Sostienici! Rivista-Impresa-Sociale-Logo-Mini
Fondata da CGM
ISSN 2282-1694

Numero 4 / 2025

Editoriale

Impresa sociale e associazioni, tra repulsione e intersezioni

Gianfranco Marocchi

Dalle comuni origini ai percorsi divergenti

Senza dubbio il Terzo settore imprenditoriale (nel nostro Paese, generalmente in forma di cooperativa sociale) e il Terzo settore in forma associativa (OdV e Aps e altri soggetti associativi) nascono da una comune origine e trovano entrambi le radici recenti nei movimenti sociali degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso; e una parte significativa delle imprese sociali – soprattutto quelle con una storia più lunga alle spalle – nasce da evoluzioni di iniziative volontaristiche, che hanno ad un certo punto avvertito la necessità di strutturarsi in forma di impresa (Borzaga, Ianes, 2006; Ianes, Borzaga, 2021).

Ma, come è noto, le linee evolutive di questi fenomeni si sono ad un certo punto separate; come spartiacque simbolico – anche se in verità già allora il Terzo settore imprenditoriale in forma cooperativa aveva assunto una propria fisionomia – possiamo individuare il 1991, con le grandi leggi che hanno riconosciuto e disciplinato il volontariato e la cooperazione sociale (si rimanda a Borzaga, 2009, qui ripubblicato in forma sintetica, per un esame compiuto di questa fase). Dare vita a due soggetti simili negli intenti, ma distinti dal modo con cui tali intenti sono perseguiti è stata una scelta, per molti versi, lungimirante, che ha permesso di sviluppare in modo nitido due differenti vocazioni del Terzo settore italiano, in particolare facendo emergere l’inclinazione imprenditoriale delle cooperative sociali e dando così vita ad un fenomeno – altrimenti con ogni probabilità destinato a rimanere inespresso – che ha reso il nostro Paese un modello per l’Europa.

Manca la controprova di cosa sarebbe accaduto, in positivo e in negativo, se invece che due soggetti – l’uno, composto quasi interamente da volontari; l’altro, da una base sociale multistakeholder, ma sempre a rischio, per simmetria, di centrarsi unicamente sulla partecipazione dei lavoratori – lo sviluppo del Terzo settore avesse proceduto a partire da una grande famiglia di organizzazioni multistakeholder. Ma la storia non si fa con i “se”, e cooperative sociali e organizzazioni di volontariato vennero disciplinati nel 1991 rispettivamente con le leggi 381/1991 e 266/1991, avendo tra i punti che ne rimarcano la differenza proprio la presenza di volontari maggioritaria (OdV) o minoritaria (cooperative sociali); questa seconda previsione portò, tra l’altro, un numero non marginale di cooperative sociali a ricercare soluzioni (ad esempio, la creazione di organizzazioni di volontariato “parallele” alla cooperativa) per adempiere a questa prescrizione. In seguito, come ben descritto nel successivo contributo di Scalvini, il quadro fu completato dal riconoscimento, con la legge 383/2000 di un ulteriore soggetto di grande rilievo, costituito dalle Associazioni di Promozione Sociale, anch’esse maggiormente orientate verso un assetto volontaristico, anche se non prive di spazi più o meno interstiziali in cui sviluppare attività economiche.

Nel corso dei decenni, questi soggetti hanno consolidato culture organizzative e identità specifiche e non appare remoto il rischio che, anche se nominalmente coinvolte in un percorso di convergenza entro la qualifica unificante di ente di Terzo settore, le diverse componenti rimarchino più le differenze che i tratti unificanti.

Un esempio riguarda la discussione sviluppatasi relativamente ai regimi fiscali che, nemmeno in occasione della riforma del Terzo settore, sono stati rimessi in discussione, anche se sarebbe stato ragionevole farlo; come già sostenuto su questa Rivista (Gori, Marocchi, 2021), sarebbe stata del tutto ragionevole l’adozione di un sistema base unificato e fondato sulla natura delle organizzazioni definite come ETS – è tale, ad esempio, la previsione della deducibilità degli utili posti a riserva indivisibile e che, quindi, come ricorda la sentenza 116/2025 della Corte costituzionale (Marocchi, 2025a) diventano patrimonio intergenerazionale destinato a finalità sociali – e il superamento di sistemi orientati alla natura delle singole attività, come la distinzione tra “attività commerciali” e “attività non commerciali”, fragile dal punto di vista sostanziale e poco coerente con il riconoscimento della Riforma di uno status specifico alle organizzazioni. Ma l’esito invece è stato di riprodurre i trattamenti preesistenti.

