Sostienici! Rivista-Impresa-Sociale-Logo-Mini
Fondata da CGM / Edita e realizzata da Iris Network
ISSN 2282-1694
impresa-sociale-9-2017-il-privato-sociale-nella-realta-dei-quartieri-spagnoli-di-napoli-un-approccio-di-teoria-economica

Saggi brevi

Quanto sono plurali le imprese sociali?

Luigi Corvo, Lavinia Pastore, Andrea Sonaglioni

Impresa sociale e gender gap

Francesca Picciaia

Casi studio

I 30 anni del Gruppo cooperativo Cgm

Alberto Ianes

I 20 anni di Avanzi

Flaviano Zandonai

I 10 anni di Lama

Flaviano Zandonai

Recensioni

Spazi fuori dal comune

Flaviano Zandonai

Numero 9 / 2017

Saggi

Il privato sociale nella realtà dei Quartieri Spagnoli di Napoli: un approccio di teoria economica

Francesco Silvestri

Abstract

Come in altri Paesi industrializzati, il sistema di welfare italiano sta conoscendo da alcuni anni un accorciamento della scala lungo la quale si distribuiscono le competenze sulle politiche sociali, così da avvicinare la fase di pianificazione/programmazione all’origine del bisogno da un lato, e favorire la costruzione di sistemi decisionali reticolari e aperti alla compartecipazione di soggetti pubblici e privati dall’altro. Questo articolo illustra i diversi schemi di relazione esistenti tra policy maker, finanziatori ed attuatori del terzo settore nell’ambito delle odierne politiche sociali improntate al welfare mix utilizzando la strumentazione economica propria della teoria dei contratti e del modello principale-agente. Il modello è applicato al caso studio dei Quartieri Spagnoli di Napoli, un’area popolare ad alta concentrazione di famiglie “multiproblematiche”. Il quadro che emerge consente di verificare limiti e vantaggi di un modello che, in nome di una maggiore razionalità ed efficienza della spesa, tende progressivamente ad assumere la logica di mercato anche nel finanziamento delle politiche sociali: tra i primi, il rischio di favorire gli operatori privati più capaci non dal punto di vista della competenza, bensì da quello della solidità finanziaria.


As in many developed Countries, the Italian welfare system is evolving from a Central State decision structure to an open network where Public Institutions ad private subjects share policy design, social planning and social intervention, in the framework of so called welfare mix.
In this work we study a similar network in the realm of Quartieri Spagnoli, a popular district in the downtown of Naples with a strong concentration of social disease cases (poverty, underworld, school drop out, early motherhood, and so on), using a theoretical framework borrowed from economic theory, namely the principal-agent model and the Contract Theory. The study highlights that the higher efficiency in terms of public savings entailed by the application of a market model in social policy, is balanced by the risk to favour financially soundest operators, rather than most qualified ones.

Il presente lavoro è un risultato del Progetto Pilota REVES – Reverse Evaluation to Enhance Strategies nell’ambito del Progetto NUVAL, “Azioni di sostegno alle attività del Sistema Nazionale di Valutazione e dei Nuclei di Valutazione”, attuato da FormezPA di concerto con il Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica e l’Unità di Valutazione degli Investimenti Pubblici, con risorse PON-GAT FESR 2007-2013 (Asse I – Obiettivo Operativo 1.3), sotto la supervisione scientifica di Laura Tagle ed il coordinamento di progetto di Serafino Celano.

Introduzione

Il sistema di welfare italiano si sta muovendo da alcuni anni lungo due grandi filoni, entrambi riconducibili al tema della sussidiarietà: il primo è l’accorciamento della scala lungo la quale si distribuiscono le competenze sulle politiche sociali, con conseguente avvicinamento della dimensione di pianificazione/programmazione all’origine del bisogno; l’altro è la trasformazione delle modalità di gestione ed indirizzo degli interventi, sempre più orientate alla costruzione di sistemi decisionali reticolari e aperti alla compartecipazione di soggetti pubblici e privati (CIES, 2013). In altre parole, il modello di intervento delle amministrazioni pubbliche sta favorendo il passaggio da una programmazione incentrata sul ruolo sociale dell’ente pubblico ad una orientata a promuovere la partecipazione di altri attori. Si produce così quel passaggio dal welfare state al welfare mix che individua come “pubblico” non il soggetto attuatore – rappresentato dagli organi dello Stato e dagli enti locali – bensì la funzione esercitata, che può essere svolta indifferentemente da esponenti del settore pubblico e privato (Regonini, 2001; Vittadini, 2002). La sussidiarietà, pertanto, non rimette in discussione il fondamento dei sistemi di welfare, ma ne cambia la prospettiva; in situazioni di perdurante contrazione delle risorse, diversi sistemi di welfare locale stanno sperimentando un riposizionamento delle relazioni tra pubblico e privato (per il momento a livello operativo), dove le organizzazioni più efficaci sono quelle meno burocratiche, sganciate da funzioni di controllo sociale e capaci di gestire relazioni personalizzate, sia pure su base universalistica (CIES, 2013).

In questo articolo si esamineranno le ricadute di questo modello di welfare nell’area dei Quartieri Spagnoli di Napoli, da tempo luogo di sperimentazione di interventi pubblici tesi a migliorare le condizioni di vita degli abitanti. Nei Quartieri Spagnoli le attività del “privato sociale” – intendendo sia l’operato di fondazioni e di altri enti attivi nel finanziamento di politiche sociali, sia le iniziative di organizzazioni di volontariato, associazioni e imprese sociali – hanno conosciuto negli ultimi decenni una notevole fioritura. Se negli anni ’80 e ’90 è stato presente, di fatto, un unico soggetto privato non religioso, in seguito nuovi soggetti si sono affacciati sulla scena; si tratta di organizzazioni (e qui sta la grande novità) in grado non solo di reperire finanziamenti da bandi pubblici e da fondazioni, ma anche di autofinanziare le attività attraverso il ricorso a donazioni, quote associative e raccolta del 5xmille. Di qui l’idea di studiare le dinamiche sociali di un quartiere multiproblematico di una grande metropoli del Mezzogiorno italiano come archetipo per analizzare il funzionamento e l’evoluzione nell’attuazione delle politiche sociali. A tale scopo si è utilizzato l’impianto interpretativo del modello principale-agente, proprio della teoria economica ma adottato sempre più frequentemente nello studio delle politiche pubbliche.

