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ISSN 2282-1694
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Numero 4 / 2025

Saggi

Tra conflitto e cooperazione. Terzo settore associativo e cooperazione sociale nelle comunità territoriali e nello spazio mediale

Andrea Volterrani

Abstract

L’articolo esplora la relazione complessa e in continua ridefinizione tra Terzo settore associazionistico (OdV, Aps e altri enti in forma associativa) e cooperazione sociale all’interno del Terzo settore italiano, analizzandone il ruolo nei processi di sviluppo di comunità territoriali e nello spazio mediale contemporaneo. Muovendo dalle esperienze di ricerca-azione maturate nel programma FQTS, promosso dal Forum Nazionale del Terzo Settore e da CSV-Net, e dalle riflessioni più recenti ospitate dalla rivista Impresa Sociale, il contributo propone una lettura sociologica del rapporto fra conflitto e cooperazione come motore di innovazione democratica. L’articolo assume il concetto di liminalità come chiave interpretativa per comprendere i processi sociali e comunicativi che attraversano le comunità in transizione, tra vulnerabilità e resistenza. Il Terzo settore di tipo associativo e la cooperazione sociale, pur nella loro differente natura, si incontrano in questi spazi liminali come attori di mediazione tra istituzioni, cittadinanza e media digitali. Attraverso il prisma della edu-communication e della partecipazione ibrida, si evidenzia come il conflitto non sia una patologia, ma un elemento costitutivo della co-progettazione e dell’apprendimento collettivo. Nelle conclusioni, il testo invita a ripensare la relazione tra le due anime del Terzo settore in una prospettiva di ecosistema civico comunitario, capace di integrare la cura dei legami territoriali con le opportunità e i rischi della mediatizzazione, delineando una nuova grammatica della cooperazione fondata su fiducia, prossimità e pluralismo.

1. Introduzione

Negli ultimi vent’anni, il Terzo settore italiano ha attraversato una trasformazione profonda e non lineare, segnata da processi di istituzionalizzazione e da una crescente tensione fra logiche di impresa e finalità solidaristiche. Dalla riforma del Codice del Terzo settore (d.Lgs. 117/2017) è derivata una ridefinizione dei confini organizzativi e simbolici delle realtà sociali, che da “movimenti” comunitari si sono progressivamente collocate nel campo delle politiche pubbliche e dell’economia sociale. Tuttavia, questa evoluzione non è stata né omogenea né priva di contraddizioni: le organizzazioni del Terzo settore continuano a oscillare fra l’aspirazione alla partecipazione democratica e la necessità di garantire sostenibilità economica, fra l’istanza di autonomia e la dipendenza da bandi, fondazioni e partenariati istituzionali. In questo scenario, il Terzo settore associazionistico e la cooperazione sociale rappresentano due anime complementari, ma spesso in tensione. Il primo, si fonda su pratiche orizzontali di cittadinanza attiva e mutualismo relazionale; la seconda, su modelli di impresa collettiva e di welfare territoriale professionalizzato. Entrambi, tuttavia, operano come attori di mediazione fra Stato, mercato e società civile, assumendo un ruolo decisivo nei processi di ricomposizione comunitaria. L’interazione tra queste due forme di organizzazione diviene così un osservatorio privilegiato per comprendere come il Terzo settore risponda alle sfide della mediatizzazione profonda (Hepp, 2020) e della frammentazione comunitaria e territoriale. Le esperienze promosse dal Forum Nazionale del Terzo Settore e CSV-Net – in particolare il programma FQTS – dimostrano che il conflitto, lungi dall’essere patologico, può generare innovazione sociale e apprendimento collettivo. In tal senso, il rapporto tra OdV, Aps e altre associazioni e la cooperazione sociale diviene un laboratorio per ripensare la democrazia dal basso, restituendo al Terzo settore una funzione culturale e trasformativa capace di incidere sulla qualità della convivenza e sul senso di comunità.

