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ISSN 2282-1694
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Numero 9 / 2017

Saggi

Governance e filantropia strategica nelle Fondazioni: la via italiana tra determinismo e solidarismo

Giacomo Boesso, Fabrizio Cerbioni

Abstract

L’attività di erogazione effettuata dalle Fondazioni a favore di iniziative sociali, in Italia come all’estero, rappresenta un insostituibile intervento sussidiario rispetto ai sempre più limitati fondi pubblici. Alla maggiore rilevanza di questi fondi privati si associa, inevitabilmente, una crescente richiesta di procedure efficaci e trasparenti, da parte degli enti di erogazione, nel finanziare progetti meritevoli proposti da organizzazioni di terzo settore o nel promuovere proprie iniziative tese a soddisfare specifici bisogni locali.

Utilizzando le opinioni dei principali soggetti decisori nelle Fondazioni, il progetto di ricerca qui presentato ha verificato sotto il profilo empirico le relazioni osservabili tra vari modelli di filantropia istituzionale proposti dalla letteratura, le attività di governo e le prestazioni delle Fondazioni. Questo saggio si pone l’obiettivo di fornire agli operatori del settore degli spunti di riflessione originali, analizzando il grado di condivisione ed adozione delle pratiche di filantropia strategica suggerite dalla bibliografia e dalla prassi internazionale.

Il quadro teorico di riferimento adottato descrive l’attività filantropica istituzionale come originata da processi di governo che possono essere, vicendevolmente, più deterministici - pianificare e controllare - o più solidaristici - incentivare e supportare. La metodologia utilizzata indaga le correlazioni più significative di questi diversi approcci con il modello d’intervento multifase predominante nella letteratura anglosassone e così articolato: selezione ex ante dei migliori beneficiari; ricerca di ulteriori finanziatori e partner di progetto; sviluppo in itinere della progettualità a fianco dei beneficiari per aumentarne le prestazioni; verifica ex post di risultati ed impatti per influenzare l’agenda sociale di tutti gli operatori del settore ed aumentare la scala e le dimensioni degli interventi di successo. Partendo dall’assunto che ogni Fondazione definisce in piena libertà i modelli di intervento e le attività di governo (non esiste infatti in letteratura un modello vincente per tutti i possibili contesti), l’analisi condotta offre dei riferimenti concreti in merito ai processi di governance valutati come più utili e soddisfacenti da quei soggetti decisori che dichiarano una maggiore condivisione e efficacia della filantropia strategica, consentendo di esplorare la domanda di ricerca: “quale governo per un maggiore impatto sociale?”.

I risultati confermano una sostanziale condivisione ed adozione dei modelli d’intervento multifase supportati da attività di governo deterministiche ma anche da importanti elementi solidaristici tipici della tradizione filantropica Italiana. Si delinea, pertanto, un modello di filantropia nazionale con marcati elementi di originalità, che merita approfondimento e discussione, e pare in grado di creare valore sociale qualora implementato da soggetti di governo consapevoli del ruolo che sono chiamati ad interpretare per essere concretamente agenti di cambiamento sociale.


This paper presents the result of a survey among foundations’ top decision makers to empirically test associations among institutional philanthropy, governance activities and the performances of foundations. The proposed theoretical framework highlights two possible approaches to foundations’ governance and grant-making processes: one more deterministic (planning and control) and another more solidarist (incentive and support). Our method screens for significant associations among these approaches and the prevalent model of strategic philanthropy as declined in a four-step by the Anglo-Saxon literature: first, select ex-ante the best grantees; second, signal other funders other than your foundation; third, improve in-progress performance of grant recipients by enhancing their capabilities; fourth, advance the state of knowledge and practice with detailed ex-post evaluation and dissemination. This model, is contended, helps in influencing the agenda of all social players and can increase dimension and scale of successful projects. 

Results confirm the adoption of the four-step model, matched with deterministic governance as well as with other typically Italian solidarist elements. Data discussion portraits a national philanthropic model characterized by substantial original components, not present in the original conceptualization. This Italian way to strategic philanthropy associates with positive social performances if and when implemented by decision makers who act as professional social players and aim to be social change agents.

Questa ricerca è stata finanziata dall’Università degli Studi di Padova con i progetti PRAT 2015, CPDA158434 e PRAT 2008, CPDA084934. Una prima versione di questo lavoro è stata preparata per il XXI Rapporto sulle Fondazioni di Origine Bancaria a cura di ACRI.

Le fondazioni al centro delle sfide sociali

Sono numerose le criticità sociali che le istituzioni pubbliche e private sono tenute ad affrontare in questi anni, quali l’immigrazione, l’integrazione culturale, l’invecchiamento della popolazione, la tutela del territorio, la conservazione del patrimonio artistico, il progresso culturale e scientifico, la crescita economica, ecc. (solo per citare le principali, senza la pretesa di essere esaustivi).

Una prima risposta a tali sfide è un articolato processo di contrasto al disagio sociale e di sviluppo di nuove opportunità e tutele che, secondo diversi osservatori, coincide sempre più con una progressiva specializzazione dei ruoli tra i diversi attori pubblici e privati. Le politiche pubbliche rimangono centrali ed insostituibili, ma si stanno focalizzando, con modalità di intervento “a costi standard”, sui principali pilastri del cosiddetto welfare state: sanità, previdenza, istruzione, ecc. Altri soggetti privati, ciascuno in base alle proprie caratteristiche distintive, intervengono invece al contorno, fornendo soluzioni aggiuntive e talvolta complementari rispetto all’azione della funzione pubblica nelle sue diverse articolazioni centrali e locali. Ad esempio: le famiglie forniscono reti transgenerazionali di protezione e assistenza; gli enti religiosi valorizzano e rendono operativa la dimensione etica e valoriale al servizio dei più bisognosi; le associazioni organizzano l’insostituibile senso civico dei volontari disposti a dedicare il proprio tempo alla costruzione di ulteriori beni comuni e relazionali; le cooperative favoriscono un sano spirito partecipativo e imprenditoriale nell’erogazione di beni e servizi sociali; le Fondazioni coordinano idee, patrimoni e competenze al servizio della progettualità espressa dagli altri operatori privati o mediante progetti propri; le imprese vendono soluzioni sul libero mercato ma, soprattutto, possono sostenere iniziative di responsabilità sociale.

