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ISSN 2282-1694

Numero 4 / 2025

Saggi

L’impegno civico in Italia: Un esame comparativo sullo stato del volontariato

Fabio Bordignon, Luigi Ceccarini, Giacomo Salvarani

Abstract

Il contributo analizza lo stato del volontariato in Italia, con particolare attenzione alle sue dimensioni territoriali e socio-demografiche, collocandolo nel contesto europeo in ottica comparativa. L’indagine si basa sui dati degli ultimi due Round dell’European Social Survey (2023 e 2025) e si concentra sul volontariato sia periodico sia saltuario, non retribuito ma svolto all’interno di organizzazioni non profit e caritatevoli. I risultati evidenziano come l’Italia presenti un tasso di partecipazione volontaria inferiore alla media europea (14,3% contro 18,4%) e in diminuzione negli ultimi anni, con un calo accentuato nel Nord-Est. Resiste, invece, nelle regioni del Centro Italia, che conoscono oggi il più alto tasso di partecipazione. L’impegno volontario appare comunque socialmente e territorialmente diseguale: più diffuso tra donne, giovani e soggetti con più alto reddito; più stabile tra i praticanti religiosi assidui, nelle periferie delle grandi città o nei piccoli paesi, e sovente legato a un orientamento politico. Rispetto all’Europa, il volontariato italiano risulta più ancorato a risorse economiche, capitale sociale tradizionale e pratica religiosa, e meno alimentato da orientamenti laici o da cittadini politicamente “non collocati”. Tanto in Italia quanto in Europa nel suo insieme, l’attività di volontariato appare inferiore nei centri delle grandi città. Il quadro complessivo ci restituisce un volontariato italiano comparativamente non in buona salute, con una partecipazione civica più disomogenea rispetto al contesto europeo.

1. Introduzione

Qual è l’attuale stato del volontariato in Italia? Il presente contributo prova a rispondere a questa domanda dal punto di vista di chi lo pratica, nella consapevolezza della complessità e molteplicità di possibili approcci e risposte. Ci si propone qui un triplice obiettivo. In primo luogo, quello di esplorare la dimensione del fenomeno del volontariato nella popolazione in Europa in ottica comparativa, in Italia rispetto agli altri paesi europei e tra i diversi paesi. In secondo luogo, si intende indagare la dimensione territoriale del volontariato in Italia e dei caratteri socio-demografici di chi si dedica a tale attività – svolta anche in modo informale o saltuario. In questa direzione, particolare attenzione sarà volta alla dimensione economica e all’appartenenza e alla pratica religiosa. Inoltre, in un’ottica di breve periodo che interessa gli ultimi tre anni, si guarderà anche ad alcune tendenze che la caratterizzano. Come terzo obiettivo, si propone, infine, di mettere in luce differenze tra il volontariato in Italia e negli altri paesi europei, dal punto di vista tanto dei caratteri socio-demografici quanto dell’orientamento politico di chi si dedica a tale attività.

Il contributo si struttura come segue. Dopo questa introduzione (par. 1), si ripercorrono dei fondamenti di tipo teorico rispetto al fenomeno associativo, all’impegno civico e al volontariato sociale (par. 2). Si fornisce poi una mappatura su scala europea volta a delineare l’ampiezza dell’azione partecipativa nella popolazione dei diversi paesi (par. 3). A tal fine, si farà uso dei dati demoscopici dell’European Social Survey (ESS), che serviranno anche a esaminare i principali fattori socio-demografici, territoriali, di appartenenza e pratica religiosa, così come degli orientamenti politici che si associano a una maggiore o minore partecipazione al volontariato nel contesto italiano (par. 4). Prima di mettere in luce alcuni limiti del presente contributo e di arrivare ad alcune riflessioni di carattere conclusivo (par. 6), ci si concentrerà sull’azione volontaria svolta dagli italiani e dagli europei nel loro insieme (par. 5), mettendo a confronto i due campioni dal punto di vista dei diversi profili che contraddistinguono chi attualmente si dedica a tale attività.

2. L’impegno civico: premesse teoriche e chiavi di lettura

La partecipazione orientata alla promozione sociale comprende molteplici forme e intreccia diversi ambiti della società (Biorcio, Vitale, 2016). Anche il volontariato in particolare corrisponde a una serie variegata di attività, che spaziano da modalità più o meno istituzionalizzate di impegno civile, tramite associazioni strutturate, imprese sociali, ma anche tramite gruppi informali, azioni collettive o individualizzate, fino alla modalità “personale” dell’impegno volontario (Diamanti, 2003).

Sul piano spaziale il volontariato si esprime nella dimensione locale, ma attraversa anche il livello nazionale fino a toccare l’orizzonte globale. E costituisce, da tempo, un luogo verso cui vari osservatori hanno guardato con interesse, adottando lenti disciplinari diverse. Questo perché il significato assunto dall’agire insieme per il bene comune ha ricadute in sfere differenti, sebbene contigue, della comunità politica organizzata: la polity. Tale agire rimanda all’idea di cittadinanza attiva, le cui pratiche riguardano la qualità stessa della democrazia in una connotazione ampia del termine (Moro, 2015). Inoltre, il cambiamento culturale e l’innovazione sociale, lo sviluppo nello spazio economico, i percorsi d’inclusione democratica e di governo, fino ai servizi assicurati nell’ambito del welfare mix, sono spazi in cui queste forme di impegno possono garantire vitalità e coesione, offrendo anche un potenziale d’innovazione. Si tratta di spazi che, in Italia, hanno visto aumentare in modo vorticoso il numero di lavoratori che in essi trovano un reddito, ma che continuano a essere caratterizzati anche da una significativa quota di volontari, sicuro nell’associazionismo, ma anche nelle cooperative sociali. Circa la metà di queste ultime conosce, infatti, forme di volontariato[1].