2. Quadro teorico e cornice socio-culturale

Il contesto nel quale si muovono oggi le pratiche di Terzo settore è plasmato da trasformazioni economiche e culturali che hanno investito in profondità la vita sociale e la sfera pubblica. Nella città neoliberista (Antonucci, Sorice, Volterrani, 2024), la partecipazione è spesso svuotata del suo potenziale trasformativo e ridotta a un linguaggio di legittimazione della governance. Il neoliberismo, come spiegano Dardot e Laval (2013), agisce come razionalità politica e dispositivo di soggettivazione: produce individui e organizzazioni che interiorizzano la logica della competizione, misurano la propria legittimità in base all’efficienza e al rendimento, e assumono su di sé la responsabilità del successo o del fallimento. In questa prospettiva, la solidarietà rischia di essere trasformata in prestazione e la cooperazione in performance. La riflessione di Andreas Reckwitz (2017, 2025) sulla società della singolarità, offre una chiave interpretativa particolarmente feconda per comprendere le ambivalenze del Terzo settore contemporaneo. Nella società tardo-moderna, sostiene l’autore, il valore non è più fondato sulla conformità a norme collettive, ma sulla capacità di affermare la propria unicità e autenticità, nelle sue parole la singolarità. Gli individui e le istituzioni sono spinti a distinguersi, a costruire “progetti singolari” che li rendano riconoscibili e desiderabili. Anche molte organizzazioni di Terzo settore finiscono così per collocarsi in una dinamica di distinzione simbolica: competono per fondi, attenzione mediatica e capitale reputazionale, adottando linguaggi e strategie comunicative che enfatizzano l’eccezionalità della propria esperienza. Tale processo, tuttavia, può indebolire la dimensione cooperativa e la capacità di produrre immaginari condivisi di giustizia sociale. All’interno di questo scenario, la liminalità (Turner, 1974; Blokland, 2017) diventa un concetto cruciale per leggere le comunità in transizione: spazi materiali e simbolici in cui le regole ordinarie vengono sospese, generando vulnerabilità ma anche possibilità di innovazione. Le comunità liminali, che si collocano ai margini dei centri di potere e visibilità, rappresentano laboratori di resistenza e sperimentazione. Infine, nella prospettiva della deep mediatization (Hepp, 2020; Couldry, Hepp, 2017), i media non sono semplici strumenti di rappresentazione, ma ambienti costitutivi in cui si producono relazioni, appartenenze e conflitti. L’associazionismo e la cooperazione, in tale quadro, possono agire come mediatori di senso e di connessione, capaci di tradurre l’individualismo competitivo della società della singolarità in pratiche di comunicazione generativa e in processi di partecipazione riflessiva, contribuendo così a una ricomposizione sociale e culturale più equa e solidale.

3. Due anime del Terzo settore: associazionismo e cooperazione

L’evoluzione del Terzo settore italiano è segnata da una duplicità originaria che, più che una frattura, rappresenta una ricchezza di linguaggi, pratiche e culture organizzative. Da un lato, vi è il Terzo settore associativo, radicato in una lunga tradizione di solidarietà, di mutualismo popolare, di auto-organizzazione dei cittadini e di costruzione dal basso di capitale sociale. Dall’altro lato, si colloca la cooperazione sociale, che si è affermata come forma di impresa collettiva capace di coniugare solidarietà e sostenibilità, assumendo una funzione strutturale nel sistema dei servizi di welfare locale. Queste due anime condividono valori fondanti – solidarietà, partecipazione, inclusione – ma si differenziano per finalità, governance e cultura organizzativa. L’associazionismo tende a privilegiare la dimensione relazionale e comunitaria, ponendo al centro la cittadinanza attiva, la partecipazione orizzontale e la costruzione di appartenenze non strumentali. È un laboratorio di democrazia quotidiana, in cui l’identità collettiva nasce dal riconoscimento reciproco e dall’agire comune. La cooperazione sociale, invece, rappresenta una forma istituzionalizzata di solidarietà, professionalizzata e in dialogo continuo con le politiche pubbliche. Essa opera in spazi spesso regolati da contratti, bandi e normative, sviluppando competenze manageriali e capacità di gestione economica. Come mostrano le esperienze del Forum Nazionale del Terzo Settore e di CSV-Net, questa differenziazione non impedisce l’incontro, ma lo rende più necessario. Nei percorsi di formazione e ricerca-azione promossi da FQTS, l’interazione tra Terzo settore associativo e cooperative sociali ha generato forme innovative di co-progettazione e di imprenditorialità comunitaria: orti sociali, laboratori culturali, piattaforme civiche, centri di aggregazione ibridi, nei quali la dimensione educativa e quella produttiva si intrecciano in una logica di corresponsabilità. Tali esperienze dimostrano che la collaborazione non si fonda sulla mera somma di competenze, ma su una negoziazione continua di significati. Le differenze tra volontarismo e impresa, gratuità e sostenibilità, spontaneità e governance diventano risorse per l’innovazione, a condizione che siano attraversate da pratiche di ascolto e di comunicazione dialogica. In questa prospettiva, l’associazionismo e la cooperazione non sono due modelli in competizione, ma due modalità di agire sociale complementari, entrambe necessarie alla costruzione di comunità inclusive e resistenti. L’una, offre radicamento territoriale e fiducia, l’altra, garantisce continuità, competenza e infrastruttura organizzativa. Nel contesto della società mediatizzata e frammentata (Hepp, 2020), il punto di incontro fra le due anime del Terzo settore può essere individuato nella pratica della co-progettazione come spazio liminale: un laboratorio in cui il conflitto viene riconosciuto come energia generativa e la differenza come opportunità di apprendimento reciproco e trasformazione sociale.