In sostanza tutto il terzo settore (in questa sede inteso in senso lato) progredisce, si struttura e si articola di pari passo con il continuo sviluppo delle nostre società e delle sfide impegnative che le interessano. Le criticità sociali e culturali che via via si susseguono, infatti, plasmano i territori, e lo stringente vincolo di bilancio che progressivamente perimetra l’azione pubblica chiama a raccolta le migliori e più volenterose forze private per promuovere una risposta plurale alla crescente domanda di interventi sociali. Più ampia è l’articolazione e la specializzazione di questi numerosi attori, maggiore è la maturità con cui ogni comunità si prepara ad affrontare le crisi sociali presenti e future.

L’intervento dell’attore pubblico ricerca sempre più la sostenibilità economica, associata a requisiti di qualità accettabili delle proprie politiche sociali standard. Agli altri soggetti privati è consentita, invece, maggiore autonomia nella definizione degli obiettivi e nella formulazione di concrete linee di intervento, sempre nei limiti delle proprie risorse. In altre parole, muovendosi su scala locale, nazionale o internazionale, gli attori privati interpretano il principio costituzionale della sussidiarietà in base alle proprie specifiche caratteristiche (Quadro Curzio, 2015). Senza sostituirsi all’intervento pubblico e rafforzando il ventaglio dell’offerta di soluzioni ai problemi sociali.

Al centro di questo modello di sviluppo sociale, che alla prova dei fatti sta sostanzialmente prevalendo su altre e alternative visioni dello Stato e della Società, si colloca ogni soggetto che nel contempo risulta: obbligato a sostenere con la fiscalità generale i principali pilastri del welfare state; incentivato fiscalmente a fornire risorse finanziarie agli attori ed ai progetti privati con riconosciute finalità sociali; libero di donare il proprio tempo e le proprie competenze ove riscontri assonanza valoriale; fruitore degli interventi qualora si trovi in condizioni di disagio o bisogno.

In tale contesto di crescente domanda di interventi sociali, diversi osservatori collocano le Fondazioni private al centro dell’offerta di progettualità sociale, anche complessa, qualificandole come un attore sempre più importante nel dinamico e mutevole sistema di welfare state privato che caratterizza il mondo occidentale (Barbetta, 2013; Boesso, Cerbioni, 2013). Questo contributo vuole concentrarsi sulle Fondazioni e sulla loro governance, proponendo la tesi che esse rivestono un ruolo fondamentale di “innesco” e “motore” di iniziative sociali, sussidiarie ed integrative rispetto all’azione pubblica, e individuando nella qualità e nell’articolazione dell’azione degli organi di governo le principali discriminanti per garantire il successo delle loro iniziative.

Filantropia istituzionale: tra mecenatismo solidale e strategia deterministica

Un soggetto privato che non voglia accontentarsi dell’intervento pubblico in un determinato ambito sociale può intervenire in prima persona in quanto più prossimo ad una situazione di emergenza (sanitaria, culturale, artistica, sociale, demografica, ecc.), e quindi maggiormente consapevole di un’opportunità latente ancora da cogliere (scientifica, sportiva, ambientale, artistica, ecc.) o perché in grado, meglio di altri, di coordinare competenze e processi a supporto di bisogni disattesi.

Chiedendosi cosa ciascuno di noi possa fare per il bene della propria comunità e territorio, la risposta può spaziare dal più semplice rispetto delle regole di convivenza comune, ivi compreso il contributo pro-quota alla fiscalità generale, al più articolato desiderio di essere attori proattivi di processi democratici, pubblici, associativi, di cittadinanza attiva, ecc. Se la capacità d’intervento si sostanzia non solo con il proprio voto e comportamento ma anche con il “dono” e la costituzione di un patrimonio e di una struttura organizzativa dedicati all’intervento, l’azione sociale comincia a caratterizzarsi nella nobile forma della filantropia istituzionale.

Le Fondazioni sono da sempre il soggetto che meglio di altri incarna l’agire filantropico, garantendo risorse finanziarie dedicate, continuità nel tempo e professionalità nell’azione. Le Fondazioni sono soggetti giuridici privati e nonprofit, agili e dinamici. Esse non sono soggette alle regole democratiche del consenso tipiche degli attori pubblici, non sono pressate delle regole del mercato e della competizione proprie delle imprese for profit, non risultano vincolate alle prassi di intervento specifiche delle reti pubblico-private e spesso non sono focalizzate sui classici problemi di fundraising peculiari di altri attori nonprofit. In estrema sintesi, le Fondazioni rappresentano la versione moderna sia del mecenate di rinascimentale memoria, patrono delle arti, delle culture e dei bisognosi che interviene con proprie risorse in base alla propria sensibilità e lungimiranza, sia dell’ente morale o religioso che con il proprio patrimonio si fa carico degli ultimi, perfezionando nel tempo il proprio agire per assisterne, a parità di spesa, un numero sempre crescente.

Se per un breve periodo si è ritenuto che un maggiore dinamismo dello Stato nel garantire progresso, benessere e tutele sociali potesse marginalizzare il ruolo dei filantropi, i tempi e le sfide contemporanee ci restituiscono un ruolo crescente delle Fondazioni sia nel modello politico istituzionale anglosassone, a basso intervento pubblico e maggiore ruolo del mercato, sia in quello continentale socialdemocratico, caratterizzato da un maggiore peso del sistema di welfare statale. Le Fondazioni continuano a svilupparsi nei diversi contesti istituzionali e rappresentano insostituibili finanziatori, sovente anche erogatori, di iniziative e servizi ad alta valenza sociale, svolgendo, nel contempo, anche un vitale ruolo di promozione e patrocinio dell’associazionismo sociale e della partecipazione civile.

Nell’ultimo decennio la tradizione anglosassone ha enfatizzato il ruolo delle Fondazioni come filantropi strategici, immaginando soggetti principalmente erogatori in grado di studiare determinati fenomeni e disagi sociali, per poi sperimentare soluzioni caratterizzate da alti tassi di innovazione e relativo rischio di fallimento. I filantropi anglosassoni, in generale, hanno trasferito la cultura tayloristica e scientifica nel mecenatismo classico, rinforzando la lungimiranza del mecenate con le competenze che la Fondazione può ricercare esternamente o creare internamente per affrontare al meglio le sfide sociali che consapevolmente decide di intraprendere (Barbetta et al., 2015; CEP, 2007).