I Quartieri Spagnoli di Napoli: conformazione, condizioni sociali e soggetti attivi

Costruiti a partire dal 1536 con l’obiettivo di ospitare i soldati spagnoli di stanza in città o in transito verso i fronti di guerra e invasione, i Quartieri Spagnoli di Napoli si presentano come una scacchiera regolare, costituita da una serie di lotti di dimensioni uguali, delimitata da sei strade parallele alla centrale ed elegante via Toledo e da numerose vie ortogonali. Ne risulta uno spazio urbano formato per lo più da stretti vicoli, che, se pur vicinissimo a Piazza Plebiscito e alla sede del Comune, si inerpica fino a circa 80 metri sul livello del mare, un salto altimetrico importante che ne condiziona accessibilità e circolazione al suo interno. L’isolamento del quartiere dal resto della città sono state aggravate, inoltre, dal sisma del 1980, a causa dell’occupazione della già di per sé scomoda sede stradale da parte di ponteggi e strutture di sostegno che saranno interamente rimosse solo al termine degli anni ‘90 (Galdiero, 2008).

Sebbene risultino oggi divisi in due unità amministrative – la Municipalità Prima (Chiaia, Posillipo, San Ferdinando) e la Seconda (Avvocata, Montecalvario, San Giuseppe, Porto, Mercato, Pendino) – i Quartieri Spagnoli hanno assunto, fin dalla nascita, una natura di enclave, chiusa verso l’esterno (come si addice ad un quartiere militare) e separata dal resto della città e delle funzioni sociali e urbane (Di Maio, Rostirolla, 2008). D’altro canto, il Piano di Risanamento di fine XIX secolo spostò il baricentro dei traffici e dell’accoglienza di chi arrivava dal mare verso i Quartieri Spagnoli, assegnando ad essi, di fatto, il ruolo di angiporto della città, con il suo corredo di attività al limite della legalità che sono proseguite nel corso degli anni (Discepolo, 2008). La funzione di porta di ingresso in città per immigrati e fasce sociali marginali si rafforza nel corso del XX secolo, assumendo con l’avvicendarsi delle ondate di immigrazione un carattere visibilmente multietnico. Questo si traduce anche in un notevole dinamismo dei residenti, che utilizzano i Quartieri Spagnoli come luogo di ospitalità temporanea per poi trovare migliore sistemazione altrove (Laino, 2001; Amato, Rossi, 2003).

Oggi quest’area comprende oltre 170 isolati e circa 600 condomìni, in uno spazio inferiore al chilometro quadrato (Laino, 2008). Seppur collocati nel centro di Napoli (nelle strade limitrofe, che li circondano e contengono, è possibile trovare i principali servizi per la cittadinanza), la situazione all’interno del reticolo rimane deficitaria soprattutto in termini di servizi di welfare. Al tempo stesso la pedonalizzazione della recente via Toledo (voluta nell’ambito del progetto di riqualificazione del centro storico cittadino, che ne ha esaltato la funzione commerciale e di luogo a frequentazione turistica) ha creato una dinamica che interessa anche le prime parallele dei Quartieri Spagnoli, dove nel corso degli anni 2000 si è assistito alla scomparsa delle attività artigianali storiche (Caianiello et al., 1998) e alla contestuale penetrazione di bar, ristoranti/trattorie e bed & breakfast. Tale “porosità” contribuisce a rinnovare l’impressione di vivacità dei Quartieri Spagnoli, che tende oggi a trasformarsi in “attrazione antropologica” se non ancora turistica tout court. Ne è testimonianza la recente scoperta da parte di giornalisti, blogger, artisti e videomaker, che hanno eletto i Quartieri Spagnoli come luogo di lavoro e di osservazione privilegiata (Morelli, 2008).

Ai nostri giorni i Quartieri Spagnoli rivelano una certa varietà abitativa. Laino (2012) distingue cinque categorie di residenti: le famiglie inserite nel mercato del lavoro (seppur precario in molti casi), con limitati episodi di devianza al proprio interno; le famiglie problematiche, caratterizzate da elevata elusione scolastica dei figli, sostenute da reti informali (anche illecite) e cronica esclusione sociale; le famiglie del medio-basso ceto lavorativo, in cui il capofamiglia ha un impiego stabile per lo più pubblico, con vita lavorativa e sociale della famiglia esterna ai Quartieri Spagnoli; gli “immigrati”, per lo più asiatici dell’area indiana (Tamil, Cingalesi, Bengalesi, Pakistani) e dalle Filippine, che negli ultimi anni sono andati ad occupare i “terranei”, i vecchi depositi delle attività artigianali o i locali della prostituzione pre-terremoto; ad essa può aggiungersi la particolare categoria di “immigrazione” rappresentata da studenti fuori sede e giovani artisti; infine, i “nuovi borghesi”, che acquistano e ristrutturano appartamenti a prezzi convenienti rispetto ad altre zone del centro di Napoli, attirati dalla vitalità dei Quartieri Spagnoli e disposti a sopportare la carenza di servizi interni al quartiere.

La limitatezza dei servizi interessa in particolare le fasce più svantaggiate della popolazione, a partire dalle cosiddette “famiglie multiproblematiche” fino ai segmenti deboli del mercato del lavoro, quali giovani e donne. Le fragilità sono rappresentate da persistenza di problemi relativi a infanzia e adolescenza, responsabilità familiari, giovani madri, situazioni di povertà, dipendenze, disoccupazione giovanile. Buona parte di questi problemi hanno conseguenze tangibili nell’elevata dispersione scolastica fatta registrare nell’area, che si unisce ad altre criticità della scuola dell’obbligo: mancanza di insegnanti di sostegno, evasione, cattive performance nelle prove Invalsi nazionali (Rossi-Doria, 1999; Melazzini, 2011; Pirozzi, Rossi-Doria, 2010). Su queste carenze si sono concentrate, nel corso degli anni, le politiche sociali degli enti preposti – in primis il Comune di Napoli e l’ASL Napoli 1 – e le azioni dei soggetti attuatori, dai Servizi Sociali dello stesso Comune agli esponenti del terzo settore.