Le scienze sociali o, meglio, le varie discipline che guardano alla polis come oggetto di studio, hanno affrontato in modi diversi la tematica dell’impegno civile e associativo. Non sempre, tuttavia, l’essenza espressiva di questo oggetto di studio, ossia lo stare insieme come base per intra-prendere in seguito specifiche azioni, è stato collocato al centro del percorso conoscitivo. Le ondate di ricerca che si sono susseguite storicamente hanno privilegiato aspetti connessi alla dimensione volontaria e alla socialità. Si è studiato il volontariato associativo per comprendere il percorso di formazione della classe dirigente, il collateralismo partitico, la questione di genere e delle generazioni, la professionalizzazione del Terzo settore e le azioni di spin-off e di ricaduta sul territorio, il rapporto tra clientelismo e civismo e, in ultima analisi, il rapporto tra imprese sociali e associazionismo, così come i diversi modelli organizzativi e imprenditoriali nella produzione dei servizi (Vitale, 2024).

Certo, questo tipo di coinvolgimento non costituisce una materia nuova di riflessione; già Alexis de Tocqueville si era distinto come attento osservatore della dinamica associativa negli anni 1831 e 1832 in occasione del suo viaggio in America, in cui ha potuto studiare le istituzioni democratiche a circa sessant’anni dalla Rivoluzione che ha portato alla fine del colonialismo britannico. Nel suo celebre saggio “La democrazia in America” (1835-1840), Tocqueville sottolinea l’importanza assunta dalle associazioni civiche nella vita pubblica statunitense, definendo la pratica associativa come un tratto tipico della neo-nata democrazia oggetto del suo studio e, al contempo, mettendone in luce gli elementi di differenza rispetto al contesto europeo. Venendo al nostro contesto nazionale, Robert Putnam et al. (1993) condusse, negli anni Settanta, un’ormai classica ricerca che mise in evidenza come la presenza di “tradizioni civiche” si rifletteva sul rendimento istituzionale di vari organismi di governo del territorio, in quel caso le regioni. Altre ricerche, invece, hanno messo in rilievo come il modello di sviluppo economico locale trovasse sostegno nelle peculiarità socio-politiche del contesto territoriale e nella relativa presenza di stock di capitale sociale storicamente radicata nella tradizione culturale e nella struttura delle diverse formazioni sociali del paese (Bagnasco, 1977; Trigilia, 1986, 2001). Ancor prima, negli anni Cinquanta, un altro studioso statunitense, Edward Banfield (1958), aveva messo in evidenza la stretta relazione tra una situazione di arretratezza e di povertà che segnava gran parte dell’area del Mezzogiorno e la stessa dimensione culturale e normativa. I risultati di quello studio di comunità, svolto nella cittadina di Montegrano[2], avevano permesso di definire un’importante categoria degli studi socio-politici. È l’intuizione del “familismo amorale”, imperniato sulla scarsa propensione di cittadini a spendersi in attività di tipo collettivo, le quali possono avere una funzione “integrativa” a favore della comunità. Si trattava, in altre parole, di un deficit di risorse, cognitive, espressive, normative utili invece allo sviluppo sociale, politico ed economico di una comunità locale, la cui disponibilità poteva contribuire a stimolare, dal basso, il superamento delle condizioni di povertà e arretratezza a favore del benessere sociale. La debolezza della vita associativa e la mancanza di capitale sociale vengono qui visti come importanti fattori nel meccanismo di regolazione sociale con ricadute sfavorevoli sul territorio. Secondo altri approfondimenti di ricerca che intersecano questa linea interpretativa, in contesti dove lo spirito civico appariva più fragile rispetto ad altri ambiti territoriali, l’associazionismo – di tipo culturale e di formazione politica – ha rafforzato quegli anticorpi sociali atti a contenere i tradizionali condizionamenti del contesto territoriale, come nel caso del Mezzogiorno (Trigilia 1995). L’associazionismo, quindi, come antidoto all’assenza o al ritiro dello Stato e delle istituzioni in ambiti di welfare e non solo.

Durante il tempo della democrazia dei partiti – espressione paradigmatica nel contesto italiano, che fa riferimento a una forte presenza nel territorio e nella cultura delle tradizionali organizzazioni partitiche di massa – questo modello di relazione tra società e politica si è radicato attraverso le strutture proprie di queste forze (sezioni, dirigenti, militanti, con azioni di socializzazione, integrazione e mobilitazione variegate e continue), ma anche mediante associazioni politiche collaterali. Queste ultime erano espressione diretta dell’area politico-culturale del partito politico (come i sindacati o altri specifici gruppi di interesse), oppure si configuravano come una fitta rete organizzativa composta da associazioni appunto collaterali allo stesso partito: socio-ricreative, sportive, artistiche, musicali, religiose, caritatevoli. L’effetto è stato quello di alimentare una specifica atmosfera sociale assicurando, quindi, una coerente riproduzione identitaria. Queste associazioni hanno costituito una trama di centri di aggregazione, presenti in modo capillare sul territorio, diventando vere e proprie agenzie di socializzazione e canali di comunicazione, trasmettendo conoscenze politiche, valori, idee (e ideologie). Vale a dire, trasmettendo riferimenti tra loro coerenti e utili all’interpretazione della realtà e alla costruzione di una visione del mondo. Tali associazioni vanno intese anche come spazi di partecipazione sociale capaci di assicurare una stretta connessione tra dimensione sociale e sfera politica; mobilitando cittadini e cittadine – sia chi appartiene direttamente a quel determinato reticolo associativo o si colloca in prossimità di esso – in occasione di iniziative solidali, manifestazioni su temi di interesse pubblico, oltre che durante le consultazioni elettorali. Non va poi trascurata la diffusione nel ceto politico di figure che si sono formate nelle associazioni collaterali agli stessi partiti, iniziando la propria carriera attraverso l’esperienza partecipativa prima e dirigenziale poi. Questi gruppi associativi si sono dunque configurati come realtà nelle quali “socializzare” candidati, amministratori e personale politico ai loro diversi ruoli. Bisogna, infatti, qui ricordare che la linea di confine tra “associazioni civiche” e “organizzazioni politiche” è in realtà una distinzione più analitica che effettiva. La contiguità tra pratica associativa, volontariato sociale e sfera politica è un aspetto noto. A seconda di come si definisce l’associazionismo, in termini estensivi oppure restrittivi, la dimensione politica caratterizza in modo più o meno netto il fenomeno partecipativo (Armillei, Tirabassi, 1992; van Deth, 2014). Il nesso tra partecipazione civica e coinvolgimento politico è sottolineato anche nel modello di partecipazione di Verba, Schlozman e Brady (1995), il civic voluntarism model. In questo approccio, a partire da precedenti linee di riflessione, viene richiamata l’effettiva contiguità tra queste sfere.