La tradizione solidaristica continentale ha mantenuto, invece, un approccio più operativo, a diretto sostegno degli ultimi o in supporto di soggetti terzi espressione della partecipazione civica locale, delle eccellenze culturali ed artistiche, dell’assistenza privata e delle reti sociali indipendenti e non governative. Affiancandovi, nei migliori casi, politiche di efficientamento che garantissero, a parità di risorse, la possibilità di ampliare la platea degli interlocutori e dei soggetti supportati qualora meritevoli ed in cerca di sostegno (Arena, 2011; Bengo, Ratti, 2014; Barbetta, 2001).

I due approcci teorici non sono mutualmente esclusivi anche se presentano specificità talvolta poco conciliabili (Kania, Kramer, 2014). In particolare, l’approccio scientifico è alle volte declinato con una intrinseca natura “darwiniana” che assegna alle Fondazioni, e soprattutto agli organi di governo che ne ispirano l’agire, il compito di selezionare gli operatori del terzo settore che più di altri risultano meritevoli di finanziamenti in base alla capacità che gli stessi hanno di risolvere situazioni di disagio e creare nel tempo un valore sociale oggettivamente misurabile.

L’accurata pianificazione del filantropo strategico, caratterizzata da forti dosi di determinismo, è finalizzata alla creazione di circuiti virtuosi, veri e propri “moltiplicatori” delle risorse destinate ad una specifica agenda sociale. Ogni distinta criticità sociale (ad esempio una data malattia, una carenza formativa, un disagio culturale, un problema ambientale, ecc.) può quindi essere studiata ed affrontata dalla Fondazione declinando un modello d’intervento multifase.

Tabella 1. Fasi di implementazione della filantropia strategica | Fonte: revisione del modello di Porter e Kramer (Porter, Kramer, 1999)

Un tale processo ha il vantaggio di massimizzare nel tempo le risorse dedicate ad esperienze di successo ed evitare il perpetrarsi di errori ma, nel contempo, favorisce la creazione di “campioni” d’intervento che in maniera più attrezzata di altri riescono ad attrarre l’attenzione dei filantropi strategici. Seguendo tale modello pare residuale lo spazio lasciato ad iniziative, magari altrettanto meritevoli sulla carta, ma intrinsecamente meno attrattive per le metriche di valutazione adottate che sovente sono centrate sull’oggettiva e misurabile creazione di valore sociale. Servirebbero, ad esempio, i più solidi argomenti e le più ampie reti di proponenti per perorare il finanziamento del restauro di capolavori situati in zone impervie, con scarse opportunità di essere poi visitate dalla collettività, o per supportare progetti d’integrazione culturali ambiziosi ed innovativi qualora proposti da soggetti sconosciuti e con una scarsa o nulla esperienza pregressa nel settore (Porter, Kramer, 1999).

La filantropia strategica di stampo anglosassone non chiude le porte alla ricerca sulle malattie rare o agli interventi di frontiera (sono ambiti ben presidiati), tuttavia richiede una forte professionalizzazione degli attori sia per quanto riguarda i proponenti degli interventi - sempre più organizzati in reti di operatori in grado di superare il maggior numero possibile di difficoltà implementative - sia sul versante degli organi di governo e di staff delle Fondazioni - chiamati a definire con precisione le linee d’intervento ed ad analizzare con attenzione, metodo e rigore gli interventi proposti. Tali circostanze potrebbero, per certi versi, scoraggiare le iniziative solidaristiche dei privati disposti a mettersi in gioco, dando vita a nuove Fondazioni o ad altri operatori del terzo settore, qualora questi maturassero la ragionevole certezza di non poter raggiungere in tempi adeguati i livelli sempre crescenti di efficienza. Non è raro, infatti, nel contesto nord americano vedere nuovi mecenati che preferiscono dedicare risorse a Fondazioni già esistenti, piuttosto che crearne di nuove, per rinforzarne le positive linee di intervento e sfruttarne al meglio il know-how erogativo accumulato. Comportamento certamente corretto e ponderato, ma non necessariamente sempre opportuno.

La declinazione della filantropia istituzionale promossa dalle Fondazioni italiane passa quindi per la ricerca di un delicato equilibrio tra un approccio più deterministico ed uno maggiormente solidale. Approcci che non necessariamente sono in conflitto, ma la cui convivenza deve essere oggetto di opportuna discussione e mediazione da parte degli organi di governo della Fondazione. Ciò anche in considerazione del fatto che non può esistere un modello unico di filantropia, valido per ogni occasione e per qualsiasi contesto; ad esempio ben diverso è svolgere una funzione filantropica in un ambiente caratterizzato dalla presenza di un alto numero di operatori del nonprofit e da altre fondazioni rispetto ad un ambiente in cui tali elementi rappresentino un fattore scarso (Giunta, Marino, 2016). Sotto questo profilo, l’interpretazione che il board elabora sul proprio ruolo e su quello della fondazione in cui opera rappresenta il primo nodo cruciale per una efficace azione filantropica.

Consapevoli delle enormi responsabilità che le sfide sociali contemporanee assegnano agli attori privati, in occasione della seconda indagine sul governo delle Fondazione promossa dall’Università degli Studi di Padova, in collaborazione con ACRI (l’associazione delle Casse di Risparmio e delle Fondazioni di Origine Bancaria italiane) e Assifero (l’associazione delle Fondazioni ed enti filantropici italiani), si è deciso di verificare il grado di conoscenza e diffusione dei costrutti teorici della filantropia strategica da parte degli organi di governo delle Fondazioni italiane per poi ragionare sulla loro concreta applicabilità nel contesto nazionale.

La declinazione della filantropia strategica nel nostro ambiente culturale, da sempre fertile di iniziative locali e ricco di disomogeneità territoriali, rappresenta, infatti, una sfida da approfondire per la filantropia intesa nella sua concezione più deterministica. Il proseguo di questo articolo sarà dedicato alla presentazione dei risultati preliminari di un’indagine condotta nel 2016 presso le Fondazioni di Origine Bancaria (FOB) circa lo stato dell’arte sulla relazione tra governance e filantropia strategica.