Tra questi ultimi, il soggetto attivo da più tempo nell’area è senza dubbio l’Associazione Quartieri Spagnoli (AQS), costituitasi formalmente intorno alla metà degli anni ‘80, ma il cui insediamento e le iniziative di assistenza ai residenti (iscrizione dei bambini a scuola, accesso ai servizi pubblici, rapporto delle famiglie con gli insegnanti) risalgono ad almeno dieci anni prima. Nella prima fase di attività, l’azione di AQS è stata sostenuta dall’attività volontaria e dal conferimento dei soci, finché l’apprezzamento e l’aumento di notorietà a livello locale hanno consentito di raccogliere piccole donazioni e contributi da parte di sostenitori. Una prima svolta si ha all’inizio degli anni ‘90, quando l’inaugurazione di una nuova stagione di politiche sociali nazionali (conseguente all’entrata in vigore della Legge 216/1991) si combina con la crescente disponibilità di fondi comunitari, differenziando così le fonti di finanziamento (Laino, 2008). Dalla fine degli anni ‘90 la disponibilità di fondi nazionali e comunitari è il motore che muove la realizzazione dei progetti sul territorio; AQS, da un lato, si trova a gestire budget sempre più rilevanti, dall’altro, adotta un modello “commerciale”, più attento al bilanciamento tra entrate (il finanziamento pubblico) e uscite, rappresentate quasi interamente da costi per le risorse umane impiegate nella realizzazione dei progetti. Tuttavia nei primi anni 2000 i principali interlocutori pubblici iniziano a tagliare i fondi per i progetti sociali (o ritardare i pagamenti) e AQS entra in sofferenza (Laino, 2012). L’associazione continua ad essere comunque il soggetto più noto per i servizi di welfare nei Quartieri Spagnoli e un interlocutore rilevante nel dibattito sulle politiche sociali di Napoli; la sua azione, tuttavia, è oggi messa in discussione da nuove organizzazioni private, che – misurandosi con i problemi emergenti del quartiere – svolgono diverse iniziative, anche in sovrapposizione o in reciproca imitazione. Tra queste si segnalano organizzazioni internazionali (Save the Children, ActionAid), associazioni locali attive nelle adozioni internazionali (Ariete), emanazioni di enti religiosi (Associazione Efraim), fondazioni private (FoQus); a questi si aggiungono gruppi organizzati di giovani attivi sul versante dell’animazione artistico-culturale (più che nell’erogazione di servizi sociali).

L’attuazione delle politiche come rapporto di agenzia

Una chiave interpretativa molto utilizzata nelle dinamiche di attuazione delle politiche pubbliche è quello del rapporto di agenzia, definito dalla teoria economica modello principale-agente (Arrow, 1971; Mirrlees, 1974; Stiglitz, 1974; Jensen, Meckling, 1976): un soggetto centrale (principale, che possiamo indentificare in un policy maker o finanziatore) assegna ad un attuatore locale (agente), dietro compenso, la realizzazione di un’azione a beneficio di una categoria sociale, azione che genera utilità per il soggetto centrale stesso.

Il problema di agenzia subentra nel momento in cui “principale” e “agente” hanno interessi non allineati e l’azione dell’agente non è osservabile con precisione dal principale. La mansione assegnata, infatti, genera utilità per il principale, ma implica un costo per l’agente, che è quindi incentivato – pur accettando l’incarico ed il relativo compenso – a ridurre al minimo lo sforzo. Questa condizione, definita dalla teoria economica moral hazard, si configura a causa dell’asimmetria informativa incorporata all’interno del modello, con un solo soggetto (l’agente) a conoscere con precisione il livello di sforzo messo in pratica. Il principale, infatti, può limitarsi ad osservare il risultato dello sforzo, ma non è in grado di comprendere quanto esso sia l’esito diretto dell’azione dell’agente o piuttosto di una serie di fattori esogeni positivi o negativi (gli stati del mondo), su cui l’agente non ha alcuna influenza.

Stanti queste condizioni, il principale è chiamato a disegnare uno schema di remunerazione che spinga l’agente ad accettare l’incarico (vincolo di partecipazione) e tale da favorire l’attuazione di uno sforzo soddisfacente per gli interessi del principale (vincolo di compatibilità degli incentivi). Il primo vincolo garantisce all’agente un profitto pari ad una utilità attesa, che può essere data da un'ipotesi di sostenibilità economica della propria attività o dall’utilità di una attività alternativa, ivi compresa l’inerzia (outside option); il secondo è finalizzato a convincere l’agente a scegliere il comportamento (nella fattispecie lo sforzo) ottimale per il principale.

La sequenza temporale che caratterizza un rapporto di agenzia con moral hazard segue lo schema:

  1. il principale stabilisce il contratto e lo propone all’agente;
  2. l’agente accetta o rifiuta il contratto;
  3. una volta accettato il contratto, l’agente realizza la mansione prevista, eseguendo un’azione non osservabile dal principale;
  4. si configura una serie di eventi (stati del mondo) che concorrono, assieme allo sforzo dell’agente, a determinare gli esiti;
  5. principale ed agente ottengono le rispettive remunerazioni, il primo a seconda degli esiti che si producono. 

In termini di formalizzazione matematica, le variabili e le relazioni rilevanti sono: 

[1] y = f ( e, θ1, θ2 )

[1] È la funzione di produzione di un bene o servizio y; dipende positivamente dello sforzo compiuto dall’agente (e) e da condizioni di contesto/interazioni/fattori esogeni non prevedibili che influenzano y, con carattere tanto positivo (θ1) quanto negativo (θ2). 

[2] UI = y (e, θ1, θ2 ) – w(y)

[2] È l’utilità del soggetto istituzionale (il principale), che trova soddisfazione dal valore del bene/servizio (y) prodotto al netto del costo sostenuto per generarla, ossia del compenso versato all’agente (w).

[3] ΠA = w(y) – c(e)

[3] È il vantaggio dell’agente, dato dalla differenza tra compenso riconosciutogli dal principale (w) ed il costo (c) dello sforzo necessario a svolgere la mansione di cui è stato incaricato (e).

