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ISSN 2282-1694
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Saggi brevi

Quanto sono plurali le imprese sociali?

Luigi Corvo, Lavinia Pastore, Andrea Sonaglioni

Impresa sociale e gender gap

Francesca Picciaia

Casi studio

I 30 anni del Gruppo cooperativo Cgm

Alberto Ianes

I 20 anni di Avanzi

Flaviano Zandonai

I 10 anni di Lama

Flaviano Zandonai

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Spazi fuori dal comune

Flaviano Zandonai

Numero 9 / 2017

Saggi brevi

Impresa sociale e gender gap: un'analisi sulle cooperative sociali italiane

Francesca Picciaia

Abstract

Sebbene sia ormai accertato il ruolo centrale delle donne, in materia di imprenditorialità, in relazione allo sviluppo di una nazione, alla parità di genere e alla stabilità sociale, la situazione globale mette in evidenza ancora un persistente gap di genere nelle iniziative imprenditoriali. In generale è possibile affermare che “business has always been gendered” (Gamber, 1998) e che l’ambiente di riferimento ha sempre svolto un ruolo centrale nello sviluppo e nella crescita delle iniziative imprenditoriali femminili. Approcciare lo studio dei fenomeni imprenditoriali non può pertanto prescindere dall’analisi del contesto e dall’introduzione di aspetti istituzionali, sociali e culturali. A partire da queste considerazioni teoriche, diversi studi, incentrati principalmente sulle realtà for profit, hanno approfondito la tematica dell’imprenditoria di genere attraverso una “lente multilivello”, sottolineando le interconnessioni tra gli elementi macro e micro. Recentemente l’interesse alla tematica si è esteso anche al settore non profit, come dimostrano numerosi studi e alcuni tentativi di mappatura del fenomeno.

Il presente lavoro ha lo scopo di contribuire al dibattito sull’imprenditoria di genere e terzo settore attraverso un’indagine sulle cooperative sociali italiane: all’interno dell’approccio istituzionale e multilivello, si cercherà di individuare gli elementi che influenzano la creazione e l’attività di una cooperativa sociale, nonché la relazione tra genere e aspetti di natura organizzativa, strutturale e gestionale.


Though the central role of women in terms of entrepreneurship is now accepted – in relation to the development of a nation, gender equality and social stability – the global situation still highlights a persistent gender gap in entrepreneurial initiatives. It is possible to assert that "business has always been gendered" (Gamber, 1998) and that the social background has always played a central role in the development and growth of female entrepreneurial initiatives. In order to approach the study of entrepreneurial phenomena therefore we can’t forget the analysis of the context and the introduction of institutional, social and cultural aspects. Starting from these theoretical considerations, several studies, mainly focused on for-profit realities, have deepened the theme of gender entrepreneurship through a "multi-level lens", underlining the interconnections between the macro and micro elements. Recently, interest in that issue has also extended to the non-profit sector, as demonstrated many studies and some attempts to map the phenomenon.

This paper aims to contribute to the debate on gender entrepreneurship and third sector through a survey on Italian social cooperatives: within the institutional and multilevel approach, we will try to identify the elements that influence the creation and the activities of a social cooperative, as well as the relationship between gender and aspects of organizational, structural and management nature.

Introduzione

L’iniziativa imprenditoriale è a tutti gli effetti un elemento cruciale per la crescita economica e la creazione di occupazione (Blanchflower, Oswald, 1998; Parker, 2009); oltre ad una funzione legata allo sviluppo economico (Minniti et al., 2005; Brush et al., 2006), gli studiosi sono concordi nel riconoscere all’imprenditorialità al femminile, in particolare, un apporto fondamentale per l’incremento dell’uguaglianza di genere e la stabilità sociale (UN Women, 2015). Tuttavia il divario tra iniziative imprenditoriali maschili e femminili è tutt’ora molto ampio (European Parliament, 2015), presentando, nel 2012, un tasso medio di donne titolari di azienda nell’Unione Europea intorno al 29%, coerentemente con quanto avviene nel resto del mondo, dove tale rapporto si attesta intorno ad un terzo del totale (McClelland et al., 2005).