La letteratura ha inoltre messo in luce prospettive diverse sul piano della politica e della democrazia. Le principali letture sulla questione intendono il volontariato come “scuola di democrazia” oppure come “bacino di democrazia”. Nella prima prospettiva, il volontariato viene inteso come uno spazio di socializzazione ai valori democratici della fiducia istituzionale e a quella interpersonale, di coinvolgimento civico dei cittadini e di formazione della classe dirigente, che matura esperienza e competenza politica in questo ambito. Il volontariato assume dunque, secondo questo approccio, un carattere proattivo in termini democratici. Nella seconda interpretazione, invece, il volontariato viene considerato come “conseguenza”, delineando quindi una logica causale inversa. Tale esperienza verrebbe cioè a crearsi prevalentemente in ambienti socio-culturali nei quali i soggetti già condividono quegli orientamenti coerenti con i principi della cittadinanza democratica e poi, proprio su questa base, si impegnano o divengono maggiormente coinvolti nell’esperienza volontaria. Dunque, il volontariato come stimolo democratico, da un lato, oppure come risultante di predisposizioni civiche già condivise, dall’altro. Si tratta, di fatto, di due interpretazioni che, più che escludersi tra loro, si completano, fornendo due chiavi di lettura egualmente utili per leggere il fenomeno del volontariato.

3. Il volontariato nei paesi europei

In questo e nei successivi paragrafi si farà uso di una base dati fornita dall’European Social Survey (ESS). In particolare, quest’analisi si concentra sulle wave 10 e 11, rispettivamente pubblicate nel 2023 e nel 2025. Per queste ultime due edizioni, l’ESS ha introdotto una domanda volta a catturare, in tutti i paesi che hanno aderito all’indagine, il numero di cittadini e cittadine che dichiarano di avere svolto, nel corso dell’anno precedente l’intervista, attività di volontariato in organizzazioni non profit o di tipo assistenziale e caritatevole. I riferimenti possono essere i più vari: dalle ONG umanitarie alle organizzazioni culturali, da organizzazioni di promozione sociale attive nel supporto agli anziani o alle persone con disabilità, a organizzazioni quali Caritas, Save the Children e Croce Rossa, solo per portare alcuni esempi. Nella domanda si esplicita poi anche l’intento con il quale la partecipazione in tali organizzazioni, ovvero quello di migliorare la vita di concittadini e concittadine all’interno del proprio paese di riferimento. Si metterà, quindi, in luce chi ha svolto tali attività anche in maniera occasionale, non retribuita, ma all’interno delle citate organizzazioni, riconoscendo nel fine della propria azione un servizio verso la propria comunità. Ci si aspetta, in ogni caso, di inquadrare il fenomeno in modo diverso rispetto alla lente d’indagine dell’Istat, che, nel 2023, riconosceva 4,7 milioni di italiani attivi nel volontariato (pari al 9,1% della popolazione sopra i 15 anni). D’altra parte, l’ampiezza dell’indagine dell’ESS ci permette di partire da una prospettiva comparata ricca e diversificata, poiché interessa 27 paesi europei, tra cui l’Italia[3].

Si riporta di seguito la percentuale di popolazione coinvolta nel volontariato nell’anno che ha preceduto l’intervista, per paese e in riferimento sia all’indagine del 2023 sia a quella del 2025 e nella Figura 1 una mappa della percentuale di popolazione coinvolta nel volontariato, dividendo i diversi paesi in quattro categorie, divise come segue, dal colore più chiaro a quello più scuro: fino al 10%; dal 10 al 20%; dal 20 al 30%; dal 30 al 39% della Norvegia, il paese che, in Europa, vede la più alta partecipazione nel mondo del volontariato.

Figura 1 - Percentuale di popolazione coinvolta nel volontariato nell’ultimo anno all’interno dei diversi paesi europei

Tabella 1 - Popolazione coinvolta nel volontariato per paese

Paese di riferimento

Popolazione coinvolta nel volontariato (valori %, 2023)

Popolazione coinvolta nel volontariato (valori %, 2025)

Popolazione coinvolta nel volontariato (differenza in p.p., 2025-2023)