L’esistenza di fattori di influenza esogena su y, fa sì che diventi complicato per il principale comprendere se l’agente abbia compiuto effettivamente la mansione attribuitagli: il principale, infatti, non ha controllo su e, mentre la semplice osservazione di un y insoddisfacente non gli consente di discernere se questo sia il risultato di inoperosità/inefficienza dell’agente o di condizioni esogene sfavorevoli[1]. Allo stesso tempo, proprio la difficile osservabilità dello sforzo profuso, favorisce comportamenti opportunistici da parte dell’agente, che ha tutto l’interesse ad accettare il contratto che gli assegna w per poi minimizzare lo sforzo e.

Come anticipato in apertura di paragrafo, questo impianto teorico può essere utilizzato anche per descrivere il rapporto che si configura tra policy maker e attuatore a livello locale di politiche pubbliche. Anche in questo caso, infatti:

  1. l’azione svolta dall’attuatore/agente (lo “sforzo”, nella terminologia del modello) non è completamente osservabile da parte del soggetto centrale/principale;
  2. il principale è chiamato a disegnare uno schema di compenso che soddisfi da un lato le esigenze di sostenibilità economica dell’agente, dall’altro le esigenze del principale in termini di esito della policy; 
  3. l’esito finale non è funzione esclusivamente dell’azione dell’agente, ma risente dell’influenza di una serie di fattori (stati del mondo), condizioni al contorno, eventi inaspettati e situazioni di contesto che possono generare un risultato insoddisfacente anche in presenza di uno sforzo appropriato da parte dell’agente.

Rapporto di agenzia ed opzioni contrattuali nella realtà dei Quartieri Spagnoli

Come illustrato dalla letteratura sul tema, il rapporto di agenzia genera più di un problema, per il principale, nella definizione del miglior contratto da proporre all’agente, compatibile con i due vincoli menzionati. Le categorie di contratto attivabili, che analizzeremo nelle prossime pagine con riferimento al caso in esame, sono di quattro tipi:

  1. contratto completo, con cui il principale cerca di definire ogni fattispecie rilevante e di condizionare con precisione pressoché assoluta il tipo di mansione e di sforzo atteso dall’agente;
  2. contratto di incentivazione, con remunerazione direttamente proporzionale ad un esito misurabile, con previsione o meno di un salario base;
  3. contratto incompleto con remunerazione di efficienza, che mira a prevenire l’opportunismo dell’agente svincolandola dal risultato, con la minaccia tuttavia di interruzione del rapporto di agenzia a seguito di esiti considerati insoddisfacenti;
  4. contratto legato alla performance relativa, con organizzazione di “tornei” tra agenti e verifica comparata dei risultati ottenuti (ex post) o previsti (ex ante).

Il contratto completo tenta di regolare con precisione assoluta tutte le condizioni a cui l’attuatore deve attenersi nell’esecuzione dell’incarico, ossia va a definire con la massima precisione possibile la natura e le modalità dello sforzo da mettere in pratica. Questa è, ad esempio, secondo molti attuatori, la logica che muove il Comune di Napoli quando fissa i criteri a cui attenersi per il servizio di educativa territoriale, negli ultimi anni sempre più stringenti in termini di caratteristiche curricolari degli operatori chiamati a seguire le attività. Oltre ad essere sfiancante sia per il policy maker che per l’attuatore (tant’è che i bandi per alcune di questa attività vanno deserti), l’operazione è probabilmente inutile, perché non risolve l’asimmetria informativa che avvantaggia l’agente, il quale si sente anzi autorizzato – una volta ottemperato ai criteri formali fissati – a deviare verso finalità opportunistiche.

Lo schema privilegiato nel contesto delle politiche sociali è invece quello del contratto incompleto e di incentivazione. I contratti di incentivazione legano la remunerazione ad un risultato misurabile della performance dell’attuatore:

[4] w = w(y)

È quanto avviene ad esempio con il servizio di pasto e doposcuola (o “semiconvitto”), finanziato secondo un semplice schema che riconosce un parametro fisso per ogni studente servito; oppure lo sportello sociale municipale, che prevede il riconoscimento di una sorta di remunerazione sulla base delle ore di servizio assicurate.

Diverso è il caso in cui l’agente accetti in tutto o in parte una remunerazione legata al risultato - quindi incerta a priori - un atteggiamento che implica una forma di totale o parziale propensione (o quantomeno neutralità) al rischio da parte dell’agente stesso. Quest’ultimo caso può essere espresso in termini formali facendo ricorso ad un contratto lineare

[5] w = w(y) = s + by

Un contratto di questo tipo può prevedere una quota fissa non legata alla performance raggiunta (s > 0) ed una parte variabile legata all’esito (b > 0), nonostante quest’ultimo non dipenda esclusivamente dallo sforzo e profuso. Nei suoi casi estremi (b = 0 aut b = 1), il contratto lineare assume contorni interessanti.

Nel caso b=0 si ricade in un contratto a remunerazione fissa, ovvero un contratto incompleto slegato dal rendimento. La teoria economica definisce questa tipologia di contratti efficiency wages (o contratti a salario di efficienza), ritenuti particolarmente utili nelle situazioni in cui è complicato individuare misure oggettive delle performance (Nicita, Scoppa, 2005).

I contratti di efficienza presentano tuttavia un problema quando la remunerazione s è fissata al valore di equilibrio del mercato del lavoro (market clearing), configurando così una situazione di piena occupazione o, in modo equivalente, di contrattualizzazione di tutti i soggetti dell’offerta: in casi simili, infatti, torna a presentarsi l’incentivo per l’agente a comportarsi in maniera opportunistica, accettando l’incarico ed evitando di impegnarsi pienamente nello sforzo, poiché difficilmente questi potrà essere sostituito da concorrenti, prevedendo l’ipotesi di piena occupazione/contrattualizzazione che non ci siano ulteriori soggetti da coinvolgere. Ma ciò è vero anche in condizioni di elevata offerta – nel caso in esame la situazione di affollamento di operatori del mercato del privato sociale – o di domanda cedente, ad esempio in ragione delle difficoltà di bilancio del finanziatore pubblico: quando cioè la remunerazione di efficienza s è bassa, essa rischia di avvicinarsi pericolosamente al costo di produzione del servizio, costringendo l’agente a rifiutare il contratto o a generare una rendita risparmiando appunto sullo sforzo e, una situazione ben nota a molti operatori.