La governance delle Fondazioni: il quadro delineato dalla prima indagine

Solo recentemente la tematica del “buon governo” ha interessato gli operatori del cosiddetto terzo settore cercando di mutuare, con le opportune cautele, un orientamento più marcatamente aziendale verso la pianificazione degli interventi ed una crescente attenzione sul controllo di processi e risultati. Un’accelerazione nello studio della governance delle Fondazioni, come detto, si è poi osservata con la declinazione del concetto di filantropia strategica, un modello teorico di origine anglosassone che propone alle Fondazioni di farsi attori del cambiamento sociale in grado di pianificare interventi sociali, anche complessi, mediante l’attivazione di reti con altri soggetti del terzo settore (Boesso et al., 2017; Cornforth, 2003).

Per supportare tali processi, la letteratura suggerisce un maggior coinvolgimento degli organi di governo nell’operatività delle Fondazioni, in quanto alla classica funzione di controllo dell’operato dei dirigenti si associano funzioni di affiancamento degli stessi e di apporto di risorse manageriali e tecniche per meglio individuare le iniziative meritevoli di finanziamento. Nelle realtà delle FOB gli organi di governo devono, inoltre, garantire l’equilibrio degli interessi del territorio e la composizione degli stessi in un unico interesse inter-soggettivo all’interno della Fondazione che, opportunamente sviluppato in un piano pluriennale di intervento, consenta la piena ed autonoma azione della FOB a beneficio della comunità locale. Questa apparente complessità di governo è normata con la declinazione di due organi di governo, uno di indirizzo ed uno di amministrazione, verosimilmente per meglio interpretarla e risolverla.

Un modello di governo che soddisfi tutte queste aspettative, in altre parole, si caratterizzerebbe non solo come classico strumento di conformità e garanzia (compliance theory), ma anche come modello decisionale aperto ai contributi dei principali portatori d’interesse territoriali (stakeholder theory), plurale nelle sue modalità operative (democratic theory), in grado di aggregare i profili più adatti per l’esercizio delle molteplici attività della Fondazioni (co-optation theory) e di metterli concretamente al servizio della Fondazione e delle reti da essa promosse o partecipate (partnership theory). La pluralità di teorie e processi di governo lascia ampi spazi ai singoli statuti e uffici di presidenza che, alternativamente, interpretano la governance in maniera più classica (principalmente controllo ed indirizzo) o più articolata (Ostrower, Stone, 2006). Il dibattito sul ruolo e sugli stili di governo è pertanto ancora ampio e rappresenta un elemento di importante riflessione soprattutto in relazione agli obiettivi che la Fondazione vuole raggiungere[1].

La proposta di una governance maggiormente coinvolta nelle fasi operative si associa ad un progressivo riorientamento del comportamento delle Fondazioni, muovendo da un’azione prettamente sussidiaria e solidale verso una prospettiva più strategica e deterministica, per meglio assumere un ruolo di “agente del cambiamento sociale”. In sintesi, la letteratura disponibile individua nelle capacità di aggregare, sviluppare e motivare adeguatamente le squadre di governo e le risorse umane di staff, le discriminanti che permetterebbero alle Fondazioni di migliorare concretamente le proprie prestazioni sociali rispetto al comportamento di altri operatori (Brown, Iversonn, 2004; Frumkin, 2010). Sulle caratteristiche degli organi di governo si è focalizzata la prima indagine sulla governance delle Fondazioni che nel 2012 ha raccolto le opinioni di 52 presidenti ACRI e 60 presidenti Assifero ed ha restituito una prima fotografia dei board delle Fondazioni italiane (Tabella 2) (Boesso et al., 2012).

Tabella 2. Statistiche descrittive degli organi di governo su cui si è focalizzata la prima indagine sulla governance delle Fondazioni | Fonte: (Boesso et al., 2012)

La prima indagine sulla governance ha qualificato le principali Fondazioni italiane come attori già attrezzati per supportare modelli d’intervento sociali deterministici, articolati e soggetti al rischio di fallimento. La discussione dei dati raccolti ha poi reso possibile formulare un modello di governo, funzionale alla promozione della filantropia istituzionale, articolato in almeno sei fasi:

  1. la creazione di una “impresa di cervelli” eterogenea negli organi apicali di governo;
  2. la capacità di renderli una “squadra” competente in merito alla filantropia ed alle linee di intervento;
  3. la produzione di informazioni sul contesto interno alla Fondazione ed esterno in merito al territorio obiettivo, per prendere decisioni “calcolate”;
  4. la definizione delle linee programmatiche, per “bilanciare” gli obiettivi intermedi, funzionali al raggiungimento della mission di lungo periodo, con le risorse effettivamente disponibili;
  5. l’ottimizzazione del lavoro degli organi, per garantire il corretto processo decisionale e “l’affiancamento” degli amministratori al nucleo operativo;
  6. la comunicazione dei risultati e “l’autovalutazione” dell’efficacia e dell’efficienza della governance sino alla formazione di una nuova squadra di governo che faccia tesoro delle precedenti esperienze.

Un tale modello favorisce la composizione dei diversi interessi, attraverso un processo finalizzato ad omogeneizzare il ruolo dei componenti del board ed il loro comportamento all’interno degli organi. Per ciascuna fase sono poi stati individuati una serie di elementi caratterizzanti e delle condizioni di contesto interno alla Fondazione che ne favoriscono la corretta implementazione da parte degli uffici di presidenza (Tabella 3).

Tabella 3. Il modello di governo per le Fondazioni | Fonte: tabelle da 2 a 5 in (Boesso, Cerbioni, 2013)

Nell’indagine tutte le aree sono risultate presidiate dalla maggior parte delle Fondazioni, anche se con soluzioni che possono essere ulteriormente “rinforzate” quale, ad esempio, un ruolo di “antenne sul territorio” per gli amministratori, i quali, per assolvervi, spesso devono: formarsi in maniera informale sulle aree di specializzazione della Fondazione; raccogliere autonomamente le esigenze che emergono dal territorio e sintetizzarle alla Fondazione; “imparare facendo” partecipando alle riunioni del board e valutare compiutamente dossier più o meno dettagliati. Questi “super-individui” si trovano di fronte a decisioni importanti e la ferma volontà di sprecare meno risorse possibili sui processi interni, per dedicarle prevalentemente ai bisogni sociali, non aiuta certo a rendere più sofisticato il processo di governo. Nella situazione esaminata, alcune semplici accortezze contribuirebbero, però, a favorire uno sviluppo della governance a “costo zero” (Tabella 4).

Tabella 4. Possibili migliorie a “costo zero”

Avendo invece a disposizione risorse finanziarie per migliorare il proprio modello di governo, sono molti gli interventi che, alla luce della prima analisi effettuata, potrebbero portare ulteriore beneficio (Tabella 5).