AT

28,0

21,3

-6,7

BE

26,1

28,0

1,9

BG

3,5

5,3

1,7

CH

27,8

33,2

5,4

CY

35,7

27,6

-8,0

DE

22,5

27,7

5,3

ES

22,5

20,0

-2,6

FI

31,2

29,6

-1,6

FR

23,8

26,0

2,3

GB

27,2

26,5

-0,7

GR

8,4

6,8

-1,6

HR

9,3

7,9

-1,4

HU

3,9

5,5

1,5

IE

19,5

20,9

1,4

IS

32,7

31,8

-0,9

IT

17,4

14,3

-3,2

LT

14,3

13,2

-1,1

LV

13,8

18,9

5,1

ME

8,0

7,9

-0,1

NL

30,0

31,2

1,2

NO

42,6

38,8

-3,8

PL

19,1

11,0

-8,1

PT

9,1

9,1

0,0

RS

9,4

9,9

0,4

SE

15,5

26,0

10,5

SI

17,1

16,8

-0,2

SK

7,8

6,8

-1,1

Totale

19,8

18,4

-1,4

La media dell’Europa ponderata per il peso demografico di ciascun paese mostra un dato che, nel 2025, supera il 18%, con il valore associato all’Italia che risulta inferiore al dato medio di oltre quattro punti percentuali: 14,3%. Un’essenziale suddivisione su scala europea nei quattro diversi gruppi, sulla base del coinvolgimento nel volontariato, vede nella parte alta della classifica paesi come la già ricordata Norvegia, insieme all’Islanda, ai Paesi Bassi e alla Svizzera: tutti con circa un terzo della popolazione attiva nel mondo del volontariato. Nel secondo gruppo, poco sotto il 30%, troviamo una composizione geografica eterogenea: Finlandia, Belgio, Germania e la Repubblica di Cipro, facente parte dell’Unione Europea. Più in basso, ma sempre in questo gruppo e significativamente sopra la media, troviamo Gran Bretagna, Francia, Svezia, Austria, Irlanda, con un volontariato che interessa da un quarto a un quinto della popolazione del paese. Segue poi la Spagna con esattamente il 20% e paesi che si trovano sulla media europea, come la Lettonia, e altri che vi si trovano sotto, come Slovenia, Italia, Lituania e Polonia, con quest’ultima di poco sopra a un decimo della popolazione impegnato nel volontariato tra il 2024 e il 2025. Da ultimo, si collocano nell’ultimo gruppo e ben al di sotto della media, con un grado di partecipazione inferiore al 10%, Portogallo, Ungheria, Slovacchia, e tutti i paesi balcanici presenti nell’indagine: Serbia, Croazia, Nord Macedonia e Grecia, fino alla Bulgaria, avente il tasso più basso di partecipazione di poco sopra al 5%.

La mappa costruita con i dati della partecipazione volontaria appena citati, suggerisce a un primo sguardo la caratterizzazione del composito puzzle europeo. Benché la gradazione dei colori nella mappa non sia perfettamente riconducibile a una direttrice Nord-Sud, è evidente come, in linea di massima, nell’Europa settentrionale e occidentale – con l’importante eccezione del contesto svizzero, in cui il tasso di volontariato è tra i più alti del continente – vi sia una maggiore proporzione di cittadini e cittadine che prestano il proprio tempo alle attività di volontariato nei rispettivi contesti di vita. Il rapporto diretto e inverso tra ritiro dello Stato, da un lato, e presenza dell’associazionismo volontariato, dall’altro, sembra non reggere davanti a questi dati comparativi a livello internazionale. Si nota invece un rapporto inesistente – che segue altre e diverse linee di consolidamento – oppure opposto rispetto a quello ipotizzato, con un volontariato più forte proprio laddove le istituzioni e il welfare sono più forti. Resta evidente, inoltre, la parte con tonalità più chiare, che si estende soprattutto verso Est. Essa colora anzitutto la zona balcanica. Arriva a lambire a Sud l’area mediterranea greca, e sembra interrompersi, verso Nord, ai confini del contesto polacco, in cui, comprendendo anche i paesi baltici, la partecipazione aumenta leggermente. Inoltre, lo stesso colore chiaro viene assunto dalla frontiera portoghese, a Ovest, aumentando leggermente verso Oriente con la Spagna e l’Italia. Non è operazione semplice spiegare queste differenze a livello “macro”; ma, anche a uno sguardo superficiale della mappa, appare evidente come a una più diffusa disponibilità di risorse materiali all’interno della società corrisponda un più esteso spazio del volontariato.

Di un qualche interesse, infine, ci appare evidenziare il differenziale di partecipazione tra le due wave, quindi tra il 2025 e il 2023[4]. Riportiamo tale dato nell’ultima colonna della Tabella 2. In generale, probabilmente anche a causa della brevità del lasso di tempo preso in considerazione, il tasso di partecipazione nell’insieme del contesto europeo è piuttosto in linea nei due periodi considerati.

Tabella 2 - Popolazione coinvolta nel volontariato in Italia per categoria socio-demografica

Variabile

Popolazione coinvolta nel volontariato in Italia (valori in %, 2025)

Popolazione coinvolta nel volontariato in Italia (valori %, 2023)

Popolazione coinvolta nel volontariato in Italia (differenza in %, 2025-2023)

Genere

     

Uomini

12,9

15,5

-2,6

Donne

15,6

19,2

-3,6

Classe d’età

     

15-29

16,3

16,0

0,3

30-44

12,7

19,6

-6,9

45-54

15,2

19,6

-4,4

55-64

16,8

20,0

-3,2

65+

12,6

14,3

-1,7

Livello d’istruzione

     

Basso

10,2

10,4

-0,2

Medio

17,3

20,4

-3,1

Alto

20,1

30,9

-10,8

Reddito familiare

     

Primo quintile

10,0

15,8

-5,8

Secondo quintile

11,7

17,4

-5,7

Terzo quintile

14,1

16,2

-2,1

Quarto quintile

20,6

20,3

0,3

Quinto quintile

27,5

33,0

-5,5

Rifiuto

10,7

16,4

-5,7

Non sa

15,4

13,2

2,2

Dimensione urbana

     

Grande città

12,4

19,7

-7,3

Sobborghi o periferia di una grande città

16,9

15,4

1,4

Città o cittadina

13,2

15,9

-2,7

Paese o casa in campagna

15,4

18,2

-2,8

Appartenente a religione o confessione religiosa

     

14,9

16,7

-1,8

(Di cui cattolici)

15,6

17,2

-1,6

No

13,0

19,6

-6,6

Pratica religiosa

     

Praticanti assidui

18,0

18,0

0,0

Praticanti saltuari

13,2

17,6

-4,4

Non praticanti

12,3

16,9

-4,6

Totale (%)

14,3

17,4

-3,1

Totale (n)

2.865

2.625

 

Ci sono però differenze, anche ragguardevoli, all’interno dei singoli paesi, che ci restituiscono un’immagine del fenomeno intrinsecamente dinamica. L’Italia vede infatti una diminuzione del volontariato di oltre tre punti percentuali. Più rilevante la diminuzione che ha interessato la Norvegia, che pur mantiene il più alto tasso di partecipazione in Europa, ed è ancor più rilevante la diminuzione che ha interessato lo Stato austriaco. I paesi interessati invece da un più ampio scarto della partecipazione in direzione negativa sono Cipro e la Polonia. Al contrario, Lettonia, Germania e Svizzera hanno visto il volontariato aumentare di oltre cinque punti percentuali, e la Svezia è stata interessata da uno scarto in positivo di 10,5 punti.