Secondo la teoria, in questi casi è efficiente proporre una remunerazione maggiore di quella di equilibrio, di qui la definizione di “salario di efficienza”, accompagnandola con la minaccia di licenziamento/risoluzione del contratto in caso di insoddisfazione da parte del principale; l’esistenza di una sorta di “rendita salariale” (la differenza tra la remunerazione riconosciuta e quella di equilibrio) motiva l’agente a utilizzare appieno le proprie competenze per mantenere tale rendita, fornendo così un servizio di qualità elevata per self-enforcement. Allo stesso tempo, la remunerazione elevata impedisce la piena occupazione, rendendo così credibile la minaccia di licenziamento o, in maniera equivalente, di assegnazione dell’incarico a un’altra agenzia.

L’ipotesi di introduzione di salari di efficienza di questo tipo nel mondo delle politiche sociali non è nuova. Laino (2012) suggerisce il ricorso ai “progetti a dote”, intendendo con questo termine una modalità che preveda di concordare con il finanziatore una dotazione finanziaria e alcuni vincoli essenziali da rispettare, lasciando ampio margine all’attuatore nel cercare percorsi e soluzioni, sulla base della sua conoscenza del problema e della esperienza maturata nel campo. Tale metodo, afferma l’autore, è particolarmente efficace quando la variabilità/turbolenza del contesto e l’adattabilità attuativa fanno premio sull’esatta individuazione degli output e la rigida definizione di un programma, caratteristiche queste tipiche di attività interne all’interazione sociale (Laino, 2012).

Una seconda incognita legata ai salari di efficienza è che essi tendono a mantenere attivi solo gli agenti meno avversi al rischio, ad esempio perché dotati di qualche sorta di “assicurazione” interna tale da far superare i momenti in cui la rendita salariale si riduce a livelli economicamente insostenibili. L’assicurazione a cui si fa riferimento è data dall’esistenza di fondi propri, conseguenti ad esempio alla raccolta di quote associative o di donazioni private, come avviene per alcuni soggetti che hanno avviato di recente la propria attività nei Quartieri Spagnoli.

Tornando allo schema di remunerazione lineare, l’altro caso limite si ha quando la variabile b è massima (b = 1). Questo implica una completa neutralità al rischio da parte dell’agente, che diviene residual claimant ed offre una quota fissa s al principale (s < 0) per sostituirsi a lui nel godimento finale dei vantaggi da utilizzo del bene (Holmstroem, Milgrom, 1987).

Un simile caso può fungere da riferimento teorico per le situazioni in cui un soggetto di terzo settore proponga attività sociali “a mercato”, ovvero attraverso il pagamento diretto dei beneficiari. Nei Quartieri Spagnoli uno schema simile è adottato dalla Fondazione FoQus per le proprie attività scolastiche (asilo nido e scuola dell’infanzia/primaria privati), con riscossione della retta dalle famiglie dei bambini accolti e pagamento di una quota all’istituto religioso che li ospita (Istituto Montecalvario) per l’utilizzo della struttura. Per altri segmenti di attività, quali ad esempio il semiconvitto, FoQus ricalca invece il rapporto standard di agenzia, con principale rappresentato dalla Fondazione Banco Napoli per l’assistenza all’infanzia. Nel caso in esame, può essere assimilato al riconoscimento della quota s al principale – così da acquisire il diritto residuale sul prodotto y – anche l’impegno da parte di FoQus di accogliere a costo calmierato all’interno delle classi istituite negli spazi dell’Istituto Montecalvario un certo numero di bambini provenienti da famiglie residenti nei Quartieri Spagnoli. La rinuncia a tale introito (le rette di famiglie disposte a pagare, il cui posto è occupato dalle famiglie che accedono a costo calmierato coperto dal Comune) può essere percepito infatti come condizione posta dal principale, il Comune di Napoli, titolare delle politiche educative e di assistenza all’infanzia.

Infine, un altro tipo di contratto segnalato in letteratura per limitare le inefficienze del moral hazard è quello di mettere in competizione, in una sorta di ideale “torneo”, gli agenti chiamati a svolgere mansioni simili e, pertanto, confrontabili. La teoria (Lazear, Rosen, 1981) prevede che in questo caso il meccanismo di incentivazione si basi sulla performance relativa degli agenti, con un premio o una serie di premi da assegnare ai vincitori[2]. Così come per gli efficiency wage, anche per i tornei la remunerazione è scollegata dal livello produttivo; inoltre, l’osservazione (onerosa) dei risultati da parte del principale è molto ridotta, mentre la competizione rende l’opportunismo dell’agente una strategia poco redditizia. Quando il torneo non riguarda l’attività svolta, ma la proposta di attività da svolgere (ossia quando la definizione della graduatoria è tesa a selezionare il vincitore che andrà poi a svolgere la mansione), il torneo assume la forma del bando di gara. È questa una modalità impiegata nelle attività delle organizzazione di terzo settore non solo da parte delle istituzioni pubbliche, ma anche di alcuni soggetti privati, quali ad esempio le fondazioni finanziatrici di progetti nell’area (Fondazione Banco di Napoli, Fondazione con il Sud, Fondazione Vodafone, Fondazione Enel). In questo secondo caso i criteri di competizione tendono a privilegiare l’innovatività del progetto e la creatività dell’attività proposta, piuttosto che aspetti più tradizionali quali la dimensione della platea di beneficiari raggiunti o la continuità del progetto nel tempo.

Nel complesso, i possibili esempi di rapporto di agenzia tra finanziatore e attuatore previsti dalla teoria sono molteplici, e anche nei Quartieri Spagnoli se ne incontrano molti, come riassunto in Tabella 1.

Tabella 1. Modelli teorici di contratto principale-agente e loro manifestazione nella realtà dei Quartieri Spagnoli.