Tabella 5. Possibili migliorie a fronte di appositi investimenti

Certamente tali migliorie sarebbero più attrattive se fosse possibile dimostrare che un investimento di tempo e risorse sulla governance garantisce ritorni in termini di “saper fare” e “saper decidere”. In questa direzione, la prima indagine ha segnalato un’associazione statistica (Tabella 6) tra selezionate caratteristiche del “buon governo” ed un primo elementare indice di produttività dell’Organo di Amministrazione legato alla capacità di “saper spendere”.

Tabella 6. Le caratteristiche del modello di governo che meglio si associano ad una maggiore capacità di “erogazione” del CdA - Coefficienti %, standardizzati e parametrizzati a 100, di un modello di regressione lineare standard per passi con: N=105; R2=0,33; F=6,80; Sig. (p value)=0.000. La variabile dipendente si riferisce al rapporto tra erogazioni nell’ultimo esercizio (in €) diviso per il numero di amministratori in CdA. Tipologia della Fondazione: FOB=1, FErogazione/FComunità=0; Profilo strategico della Fondazione: Mecenate=1, Filantropo Illuminato o Strategico=0. Probabilità di Errore: p value del singolo coefficiente.

I dati in Tabella 6 confermano, almeno indirettamente e con le doverose cautele metodologiche, la tesi già enunciata che assegna alle caratteristiche della governance una funzione predominante nel facilitare il ruolo di “innesco” o “motore” di iniziative sociali a prescindere dalla dimensione della Fondazione analizzata e dal modello operativo prevalente (più grant-making o più operativo).

In altre parole, alla domanda se la qualità della governance sia in grado di influenzare positivamente il comportamento delle Fondazioni la ricerca ha dato una risposta empirica positiva.

La prima indagine sulla governance delle Fondazioni ha centrato l’obiettivo di descrivere la situazione, ma il dibattito con operatori del settore ha fatto nascere la volontà di meglio investigare se i membri degli organi di governo condividessero il ruolo di “attori del cambiamento sociale” a loro assegnato dalla letteratura e se esistessero delle tipicità “nazionali” frutto dell’adozione ragionata e non indiscriminata del modello teorico della filantropia strategica.

La filantropia strategica: lo stato dell’arte nella seconda indagine sul governo delle Fondazioni di Origine Bancaria

Con la seconda indagine si è ampliata la platea dei rispondenti e si è deciso di consultare i membri degli organi di governo ed almeno un membro dello staff operativo delle Fondazioni. I dati di seguito riportati si riferiscono a 144 questionari raccolti tra aprile e giugno 2016 in 35 diverse FOB.

Nel proporre la filantropia strategica come oggetto d’analisi si è intenzionalmente deciso di adottare un approccio neutrale rispetto ai potenziali vantaggi e difetti del modello teorico. Il questionario è stato preparato cercando di fornire risposte sempre equi-attraenti, per non indurre i rispondenti a preferire un modello di intervento filantropico rispetto ad un altro, mettendo quindi sullo stesso piano variabili che si riferiscono a modelli d’intervento sociale più erogativi o più operativi e declinazioni del concetto di filantropia più deterministici o più solidaristici. L’obiettivo era quello di raccogliere le “percezioni” o “opinioni” degli operatori del settore relativamente al modello teorico, al modello d’intervento filantropico della propria Fondazione ed in merito alle eventuali attività di supporto alla filantropia condotte dagli organi di governo in aggiunta ai classici compiti di indirizzo e controllo. Suddiviso in 8 sezioni il questionario ha investigato:

  1. il ruolo del rispondente in Fondazione (OdI, OdA, Staff) e le sue competenze principali;
  2. il grado di condivisione ed adozione dei principali postulati della filantropia strategica;
  3. l’idoneità percepita dai singoli rispondenti al ruolo di supporto alla filantropia strategica;
  4. le caratteristiche e l’utilità assegnata al processo di pianificazione e controllo;
  5. l’utilità assegnata a specifiche attività di governo a supporto dei classici compiti di indirizzo e controllo;
  6. il profilo d’intervento prevalente (erogativo o operativo) ed il peso delle attività (ex ante, ex post);
  7. le performance economiche e sociali della Fondazione;
  8. la dimensione e le aree di intervento.

Trattandosi di dati soggettivi e d’opinione non è possibile verificare la sincerità delle risposte, ma solo commentarle per favorire lo scrutinio e le possibili interpretazioni da parte degli addetti ai lavori. Il database generato dal questionario ha tuttavia superato i classici test di affidabilità e congruità delle risposte (Alpha di Cronbach) a garanzia che tutte le domande come formulate sono state in media comprese e uniformemente interpretate dai rispondenti.

Considerata la natura percettiva dei dati e la numerosità del campione, le analisi effettuate forniscono solo degli spunti di riflessione sull’adozione dei diversi modelli d’intervento e sulle loro relazioni con specifiche attività di governo. Dove il database originato dal questionario ha segnalato delle associazioni statisticamente significative tra filantropia e governance si è cercato, inoltre, di proporre una prima valutazione in merito alla teorizzata associazione tra filantropia strategica e modelli di governo più deterministici ed operativi. Questi dati non possono fornire chiare indicazioni in merito ad eventuali rapporti causa-effetto tra modelli d’intervento e caratteristiche della governance. Rappresentano, tuttavia, un importante approfondimento empirico sull’analisi di una relazione che non può essere trascurata dagli organi di governo nell’ambito delle loro discussioni sul modello decisionale e d’intervento della Fondazione.

Statistiche descrittive: filantropia strategica ed elementi del “buon governo”

Il primo gruppo di quesiti analizzato propone i postulati teorici della filantropia strategica così come precedentemente illustrati, in Tabella 1, riferendosi al modello multifase d’intervento. I dati riportati in Tabella 7 mostrano una equilibrata condivisione ed adozione di questi postulati di derivazione anglosassone anche nel contesto italiano.

Tabella 7. Livello di adozione dei postulati della filantropia strategica

In Tabella 7 si osservano punteggi soddisfacenti. Il passaggio successivo consiste nel valutare quali elementi del “buon governo” (riconducibili alle Tabelle 2 e 3) si correlino maggiormente con i punteggi più alti riferiti alla filantropia strategica.