Allo stesso modo, l’idea, avanzata anche da autorevoli promotori di questa Rivista nella fase di discussione della riforma che sarà poi approvata nel 2016 e recentemente riaffermata (Scalvini, 2023), di considerare lo status di impresa sociale, da attribuirsi in via automatica al Terzo settore che svolge attività di impresa, non venne presa in considerazione per la convergente contrarietà sia della sua componente imprenditoriale, sia di quella associativa: segno che, contro ogni evidenza (è difficile sostenere che un ETS che svolge attività di impresa possa non essere considerato un’impresa sociale) l’identità delle diverse componenti era diventata troppo ingombrante rispetto a possibili evoluzioni.

Non manca una strisciante tensione tra queste diverse anime del Terzo settore, che a tratti collaborano, a tratti esprimono diffidenze reciproche: volontariato e associazionismo occasionalmente considerano la cooperazione sociale come soggetto che ha perduto il ricordo della valenza politica delle proprie azioni e le cooperative sociali talvolta identificano il volontariato come strumento per politiche unfair di contenimento della spesa nel welfare, corresponsabili dello sfruttamento del lavoro sociale.

I dati al contrario e le persistenti intersezioni

Se queste circostanze descrivono lo sviluppo di culture divergenti tra impresa sociale e fenomeno associativo, se si guarda ai dati e alla realtà delle circostanze, a ben vedere i due mondi – il Terzo settore imprenditoriale e quello non imprenditoriale – continuano nei fatti ad avere persistenti punti di contatto. Si provi, ad esempio, a leggere i dati, prevalentemente di fonte Istat, con uno sguardo rovesciato rispetto a quello ordinario. Generalmente, infatti, i commentatori ricercano ed enfatizzano elementi che descrivono la capacità di aggregazione dell’azione volontaria (ad esempio, numero di volontari) da parte del Terzo settore associativo e gli elementi che descrivono la propensione economica (ad esempio, fatturati, occupati) del Terzo settore imprenditoriale; ebbene, si provi a fare il contrario.

Sul fronte dell’associazionismo, i successivi rapporti sull’impresa sociale hanno messo in luce come anche tra le istituzioni non profit in forma associativa (tra cui OdV, Aps e altri soggetti associativi) una quota significativa tragga le proprie risorse prevalentemente da scambi di mercato:

“[…] un modo per comprendere non solo le organizzazioni definibili in senso stretto come imprese sociali, ma tutte le organizzazioni non profit orientate in senso produttivo, anche se prive di dipendenti, è quello di assumerne a riferimento solo la natura delle entrate, distinguendo quelle provenienti da scambi di mercato – inclusi i contratti con le amministrazioni pubbliche – da tutte le altre fonti. Nel 2015, il 33% del totale delle organizzazioni non profit (circa 112 mila enti) apparteneva alla prima tipologia, era cioè market oriented” (Chiaf, 2021, 63).

Questi 112 mila enti, quasi 100 mila dei quali costituiti in forma associativa, costituiscono un bacino di “imprese sociali potenziali” ben superiore alle circa 16 mila unità classificate come tali dall’Istat (per una discussione delle differenti quantificazioni del fenomeno tra fonte Istat e RUNTS, si veda Marocchi, 2025b) e descrive un universo associativo dove la dimensione economica appare niente affatto irrilevante; basti pensare che su 34,8 miliardi di euro di proventi a vario titolo introitati da soggetti con forma giuridica associativa, 20,7 provengono da attività inquadrabili come “scambi di mercato” (Chiaf, 2021, 64).