4. Spazi liminali e pratiche comunitarie

Gli spazi liminali rappresentano una delle frontiere più fertili per comprendere le trasformazioni in atto nel Terzo settore e, in particolare, l’incontro fra associazionismo e cooperazione sociale. Seguendo la lezione antropologica di Victor Turner (1974), la liminalità designa quelle fasi o luoghi di passaggio in cui l’ordine sociale si sospende e diventano possibili nuove configurazioni di senso, identità e relazione. Applicato al contesto contemporaneo, questo concetto consente di interpretare quei territori – fisici e simbolici – dove la vulnerabilità convive con la possibilità di rigenerazione e dove le organizzazioni di Terzo settore svolgono un ruolo decisivo di mediazione. Le ricerche-azione condotte nel Sud Italia (Volterrani, 2024; Battisti, Volterrani, 2025) offrono esempi emblematici di tali dinamiche. Quartieri come Librino, Margi, Panebianco o Pellaro si configurano come spazi di soglia: luoghi segnati da vulnerabilità diffuse sociali ed economiche, isolamento territoriale e marginalità mediale, ma anche da un’intensa densità relazionale e creatività sociale. In questi contesti, associazioni e cooperative agiscono come infrastrutture di connessione, costruendo reti di prossimità che superano i confini tra istituzioni, cittadini e media digitali. Le pratiche che emergono da tali esperienze si collocano nell’ambito dell’edu-communication (Barbas, 2020), intesa come integrazione tra processi educativi, partecipativi e comunicativi. Attraverso laboratori di comunità, piattaforme digitali come Ekei o Piazza Librino, e percorsi di storytelling civico, gli attori locali generano spazi di apprendimento condiviso e di costruzione di senso collettivo. Queste piattaforme non sono semplici strumenti tecnologici, ma dispositivi relazionali, capaci di trasformare il conflitto in dialogo e la differenza in risorsa. Le esperienze di co-progettazione dimostrano che la comunità non è un dato di partenza, bensì un processo in divenire, fondato su fiducia situata, ascolto diffuso e reciprocità. In questi spazi di transizione, l’associazionismo offre radicamento e prossimità, mentre la cooperazione fornisce continuità e struttura: la loro interazione produce innovazione sociale, rigenerazione urbana e nuove forme di cittadinanza mediale. In ultima analisi, gli spazi liminali sono luoghi di resistenza e apprendimento collettivo: qui il Terzo settore agisce come agente trasformativo capace di rinegoziare i significati della cura, della partecipazione e della convivenza. Sono laboratori di un futuro possibile, dove la cooperazione e l’associazionismo si incontrano per costruire comunità resistenti, consapevoli e capaci di comunicare sé stesse nel linguaggio della complessità.