A livello descrittivo (Figura 1, 2 e 3) tutti e 28 gli elementi del “buon governo” proposti ai rispondenti e soggettivamente valutati nella loro effettiva implementazione o utilità, mediante scale da 0 a 6 punti, sembrano in media condivisi ed utilizzati dalle Fondazioni.

Figura 1. Idoneità del proprio ruolo e del modello di pianificazione. “Nella sua Fondazione osserva…”

Figura 2. Quali dei seguenti strumenti di controllo favoriscono la disamina critica delle linee d’intervento filantropico al fine di migliorarle?

Figura 3. Quanto ritiene utili le seguenti attività dei membri degli organi di governo che la letteratura, a vario titolo, propone come possibili integrazioni alle classiche funzioni di indirizzo e controllo?

La relazione tra “buon governo” e maggiore adozione della filantropia strategica

Di tutti e 28 gli indicatori di “buon governo” riportati nelle Tabelle solo 5 (elencati in Tabella 8) mostrano una correlazione positiva e significativa con i postulati della filantropia strategica (elencati in Tabella 7) e quindi paiono preferiti e meglio valutati dai rispondenti che maggiormente condividono e reputano applicati i postulati del modello teorico.

Tabella 8. Correlazione tra l’indice sintetico di filantropia strategica e le caratteristiche della governance

Benché i coefficienti di correlazione (Tabella 8) non siano molto alti – di molto al di sotto la soglia dell’80% generalmente proposto in letteratura per parlare di buona correlazione – la significatività statistica di alcuni di essi nella fascia tra il 50% ed il 65% consente quantomeno di osservare come i rispondenti più convinti dei postulati della filantropia strategica siano anche quelli più soddisfatti della propria azione di governo, alla quale assegnano una maggiore capacità sia di pianificare su di un orizzonte pluriennale, con una logica seminale, sia di analizzare e valutare ex-post i risultati degli interventi e gli scostamenti rispetto all’obiettivo. Questi sono tutti elementi che depongono a favore di una logica deterministica applicata alla filantropia strategica. Tra le caratteristiche del “buon governo”, tuttavia, compare anche l’attività dei consiglieri a supporto della partecipazione civile e dell’associazionismo sociale, una delle misure meglio riconducibili al modello “solidaristico” di intervento.

Nel complesso queste prime analisi sembrano indicare una sostanziale adesione al modello teorico, anche nella sua versione più deterministica (pianificare) e darwiniana (controllare per imparare), ma senza dimenticare le origini e le tipicità del modello solidale italiano (supportare l’associazionismo). Il tutto in un contesto che evidenzia una complessità intrinseca del modello teorico (segnalato dalla richiesta di essere maggiormente informati sulle buone prassi di altre Fondazioni, la variabile con il più alto punteggio nella Figura 1) e forse qualche difficoltà operativa nella sua concreta implementazione (coefficienti di correlazione non troppo alti). I rispondenti isolano, quindi, un gruppo abbastanza coerente di variabili che qualificano processi di governo articolati e complessi in grado di andare ben oltre la classica funzione di indirizzo e controllo.

Appurato che elementi di pianificazione e controllo favoriscono la filantropia strategica, si è ritenuto opportuno investigare ulteriormente per vedere se e quali elementi del modello decisionale e di governo possono agire da facilitatori di questi processi.

La relazione tra “buon governo” e maggiore pianificazione

Un’ulteriore verifica è stata effettuata chiedendo ai rispondenti di indicare la quantità di tempo dedicata in media dalla Fondazione alle classiche attività di pianificazione ex ante e controllo ex post. Introducendo in questo caso una scala valutativa in percentuale che risultasse più oggettiva ed intuitiva rispetto alle scale da 0 a 6 punti. Anche in questo caso l’analisi parte dal dato medio del campione per poi isolare, con la metodologia degli alberi di segmentazione, le caratteristiche del modello di governance che meglio si associano alle percentuali più alte. Fatto 100 il tempo della Fondazione i rispondenti in media dichiarano di dedicare il 50% alla pianificazione, il 36% al controllo e la parte rimanente, per differenza, alle attività in itinere.

In media i rispondenti ritengono, quindi, che le attività di pianificazione (Tabella 9) abbiano un peso rilevante nell’esercizio dell’azione di governo (50%). Isolando i rispondenti che si reputano maggiormente soddisfatti del contributo apportato alla selezione dei beneficiari più meritevoli, il valore sale al 57%. In altre parole, in presenza di amministratori che si dichiarano più soddisfatti della media dalla fase di selezione dei beneficiari si osserva, coerentemente, una fase di pianificazione mediamente più lunga. Viceversa, attività di pianificazione più brevi (intorno al 37%) lasciano in media insoddisfatti gli amministratori in merito al proprio contributo al processo di selezione. Un ulteriore incremento del peso delle attività ex ante, sino al 63%, si osserva nel sottocampione di 52 individui che assegnano un’alta utilità all’azione degli amministratori, a supporto del presidente, nella creazione di reti di attori, per poi raggiungere il massimo del 69% per i 29 rispondenti che, oltre a confermare tutte le precedenti preferenze, riconoscono un’alta utilità allo strumento del budget declinato per singolo progetto finanziato. In altre parole, la pianificazione si allunga ulteriormente, sino a percentuali forse anche eccessive, per quegli amministratori che preferiscono lavorare sul territorio per tessere reti e analizzare dati prospettici ed analitici su ogni singola proposta d’intervento.

Tabella 9. Peso % all’analisi ex ante: piani programmatici, bandi e istruttorie[2] - Albero di segmentazione. Variabile obiettivo: % ex-ante. Variabili esplicative: selezionate dal questionario qualora associate ad un aumento della % obiettivo. *** p-value, probabilità di errore, < 0.001

Anche questa ulteriore verifica segnala una predominanza di variabili di governo ascrivibili ad un modello “deterministico” di filantropia strategica (selezionare i migliori beneficiari e predisporre i budget di progetto) insieme ad una variabile più di confine con l’approccio solidale e partecipativo (i consiglieri impegnati a tessere reti).

La relazione tra “buon governo” e maggiore controllo

Il peso delle attività di controllo ex post, in media intorno al 36% in Tabella 10, cresce al 44% isolando quei rispondenti che assegnano rilevanza alla necessità di ampliare al massimo il numero dei beneficiari raggiunti dalle erogazioni. Si incrementa ulteriormente sino al 54% se una delle aree principali d’erogazione della Fondazione risulta essere la ricerca scientifica. Area nella quale è più matura e consolidata l’analisi dell’impatto prodotto dagli studi mediante l’analisi di metriche oramai condivise, quali il numero di pubblicazioni e di citazioni. In altre parole, la volontà di allargare il numero dei beneficiari e di investire nell’area della ricerca si associano, coerentemente, a organi di governo che, in media, devono impegnare più tempo nelle successive verifiche di successo e d’impatto dei numerosi finanziamenti erogati.