In conclusione, guardando a tutto il contesto europeo, l’Italia si caratterizza come un paese con un relativamente basso impatto del volontariato, inferiore alla media, e soprattutto in calo. Pur (ancora?) superiore rispetto a paesi in cui il volontariato sembra essere un fenomeno largamente minoritario, eppure lontana dalla maggior parte dei paesi europei, in cui il volontariato investe una più larga parte della popolazione.

4. Il volontariato in Italia: dimensione territoriale e socio-demografica

In questo paragrafo si vuole rivolgere lo sguardo al caso italiano nello specifico, partendo da una suddivisione di carattere geografico a livello NUTS 1. Il dato per area geografica, nel 2025 e nel 2023, viene qui riportato nell’istogramma in Figura 2. L’adottare una visione “territoriale” parte dal riconoscimento di come il territorio sia variabile strutturale, da un lato, e, dall’altro, generativa di divergenti pratiche e culture civiche. Il territorio, in questa prospettiva, non è solo contenitore dell’impegno, ma anche attore implicito nella sua configurazione, anche laddove essa si configuri come disintermediata e individuale.

Figura 2 - Percentuale di popolazione coinvolta nel volontariato nell’ultimo anno in Italia per area geografica (2023 vs 2025)

In merito ai risultati, a prima vista, emerge immediatamente una divisione classica del territorio italiano, corrispondente al dualismo Nord-Sud – pur recentemente messo in discussione da studi sul capitale sociale con riferimento specifico all’impegno ambientalista (Bellanca et al., 2024) – con il volontariato che interessa in particolar modo le regioni settentrionali e centrali del paese. D’altro canto, però, guardando allo scarto tra i due periodi d’interesse, non può non essere fatta menzione del considerevole calo che ha interessato il Nord-Est del paese, quindi il Triveneto e l’Emilia-Romagna. Un tempo importante “bacino” dell’impegno civico in Italia, tanto per quanto riguarda la tradizione cattolica e quella d’ispiratrice sociale e comunista, con la corrispondente vasta rete associativa, vede oggi l’impegno nel volontariato essersi considerevolmente ristretto. A ciò si accompagna un simile calo nelle Isole del paese e un altro calo, pur di minore entità, nel Mezzogiorno continentale. A oggi, il più alto tasso di partecipazione al mondo del volontariato interessa le regioni centrali dell’Italia, quindi Toscana, Umbria, Marche e Lazio, in controtendenza rispetto a tutte le altre aree geografiche.

Al di là di una suddivisione di carattere meramente geografica, si ritiene sia importante guardare anche a una suddivisione di carattere socio-demografico, così da provare a tratteggiare il profilo di chi, in Italia, più facilmente riesce a dedicare il proprio impegno nell’attività di volontariato. Diamo una prima risposta con il grafico sottostante (Figura 3) e una seconda risposta, che va più nel dettaglio indagando altre categorie e ancora una volta il differenziale tra il 2023 il 2025, a partire dai dati riportati per esteso nella Tabella 2.

Figura 3 - Popolazione coinvolta nel volontariato in Italia per categoria socio-demografica (2025)

In primo luogo, possiamo osservare come il volontariato sia una pratica che, in Italia, interessa più le donne rispetto agli uomini. Da notare, inoltre, come il fenomeno investa i giovani sotto i trent’anni in misura superiore rispetto ad altre classi d’età, e come tale categoria sia l’unica a non aver visto un calo negli ultimi anni (Tabella 2). Al contrario, un minor tasso di volontariato contraddistingue la fascia d’età che va dai 30 ai 44 anni e, presumibilmente per ragioni di diversa natura, quella sopra i 65. Oltre l’età, anche il grado d’istruzione raggiunto mostra importanti differenze, con il grado più alto analizzato – corrispondente ad aver terminato almeno un primo ciclo d’istruzione superiore-terziaria – che si collega a una più ampia partecipazione, pur in notevole calo negli ultimi anni. Si tratta qui non di immaginare relazioni di tipo causale; tale relazione potrebbe, infatti, essere attribuita a una terza variabile, che interessa sia il grado d’istruzione sia la partecipazione civica, come, per esempio, la disponibilità economica o, in senso più ampio, la centralità sociale. Infine, e in apparente direzione inversa rispetto all’ipotesi della centralità sociale come vettore trainante del volontariato, la Figura 3 ci mostra anche interessanti differenze per ciò che concerne la dimensione urbana che interessa i rispondenti. Appare difatti come il volontariato si concentri soprattutto nei piccoli paesi e nelle periferie delle grandi città, con, al contrario, le cittadine e i centri delle grandi città caratterizzati da un minor tasso di partecipazione. In aggiunta, sono proprio le grandi città ad avere subìto un calo più significativo del volontariato tra le due wave. Se, quindi, si può parlare di centralità sociale per chi decide di dedicarsi al volontariato, tale centralità va ristretta al proprio territorio di riferimento.

Visto l’importante ruolo che la religione – quella cattolica soprattutto, ma non solo[5] – ha tutt’oggi e ha avuto nel corso della storia in Italia per ciò che riguarda il volontariato, abbiamo deciso di indagare poi la relazione tra appartenenza o pratica religiosa e il volontariato stesso. Da un lato, i risultati riportati nella Tabella 2, in riferimento al 2023, mettono in discussione in qualche modo tale lettura. Eppure, nel 2025, vediamo che la pratica religiosa, laddove “assidua” – ovvero corrispondente a una pratica almeno settimanale – appare (di nuovo?) strettamente correlata al mondo del volontariato. Adottando dunque una prospettiva temporale, vediamo in realtà come il calo del volontariato in Italia abbia contraddistinto soprattutto chi dichiara di non appartenere ad alcuna religione o confessione religiosa. In misura inferiore ha invece riguardato chi si dichiara appartenente a una religione o confessione religiosa e, infine, vediamo come non vi sia stato alcun calo tra i partecipanti “assidui”.