In generale è possibile affermare che “business has always been gendered” (Gamber, 1998: 216) ed il contesto di riferimento ha sempre svolto un ruolo centrale nello sviluppo e nella crescita delle iniziative imprenditoriali femminili (Doe, 2017). Eagly e Crowley (1986) affermano che la prevalenza degli uomini in campo imprenditoriale è essenzialmente legata alla cultura e alla struttura sociale – che definiscono comportamenti socialmente accettabili per uomini e donne – e non a una predisposizione biologica. In tal senso, l’imprenditorialità “takes place and has effects on different societal levels simultaneously” (Davidsson, Wiklund, 2001: 81), e “individual orientations are enmeshed and molded by economic, legal, normative and societal environments, supporting the thesis of entrepreneurship embedded-ness in specific social-cultural context” (Jamali, 2009: 233).

Approcciare lo studio dei fenomeni imprenditoriali, pertanto, significa non poter prescindere dall’analisi del contesto (Welter, 2010) e dall’introduzione di aspetti istituzionali, sociali e culturali (de Bruin et al., 2007), all’interno del più ampio e ben conosciuto institutional framework (North, 1990; Powell, DiMaggio, 1991; Meyer, Rowan, 1991; Scott, 1995, 2008, 2010).

A partire da queste considerazioni teoriche, diversi studi, incentrati principalmente sulle realtà for profit, hanno iniziato ad approfondire la tematica dell’imprenditoria di genere attraverso una “lente multilivello”, sottolineando le interconnessioni tra gli elementi macro (istituzioni normative, stereotipi maschili, sostegno dei governi, grado di sviluppo di un Paese) e quelli micro (valori e aspettative, credenze, motivazioni, capacità di riconoscimento delle opportunità) (Jamali, 2009; Elam, Terjesen, 2010; Klyver et al., 2013).

Recentemente si è registrato un aumento di interesse per le tematiche di gender entrepreneurship anche nel settore non profit, come dimostrano numerosi studi (Themudo, 2009; Hechavarria et al., 2012; Humbert, 2012; Huysentruyt, 2014; Urbano Pulido et al., 2014; Nicolás, Rubio, 2016) e alcuni documenti (European Parliament, 2015) e progetti europei (WEstart, 2015) finalizzati alla mappatura del fenomeno.

Il presente lavoro intende contribuire al tema attraverso un’indagine sulle cooperative sociali italiane; all’interno dell’approccio istituzionale e multilivello, si è cercato di individuare gli elementi che influenzano la creazione e l’attività di una cooperativa sociale, nonché la relazione tra genere e aspetti di natura organizzativa. L’indagine è stata condotta attraverso la creazione di un purposeful sample di otto cooperative sociali italiane gestite da donne, e si è concentrato sulla ricerca delle motivazioni, dei vincoli e delle opportunità alla base dell’iniziativa imprenditoriale e il rapporto tra genere, attività svolta e organizzazione.

Il paper è strutturato come segue. Dopo una descrizione del framework teorico e dell’analisi della letteratura sulle tematiche di genere e imprenditorialità nel terzo settore, viene presentata l’indagine sulle cooperative sociali femminili, di cui si discuteranno i principali risultati, per chiudere con alcune riflessioni e implicazioni future.

Framework concettuale

Negli ultimi anni vari studi si sono concentrati sul tema dell’imprenditorialità femminile proponendo nuove direzioni di analisi (Ahl, 2006; Hughes et al., 2012; Marlow, 2014), con particolare attenzione ad un ricerca multilivello in cui il fenomeno fosse considerato come un insieme interconnesso di elementi micro, meso e macro (de Bruin et al., 2007; Brush et al., 2009; Jamali, 2009; Welter, 2010; Jennings, Brush, 2013). In tal senso, si riconosce che ogni organizzazione – anche quella di natura sociale – è influenzata da diversi “ambienti” (istituzioni), strutturati e organizzati secondo differenti modalità (Scott, 2010).

In un recente lavoro, Bruton e colleghi (Bruton et al., 2010) sottolineano l’importanza dell’approccio “istituzionale” per l’analisi di un’ampia varietà di fenomeni, in particolare quelli di impresa, essendo particolarmente adatto per spiegare le forze che influenzano e determinano il successo imprenditoriale, a di là dell’utilizzo di risorse di tipo organizzativo.