Discussione

L’interpretazione in chiave di teoria economica delle dinamiche proprie del “mercato” delle politiche sociali attraverso il modello principale-agente nei Quartieri Spagnoli di Napoli, consente di evidenziare una serie di elementi riflessione che travalicano i confini del caso studio.

Una prima considerazione riguarda la progressiva comparsa di “agenti” neutrali/propensi al rischio in affiancamento ai tradizionali soggetti risk adverse. Si tratta di organizzazioni che, grazie alla capacità di raccogliere finanziamenti attraverso la sottoscrizione di quote associative o per attività parallele, riescono a dotarsi di un fondo autonomo, utile anche a superare i periodi di difficoltà legati all’incertezza sui tempi di pagamento da parte dell’ente pubblico o a eventuali tagli. Grazie alla “assicurazione” rappresentata da questi fondi, queste organizzazioni – tra cui possiamo annoverare anche gli enti religiosi con le ingenti risorse ricavate dall’8xmille – riescono ad essere operative anche a condizioni di remunerazione che un soggetto avverso al rischio non accetterebbe, con conseguenze dirette (e facilmente immaginabili) sull’equilibrio di questo particolare mercato.

Di conseguenza, scaricando su un tipo peculiare di agente parte di quella propensione al rischio che lo caratterizza, il principale determina un equilibrio di mercato che non necessariamente è il più efficiente, visto che la “sopravvivenza dei più adatti” si basa su criteri non necessariamente legati alla competenza nell’attuazione, replicando così anche in ambito sociale una inefficienza ben nota negli studi di economia industriale su concorrenza e contendibilità dei mercati[3].

Un altro spunto di riflessione riguarda la coesistenza dei principali (ovvero finanziatori e policy maker) che ricorrono a contratti diretti con altri enti che provvedono all’organizzazione dei cosiddetti “tornei” per la selezione dell’agente a cui affidare la mansione. Come già osservato, quando il torneo è patrocinato da un finanziatore privato, spesso si assiste all’introduzione di criteri di selezione, quali innovatività e peculiarità del progetto, a scapito del consolidamento di iniziative più tradizionali. Si tratta di una scelta del tutto legittima e comprensibile, utile ad incrementare l’efficienza di un comparto nel complesso non sempre esposto a dinamiche di innovazione, quale il terzo settore.

D’altro canto, nel momento in cui le politiche riducono il proprio apporto (e le politiche aggiuntive private sono utilizzate come loro succedaneo), la logica del torneo rischia di diventare perversa, generando competizione non tanto tra i potenziali agenti, bensì tra risorse disponibili per finanziare alternativamente attività sperimentali o attività ordinarie. In questo senso, una gestione coordinata delle risorse, pur nel rispetto delle prerogative dei singoli finanziatori, potrebbe consentire il raggiungimento di una maggiore efficienza nella attuazione delle politiche sociali, aspetto già noto in letteratura economica[4].

Conclusioni e ulteriori ricerche

I rapporti tra finanziatori e terzo settore si sono modificati negli ultimi anni alla ricerca di una maggiore efficienza della spesa sociale, avvicinandosi progressivamente ad un sistema di finanziamenti ed incentivi basato sulla concorrenza tra attuatori e sulla logica di mercato. Il presente articolo ha inteso verificare vantaggi e limiti di un simile paradigma – che attinge fortemente alla relazione teorizzata dal modello economico del principale-agente – nella realtà dei Quartieri Spagnoli di Napoli.

Lo studio ha evidenziato alcuni elementi peculiari:

  • I Quartieri Spagnoli sono a tutti gli effetti un campo di sperimentazione di politiche pubbliche (principalmente finalizzate all’erogazione di servizi di welfare e ad attività di contrasto alla dispersione scolastica)
  • La rete di soggetti istituzionali (amministrazioni pubbliche, istituzioni scolastiche), religiosi (scuole, parrocchie) e privati (onlus, fondazioni, cooperative sociali) attive in ambito sociale nei Quartieri Spagnoli è molto ricca ed eterogenea, così come varie sono le modalità di relazione tra soggetti finanziatori ed attuatori delle politiche.
  • Gli interventi di razionalizzazione della spesa e di qualificazione delle politiche sociali possono incidere negativamente sulla continuità d’azione delle organizzazioni di terzo settore, con conseguente rischio di sospensione dei servizi per i beneficiari finali.
  • Molte azioni di policy, in particolar modo quelle finanziate da soggetti privati, tendono a privilegiare innovazione e sperimentalismo, aspetti di per sé validi e utili per incrementare le opportunità di offerta dei servizi, ma che diventano un problema se la sperimentazione non entra a regime e le risorse aggiuntive sono impiegate per coprire le attività ordinarie.
  • Infine, il rapporto di agenzia nei suoi molteplici aspetti ed articolazioni rischia di favorire quei soggetti attuatori più capaci di fare conto su forme di assicurazione – quali l’autofinanziamento o la copertura incrociata dei costi di produzione del servizio – a scapito di altri non necessariamente meno capaci dal punto di vista della qualità del servizio offerto.

Va tuttavia segnalato che il problema di agenzia come illustrato in questo paragrafo ha tralasciato l’esistenza di elementi reputazionali o etici nella funzione obiettivo dell’agente, un’omissione in realtà rilevante per un settore dove i comportamenti non-autointeressati rappresentano fattori riconosciuti dell’azione degli individui (affermazione forse sindacabile visti i recenti scandali che hanno interessato il terzo settore), che trova riscontro in una abbondante letteratura scientifica sul tema (Zamagni, 2002; Pesenti, 2002; Pelligra 2002).

Nel fare riferimento alle modalità di self-enforcement legate al contratto incompleto, va rimarcato che – oltre all’intento di difendere la rendita salariale riconosciuta – una forte motivazione al comportamento virtuoso può essere rappresentata anche dalla volontà di evitare sanzioni di carattere sociale (Granovetter, 1985) o di mantenere un patrimonio reputazionale costruito negli anni o legato alla identità del soggetto. Il concetto di “economia della identità” è legato all’opera di Akerlof e Kranton (2000), primi a considerare la percezione che l’individuo ha di se stesso come fattore in grado di influenzare l’azione degli operatori e l’esito economico di tali azioni. Riprendendo la formulazione introdotta nel testo, secondo questo approccio il risultato y non dipende solo dallo sforzo lavorativo e del soggetto e dai condizionamenti θ1 del contesto, ma è anche influenzato dall’identità a cui l’agente intende restare fedele.