Questa è, del resto, anche l’esperienza comune di chi entra in contatto con il mondo associativo, incontrando, insieme a soggetti che operano al di fuori di ogni pertinenza economica, anche circoli ricreativi, associazioni sportive, enti operanti in ambito sociale o dell’istruzione che mostrano una più o meno marcata rilevanza economica. E anche i dati Istat evidenziano, come mostra la successiva tabella, che accanto agli oltre 4 milioni di volontari, che costituiscono senza dubbio il dato più caratterizzante del mondo associativo (anche qui, inteso comprensivo di OdV, Aps e altre associazioni), operano nelle associazioni oltre 170 mila lavoratori retribuiti (dato in tendenziale crescita, seppure limitata), elemento che corrobora l’idea che almeno parte del mondo associativo non sia estraneo ad una qualche dimensione economica.

 

Tabella 1 - Lavoratori retribuiti in Istituzioni non profit con forma associativa.

Anno

Lavoratori retribuiti

Istituzioni

2016

154.908

292.174

2017

169.303

298.149

2018

164.162

305.868

2019

163.125

308.085

2020

170.129

309.723

2021

166.356

306.247

2022

171.281

306.408

2023

177.279

314.342

Fonte: nostra elaborazione su dati Istat.

 

Al tempo stesso anche l’idea che la cooperazione sociale abbia reciso ogni legame con l’azione volontaria richiede qualche precisazione. È vero che, se confrontiamo la cooperazione sociale di oggi con quella – a prevalenza volontaria – descritta nelle prime pionieristiche ricerche di Carlo Borzaga relativa alla seconda metà degli anni Ottanta del secolo scorso (due terzi dei membri delle “cooperative di solidarietà sociale” erano volontari), o anche solo con quella rilevata a inizio anni Novanta dal Primo Rapporto sulla cooperazione sociale (33% di volontari sul numero dei lavoratori nel 1992, cfr. Borzaga, Lepri, Scalvini, 1994), il distacco è significativo. Ma se ci riferiamo ai dati, pur non sistematici, che descrivono la cooperazione sociale di metà anni Novanta e li confrontiamo con quelli odierni, constatiamo che: 1) la partecipazione di volontari mantiene caratteristiche simili in questi trent’anni e che 2) essa è sicuramente secondaria, ma non è né irrilevante né invisibile.

Le serie storiche della successiva tabella vanno lette con una certa cautela, con attenzione agli ordini di grandezza piuttosto che ai decimali; soprattutto i dati anteriori al 2005 (non di fonte Istat, ma prodotti da gruppi di ricerca indipendenti) erano raccolti con tecniche di stima pionieristiche (ancorché non paiano troppo incoerenti con gli assai più solidi dati di fonte Istat degli anni successivi) e, anche con riferimento ai dati recenti, va considerato che il numero di volontari (soprattutto se non soci) in una cooperativa sociale può avere talune caratteristiche di volatilità.

Ciò detto, il responso dei numeri è quello che si diceva nelle righe precedenti: non vi è una caduta del volontariato nelle cooperative sociali negli ultimi trent’anni in termini percentuali, malgrado la crescita vorticosa del numero di lavoratori (ancora in atto, diversamente dalle dinamiche che si riscontrano sul numero di cooperative attive, si veda Marocchi, 2024, 2025); e vi è invece una crescita del numero di volontari in termini assoluti che continua in tutto il periodo considerato: i volontari sono oggi quattro volte più numerosi rispetto al 1997. Non cala nemmeno il numero di cooperative sociali nelle quali operano volontari, che continua a non distaccarsi troppo dal 50%.

Tabella 2 – Presenza di volontari nelle cooperative sociali

Anno

Volontari

Lavoratori

%

Cooperative sociali con volontari

Cooperative sociali totali

% cooperative sociali con volontari

Fonte

1997

10.100

92.000

11

 

In generale, vengono riportate nelle indagini di quegli anni percentuali intorno al 50%

Borzaga, Zandonai, 2005, 57

1998

13.000

108.000

12

1999

15.200

127.000

12

2000

16.300

148.000

11

2001

18.100

165.000

11

2002

20.100

183.000

11

2003

23.500

196.000

12

2005

30.478

242.936

13

 

 

 

Istat, 2005, 25

2011

42.368

320.513

13

5.164

11.264

46%

Istat, dati di Censimento sulle istituzioni non profit

2015

43.781

416.097

11

6.784

16.125

42%

Istat, dati di censimento sulle istituzioni non profit – Tavole di dati (Tavola 5)

2021

45.283

477.792

9

7.331

14.969

49%

Istat, dati di censimento sulle istituzioni non profit – Tavole di dati (Tavola 31)

Fonte: nostra elaborazione su dati Istat e su Marocchi (2005).