5. Il conflitto come motore di sviluppo comunitario

Nel discorso pubblico e istituzionale, il conflitto è spesso percepito come una disfunzione da prevenire o attenuare, una minaccia all’armonia sociale e alla cooperazione. Tuttavia, all’interno del Terzo settore e, in particolare, nel rapporto fra associazionismo e cooperazione sociale, il conflitto può essere reinterpretato come energia generativa, come spazio di negoziazione e apprendimento collettivo. Seguendo la prospettiva di Simmel (1908) e, successivamente, di Mouffe (2013), il conflitto non rappresenta una patologia della democrazia, bensì la sua condizione vitale: esso produce movimento, consapevolezza e innovazione, permettendo ai soggetti di ridefinire identità e relazioni. Nel campo del Terzo settore, le tensioni tra quest’ultimo in forma associativa e le cooperative sociali emergono attorno a questioni strutturali e culturali: la gratuità e la vocazione volontaristica dell’una si confrontano con le esigenze di sostenibilità economica e di professionalizzazione dell’altra; l’idealità orizzontale delle associazioni incontra la logica gestionale e contrattuale delle cooperative. Tuttavia, come mostrano le esperienze dei percorsi FQTS e dei laboratori territoriali di Pellaro e San Severo, proprio questi attriti hanno stimolato nuove forme di collaborazione, dando origine a pratiche di co-programmazione e co-progettazione (artt. 55 del Codice del Terzo settore) basate sulla fiducia, la trasparenza e la comunicazione dialogica. Il conflitto, dunque, diventa un dispositivo pedagogico e politico: un luogo dove si apprende a riconoscere l’altro non come antagonista, ma come interlocutore portatore di un punto di vista differente. In questa prospettiva, la costruzione di comunicazione collegante (Volterrani, 2024) – una comunicazione che unisce e non divide – è la chiave per trasformare il disaccordo in co-apprendimento. Le differenze non vengono cancellate, ma messe in relazione attraverso pratiche di narrazione condivisa, deliberazione e riflessività collettiva. Tale approccio trova riscontro anche nelle teorie dell’innovazione democratica (Fung, Wright, 2003) e dell’organizzazione riflessiva (Schön, 1983), secondo cui la tensione tra visioni e interessi diversi è la condizione necessaria per generare apprendimento organizzativo e coesione sociale. In questo senso, il conflitto, se gestito in modo comunicativo e partecipativo, diventa un motore di sviluppo comunitario, capace di rafforzare i legami di fiducia, ridefinire i confini della cittadinanza attiva e rendere il Terzo settore un laboratorio permanente di democrazia quotidiana.

6. La cooperazione nello spazio mediale

Nel contesto della mediatizzazione profonda (Hepp, 2020), lo spazio pubblico si configura sempre più come un campo di rappresentazioni e narrazioni in competizione. Il Terzo settore, e con esso il rapporto tra associazionismo e cooperazione sociale, non è estraneo a questa dinamica: la sua presenza nello spazio mediale risulta frammentata, oscillante tra visibilità episodica e invisibilità sistemica. Le organizzazioni sociali vengono spesso rappresentate dai media commerciali secondo due polarità opposte: da un lato, l’eroismo solidale del volontario o della cooperativa “che salva”, dall’altro, la retorica della marginalità o della dipendenza dal finanziamento pubblico. Entrambe le immagini riducono la complessità dell’azione sociale, oscurando i processi di partecipazione e apprendimento che sostengono la vita comunitaria. In risposta a tale rappresentazione semplificata, alcune esperienze di cooperazione e associazionismo stanno sperimentando forme di auto-narrazione riflessiva, basate sui principi dell’edu-communication (Barbas, 2020) e della media literacy civica. Attraverso laboratori di storytelling, piattaforme digitali comunitarie e produzioni partecipate di contenuti multimediali, le organizzazioni cercano di riappropriarsi del proprio racconto pubblico. Le analisi di Battisti e Volterrani (2025) mostrano che nei contesti liminali la partecipazione digitale non sostituisce quella in presenza, ma la integra, costruendo narrazioni ibride che intrecciano corporeità e virtualità, prossimità territoriale e reti online. Queste pratiche di comunicazione dal basso generano spazi di cittadinanza culturale (Miller, 2007) nei quali le comunità non sono più rappresentate come beneficiarie di interventi, ma come soggetti narranti e produttori di senso. La cooperazione nello spazio mediale assume allora un duplice significato: da un lato, è capacità di “stare dentro” i flussi comunicativi contemporanei, dall’altro, è possibilità di trasformare lo spazio mediale in luogo di coesione. La curatela etica delle narrazioni – la scelta dei linguaggi, la coerenza con i valori, l’attenzione alla dignità dei soggetti rappresentati – diventa così un atto politico e pedagogico. In definitiva, la cooperazione nello spazio mediale non si limita a promuovere la visibilità, ma costruisce riconoscimento e legittimità sociale. Essa restituisce voce ai territori marginali, permette di contrastare la spettacolarizzazione della solidarietà e favorisce la costruzione di un immaginario collettivo della cura e della responsabilità. In questo senso, la comunicazione diviene parte integrante dell’agire cooperativo e associativo: un processo di democrazia culturale che alimenta la resistenza delle comunità e rafforza la fiducia pubblica nel Terzo settore.