Se da ciò discende una difficoltà del soggetto attuatore a modificare il proprio tipo di offerta per incontrare un maggiore successo sul mercato del sociale, questo atteggiamento virtuoso finisce per mettere in discussione l’intero modello del principale-agente: l’attuatore, infatti, non è più un esecutore locale di un principale che sta al centro, bensì un soggetto capace di sviluppare un’azione propria a partire dalla cornice messa a disposizione dal programma. Se ciò è vero, allora le funzioni obiettivo degli operatori vanno ripensate e anche l’attuatore è caratterizzato da una funzione in linea con la [2], ad esempio:

[6] UA = y (e, θ1, θ2 ) + w(y) – c(e)

L’attuatore, cioè, non è più percepito come un agente che massimizza il profitto secondo la precedente [3], ma diviene anch’egli un attore di policy con una funzione di utilità che si alimenta non solo della remunerazione w, ma anche dell’esito y della policy stessa (ad esempio in termini di beneficiari raggiunti). È questo un aspetto non trattato nel presente lavoro e che merita una più approfondita ricerca futura.

Ringraziamenti

Oltre ai coordinatori, Laura Tagle e Serafino Celano, un doveroso ringraziamento ai colleghi che hanno condiviso con me l’avventura del progetto REVES; in religioso ordine alfabetico: Vito Belladonna, Antonella Bonaduce, Paola Casavola, Anna Caputo, Anna Paola di Risio, Viviana Fini, Giuseppe Lucio Gaeta, Stefano Ghinoi, Roberta Murino, Anna Natali, Patrizia Santoro, Immacolata Voltura. Un saluto ed un doveroso ringraziamento a quanti mi hanno fatto conoscere dal vivo la realtà dei Quartieri Spagnoli, in particolare Giovanni Laino, Anna Stanco ed il mio psicopompo, Salvatore Pirozzi, dell’Associazione Quartieri Spagnoli (AQS) di Napoli. Come sempre, the usual disclaimer applies.

Bibliografia

Akerlof G.A., Kranton R.E. (2000), “Economics and Identity”, The Quarterly Journal of Economics, 115(3), pp. 715-753. DOI: 10.1162/003355300554881

Amato F., Rossi U. (2003), “Un sistema locale marginale tra cambiamento e continuità: i Quartieri Spagnoli di Napoli”, in Sommella R., Viganoni L. (a cura di), Territori e progetti nel Mezzogiorno. Casi di studio per lo sviluppo locale, pp. 15-46, Baskerville UniPress, Bologna.

Aghion P., Howitt P. (1992), “A Model of Growth Through Creative Destruction”, Econometrica, 60(2), pp. 323-351. DOI: 10.3386/w3223

Arrow K.J. (1971), Essays in the Theory of Risk-Bearing, Markham Publishing, Chicago.

Bain J.S. (1956), Barriers to New Competition, Harvard University Press, Cambridge MA.

Benoit J-P. (1984), “Financially Constrained Entry in a Game with Complete Information”, The RAND Journal of Economics, 15(4), pp. 490-499. DOI: 10.2307/2555520

Caianiello D., Salomone S., Voltura I. (1998), “Un percorso difficile ma possibile: le attività artigianali nel centro storico di Napoli”, Rivista di Politica Economica, 88(8-9), pp. 241-260.

CIES (2013), Rapporto sulle politiche contro la povertà e l’esclusione sociale. Anni 2011-2012, CIES Commissione d’Indagine sull’Esclusione Sociale, Ministero del Lavoro e della Politiche Sociali, Roma.

Di Maio A., Rostirolla P. (2008), La struttura produttiva dei Quartieri Spagnoli, in studio di fattibilità per S.I.RE.NA. città storica S.C.p.A. - Società per le Iniziative di REcupero di Napoli, Napoli.

Discepolo B. (2008), Le caratteristiche urbane dell’area dei Quartieri Spagnoli, le politiche di trasformazione degli ultimi anni, in studio di fattibilità per S.I.RE.NA. città storica S.C.p.A. - Società per le Iniziative di REcupero di Napoli, Napoli.

Edwards C.D. (1955), “Conglomerate Bigness as a Source Power”, in NBER (National Bureau of Economic Research), Business Concentration and Price Policy, pp. 331-359, Princeton University Press, Princeton.

Fudenberg D., Tirole J. (1985), Predation without Reputation, Working Paper 377, MIT, Cambridge MA.

Galdiero D. (2008), Le recenti politiche di intervento pubblico nell’area dei Quartieri Spagnoli, in studio di fattibilità per S.I.RE.NA. città storica S.C.p.A. - Società per le Iniziative di REcupero di Napoli, Napoli.

Granovetter M. (1985), “Economic Action and Social Structure: The Problem of Embeddedness”, American Journal of Sociology, 91(3), pp. 481-510. DOI: 10.1086/228311

Holmstroem B., Milgrom P. (1987), “Aggregation and Linearity In the Provision of Intertemporal Incentives”, Econometrica, 55(2), pp. 303-328. DOI: 10.2307/1913238

Holmstroem B., Tirole J. (1997), “Financial Intermediation, Loanable Funds, and the Real Sector”, The Quarterly Journal of Economics, 112(3), pp. 663-691. DOI: 10.1162/003355397555316

Jensen M.C., Meckling W. (1976), “Theory of the firm: Managerial behavior, agency costs and ownership structure”, Journal of Financial Economics, 3(4), pp. 305-360. DOI: 10.1016/0304-405X(76)90026-X

Laino G. (2001), “Il cantiere dei quartieri spagnoli di Napoli”, Territorio, 19, pp. 25-32.

Laino G. (2008), Componenti sociali, destinazioni d’uso, politiche e prospettive dei Quartieri Spagnoli e dell’area di studio, in studio di fattibilità per S.I.RE.NA. città storica S.C.p.A. - Società per le Iniziative di REcupero di Napoli, Napoli.

Laino G. (2012), Il fuoco nel cuore e il diavolo in corpo. La partecipazione come attivazione sociale, Franco Angeli, Milano.