Tabella 10. Peso % all’analisi ex-post: rendiconti, analisi d’impatto, bilanci sociali - Albero di segmentazione. Variabile obiettivo: % ex-post. Variabili esplicative: selezionate dal questionario qualora associate ad un aumento della % obiettivo. *** p-value, probabilità di errore, < 0.001

Anche in questo caso l’indagine tratteggia un quadro a favore della filantropia strategica e deterministica (più analisi ex post dove è più semplice misurare l’impatto), con l’oramai consueta nota di solidarismo (aumentare al massimo i beneficiari). Forzando una possibile interpretazione, i dati sembrano dire che piuttosto che investire su pochi progetti di ricerca d’eccellenza, compito forse principalmente ministeriale, una Fondazione possa preferire, con pari nobiltà d’intenti, finanziare un ampio numero di soggetti (borse di studio, assegni di ricerca e progetti seminali) su quali poi valutare in maniera oggettiva e misurabile la bontà del lavoro di ricerca svolto.

Sino a questo punto lo strumento di ricerca utilizzato ha dimostrato una discreta solidità e le varie significatività statistiche discusse si riferiscono a variabili e relazioni concettualmente coerenti con il dibattito in corso sulla filantropia strategica. Se, come sembra, nella variabilità delle risposte fornite dai 144 rispondenti è possibile isolare un’associazione statisticamente significativa tra alti valori di filantropia strategica e alti valori di talune caratteristiche della governance è ora interessante spostare la lente d’analisi sulle performance delle Fondazioni.

Le relazioni tra “buon governo”, filantropia strategica e prestazioni delle Fondazioni

Una delle ultime sezioni del questionario chiedeva ai rispondenti di autovalutare le prestazioni sociali ed economiche della propria Fondazione come in linea, migliori o peggiori rispetto agli obiettivi. Il dato è soggettivo e scarsamente consistente (rispondenti appartenenti alla medesima Fondazione hanno espresso pareri diversi), ma le correlazioni con le variabili di governo ed i postulati della filantropia strategica possono fornire un ulteriore spunto di riflessione sulle valutazioni personali che i rispondenti manifestano sulle relazioni tra filantropia, attività di governo e prestazioni.

Prestazioni sociali più soddisfacenti della media (Tabella 11) sono dichiarate dai quei rispondenti che ritengono la propria Fondazione abbia soddisfatto pienamente anche l’ultimo presupposto della filantropia strategica, ovvero sia riuscita ad individuare “soluzioni innovative e/o autosostenibili che possano rappresentare un esempio di modello di intervento per il policy-maker”. L’indice di soddisfazione raggiunge poi il suo massimo (da 3,71 punti, dato medio del campione, a 4,61 rispetto di un massimo teorico di 6) per quel sottocampione di soli 28 individui che, congiuntamente alla sperimentazione di soluzioni per il policymaker, riscontrano una concreta possibilità di misurare ex post ed in maniera oggettiva il valore sociale creato (la riduzione di un disagio o la creazione di una opportunità prima assente). In altre parole, i rispondenti sono più propensi a dichiarare che la propria Fondazione è leader nelle prestazioni sociali quando hanno potuto osservare che i risultati positivi, oggettivi e misurabili, dei progetti finanziati hanno permesso di formulare dei suggerimenti alla politica su come modificare le politiche sociali nazionali.

Tabella 11. Soddisfazione sui risultati sociali della Fondazione nell’ultimo triennio rispetto agli obiettivi - Albero di segmentazione. Variabile obiettivo: Prestazioni Sociali. Variabili esplicative: selezionate dal questionario qualora associate ad un aumento delle Prestazioni Sociali. *** p-value, probabilità di errore, < 0.001

I dati sui risultati sociali sono abbastanza chiari nell’associare alla filantropia strategica, nella sua forma più completa (la quarta fase in Tabella 1: la disseminazione dei risultati per influenzare anche l’agenda pubblica) e deterministica (con elementi oggettivi d’impatto positivo alla mano), la percezione di una Fondazione più performante e maggiormente in linea con i propri obiettivi.

Relativamente alle prestazioni economiche (Tabella 12), i rispondenti che valutano la propria Fondazione come più performante hanno anche indicato una maggiore soddisfazione sull’azione filantropica della governance (la Fondazione funziona meglio di donazioni singole).

L’indice di soddisfazione raggiunge il suo massimo, da 3,37 a 4,08 punti, per il sottocampione di 50 rispondenti che ritengono utile un’azione di governo tesa a finanziare l’erogazione di servizi di welfare privato, variabile che sintetizza in maniera estrema l’approccio più utilitaristico alla filantropia strategica. In altre parole, conti economici migliori della media sono dichiarati dai rispondenti, che hanno piena fiducia nella capacità degli organi di governo, maggiormente idonei a supportare un’agenda sociale articolata, complessa ed in grado di generare beni e servizi di welfare per la comunità.

Tabella 12. Soddisfazione sui risultati economici della Fondazione nell’ultimo triennio - Albero di segmentazione. Variabile obiettivo: Prestazioni Economiche. Variabili esplicative: selezionate dal questionario qualora associate ad un aumento delle Prestazioni Economiche. *** p-value, probabilità di errore, < 0.001

Questi dati sono di difficile interpretazione, considerando che il questionario è ricco di variabili relative alla pianificazione e al controllo intuitivamente meglio associabili ai risultati economici rispetto a quelle riportate in Tabella 12. Le associazioni osservate, congiuntamente all’assenza di altre più scontate, sembrano però indicare che non è percepita favorevolmente una netta separazione tra gestione del patrimonio e governo delle erogazioni. Facendo forse intravedere una certa maturità filantropica nel pensiero dei rispondenti che pongono il patrimonio al servizio della filantropia o, più probabilmente, sottolineano la possibilità di fare filantropia strategica nella sua forma più strumentale, finalizzata ad erogare servizi sociali di cui si soffre la carenza, solo in presenza di buoni risultati economici nella gestione dei patrimoni.

