è ben al di sotto del 5% in tutte e quattro le città, oscillando tra il 4,3% a Napoli e l’1,5% a Firenze. Gli intervistati non occupati che si dedicano al lavoro domestico e di cura rappresentano una percentuale compresa tra lo 0,9% (a Roma) e il 2,7% (a Milano), mentre la categoria residuale “altro”, è altrettanto esigua, variando dal 4,8% a Milano all’1,5% a Firenze.
In breve, nonostante le considerevoli differenze che esistono in termini di investimento, occupazione e reddito tra le quattro città, i volontari presentano un profilo molto simile in termini di posizione nel mercato del lavoro, anche se Napoli ha una percentuale minore di pensionati e una quota maggiore di studenti rispetto a Roma o Milano (Firenze, anch’essa una città universitaria, ha una quota simile di studenti).
Tabella 2 - Stato occupazionale dei volontari a Milano, Firenze, Roma e Napoli (%, N = 733)
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Lavoratore/rice |
Studente/ssa |
Disoccupato/a |
Pensionato/a |
Casalingo/a |
Altro |
|
Milano |
52,1 |
11,7 |
2,7 |
26,1 |
2,7 |
4,8 |
|
Firenze |
54,6 |
21,0 |
1,5 |
20,5 |
1,0 |
1,5 |
|
Roma |
60,0 |
13,3 |
3,6 |
19,6 |
0,9 |
2,7 |
|
Napoli |
54,8 |
21,7 |
4,3 |
13,0 |
2,6 |
3,5 |
Fonte: Indagine IREF 2023-2024, nostre elaborazioni.
La Tabella 3 descrive la composizione sociale dei volontari in ciascuna città, usando l’informazione fornita dall’indagine IREF[2]. Nelle quattro città, più della metà dei volontari appartiene ai nuovi ceti medi, grazie all’ampia presenza di professionisti e dipendenti statali nelle associazioni. La maggiore incidenza dei ceti medi si registra a Roma (65,2%) e la più bassa a Milano (55,9%), mentre circa un quarto dei volontari fanno parte della classe lavoratrice qualificata. Come abbiamo già osservato in relazione allo stato occupazionale, le somiglianze tra le quattro città nella composizione di classe dei volontari sono evidenti e suggeriscono che la propensione a svolgere un’attività di volontariato sia fortemente influenzata dalla posizione sociale. Durante la ricerca abbiamo potuto constatare che molti dei pensionati attivi nelle associazioni appartengono anch’essi ai nuovi ceti medi, e che la maggior parte degli studenti sembrano destinati ad entrare a fare parte della stessa classe.
Tabella 3 - Composizione di classe sociale dei volontari a Milano, Firenze, Roma e Napoli (%, N = 390)
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Borghesia |
Nuovi ceti medi |
Classe lavoratrice qualificata |
Classe lavoratrice non qualificata (e disoccupati) |
|
Milano |
6,9 |
55,9 |
24,5 |
12,7 |
|
Firenze |
6,1 |
59,6 |
29,8 |
4,4 |
|
Roma |
6,1 |
65,2 |
19,7 |
9,1 |
|
Napoli |
4,5 |
62,1 |
24,2 |
9,1 |
Fonte: Indagine IREF 2023-2024, nostre elaborazioni.
Anche il titolo di studio dei genitori, con una quota rilevante di volontari che vengono da famiglie di laureati, conferma le ipotesi sullo status sociale dei volontari. La quota di volontari con genitori con laurea o dottorato raggiunge un valore massimo pari al 41,5% nella capitale (per i padri con laurea o dottorato), rispetto al 22,6% a Firenze.