7. Verso un ecosistema partecipativo e ibrido

Le esperienze promosse negli ultimi anni da CSV-Net, dal Forum Nazionale del Terzo Settore e dai percorsi formativi di FQTS indicano la direzione verso un nuovo paradigma di partecipazione, che potremmo definire ecosistema partecipativo e ibrido. Questo modello nasce dalla consapevolezza che la costruzione del bene comune richiede una connessione continua tra spazi fisici di prossimità e spazi digitali di relazione, superando la tradizionale dicotomia tra presenza e distanza, tra territorio e rete. In una società sempre più mediatizzata e frammentata, la partecipazione assume forme fluide e distribuite, che uniscono la dimensione locale con quella connettiva. Un ecosistema partecipativo si fonda su quattro dimensioni interdipendenti:

  • Reti territoriali miste, composte da associazioni, cooperative, enti locali, scuole e gruppi informali, che sperimentano alleanze di scopo e percorsi di corresponsabilità. Queste reti non si limitano a coordinare azioni, ma diventano luoghi di apprendimento collettivo e di coesione civica.
  • Piattaforme di partecipazione digitale, che fungono da estensione degli spazi di prossimità, permettendo la continuità della relazione e l’amplificazione del dialogo pubblico. Strumenti come Piazza Librino, Ekei o i portali di co-programmazione locale mostrano come il digitale possa supportare la cooperazione, purché resti radicato nei bisogni reali dei territori.
  • Attivatori di comunità, figure ponte con competenze comunicative, educative e di facilitazione, capaci di tradurre linguaggi, ridurre distanze simboliche e favorire processi di fiducia situata.
  • Valutazione partecipata, intesa non come mero adempimento burocratico, ma come dispositivo di riflessività collettiva, in grado di trasformare i dati in narrazione condivisa e in consapevolezza dell’impatto sociale.

Questo modello ibrido è sostenuto da una logica di comunicazione mutualistica: un flusso continuo di scambio, riconoscimento e reciprocità che produce coesione anziché competizione. Tale prospettiva contrasta la frammentazione organizzativa e culturale del Terzo settore, rigenerando i legami di solidarietà e fiducia. Nei contesti in cui è stato sperimentato – come Panebianco o Pellaro – l’ecosistema partecipativo non si limita a coordinare attori, ma genera una nuova grammatica della cooperazione, dove il confine fra cittadino, volontario e operatore sociale si fa più poroso e la comunità si configura come infrastruttura condivisa. Da un punto di vista teorico, l’ecosistema partecipativo e ibrido dialoga con le teorie della democrazia collaborativa (Fung, Wright, 2003), della società in rete (Castells, 2010) e della media participation (Carpentier, 2011), ma introduce una declinazione peculiare: quella della cooperazione comunicativa. La dimensione digitale non sostituisce la relazione in presenza, ma la prolunga e la moltiplica, offrendo nuove possibilità di ascolto, cura e inclusione. In questa prospettiva, il Terzo settore diventa un ecotono sociale, uno spazio di interfaccia tra cittadinanza e istituzioni, tra locale e globale, tra reale e simbolico. L’ecosistema partecipativo e ibrido, dunque, rappresenta una risposta concreta alla crisi della fiducia e della rappresentanza che attraversa le democrazie contemporanee. Esso trasforma la cooperazione da semplice collaborazione operativa a processo sistemico di co-produzione civica, capace di generare senso, appartenenza e resistenza. In un tempo in cui le comunità appaiono sempre più frammentate, l’ibridazione diventa non solo una strategia, ma una forma di vita collettiva e comunicativa orientata alla sostenibilità democratica.