 

Va inoltre ricordato che, seppure non costituisca come in passato il canale quasi esclusivo di formazione delle imprese sociali, l’evoluzione di iniziative di volontariato in forme di impresa sociale non è affatto scomparso, così come la presenza di associazioni e imprese sociali che procedono in simbiosi, ad esempio, essendo frutto di una medesima matrice culturale e avendo pertanto elementi fondativi comuni, dirigenti condivisi, ecc. Questo appare particolarmente evidente in ambiti di attività innovativi – spesso ciò accade in misura minore nel welfare consolidato – o dove comunque la dimensione politica e la volontà trasformativa rappresentano elementi caratterizzanti.

Le sfide comuni

Dunque, in sintesi: da una parte, abbiamo due linee evolutive che si distaccano tra loro oltre trent’anni fa, che sviluppano culture organizzative, percezioni del proprio ruolo sociale e modelli gestionali diversi, non senza talvolta una qualche diffidenza reciproca; dall’altra, abbiamo dati che documentano la presenza di aree di intersezione non secondarie e persistenti.

E, guardando al futuro, entrambi i soggetti sono sottoposti a tensioni di cambiamento importanti e per certi versi simili. Nel numero 2/2025 di Impresa Sociale si è affrontato il tema del rapporto tra impresa sociale e giovani generazioni, individuando molteplici nodi che possono essere riferiti in pari misura al mondo associazionistico. Sia l’impresa sociale, sia l’associazionismo si confrontano, infatti, con delle giovani generazioni refrattarie ad essere inquadrate nei contenitori tradizionali, che vivono l’impegno in forme meno totalizzanti e più rispettose di altri spazi di vita, che pongono con forza priorità – ambientali e climatiche, di rispetto delle diversità e di non discriminazione, ecc. – che non sempre coincidono con la sensibilità delle organizzazioni esistenti, ecc. In altre parole, tanto l’associazionismo, quanto l’impresa sociale sono chiamati a rimettere in discussione assetti consolidati per intercettare le sensibilità delle nuove generazioni e a confrontarsi con fenomeni di impegno sociale – talvolta intermittente e fluido – che si realizza al di fuori dei tradizionali canali organizzati.

Al tempo stesso vi sono contesti che stimolano Terzo settore imprenditoriale e associativo a cimentarsi con nuove possibili sinergie: si pensi all’amministrazione condivisa, le cui esperienze virtuose vedono integrarsi nella progettazione e nella gestione diversi soggetti di Terzo settore o all’enfasi, ben richiamata in questo numero anche da Donati e Polizzi, su dimensioni quali la comunità e la prossimità, che sollecitano la compenetrazione tra lavoro professionale e volontario, tra dimensione strutturata e attivazione comunitaria.

E proprio per questo ha senso che una rivista come Impresa Sociale, luogo che nel corso dei decenni ha raccolto analisi ed elaborazioni relative all’impresa sociale, ospiti il gruppo di ricercatori che ha collaborato al 10° Rapporto IREF sull'Associazionismo Sociale - La prospettiva civica: L’Italia vista da chi si mette insieme per cambiarla (Caltalbiano, Vitale, Zucca, 2024) invitandolo a rileggere i dati della propria ricerca alla luce delle relazioni tra fenomeni associativi e imprese sociali.

È, per la Rivista, un viaggio ai confini dell’impresa sociale, incontrando un mondo al tempo stesso vicino e lontano dall’impresa sociale, in un contesto in cui – contraddittoriamente – convivono la tensione alla distinzione (evidente, ad esempio, nella difesa di trattamenti fiscali specifici) e la ricerca di ricomprendere questi ed altri fenomeni entro insiemi più ampi come il Terzo settore e, recentemente, l’economia sociale.