Tabella 4 - Distribuzione dei volontari per istruzione dei genitori, Milano, Firenze, Roma e Napoli (%, N = 689 per i padri, con 44 valori mancanti; N = 678 per le madri, con 55 valori mancanti)
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Padre |
Madre |
|
Milano |
Non oltre la scuola secondaria inferiore |
32,2 |
36,5 |
|
|
Non oltre scuola secondaria superiore |
29,3 |
31,8 |
|
|
Grado di istruzione terziaria |
38,5 |
31,8 |
|
Firenze |
Non oltre la scuola secondaria inferiore |
42,7 |
36,7 |
|
|
Non oltre scuola secondaria superiore |
34,7 |
36,7 |
|
|
Grado di istruzione terziaria |
22,6 |
26,5 |
|
Roma |
Non oltre la scuola secondaria inferiore |
21,7 |
27,0 |
|
|
Non oltre scuola secondaria superiore |
36,7 |
41,7 |
|
|
Grado di istruzione terziaria |
41,5 |
31,4 |
|
Napoli |
Non oltre la scuola secondaria inferiore |
37,6 |
34,3 |
|
|
Non oltre scuola secondaria superiore |
33,0 |
38,0 |
|
|
Grado di istruzione terziaria |
29,4 |
27,8 |
Fonte: Indagine IREF 2023-2024, nostre elaborazioni
Le associazioni possono dare una risposta ai bisogni insoddisfatti nelle comunità svantaggiate se sono, per costituzione, legate ai ceti medi e per di più collocate in un ambiente urbano segregato? Potrebbero, ad esempio, mobilitare i residenti dei quartieri benestanti per portarli ad intervenire in quartieri più svantaggiati. Tuttavia, questa strategia andrebbe inevitabilmente incontro a problemi legati all’accessibilità, pur non essendo impossibile. In più, i volontari dei quartieri benestanti potrebbero essere respinti dalle persone che vivono in quartieri più poveri. Un’alternativa consiste nel coinvolgere le persone che già risiedono all’interno dei quartieri misti, con l’obiettivo di fornire servizi e opportunità direttamente ai membri della comunità locale. In questo scenario, i quartieri più poveri avrebbero un tasso molto minore di associazionismo e volontariato, essendo caratterizzati da un basso livello di mix sociale, e avendo una minore presenza di quei gruppi sociali che tendono a costituire la colonna vertebrale delle associazioni. In queste aree è più probabile che il volontariato si manifesti sotto forma di assistenza informale, in linea con le norme di solidarietà e reciprocità circoscritte dal quartiere.
Una soluzione al paradosso creato dalla selettività del volontariato consiste nella professionalizzazione delle prestazioni. In base a questo modello, le associazioni cercano finanziamenti a progetto per poi remunerare le persone che svolgono determinate attività, invece di dipendere esclusivamente dai volontari. Questa strategia viene adottata da numerose fondazioni e cooperative sociali che operano nelle aree più svantaggiate delle città italiane. Un tale approccio ha diversi effetti positivi, poiché contrasta il meccanismo della centralità sociale, incentivando gli individui meno abbienti a partecipare alle associazioni, offrendo allo stesso tempo opportunità lavorative alla popolazione locale e incoraggiando i residenti ad utilizzare i servizi offerti.
Il valore sociale del volontariato deriva chiaramente dalla sua capacità di compensare – almeno in parte – per l’incapacità dello Stato e dei mercati di soddisfare i bisogni a livello locale. Questo è particolarmente rilevante nel caso dei gruppi sociali marginalizzati che mancano di risorse economiche e di rappresentanza politica. Ad esempio, i migranti di recente arrivo spesso non sono in grado di garantire il proprio sostentamento attraverso il mercato e non soddisfano i requisiti necessari per ottenere l’assistenza pubblica. Allo stesso tempo, potrebbero trovarsi isolati dalle reti di supporto. Grandi (2011: 64) sottolinea l’importanza delle attività rivolte ai migranti che non hanno opportunità di interazione: «L’insediamento territoriale di alcune associazioni in quartieri connotati da degrado e poveri di servizi, ne fanno soggetti preziosi sia per comprendere alcune situazioni di disagio in contesti specifici, sia per la capacità di attivarsi, spesso con mezzi minimi, per essere presenze propositive e che hanno a cuore la vita del quartiere e il benessere dei suoi abitanti».
Le associazioni acquistano importanza politica all’interno di un determinato contesto locale nella misura in cui rispondono ai bisogni del quartiere. Secondo Grandi, le amministrazioni locali dovrebbero trattare le associazioni come “antenne” in grado di intercettare i problemi emergenti nelle aree urbane: «L’esperienza, il contatto con gli immigrati del territorio, le competenze tecniche legate alla mediazione culturale, ne fanno sensori molto preziosi per comprendere le trasformazioni in atto e le soluzioni innovative da individuare per il miglioramento dell’offerta territoriale» (Grandi, 2011: 81). Quindi, è soprattutto attraverso il successo delle attività volontarie che i volontari possono ricevere il riconoscimento politico e sociale, e questa osservazione aiuta ulteriormente a comprendere le complessità del fenomeno associativo.