Secondo North (1990), l’istituzione rappresenta “a guide to human interaction” e “the humanly devised constraints that shape human interaction” (p. 3): l’ambiente istituzionale, in tal senso, essendo il luogo dove si collocano le attività di un individuo, contribuisce a determinare le interazioni dello stesso. In particolare vengono distinte regole formali e informali, le prime spesso complementari alle seconde. La combinazione di entrambe definisce l’istituzione e fornisce la base per continue trasformazioni dell’istituzione stessa.

Scott (1995, 2008, 2010) riassume le forze istituzionali in tre categorie: regolative, normative e cultural-cognitive, “that provide stability and meaning to social life” (2008: 48). La prima classe riguarda la legislazione e si concentra sulla capacità delle istituzioni di limitare e regolare i comportamenti, attraverso norme e sanzioni. La seconda è rappresentata dalle regole che prescrivono diritti e doveri basati su interazioni sociali, professionali e organizzative (Bruton et al., 2010), mentre la categoria cultural-cognitiva è legata alle percezioni e alle decisioni individuali. Questi elementi sono profondamente intrecciati e interdipendenti l’uno dall’altro (Scott, 2008); il risultato è che le istituzioni così individuate determinano ciò che è appropriato o meno in un certo comportamento e rendono accettabili o meno certe azioni (Powell, DiMaggio, 1991) all’interno di un dato ordine sociale.

Review della letteratura

Storicamente gli studi su gender gap e imprenditorialità si sono concentrati sulle imprese for profit – soprattutto di grandi dimensioni – sebbene recentemente vi sia un’attenzione sempre maggiore al ruolo delle donne nel settore non profit, in termini di gestione, forza lavoro e, più in generale, di iniziativa imprenditoriale. I risultati di vari studi confermano che anche nel terzo settore esiste un divario tra donne e uomini, le prime sotto-rappresentate in ambiti gestionali e sottopagate rispetto ai colleghi maschi (Gibelman, 2000; Mesch, Rooney, 2008), sebbene, rispetto alle imprese for profit, siano numericamente prevalenti e il divario retributivo sia minore (Leete, 2000; Faulk et al., 2013; Preston, Sacks, 2010), con notevoli differenze, tuttavia, in relazione ai Paesi (Huysentruyt, 2014) e ai settori (Faulk et al., 2013; McGinnis, 2011; Salamon, Sokolowski, 2016).

In particolare negli studi su gender e terzo settore prevalgono i temi della disparità nelle posizioni di leadership, della differenza salariale e della composizione della forza lavoro, con un’attenzione specifica ai paesi anglosassoni (Gibelman, 2000; Mesch, Rooney, 2008; Sampson, Moore, 2008).

Dall’altra parte, vari studi hanno riguardato la sovra-rappresentazione (come forza lavoro) delle donne nel settore non profit. Le ragioni sono legate a diversi fattori, come la cosiddetta labour donation theory (Preston, 1989) per cui, dal momento che i salari nelle organizzazioni non profit tendono a essere inferiori, questo divario è considerato una sorta di donazione, attraverso la fornitura di beni e servizi con esternalità sociali. Altre possibili spiegazioni sono legate alla natura e alla tipologia del lavoro (tipicamente femminile), ai valori e premi intrinseci, alla grande offerta dei cosiddetti family-friendly benefits, all’opportunità di contratti di lavoro part-time e di settimane lavorative più brevi (Conry, McDonald, 1994; Lanfranchi, Narcy, 2015).

Nell’ambito dell’imprenditoria sociale, in termini di propensione e barriere di genere, la letteratura converge sull’esistenza di un divario tra approccio maschile e femminile, in particolare per quanto riguarda le caratteristiche personali e le opportunity recognition: gli uomini sono più legati a obiettivi di natura economica rispetto alle donne (Hechavarria et al., 2012; Nicolás, Rubio, 2016; Themudo, 2009), mentre queste ultime sono più portate a comportamenti altruistici, di natura sociale e ambientale (Eagly, Crowley, 1986; Eckel, Grossman, 1998; Huysentruyt, 2014; Urbano Pulido et al., 2014) e ad attività di volontariato (DiMaggio, Louch, 1997) con una avversione per la competizione e la concorrenza (Huysentruyt, 2014). Si segnala comunque la scarsità di analisi su altri elementi che possono presentarsi nella creazione di un’impresa sociale da parte di una donna (Gras et al., 2011; Humbert, 2012).