Tornando al celebre saggio sul familismo amorale di Banfield (1958), ricordiamo la sua sottolineatura su come il deficit di risorse, cognitive, espressive, normative fossero utili allo sviluppo sociale, politico ed economico di una comunità locale, la cui disponibilità poteva contribuire e stimolare, dal basso, il superamento delle condizioni di povertà. In questo caso, la dimensione economica emerge soprattutto come una variabile dipendente, ma può altresì darsi che sia invece da essa che, in parte, dipenda l’impegno di carattere civico, il quale non può, in ultima istanza, essere mai ridotto alla sola dimensione economica. Si può comunque qui ipotizzare che tale dimensione possa essere anche una variabile indipendente con cui spiegare l’ampiezza del fenomeno del volontariato in un determinato contesto. È, infatti, necessario sottolineare come, al peggiorare delle condizioni materiali degli italiani, che ha reso diffusa la categoria dei working poor (Tufo, 2020) sia materialmente più difficile dedicare tempo e risorse personali all’attività di volontariato e all’impegno civico nella sua dimensione di lavoro non salariato. I risultati – pur di carattere sommario e descrittivo, quindi non adatti a stabilire forti relazioni di tipo causale – sembrano confermare questa chiave di lettura, con il 40% più ricco del paese notevolmente più impegnato nel mondo del volontariato rispetto al 60% più povero[6].

5. Differenze del caso italiano rispetto agli altri paesi europei

Si prosegue ora l’analisi delle categorie socio-demografiche in relazione all’attività di volontariato, però in ottica comparativa, guardando quindi alla situazione del caso italiano messa a confronto con la media europea pesata per la popolazione residente in ciascun paese. Nella Tabella 3 si riporta tale confronto con le due percentuali in colonna, e a fianco la differenza tra le due in punti percentuali.

Si è già sottolineato come, guardando a tutta la popolazione di riferimento, le persone coinvolte nel volontariato in Italia siano meno della media degli altri paesi europei. Tale differenza negativa appare particolarmente evidente, in primo luogo, per ciò che riguarda la componente maschile dei due campioni di riferimento. Se, infatti, in Italia sono soprattutto le donne a dedicarsi al volontariato, così non è guardando all’Europa nel suo insieme, in cui non si rileva un’asimmetria di genere. Più uniforme sembra essere anche la distribuzione nel territorio, dal punto di vista della dimensione urbana. Tuttavia, anche la media europea mostra un divario tra i grandi centri urbani e il resto del paese a sfavore dei primi, e indica come siano i piccoli paesi e le periferie delle città i luoghi più interessati dal fenomeno del volontariato. Proseguendo l’analisi con riferimento alle classi d’età, anche in questo caso si nota nel continente una situazione più uniforme rispetto al caso italiano. Nonostante ciò, si ripete uno scarto – anche se meno importante, ovvero di 2,5 punti percentuali contro i 4,2 dell’Italia – a cavallo dei 65 anni d’età, che vede la popolazione più anziana più distaccata da forme d’impegno civico inevitabilmente sorrette da condizioni di buona salute. Al contrario, la differenza tra i livelli d’istruzione è decisamente più marcata nell’insieme del contesto europeo, che vede una differenza sostanziale, di circa 15 punti, tra laureati e non-laureati.

Tabella 3 - Popolazione coinvolta nel volontariato in Italia ed Europa per categoria socio-demografica (2025)

Variabile

Popolazione coinvolta nel volontariato in Italia (valori in %, 2025)

Popolazione coinvolta nel volontariato in Europa (valori in %, 2025)

Popolazione coinvolta nel volontariato in Italia ed Europa (differenza in p.p.)

Genere

     

Uomini

12,9

18,5

-5,6

Donne

15,6

18,2

-2,6

Classe d’età

     

15-29

16,3

18,3

-2,0

30-44

12,7

19,4

-6,7

45-54

15,2

19,8

-4,6

55-64

16,8

18,8

-2,0

65+

12,6

16,3

-3,7

Livello d’istruzione

     

Basso

10,2

12,1

-1,9

Medio

17,3

14,6

2,7

Alto

20,1

28,8

-8,7

Reddito familiare

     

Primo quintile

10,0

16,0

-6,0

Secondo quintile

11,7

17,0

-5,3

Terzo quintile

14,1

19,1

-5,0

Quarto quintile

20,6

21,0

-0,4

Quinto quintile

27,5

26,0

1,5

Rifiuto

10,7

11,5

-0,8

Non sa

15,4

15,0

0,4

Dimensione urbana

     

Grande città

12,4

16,7

-4,3

Sobborghi o periferia di una grande città

16,9

19,8

-3,0

Città o cittadina

13,2

18,4

-5,2

Paese o casa in campagna

15,4

19,0

-3,6

Appartenente a religione o confessione religiosa

     

14,9

16,4

-1,6

(di cui cattolici)

15,6

15,9

-0,4

No

13,0

21,7

-8,7

Pratica religiosa

     

Praticanti assidui

18,0

19,3

-1,3

Praticanti saltuari

13,2

17,7

-4,5

Non praticanti

12,3

19,2

-6,9

Totale (%)

14,3

18,4

-4,1

Totale (N)

2.865

46.162

 

Di notevole interesse sembra essere il dato che riguarda l’appartenenza e la pratica religiosa. In entrambi i casi, la differenza più significativa tra l’Italia e gli altri paesi non riguarda chi si riconosce in una determinata religione e vi dedica una pratica assidua, bensì tra i non-religiosi e i non-praticanti. Da un lato, in Italia, la religione e il cattolicesimo in particolare restano legati a un più ampio impegno nel mondo del volontariato; dall’altro, fuori dall’Italia la relazione è di segno opposto per quanto riguarda la mera appartenenza a una religione, e uniforme tra i praticanti “assidui” e i non-praticanti. Va comunque sottolineato che tali differenze nascondono altre differenze, ovvero quelle tra paesi. Può infatti essere che questi risultati in relazione all’Europa siano frutto di una diversa composizione socio-demografica tra paesi che riportano tassi di partecipazione anche molto diversi tra loro (par. 3).