8. Le criticità del rapporto tra Terzo settore associativo e cooperazione sociale

Accanto alle potenzialità di collaborazione e innovazione, il rapporto tra Terzo settore associativo e cooperazione sociale presenta un insieme di criticità che ne limitano la piena espressione. Tali fragilità non derivano soltanto da differenze organizzative, ma anche da disallineamenti culturali, valoriali e istituzionali che riflettono le tensioni interne al più ampio ecosistema del Terzo settore italiano. Una prima criticità riguarda l’asimmetria organizzativa e normativa. Le cooperative sociali, in quanto imprese, dispongono di risorse economiche, professionalità e stabilità giuridica maggiori, che consentono loro di partecipare ai processi di co-programmazione e co-progettazione (artt. 55 del Codice del Terzo settore) con maggiore continuità e capacità di rendicontazione. Le Aps e le OdV, al contrario, basano gran parte delle proprie attività sul volontariato, su finanziamenti discontinui e su reti informali. Ciò genera spesso una dinamica di subordinazione implicita, in cui la voce associativa fatica a mantenere pari dignità negoziale. Una seconda area problematica è la frammentazione delle reti territoriali. In molti contesti, le relazioni tra soggetti del Terzo settore sono più competitive che cooperative, alimentate dalla logica dei bandi e dalla scarsità di risorse pubbliche. Questa competizione istituzionalizzata riduce la capacità di visione comune e rischia di neutralizzare il potenziale trasformativo dei processi partecipativi. Come rilevano Dardot e Laval (2013), la razionalità neoliberista tende a interiorizzare la competizione come principio regolativo anche negli ambiti della solidarietà, trasformando la cooperazione in performance. Una terza criticità riguarda l’eccessiva burocratizzazione dei dispositivi di partenariato. Le procedure di co-programmazione previste dal Codice del Terzo settore vengono spesso gestite in chiave formale, senza reale apertura alla cittadinanza e senza valorizzare la dimensione dialogica del processo. Ne risulta un rischio di “istituzionalizzazione sterile”, in cui le pratiche partecipative diventano rituali privi di effettiva capacità decisionale. A ciò si aggiunge il problema del capitale sociale segregato. In molte comunità liminali, le reti di fiducia e solidarietà restano chiuse all’interno di cerchie omogenee, impedendo la costruzione di legami deboli e di ponti tra gruppi diversi. Tale isolamento riduce l’impatto collettivo e rafforza dinamiche di autoreferenzialità, minando la capacità del Terzo settore di agire come infrastruttura civica diffusa. Un’ulteriore criticità, spesso sottovalutata, è la debolezza comunicativa. Molte organizzazioni non possiedono strumenti o competenze adeguate a raccontare il proprio impatto sociale in modo strategico e coerente. Ciò lascia spazio a rappresentazioni esterne stereotipate – tra paternalismo e spettacolarizzazione – che impoveriscono la percezione pubblica del lavoro sociale. Infine, la questione generazionale rappresenta una sfida cruciale. Il turnover, la precarietà del lavoro sociale e la difficoltà di ricambio nelle strutture associative determinano una perdita di memoria organizzativa e di visione a lungo termine. La scarsa valorizzazione dei giovani, unita alla fatica di integrare nuove forme di attivismo digitale, rischia di interrompere la trasmissione di saperi e valori.