I contributi di questo numero

Borzaga, in un saggio del 2009 parzialmente ripubblicato in questo numero, inquadra la parabola del volontariato e dell’impresa sociale mettendo in luce le origini comuni e poi i percorsi di sviluppo e le scelte normative che ne hanno determinato prima la separazione e poi l’insorgere di reciproche diffidenze; evidenzia altresì come malgrado questo esito i due fenomeni mantengano punti di contatto sui quali è possibile far leva per riorientare le relazioni tra i due fenomeni in termini di complementarità.

Piromalli e Zucca evidenziano il ruolo del Terzo settore – sia quello associativo, sia quello imprenditoriale – nel ripensare le città: “Il Terzo settore, nelle sue diverse componenti, è dunque un soggetto capace di influire sulle visioni di città: producendone di proprie, contestandone alcune, promuovendone altre. Poco conta che ciò avvenga con campagne informative, iniziative gratuite, azioni dirette; oppure, attraverso una start-up sociale, un nuovo servizio, una cooperativa. L’azione sociale, più o meno economicamente orientata, delle organizzazioni di Terzo settore implica una qualche forma di futuro urbano”. Gli autori individuano, a seguito di analisi empirica, tre visioni urbane sottostanti questa azione trasformativa promossa da associazioni e imprese sociali, la “città dell’equità”, la “città della cura” e la “città della produzione”.

Caltabiano e Ficcadenti si interrogano su come i soggetti di Terzo settore possano conservare una carica trasformativa a fronte delle pressioni isomorfiche esercitate da Stato e mercato. L’analisi è condotta grazie a nove studi di caso che testimoniano la capacità dei protagonisti di portare nel dibattito pubblico istanze di cambiamento sociale, compresi i casi in cui ciò si esprime con una dialettica conflittuale. Nei casi studiati, la valenza trasformativa non si esprime sotto forma di cambiamento sociale complessivo, ma di small wins, piccole conquiste che però evidenziano modelli di cambiamento possibile. Incidentalmente, va notato che, sebbene i casi analizzati si attuino sotto forma associativa, molti di essi potrebbero, potenzialmente, evolversi in forma di impresa sociale, laddove si verificassero i presupposti, soprattutto culturali, per considerare questo tipo di esito.

Volterrani, similmente a Piromalli e Zucca, individua nelle concrete alleanze a livello territoriale – ancor più, nei contesti liminali, ai margini, ma proprio per questo laboratori aperti alla costruzione di nuove regole – il terreno di incontro tra Terzo settore imprenditoriale e associativo, superando la contrapposizione tra volontariato e impresa, tra spontaneità e professionalità. In questo incontro non sono escluse tensioni e conflitti, ma questi possono diventare occasione per la definizione di apprendimento collettivo e di costruzione partecipata. In un’epoca segnata da sfiducia istituzionale, le reti di cooperazione civica così costruite contribuiscono ad un modello di democrazia “densa”, fondata sulla cura dei legami.

I successivi tre saggi approfondiscono diversi aspetti dell’azione volontaria, prima esaminando i dati generali italiani ed europei (Bordignon, Ceccarini, Salverani), poi affrontando il tema del profilo dei volontari (Pratschke, De Falco) e delle loro motivazioni (Boldrini, Mete, Milano).

Bordignon, Ceccarini e Salverani confrontano il fenomeno dell’attivazione civica nei diversi Paesi europei, evidenziando le specificità del nostro Paese. In Italia, il numero di volontari è inferiore, per effetto soprattutto della minore partecipazione maschile. Ancora, in Italia vi è un’esigua partecipazione ad attività volontarie da parte delle classi di età centrali (30-54 anni), delle persone con una maggiore istruzione e di reddito basso. Altro aspetto radicato nella cultura del nostro Paese è l’associazione del volontariato con la pratica religiosa e la minore attivazione, quindi, delle persone estranee dalle diverse confessioni religiose (e delle persone che non esprimono una collocazione politica marcata).