Una ricerca di Shaw e Carter (2007) – nonostante si concentri sull’imprenditoria sociale in generale e non femminile nello specifico – dimostra che esistono cinque fattori chiave che influenzano il processo di creazione di un’impresa sociale: riconoscimento delle opportunità, presenza di network, elementi di natura finanziaria, ruolo dell’imprenditore sociale, creatività e innovazione. In particolare, la loro analisi sottolinea che il riconoscimento di un divario nell’erogazione di servizi costituisce la forza trainante della creazione di un’impresa sociale, che risulta profondamente radicata nel territorio e ha molteplici fonti di finanziamento. Tutti gli imprenditori sociali che hanno partecipato all’indagine indicano inoltre il loro ruolo di forza trainante, mentre creatività e apertura mentale vengono viste come caratteristiche fondamentali della loro attività.

Molti di questi elementi si ritrovano anche in un recente policy brief del Parlamento Europeo (European Parliament, 2015), che conferma un divario di genere inferiore nelle imprese sociali rispetto alle imprese for profit, oltre che il ruolo cruciale svolto da ogni sistema giuridico nazionale nello sviluppo delle attività femminili, nonché la maggior complessità di accesso a finanziamenti per le imprese sociali.

Metodologia della ricerca

La presente ricerca, di tipo qualitativo, propone i risultati di un’indagine condotta nell’estate del 2016 su un campione di cooperative sociali italiane. Ai fini dello studio, come campione è stato scelto un cosiddetto purposeful sample (Patton, 2002); si tratta di una tecnica di campionamento non probabilistica – spesso caratterizzata da un piccolo numero di unità – utilizzata nella ricerca qualitativa per concentrarsi su particolari caratteristiche di una determinata popolazione scegliendo casi information rich. Il campione deve essere coerente con gli obiettivi e le ipotesi della ricerca e il numero dei casi dovrebbe rispettare il criterio di saturazione (vale a dire che essi debbono rappresentare l’intera popolazione e la loro analisi deve permettere di comprendere e coprire tutti gli argomenti) (Miles, Huberman, 1994).

Le cooperative sociali sono state scelte analizzando le organizzazioni con maggioranza di soci donne e con una donna nel ruolo di presidente. Come indicato nella Tabella 1, il campione comprende 8 cooperative sociali italiane (tipo A, tipo B e A + B), fondate nei cinque anni precedenti (per evidenziare le eventuali difficoltà nella fase di avvio), tuttora in attività.

Tabella 1. Principali informazioni sul campione

È stato poi predisposto un questionario elettronico che, in base a quanto indicato da Fowler (2014), è stato pre-testato da due colleghi e da due donne con caratteristiche simili a quelle dei potenziali intervistati, al fine di ricevere suggerimenti e feedback. Sono state contattate quindi le cooperative sociali per ottenere l’indirizzo di posta elettronica del presidente al quale è stato inviato direttamente il questionario. Le informazioni sono state organizzate in tre diverse sezioni: informazioni generali sulla cooperativa sociale; informazioni personali sul presidente; cooperazione sociale e divario di genere, quest’ultima strutturata secondo il framework concettuale, allo scopo di evidenziare elementi culturale-cognitivi (identificazione delle opportunità, motivazioni, credenze personali etc.) e normativo-regolativi (ruolo della famiglia e di altre istituzioni, comportamenti sociali, situazione economica etc.).

Per le prime due parti, relative alle informazioni oggettive sulle organizzazioni (numero di membri, anno di fondazione, attività principale, etc.) e alle informazioni personali del presidente (età, status sociale, istruzione, precedente esperienza lavorativa) sono state strutturate domande aperte, mentre nella terza sezione sono state inserite domande a scelta multipla. Le alternative di risposta sono state pensate sulla scorta della letteratura precedentemente presentata e, nonostante la scelta multipla abbia il limite di “suggerire” la risposta, tali opzioni offrono al rispondente una migliore comprensione della domanda stessa, oltre a consentire una migliore analisi dei dati; limite che è stato parzialmente ridotto, tra l’altro, dalla possibilità di scegliere più di una risposta per ogni domanda e dalla presenza della categoria “altro” come opzione residuale.