In relazione al reddito, si ipotizzava nel paragrafo precedente che una spiegazione del diverso grado di volontariato fosse data dalle disponibilità materiali della popolazione. Una lettura dei dati in ottica comparativa, tra l’Italia e il resto dell’Europa, sembra confermare tale ipotesi. Se, infatti, da un lato, all’interno del 40% più ricco della popolazione italiana si nota un grado di volontariato del tutto in linea con la media europea per quanto riguarda questo segmento di popolazione; dall’altro, significative differenze emergono nel 60% più povero, con uno scarto sfavorevole al contesto italiano dai 5 ai 6 punti percentuali. D’altronde, anche altri tipi di partecipazione civica e politica, come quella elettorale, vedono l’insicurezza economica essere associata al disimpegno e all’astensione (Salvarani et al., 2024). È inoltre evidente, rifacendosi alla mappa europea del volontariato (Figura 1) e come già si accennava in precedenza, quanto esso sia diffuso soprattutto nei paesi più ricchi del continente.

Figura 4 - Percentuale di popolazione coinvolta nel volontariato nell’ultimo anno in Italia (2023 vs 2025) ed Europa (2025) per orientamento politico

Da ultimo ci appare di un qualche interesse analizzare, in chiave comparativa, anche l’orientamento politico di chi svolge attività di volontariato. Ciò non per caratterizzare politicamente l’impegno civico poiché, come accennato nel paragrafo teorico, soprattutto l’Italia (ma non solo) ha conosciuto una stretta relazione tra società, associazionismo e organizzazioni che si richiamano, anche indirettamente e fuori dai partiti, alla sfera politica. Per ciò che riguarda, dunque, l’auto-collocazione dei rispondenti sulla scala sinistra-destra – tradizionale misura nell’indagine survey dell’orientamento politico dei cittadini – e coerentemente con l’ipotesi di centralità sociale e con la relazione sopracitata tra impegno civico e politico, vediamo come riconoscersi in uno specifico orientamento sia associato a una più alta partecipazione. Dunque, convinzioni “forti” che si accompagnano a una più alta probabilità d’impegno nel mondo del volontariato, e una sempre presente connessione tra impegno civico e politico – pur “latente” in questo caso – che segue quella già citata tra impegno civico e partecipazione assidua a una pratica religiosa. L’Italia mostra inoltre un vistoso calo proprio nel segmento di popolazione che non si colloca politicamente. Inoltre, sia nel contesto europeo che in quello italiano, ma più in quest’ultimo che nel primo, si vede come a un posizionamento agli estremi della scala sinistra-destra si accompagni un più alto tasso di partecipazione al mondo del volontariato, con differenze di lieve entità tra i due poli. In termini longitudinali, invece, cala soprattutto il volontariato “al centro” e “a sinistra” dello spettro politico, a cui fa da contraltare un lieve aumento “a destra”, per il quale non può essere escluso anche un diverso orientamento all’interno del campione tra un’indagine e quella successiva.

6. Limiti del contributo e riflessioni conclusive

Un limite del presente contributo è quello di non aver differenziato tra volontariato come attività saltuaria, anche molto sporadica, e attività intensa e frequente. Ciò è dovuto ha una scelta di merito, per indagare a fondo lo specifico oggetto d’indagine non limitandolo a quel segmento di popolazione che vi dedica larga parte del proprio tempo. Si tratta poi anche di un limite inerente alla fonte dati scelta, la quale, pur offrendoci una prospettiva comparata su 27 paesi europei in due diversi periodi a distanza di due anni, ci permette di volgere lo sguardo a una sola variabile dipendente. In aggiunta, ci si è soffermati esclusivamente sul volontariato all’interno delle organizzazioni non per scopo di lucro o caritatevoli, e in queste abbiamo guardato solo a chi compie attività senza retribuzione. Si tratta perciò di un’analisi complementare allo studio delle imprese sociali propriamente dette; anche se, va ricordato, le imprese sociali non sono estranee al volontariato così come le organizzazioni non profit in forma associativa non sono estranee alla dimensione economica. Anzi esse mantengono, in Italia, un alto numero – stabile o addirittura in aumento considerando il periodo che va dal 2016 al 2023 – di persone che all’interno di esso riescono a ottenere una forma di retribuzione[7]. Se, quindi, da un lato, abbiamo allargato il campo del volontariato, fino a comprendere anche chi si è dedicato a tale attività una sola volta nell’ultimo anno, dall’altro, l’abbiamo ristretto. Si è, difatti, escluso dall’analisi sia il lavoro salariato, in organizzazioni non profit, sia le attività forse più “personali” dell’impegno civico e volontario (Diamanti, 2003), che può comprendere attività anche fuori da imprese sociali e associazioni propriamente dette. Perciò, i risultati dell’analisi e le conclusioni che si possono trarre vanno necessariamente limitate a questa tipologia del (dinamico e multiforme) fenomeno preso in considerazione. Infine, va precisato che abbiamo guardato al volontariato sempre dal punto di vista di chi vi prende parte, quindi dal punto di vista di cittadini e cittadine, non esplorando in questa sede le organizzazioni in quanto tali, la loro importanza e capillarità nel territorio.

Fatte queste dovute precisazioni sull’oggetto di analisi si può ora dedicarsi ad alcune sintetiche riflessioni conclusive d’insieme. Richiamando la domanda iniziale che ha stimolato questo contributo, qual è, dunque, lo stato del volontariato in Italia oggi? Rispondendo, in primo luogo, in un’ottica comparativa, lo stato del volontariato in Italia non appare in buona salute. Al contrario, nell’analisi empirica effettuata, l’Italia appare come un paese con un impatto del volontariato inferiore alla media dei paesi europei. A ciò si aggiunge un non del tutto marginale calo negli ultimi anni, specie considerando la brevità del periodo preso in considerazione. Tra le varie ragioni a cui può essere attribuito questo calo, oltre a quelle di più lungo periodo, sebbene la nostra base dati non permetta una comparazione empirica di tal sorta, viene in mente la possibilità di una specifica intensificazione del volontariato durante la pandemia di Covid-19. Guardando poi all’interno dell’Italia, suddivisa in aree geografiche, si nota che il calo della partecipazione ha interessato il Sud del paese, comprese Sicilia e Sardegna, ma soprattutto il Nord-Est, che ha visto una considerevole parte del suo “serbatoio” d’impegno civico, un tempo trainante, sparire negli ultimi anni. L’attività di volontariato rimane invece ancorata a un benessere di tipo economico, che permette più agevolmente chi ha un reddito familiare stabile di dedicarsi a un impegno civico non salariato. Se, poi, il volontariato resta ancorato anche a una pratica religiosa assidua, esso cala considerevolmente tra chi dichiara di non appartenere a una religione o confessione religiosa. A tal riguardo, il paragone con il contesto europeo nel suo insieme ci restituisce una prospettiva opposta, poiché in quest’ultimo è più attivo chi non si riconosce in alcuna religione o confessione religiosa.