Pratschke e De Falco riflettono sulle forme con cui i cittadini si attivano in quattro città italiane: Milano, Firenze, Roma e Napoli. I ricercatori evidenziano il protagonismo dei nuovi ceti medi – istruiti, culturalmente attivi e propensi all’innovazione – e come tali forme di attivazione si concentrino in specifiche aree della città, per poi esaminare il profilo socio-economico dei cittadini maggiormente attivi. Questi profili, che non sono probabilmente diversi da quelli che caratterizzano le imprese sociali, pongono la questione di come evitare di creare una sorta di neo-paternalismo civico e di coinvolgere in prima persona le classi marginali a favore delle quali il Terzo settore si propone di operare, cosa che avviene, ad esempio, in alcune esperienze collettive di riutilizzo di beni comuni.

Boldrini, Mete e Milano analizzano i profili motivazionali dei volontari individuando dei “cluster motivazionali” (il cluster spinto da motivazioni prosociali, quello ad orientamento politico civico, il cluster multimotivato e il cluster a bassa intensità motivazionale) ed esamina il rapporto di ciascuno di questi gruppi con la politica – in un contesto, come è noto, dove i sentimenti antipolitici sono sempre più diffusi. Per la lettura trasversale che si sta qui proponendo, è il caso di notare che tra i “multimotivati” (diversamente dagli altri tre gruppi) si trovano coloro che, insieme ad altre motivazioni, trovano un collegamento tra la dimensione volontaria e l’arricchimento professionale e che potrebbe costituire un terreno di collegamento tra il fenomeno associazionistico e il tentativo di tradurre in termini professionali il proprio impegno sociale.

Gli ultimi due saggi provano a ricomporre il quadro del rapporto tra Terzo settore associativo e Terzo settore imprenditoriale.

Donati e Polizzi ripercorrono, anche rifacendosi al saggio di Borzaga qui ripubblicato, la relazione tra impresa sociale e Terzo settore associativo. Fenomeni partiti da una comune origine essi sono passati dalla simbiosi, alla separazione, all’incomprensione; ora si tratta di capire se, pur essendoci vari e importanti motivi di divergenza, impresa sociale e Terzo settore associativo siano in grado di sviluppare un rapporto di complementarità e di reciproco stimolo soprattutto su terreni, come la costruzione del welfare di comunità, il superamento della frammentazione organizzativa, l’amministrazione condivisa, che richiedono ai soggetti di Terzo settore di sviluppare intrecci e convergenze.

Anche Scalvini prende le mosse dalla comune origine del Terzo settore associativo e di quello imprenditoriale, aggiungendo però alcuni elementi relativi alle Associazioni di Promozione Sociale, considerate come soggetto ibrido tra volontariato e cooperazione, spesso scelto per l’opportunità che esso offre di svolgere attività economiche in ambito sociale e culturale in forma semplificata rispetto alla cooperazione sociale. Si evidenzia come il compimento della parte fiscale della riforma e il riconoscimento, quindi, alle imprese sociali della detassazione degli utili potrebbe aprire una fase nuova; l’opzione tra le diverse forme di Terzo settore potrà essere maggiormente orientata all’effettiva vocazione degli associati invece che alla ricerca di regimi fiscali incentivanti.

Bibliografia

Borzaga, C. (2009). Volontariato e impresa sociale. Impresa Sociale, 4, disponibile online all’indirizzo https://rivistaimpresasociale.s3.eu-central-1.amazonaws.com/archivio-rivista/Impresa-Sociale-2009-4.pdf.

Borzaga, C. & Ianes, A. (2006). L’economia della solidarietà. Storie e prospettive della cooperazione sociale. Roma, Donzelli.

Borzaga, C., Lepri, S. & Scalvini, F. (1994). Primo Rapporto sulla cooperazione sociale. Milano, Edizioni CGM.

Borzaga, C. & Zandonai, F. (a cura di) (2005). Beni comuni. Quarto Rapporto sulla cooperazione sociale in Italia. Torino, Edizioni Fondazione Giovanni Agnelli.

Borzaga, C. (2009). Volontariato e impresa sociale. Impresa Sociale 4/2009.

Caltabiano, C., Vitale, T. & Zucca, G. (a cura di) (2024). La prospettiva civica. L’Italia vista da chi si mette insieme per cambiarla. Milano, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli Editore.