Tabella 2. Principali informazioni sul presidente della cooperativa

In particolare, l’ultima parte si è concentrata sui seguenti temi: motivazioni personali (Perché ha deciso di creare una cooperativa sociale?); ruolo istituzionale/familiare (Qual è stato il ruolo delle istituzioni nella creazione dell’imprese? Come la sua famiglia ha sostenuto la sua scelta?); contesto culturale (Esiste una visione stereotipata delle donne nel contesto imprenditoriale?); opportunità/vincoli (Quali sono stati i principali ostacoli alla costituzione della cooperativa sociale? Il settore non profit offre migliori opportunità di lavoro per le donne?). Infine, sono state preparate alcune domande sulla condizione femminile, sul ruolo del presidente, sulle relazione con i dipendenti e sulle attività, per analizzare le eventuali implicazioni di natura organizzativa.

Risultati della ricerca

Come primo punto vengono analizzate le motivazioni alla base della fondazione di una cooperativa sociale. Tutti i presidenti intervistati hanno collaborato con gli altri soci per la creazione dell’organizzazione: a questo proposito è stato interessante approfondire il modo in cui si è giunti alla decisione di creare una cooperativa sociale. In particolare, sono state presentate otto possibili risposte (pur potendo proporre “altro” nella categoria residuale), con possibilità di scegliere più di un’opzione (Tabella 3).

Tabella 3. Motivazioni personali

La maggior parte delle risposte scelte sono legate a “motivazioni relazionali e altruistiche”: quasi l’intero campione ha dichiarato di aver deciso di istituire la cooperativa per motivi sociali (7 su 8) e per offrire opportunità di lavoro ad altre persone (6 su 8). Sorprendentemente, non c’è alcuna connessione con esperienze di lavoro precedenti sia in termini di carriera (“difficoltà ad avere una carriera soddisfacente nel lavoro precedente”), esperienze negative (“casi di discriminazione nei precedenti posti di lavoro”) e successo professionale: nessuno, infatti, ha scelto queste opzioni come motivazioni legate alla fondazione della cooperativa. Ci sono anche ragioni marginali legate alla difficoltà di trovare un lavoro (1 su 8), alla necessità di trovare un equilibrio tra il lavoro e la vita familiare (2 su 8) e la presenza di un ambiente meno competitivo (1 su 8). Due intervistate hanno anche aggiunto motivazioni personali, legate alla propria esperienza di vita: la prima ha indicato la presenza di una persona disabile come membro della famiglia, l’altra la passione per il territorio.

Per quanto riguarda il sostegno familiare e delle istituzioni, tutti gli intervistati hanno dichiarato il ruolo centrale della famiglia nello sviluppo della propria attività, in termini di risorse finanziarie fornite direttamente per la fondazione della cooperativa (5 su 8), di collaborazione per l’organizzazione familiare (3 su 8) e di partecipazione attiva alla cooperativa e ai suoi eventi (3 su 8). Non tutte le organizzazioni hanno ricevuto contributi pubblici e fondi per la costituzione (solo 5 su 8), mentre 2 intervistati hanno dichiarato la presenza del sostegno pubblico per le loro iniziative. E vari sono i sostegni finanziari forniti dalle istituzioni sia nazionali che locali: incentivi locali per le assunzioni, fondi regionali, fondi nazionali e fondi specifici per le iniziative imprenditoriali femminili.

Il contesto culturale è considerato un elemento negativo: quasi tutte le risposte (7 su 8) alla domanda “Esiste una visione stereotipata delle donne nel contesto imprenditoriale? Perché?” sono positive e le motivazioni sono spesso legate alla visione tradizionale del ruolo femminile. Una donna, infatti, ha scritto: “In generale, c’è ancora una tendenza a considerare una donna solo come madre e casalinga”, e un’altra: “Ogni donna è ancora rappresentata solo come madre, moglie e amante [...], basta pensare alle campagne pubblicitarie o ai talk show dove le donne imprenditrici sono considerati solo una rarità da mostrare”. Gli atteggiamenti imprenditoriali e di lavoro sono considerati un’altra fonte di discriminazione: “C’è una visione stereotipata perché le persone tendono a favorire gli uomini nella carriera lavorativa”, e ancora: “Le donne lottano molto per essere riconosciute come buoni imprenditori”. È da notare che l’unica donna che ha risposto negativamente alla domanda, spiegando le motivazioni della sua risposta, ha scritto: “Le donne sono naturalmente diverse dagli uomini, questo non è uno stereotipo ma un fatto [...], purtroppo è necessario diventare un uomo per entrare nel mercato del lavoro”.