In questo contributo si è sviluppata un’analisi del legame tra partecipazione associativa e contesto urbano, aggiungendo alcuni tasselli interpretativi importanti per l’inquadramento teorico del fenomeno. Si è sottolineato il ruolo dei nuovi ceti medi, della segregazione residenziale e delle interazioni tra le classi. A partire dai dibattiti nelle scienze sociali, si è proposta un’interpretazione dell’associazionismo a partire dallo status sociale dei volontari, prestando al tempo stesso particolare attenzione alla morfologia sociale delle aree urbane. L’approccio adottato vede nelle associazioni una proiezione delle aspirazioni dei nuovi ceti medi, una forma di solidarietà territorialmente circoscritta che si esprime attraverso un’organizzazione interclassista. Questo approccio ha un elevato potere esplicativo in relazione alla distribuzione del volontariato all’interno della popolazione e tra le diverse aree geografiche. Dall’analisi emerge con chiarezza il carattere contraddittorio dell’associazionismo, in linea con l’idea che la partecipazione associativa sia inevitabilmente anche un canale per l’espressione delle aspirazioni sociali e culturali dei nuovi ceti medi. Nonostante queste contraddizioni, le associazioni mostrano la capacità di produrre innovazioni e di favorire l’integrazione sociale e culturale dei gruppi più marginalizzati nelle città italiane.
La partecipazione alle associazioni è, quindi, un fenomeno sociale strutturato, che subisce l’influenza del contesto sociale, economico, politico e culturale in cui si esprime. La partecipazione è plasmata dalla distribuzione spaziale delle classi sociali nello spazio urbano e dagli orientamenti e dalle capacità dei volontari. Il volontariato è più diffuso nei quartieri con un elevato mix etnico e sociale, come il centro di Napoli o la prima periferia di Milano, Firenze e Roma. Da questo poi deriva la necessità di finanziare interventi sociali nelle aree più svantaggiate. In mancanza di sforzi coordinati e finanziamenti adeguati, è improbabile che un ricco tessuto sociale associativo possa emergere spontaneamente nei quartieri più poveri.
La contraddizione centrale che caratterizza le associazioni riguarda la situazione relativamente agiata e privilegiata dei volontari, da un lato, e la condizione di deprivazione ed esclusione nella quale versano i soggetti a cui si rivolgono, dall’altro. Questa contraddizione genera un rischio di passività, esclusione e persino risentimento da parte dei beneficiari. In alcuni Paesi, i partiti di destra hanno sfruttato questa contraddizione per screditare il settore e per ridurre i finanziamenti alle attività sociali. È importante, quindi, che le associazioni promuovano il coinvolgimento della popolazione locale e incoraggino gruppi e individui svantaggiati ad assumere un ruolo centrale nella gestione delle attività. Al fine di raggiungere questo obiettivo, potrebbe essere necessario adottare nuovi strumenti per includere, incoraggiare e compensare gli operatori provenienti dai ceti sociali più bassi.
Dalla discussione è inoltre emerso che le forme organizzative adottate dalle associazioni di volontariato possono influenzare le loro prospettive e il loro impatto. Negli ultimi anni, la sperimentazione di nuove forme organizzative ha messo in luce questo aspetto del fenomeno con l’istituzione dei beni comuni a Napoli, ad esempio. Si tratta di edifici o altri spazi di rilevanza storica e culturale all’interno della città, gestiti dalle comunità locali mediante processi assimilabili alla democrazia partecipativa (Pecile, 2022; Vesco, 2022). Anziché essere assegnati a una particolare associazione, questi luoghi vengono gestiti collettivamente tramite un’assemblea aperta. Questa modalità potrebbe avere l’effetto di ridurre la distanza tra volontari e beneficiari, incoraggiando una partecipazione più attiva e spingendo tutti i partecipanti a contribuire alle decisioni.
DOI: 10.7425/IS.2025.04.07
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[1] Il volontariato viene definito qui come l’insieme delle attività (tempo, lavoro, competenze) che un attore sociale offre ad un gruppo di beneficiari (singoli agenti o sistemi collocati al di fuori del nucleo familiare), senza ricevere alcun compenso economico, basandosi sulla libera volontà e operando tramite organizzazioni non profit (Guidi, Fonović, Cappadozzi, 2021).
[2] La categoria “borghesia” contiene gli imprenditori, i dirigenti di struttura complessa e i liberi professionisti, mentre i “nuovi ceti medi” includono i professionisti che lavorano alle dipendenze, gli artisti, gli sportivi, i tecnici e gli amministratori a media qualificazione. Le classi lavoratrici comprendono coloro i quali svolgono mansioni esecutive nel campo dell’industria, dell’agricoltura e dei servizi, compresi gli impiegati. Abbiamo introdotto una distinzione tra la “classe lavoratrice qualificata” (coinvolta nelle attività di vendita al pubblico, di servizio alle persone, di lavoro operaio qualificato, coltivazione di piante e allevamento di animali) e la “classe lavoratrice non qualificata” (conduttori di impianti fissi, macchinisti, autisti e operai non qualificati nell’industria o nei servizi), accorpando a quest’ultima categoria anche i disoccupati.
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