Lazear E., Rosen S. (1981), “Rank-Order Tournaments as Optimum Labor Contracts”, Journal of Political Economy, 89(5), pp. 841-864. DOI: 10.1086/261010

Modigliani F. (1958), “New Developments on the Oligopoly Front”, Journal of Political Economy, 66(3), pp. 215-232. DOI: 10.1086/258035

Melazzini C. (2011), Insegnare al principe di Danimarca, Sellerio, Palermo.

Mirrlees J.A. (1974), “Notes on Welfare Economics, Information, and Uncertainty”, in Balch M.S., McFadden D.L., Wu S.Y. (eds.), Essays on Economic Behaviour under Uncertainty, North-Holland, Amsterdam.

Morelli M. (2008), La vocazione economica dei Quartieri Spagnoli, in studio di fattibilità per S.I.RE.NA. città storica S.C.p.A. - Società per le Iniziative di REcupero di Napoli, Napoli.

Nicita A., Scoppa V. (2005), Economia dei contratti, Carocci, Roma.

Pelligra V. (2002), “Fiducia R(el)azionale”, in Sacco P.L., Zamagni S. (a cura di), Complessità relazionale e comportamento economico, pp. 291-336, Il Mulino, Bologna.

Pesenti L. (2002), “Altruismo, dono, radicamento sociale: sulle origini comunitarie del privato sociale”, in Sacco P.L., Zamagni S. (a cura di), Complessità relazionale e comportamento economico, pp. 255-290, Il Mulino, Bologna.

Pirozzi S., Rossi-Doria M. (2010), “Socievolezza e agency”, Sociologia del Lavoro, 120, pp. 80-104. DOI: 10.3280/SL2010-120005

Regonini G. (2001), Capire le politiche pubbliche, Il Mulino, Bologna.

Rossi-Doria M. (1999), Di mestiere faccio il maestro, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli.

Sacco P.L., Zamagni S. (a cura di) (2002), Complessità relazionale e comportamento economico, Il Mulino, Bologna.

S.I.RE.NA. (2008), Studio di fattibilità finalizzato all’avvio di un programma pilota di intervento per l’eliminazione dei “bassi” ricadenti in un‘area dei Quartieri Spagnoli, S.I.RE.NA. città storica S.C.p.A. - Società per le Iniziative di REcupero di Napoli, Regione Campania e Comune di Napoli, Napoli.

Sommella R., Viganoni L. (a cura di) (2003), Territori e progetti nel Mezzogiorno. Casi di studio per lo sviluppo locale, Baskerville UniPress, Bologna.

Stiglitz J.E. (1974), “Incentives and Risk Sharing in Sharecropping”, The Review of Economic Studies, 41(2), pp. 219-255. DOI: 10.2307/2296714

Sylos-Labini P. (1962), Oligopoly and Technical Progress, Harvard University Press, Cambridge MA.

Vittadini G. (2002), Liberi di scegliere. Dal welfare state al welfare mix, ETAS, Milano.

Zamagni S. (2002), “L’economia delle relazioni umane: verso il superamento dell’individualismo assiologico”, in Sacco P.L., Zamagni S. (a cura di), Complessità relazionale e comportamento economico, Il Mulino, Bologna.

Note

  1. ^ La teoria economica afferma che quello di moral hazard è un problema di “asimmetria informativa post-contrattuale”: una volta che il contratto è stato stipulato e accettato, emerge l’asimmetria che favorisce una delle due parti (nel caso in questione, l’agente, unico ad avere informazione completa sul tipo di sforzo messo in pratica)
  2. ^ La logica del torneo è quella che informa la competizione tra dipendenti all’interno della ditta di procacciatori di affari immobiliari del film “Americani” (Glengarry Glen Ross, 1992), di James Foley, tratto da una piéce di David Mamet: “Voi tutti sapete che il primo premio [per il miglior venditore dell’anno] è una Cadillac Eldorado. Volete vedere qual è il secondo premio? Secondo premio: sei coltelli da bistecca. Terzo premio: il licenziamento”.
  3. ^ Si fa riferimento qui ad una serie di modelli considerati la versione moderna del ben noto modello del prezzo limite (Bain, 1956; Modigliani, 1958; Sylos-Labini, 1962). Tra questi, i modelli finanziari della long purse (o deep pocket), che descrivono una situazione tale per cui un’impresa con maggiori risorse finanziarie ha capacità di resistenza superiori alle perdite, e quindi può scatenare una guerra di prezzi che implica il susseguirsi di una serie di esercizi in deficit, pur di eliminare il rivale dal mercato. Inaugurato da Edwards (1955), il tema della borsa profonda resta per lungo tempo ignorato, per poi essere riscoperto da Benoit (1984), Fudenberg e Tirole (1985) e Holmstroem e Tirole (1997).
  4. ^ Al culmine di una serie di modelli che studiano le determinanti endogene della crescita del prodotto interno lordo (PIL) di un sistema, Aghion e Howitt (1992) puntano la loro attenzione sul peso dell’investimento in ricerca e sviluppo (R&S), dimostrando che tassi di crescita positivi derivano da una corretta ripartizione delle risorse (in questo caso risorse umane, ossia forza lavoro) tra il settore delle R&S e quello della produzione di beni (intermedi), con il primo che migliora la produttività del secondo. Nonostante risultino in competizione per il procacciamento delle risorse necessarie al proprio funzionamento, i due settori sono intimamente legati e necessari entrambi al raggiungimento di tassi crescenti di PIL per il sistema.
Sostieni Impresa Sociale

Impresa Sociale è una risorsa totalmente gratuita a disposizione di studiosi e imprenditori sociali. Tutti gli articoli sono pubblicati con licenza Creative Commons e sono quindi liberamente riproducibili e riutilizzabili. Impresa Sociale vive grazie all’impegno degli autori e di chi a vario titolo collabora con la rivista e sostiene i costi di redazione grazie ai contributi che riesce a raccogliere.

Se credi in questo progetto, se leggere i contenuti di questo sito ti è stato utile per il tuo lavoro o per la tua formazione, puoi contribuire all’esistenza di Impresa Sociale con una donazione.