Anche per la domanda sui principali ostacoli, è stata preferita una struttura a scelta multipla, con la possibilità di scegliere più di una risposta (Tabella 4).

Tabella 4. Principali ostacoli

In accordo con alcune risposte precedenti, i principali ostacoli riguardano la difficoltà di accesso alle risorse finanziarie (5 su 8) e motivazioni legate alla crisi economica (6 su 8). Questi elementi sono in alcuni casi considerati in stretta connessione alla mancanza di sostegno da parte delle istituzioni (4 su 8) e di organizzazioni di rappresentanza e di altre cooperative sociali (3 su 8). Non sorprende che non sia stata considerato un vincolo la famiglia (0 su 8) o la necessità di trovare un equilibrio tra lavoro e vita familiare (1 su 8), mentre la visione stereotipata del ruolo delle donne resta per qualcuno un problema (3 Su 8). Una intervistata, utilizzando la risposta aperta, ha sostenuto che un’altra difficoltà è legata all’alto livello di burocrazia e tasse.

Non tutte le persone intervistate ritengono che il settore non profit possa rappresentare un’occasione per l’imprenditoria femminile. Solo 5 donne hanno risposto positivamente alla domanda “Il settore non profit offre migliori opportunità di lavoro per le donne? Perché?”. In particolare, secondo alcune intervistate, la prerogativa del terzo settore è quella di valorizzare le attitudini femminili: “Il settore senza scopo di lucro dà alle donne la possibilità di utilizzare la creatività e l’immaginazione, le caratteristiche tipiche femminili”, oppure, “Abbiamo più opportunità che nel mercato tradizionale anche perché l’attività svolta da una cooperativa sociale tipo A è legata a una tradizionale e tipica responsabilità femminile: l’attività di cura e di assistenza”. D’altra parte, chi non ha riconosciuto differenze specifiche tra settore profit e non profit, ha sostenuto che “le organizzazioni non profit hanno gli stessi problemi delle imprese tradizionali: il punto centrale è quello di sostenere tutte le iniziative imprenditoriali”.

Infine, l’ultima parte delle domande era legata all’eventuale influenza tra la condizione femminile del presidente e il suo ruolo istituzionale, la relazione con i dipendenti e l’implicazione sull’attività svolta dalla cooperativa (Tabella 5).

Tabella 5. Influenza di genere

Mentre in relazione al ruolo istituzionale del presidente, alcuni intervistati hanno riconosciuto un certo grado di influenza con il fatto di essere donna, questa connessione è praticamente assente per gli altri due elementi (dipendenti e attività).

Nonostante le precedenti risposte, va notato tuttavia che in quasi tutte le cooperative del campione (7 su 8) sono previste forme di lavoro flessibile (Tabella 6). L’unica che non prevede nessun tipo di flessibilità è una cooperativa di tipo B che si occupa di inserimento lavorativo di detenute, per le quali queste tipologie di contratti non sono applicabili.

Tabella 6. Presenza e tipologia di contratti di lavoro flessibili

Discussione dei risultati

I risultati presentati in questo lavoro evidenziano il ruolo fondamentale, in termini di percezioni e attività, dei pilastri istituzionali di Scott e dell’inclusione delle donne nell’imprenditoria sociale. Inoltre, da un punto di vista più ampio, questa ricerca contribuisce al recente dibattito, nella letteratura sull’imprenditorialità di genere, sull’utilità di un approccio multilivello nell’analisi context-specific delle iniziative imprenditoriali (de Bruin et al., 2007; Brush et al., 2009; Jamali, 2009; Welter, 2010; Jennings, Brush, 2013).

In particolare, per quanto riguarda le motivazioni personali e il riconoscimento delle opportunità, i risultati mostrano la presenza di stimoli relazionali e altruistici come ragioni primarie nella creazione di una cooperativa sociale, mentre non sembra esserci relazione con la precedente esperienza lavorativa, in termini di carriera, disoccupazione professionale o successo professionale. Ciò è confermato anche dal fatto che la maggior parte delle intervistate non ha esperienza lavorativa precedente come operatore sociale.