I risultati del nostro contributo hanno mostrato poi significative differenze di genere, generazione e territorio – da intendersi qui non più come suddivisione macro-geografica bensì come dimensione urbana di residenza di chi si dedica al volontariato. In Italia, sono maggiormente le donne a dedicarsi a tale attività. Sono in gran parte i giovani e chi si trova nella fascia d’età che va dai 55 ai 64 anni. Differenze, queste, di genere e generazione, che appaiono invece meno marcate guardando al contesto europeo nel suo complesso, più uniforme sotto tali punti di vista. L’Europa nel suo insieme è, inoltre, più uniforme riguardo la dimensione urbana in cui prende luogo il volontariato, che, in Italia, sembra essere più diffuso nei piccoli paesi e nelle cinture delle grandi città rispetto alle piccole e medie città e ai centri urbani più importanti della penisola. Sono infatti le grandi città ad avere subìto un calo più significativo del volontariato negli ultimi anni, ed è soprattutto in esse – con l’eccezione, da rimarcare, delle loro periferie, che sembrano vivere una tendenza inversa, anche se di più lieve entità – che il reticolo associativo appare sgretolarsi nei numeri di chi vi partecipa.

Guardando, infine, all’orientamento politico individuale, si nota come un’attenzione verso la politica e un riconoscimento nei confronti di una specifica posizione sul continuum sinistra-destra si accompagni a un più alto impegno civico – una divergenza più accentuata in Italia di quella riscontrata in altre aree d’Europa. Segno di un’integrazione politica e sociale che vanno di pari passo. In linea con ciò e tornando ai fattori socio-demografici, se il volontariato in Italia non gode di buona salute, esso resta in piedi laddove incontra una centralità sociale, per reddito e livello d’istruzione. Oltre che a orientamenti e convinzioni individuali, spesso condizione necessaria per dedicarsi al volontariato, quest’ultimo sembra seguire logiche che riguardano la posizione all’interno di reti sociali, in primis, e che poi riflettono l’effettiva possibilità di dedicare risorse proprie – non ultimo, il tempo – a tale attività. Davanti allo sgretolarsi di molti contesti d’intermediazione e in scia rispetto ad altre aree della vita pubblica, il grado di partecipazione sembra infatti variare a seconda della personale disponibilità di risorse, materiali e immateriali, che s’intreccia con un contesto capace di aprire o chiudere spazi di opportunità, pur al di fuori di strutture “forti” e consolidate. Eppure, l’importante ruolo delle donne e dei giovani, così come il volontariato nelle periferie e nei piccoli paesi, dimostra come il mondo del volontariato, dal punto di vista di chi vi prende parte, sia tutt’altro che uniforme. Bensì talvolta imprevisto e certo non scontato da un punto di vista interpretativo.

DOI 10.7425/IS.2025.04.06  

Bibliografia

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[1] Il riferimento è qui, alle statistiche presentate nell’introduzione di questo numero della rivista Impresa Sociale.

[2] Nome fittizio usato in riferimento alla cittadina di Chiaromonte, in Basilicata.

[3] Il numero di paesi interessati dall’indagine è in realtà più ampio. Si è però deciso di escludere dall’analisi i paesi non europei, come Israele, al di là però dell’appartenenza o meno all’Unione Europea, e i paesi che non hanno preso parte a entrambe le ultime due wave (10 e 11) ,bensì a una sola di esse, come la Cechia. Così da permettere una comparazione longitudinale non “sporcata” da una diversa composizione del campione.

[4] Va precisato che il riferimento ivi riportato è all’anno di pubblicazione della survey. Il processo di raccolta dei dati varia però da paese a paese, e talvolta precede anche di diversi mesi la data di pubblicazione. In riferimento al Round 11 dell’ESS, e pur tenendo conto delle citate differenze tra paesi che impongono cautela nell’interpretazione sincronica di risultati, la fase di raccolta dei dati è avvenuta generalmente tra gli ultimi mesi del 2023 e la prima parte del 2024; e tra gli ultimi mesi del 2021 e la prima parte del 2022 per ciò che riguarda il Round 10. Nello specifico, per l’Italia, i dati sono stati raccolti tra l’ottobre del 2023 e l’aprile del 2024 (Round 11) e tra l’ottobre del 2021 e l’aprile del 2022 (Round 10). Poiché la domanda sul volontariato tiene conto dei dodici mesi che hanno preceduto l’intervista, bisogna quindi far riferimento, nel caso italiano, a dodici mesi che, per la prima rilevazione considerata, partono da un periodo a cavallo tra 2020 e 2021, e da un periodo a cavallo tra 2022 e 2023 per la seconda.

[5] Si pensi qui, come esempio, all’importante ruolo della diaconia valdese oppure, soprattutto in riferimento agli anni più recenti, alla fitta rete associativa dell’Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia (UCOII).

[6] I dati in riferimento al reddito sono riportati nella Tabella 2. Il livello di reddito fa qui direttamente riferimento alla variabile dell’indagine campionaria dell’European Social Survey. Essa misura il reddito del nucleo familiare sulla base di un’autodichiarazione dei rispondenti, al netto della tassazione e in decili – da noi ricodificata in quintili, in cui il quintile più alto rappresenta la fascia di reddito più elevata – calcolati su base nazionale. Poiché, come noto, le domande relative al reddito sono solitamente contraddistinte da un elevato grado di non risposta, abbiamo deciso di includere il dato in percentuale anche di chi non ha risposto e di chi ha dichiarato di non saper rispondere alla domanda.

[7] Si faccia anche qui riferimento, a tal proposito, all’Introduzione di questo numero della Rivista.

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