Queste criticità, pur reali, non cancellano le potenzialità del dialogo tra Terzo settore associativo e cooperazione sociale. Al contrario, ne sottolineano la necessità di una governance riflessiva, capace di trasformare le diseguaglianze in complementarità. Ciò implica investire in formazione congiunta, sperimentare modelli di leadership condivisa e costruire spazi di confronto orizzontale. Solo in questo modo il Terzo settore potrà divenire un attore politico e culturale capace di generare fiducia, prossimità e innovazione democratica, evitando di frammentarsi sotto il peso della competizione e della burocrazia.

9. Conclusioni e prospettive

Il rapporto fra OdV, Aps, altri soggetti di Terzo settore in forma associativa e cooperazione sociale, se osservato attraverso le lenti della liminalità e della mediatizzazione, rivela una dinamica complessa, non dicotomica, ma dialogica. Le due anime del Terzo settore italiano non rappresentano poli opposti, bensì forme complementari di azione civica che, nel loro incontro – spesso conflittuale – generano innovazione sociale, apprendimento collettivo e ricomposizione comunitaria. È proprio nel riconoscimento del conflitto come risorsa e non come ostacolo che si apre la possibilità di costruire nuove grammatiche della cooperazione, fondate sulla fiducia, sulla pluralità e sulla comunicazione generativa. Le esperienze maturate all’interno dei percorsi FQTS, delle reti territoriali di CSV-Net e delle iniziative promosse dal Forum Nazionale del Terzo Settore mostrano come il dialogo tra associazioni e cooperative possa evolvere da collaborazione strumentale ad alleanza strategica. Nei territori in cui questa alleanza si consolida, la partecipazione non è più vista come un atto episodico, ma come un processo continuativo di co-produzione del bene comune. In tali contesti, il Terzo settore agisce come laboratorio di democrazia quotidiana, in grado di sperimentare forme di governance partecipata, comunicazione inclusiva e rigenerazione sociale. Tuttavia, questa prospettiva non può realizzarsi senza affrontare i nodi strutturali messi in luce nelle sezioni precedenti: la disparità di risorse, la frammentazione delle reti, la burocrazia e la debolezza comunicativa. Per superare tali ostacoli, occorre promuovere una governance riflessiva e una leadership condivisa, basate su processi di formazione congiunta, valutazione partecipata e riconoscimento reciproco. La sfida è costruire un ecosistema civico comunitario in cui Terzo settore associativo e cooperative agiscano non come attori separati, ma come componenti interdipendenti di una stessa infrastruttura sociale. In questo scenario, il ruolo della comunicazione assume una centralità inedita. Non si tratta solo di diffondere informazioni, ma di costruire spazi di senso condiviso, dove i media – digitali e territoriali – diventino strumenti di connessione, ascolto e deliberazione. La comunicazione, quando è partecipativa e mutualistica, consente di rendere visibili le esperienze di prossimità, di valorizzare le micro-pratiche quotidiane di cura e di generare fiducia pubblica. La prospettiva qui delineata si inserisce nel dibattito sulla post-democrazia (Crouch, 2020) e sulla crisi della rappresentanza, proponendo il Terzo settore come laboratorio di rigenerazione democratica. In un’epoca segnata da sfiducia istituzionale e da individualismo performativo (Reckwitz, 2017, 2025), le reti di cooperazione civica possono restituire senso alla partecipazione e alla solidarietà, facendo emergere un modello di democrazia “densa”, fondata sulla cura dei legami, sull’autonomia dei territori e sull’uso consapevole dei media come strumenti di libertà e non di dominio. In definitiva, il futuro del Terzo settore non risiede nella contrapposizione tra volontariato e impresa, tra spontaneità e professionalità, ma nella loro integrazione dialogica. L’alleanza tra Terzo settore associativo e cooperative sociali può generare un nuovo immaginario della cooperazione: un ecosistema civico capace di tenere insieme il locale e il globale, la prossimità e la connessione, la solidarietà e la competenza. È in questa prospettiva che il Terzo settore può tornare a essere non solo erogatore di servizi, ma costruttore di senso e di futuro, restituendo alla società italiana un orizzonte condiviso di democrazia, giustizia e coesione.

DOI 10.7425/IS.2025.04.05  

Bibliografia

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