La preminenza delle motivazioni sociali dietro la costituzione di una cooperativa sociale è coerente con studi precedenti (Hechavarria et al., 2012; Nicolás, Rubio, 2016; Themudo, 2009) che sottolineano la propensione femminile verso attività legate alla creazione di valore sociale e ambientale. È però da notare che questo atteggiamento sembra non svilupparsi per tutte “nel tempo” e in “modo professionale” (la maggioranza delle intervistate non possiede precedenti esperienze di lavoro nel settore non profit), ma sembra emergere in un certo momento della loro vita (quasi tutte le donne hanno più di 40 anni) dopo una lunga e diversa carriera lavorativa.

È confermato il ruolo centrale della famiglia nella creazione e/o nello sviluppo della cooperativa, attraverso diverse modalità, anche se il primo rimane il sostegno finanziario. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, si conferma anche la varietà di finanziamenti utilizzati (Shaw, Carter, 2007), anche se la maggior parte delle intervistate sottolinea l’assenza di sostegni da parte delle istituzioni (soprattutto quelle locali) e segnala una difficoltà di accesso a strumenti finanziari.

Dal punto di vista socio-culturale, i risultati confermano la persistenza di una visione stereotipata delle donne, anche se in un settore più women- oriented, che probabilmente per questo motivo non viene considerato un luogo con migliori opportunità per l’imprenditoria femminile. Quasi tutte le intervistate hanno evidenziato una “discriminazione imprenditoriale” che, a partire da luoghi comuni più diffusi sul ruolo delle donne nella società (madri, amanti, casalinghe, ecc.), influenza profondamente la visione di una donna come un buon imprenditore, anche imprenditore sociale.

Quello che invece rappresenta plausibilmente un contributo originale del lavoro è l’accento posto sulla figura dell’imprenditore sociale donna e sulle dinamiche degli “ambienti” in cui opera, attraverso l’analisi di un singolo Paese che ha permesso di evidenziare alcune caratteristiche context-specific.

Un altro possibile punto di interesse è il risultato legato alla relazione tra il genere del presidente e le caratteristiche organizzative della cooperativa sociale. Sostanzialmente nessuna delle rispondenti ritiene che la sua condizione abbia influenza sull’attività svolta dall’organizzazione o dai dipendenti, mentre chi ha riconosciuto un certo grado di influenza con il ruolo istituzionale ha indicato una relazione negativa, probabilmente legata alla visione stereotipata delle genere femminile. Per quanto riguarda il rapporto con i dipendenti, è significativa la presenza di molte forme di lavoro flessibili e ciò conferma la presenza più diffusa, nel terzo settore, dei benefit family-friendly (Conry, McDonald, 1994; Lanfranchi, Narcy, 2015; Mirvis, 1992).

Riflessioni conclusive e possibili sviluppi della ricerca

Negli ultimi tempi è cresciuto l’interesse per il fenomeno dell’imprenditoria femminile nel terzo settore. Vari studi si sono focalizzati sul ruolo delle donne nello sviluppo di iniziative di imprenditoria sociale anche in relazione alle caratteristiche della controparte maschile. L’obiettivo del presente paper è stato quello di contribuire al dibattito attraverso un’analisi country-specific di alcune cooperative sociali femminili italiane, all’interno del framework istituzionale e di un disegno di ricerca multilivello. Il purposeful sample ha riguardato 8 organizzazioni, con prevalenze di soci donne e una donna nel ruolo di presidente; sebbene un’analisi con pochi casi limiti la possibilità di effettuare generalizzazioni, si ritiene che lo studio possa contribuire al più ampio dibattito sul ruolo e sull’impegno femminile nel campo dell’imprenditoria sociale.

I risultati hanno evidenziato innanzitutto il significato e l’importanza del contesto sociale, istituzionale e culturale nell’imprenditoria sociale femminile e hanno approfondito il ruolo della percezione personale nella costituzione e nello sviluppo di un’iniziativa imprenditoriale sociale.

Risulta chiaro che le donne continuano a fronteggiare molti ostacoli in termini di risorse e opportunità, soprattutto a causa di un contesto socio-culturale sfavorevole e di una mancanza di supporto istituzionale. Questi problemi sono, in primo luogo, superati dal ruolo centrale della famiglia, da una attitudine creativa e da una elevata laboriosità delle persone coinvolte, fortemente motivate e orientate ad attività di natura sociale e ambientale.

Questi risultati suggeriscono ulteriori ricerche sull’impatto del genere nell’imprenditorialità sociale, in particolare con l’obiettivo di estendere i confini dell’analisi ad altre organizzazioni sociali femminili e in altri Paesi.

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