Chiaf, E. (2021). Il contributo dell’impresa sociale alla creazione di valore e all’occupazione. Aspetti quantitativi e qualitativi. In Borzaga, C. & Musella, M. (2021). L’Impresa Sociale in Italia. Identità, ruoli e resilienza. IV Rapporto Iris Network. Trento, Iris Network, disponibile online all’indirizzo  https://irisnetwork.it/wp-content/uploads/2021/04/IV-Rapporto-IS.pdf

Ianes, A.& Borzaga, C. (2021). La cooperazione sociale e il volontariato organizzato. Un tornante della storia. Impresa Sociale, 4, disponibile online all’indirizzo https://www.rivistaimpresasociale.it/rivista/articolo/la-cooperazione-sociale-e-il-volontariato-organizzato

Gori, L. & Marocchi, G. (2021). La riforma del Terzo settore tra unità e differenziazione. Impresa Sociale, 2, disponibile online all’indirizzo https://www.rivistaimpresasociale.it/rivista/articolo/riforma-terzo-settore-tra-unita-e-differenziazione

Istat (2005). Le cooperative sociali in Italia. Disponibile online all’indirizzo https://lipari.istat.it/digibib/Pubblica%20Amministrazione/Cooperative%20sociali%20in%20italia%202005.pdf

Istat (2017). Tavole di Dati. Disponibile online all’indirizzo https://view.officeapps.live.com/op/view.aspx?src=https%3A%2F%2Fwww.istat.it%2Fwp-content%2Fuploads%2F2017%2F12%2FTavole_noprofit.xlsx&wdOrigin=BROWSELINK

Istat (2024). Tavole di dati – Anno 2021. Disponibile onlinea all’indirizzo https://view.officeapps.live.com/op/view.aspx?src=https%3A%2F%2Fwww.istat.it%2Fwp-content%2Fuploads%2F2024%2F04%2Ftavole_non-profit.xlsx&wdOrigin=BROWSELINK

Marocchi, G. (2005). Le traiettorie di sviluppo della cooperazione sociale. In Borzaga, C. & Zandonai, F. (a cura di) (2005). Beni comuni. Quarto Rapporto sulla cooperazione sociale in Italia. Torino, Edizioni Fondazione Giovanni Agnelli.

Marocchi, G. (2024). Le dimensioni della cooperazione sociale: numeri, evoluzioni e articolazioni del fenomeno. In Impresa Sociale, 4/2024. Disponibile online all’indirizzo https://www.rivistaimpresasociale.it/rivista/articolo/le-dimensioni-della-cooperazione-sociale-numeri-evoluzioni-e-articolazioni-del-fenomeno

Marocchi, G. (2025a). La sentenza che Carlo Borzaga avrebbe amato. Forum di Impresa Sociale, pubblicato online il 12 agosto e disponibile all’indirizzo https://www.rivistaimpresasociale.it/forum/articolo/la-sentenza-che-carlo-borzaga-avrebbe-amato

Marocchi, G. (2025b). Dati Istat, gli aggiornamenti sulle imprese sociali. Forum di Impresa Sociale, pubblicato online il 16 ottobre e disponibile all’indirizzo https://www.rivistaimpresasociale.it/forum/articolo/dati-istat-gli-aggiornamenti-sulle-imprese-sociali

Scalvini, F. (2023). Le nuove forme d’impresa sociale. Osservatorio enti religiosi e non profit, pubblicato online il 22 giugno e disponibile all’indirizzo https://www.osservatorioentirnp.it/w/avv.-f.-scalvini%7C-le-nuove-forme-d-impresa-sociale

Sostieni Impresa Sociale

Impresa Sociale è una risorsa totalmente gratuita a disposizione di studiosi e imprenditori sociali. Tutti gli articoli sono pubblicati con licenza Creative Commons e sono quindi liberamente riproducibili e riutilizzabili. Impresa Sociale vive grazie all’impegno degli autori e di chi a vario titolo collabora con la rivista e sostiene i costi di redazione grazie ai contributi che riesce a raccogliere.

Se credi in questo progetto, se leggere i contenuti di questo sito ti è stato utile per il tuo lavoro o per la tua formazione, puoi contribuire all’esistenza di Impresa Sociale con una donazione.