Conclusioni

Questa ricerca empirica, in prima battuta, presenta un esercizio di analisi su dati soggettivi e di opinione di un campione ristretto, ma molto qualificato, di decision maker della filantropia istituzionale italiana. I dati riassunti rappresentano elementi di discussione su come questi decisori interpretino il loro ruolo di governo ed il contributo che lo stesso può dare sia al modello filantropico d’intervento sul territorio sia alle prestazioni complessive della Fondazione.

La metodologia utilizzata permette d’investigare quali modelli d’intervento filantropico i rispondenti osservino e con che grado di idoneità percepita e analiticità vi partecipino. Come tale, l’esercizio condotto non può essere interpretato come una valutazione della bontà dell’operato di questi soggetti, in quanto rappresenta solo il tentativo di analizzare se e come il modello di governo a cui partecipano sia associabile a modelli d’intervento predominanti in letteratura e ancora dibattuti. Utilizzando una metafora sportiva, è come esaminare tramite un questionario se un gruppo di atleti si sente pronto per affrontare una serie agguerrita di avversari, autovalutando la strategia di gara e le sensazioni raccolte durante la fase di allenamento. I risultati certamente possono aiutare a calibrare l’ultima fase di preparazione, ma non dicono nulla sul numero di medaglie che si otterranno.

Esercizi empirici di questo tipo sono molto importanti per fornire informazioni agli operatori del settore e, soprattutto, per indirizzare il dibattito su quelle correlazioni statistiche che più o meno coscientemente emergono dalle risposte fornite e che costituiscono elementi di consenso all’interno di gruppi omogenei di rispondenti. Proseguendo nella metafora, si cerca di capire se le sensazioni degli atleti sulla preparazione siano quelle giuste in relazione alla strategia di gara impostata. In questo lavoro l’attenzione si è focalizzata sui rispondenti che più di altri condividono e ritengono applicati i postulati della filantropia strategica ed i risultati confermano che tale maggiore condivisione si associa a distinte caratteristiche del governo delle Fondazioni ma, anche, ad una migliore percezione delle prestazioni sociali ed economiche.

In particolare, si è osservato che i modelli multifase di intervento, come proposti dalla filantropia strategica di matrice anglosassone, sono maggiormente sviluppati in presenza di:

  1. un’azione di governo in grado di qualificare la Fondazione come un filantropo più sofisticato rispetto all’agilità ed alla dinamicità di singoli donatori individuali;
  2. un’attività di pianificazione che consenta alla Fondazione di erogare delle risorse come se si trattasse di un “seme” su cui poi far germogliare una più complessa progettualità sociale;
  3. consiglieri e amministratori attivi sul territorio per supportare la partecipazione civile e l’associazionismo sociale di altri soggetti privati;
  4. la concreta possibilità di valutare in maniera consapevole e per quanto possibile oggettiva l’impatto degli interventi finanziati;
  5. un livello di contabilità analitica molto dettagliato con strumenti manageriali, quali il budget, declinati a livello di singolo intervento.

I rispondenti, chiamati ad esprimersi su oltre 50 variabili, ne restituiscono come determinanti per supportare un effettivo cambiamento sociale solo 5, tra loro abbastanza coerenti. Si tratta di un gruppo di variabili che impone agli uffici di presidenza uno sforzo non banale nell’organizzare ed esprimere una progettualità condivisa e pluriennale. Queste “preferenze” delineano, infatti, una combinazione di elementi fortemente deterministici ed aziendali (pianificare, valutare e analizzare) congiuntamente ad elementi solidaristici (supportare). I rispondenti tratteggiano un’attività di governo ampia ed estesa che inevitabilmente richiede investimenti di tempo e risorse finanziarie sui concreti processi di governo prima che sui progetti filantropici.

Di converso, un quadro di intervento sociale ispirato da queste variabili non sembra idoneo per risolvere crisi urgenti o supplire a gravi situazioni contingenti, circostanze su cui forse dovrebbero specializzarsi altri soggetti privati (cooperative, associazioni, ecc.) magari a loro volta finanziati dalle Fondazioni in base alle loro buone prestazioni registrate sugli scenari di crisi. Una tale specializzazione dei ruoli, tuttavia, in base ai dati raccolti non si spinge sino a condividere pienamente il modello, teorizzato da alcuni, di supporto privilegiato a “campioni” dell’intervento sociale d’emergenza (grandi ONG, ramificate cooperative, storici enti morali, ecc.) per invece preferire una maggiore attenzione alla pluralità dei possibili beneficiari, piantando diversi “semi” e poi chiamando a supporto finanziario anche altri soggetti (altre Fondazioni, associazioni, enti locali, enti religiosi, ecc.).

Considerando come la pianificazione ed il controllo siano elementi deterministici chiaramente riconducibili ad almeno 4 delle 5 variabili sopra riportate, si è cercato quindi di osservare quali stili di governo meglio si associno alla condivisione da parte dei soggetti decisori di questi strumenti:

  • una soddisfacente partecipazione degli organi di governo alla fase di selezione dei beneficiari;
  • la capacità degli amministratori di affiancare il presidente nella composizione di reti d’intervento;
  • la capacità di ampliare il numero dei beneficiari in quei settori di intervento, come la ricerca, dove è più facile misurare e comparare i risultati e gli impatti.

L’interpretazione sposta e articola ulteriormente le preferenze espresse, dal precedente livello di progettualità pluriennale e complessa, coerente con i dettami più rigorosi della filantropia strategica, verso una progressiva integrazione di azioni erogative maggiormente plurali in quelle aree di intervento che consentano un controllo più rigoroso dei risultati, quali il finanziamento della ricerca scientifica e - tra i dati non tabellati perché con significatività statistiche più basse - anche gli interventi sugli anziani e sull’edilizia sociale. Queste “preferenze”, nuovamente, tratteggiano degli organi di governo attivi e concretamente coinvolti nella progettualità filantropica mediante l’utilizzo di strumentistica specifica e sovente costosa (selezionare, comporre reti, misurare e comparare). I risultati sembrano quindi confermare la necessità di un’azione di governo particolarmente articolata e distintamente organizzata per supportare il terzo settore come elemento caratterizzante della filantropia istituzionale Italiana.

Al verificarsi di tutte le condizioni sopra riportate, i rispondenti associano, infine, migliori prestazioni sociali e, più sorprendentemente, anche migliori prestazioni economiche. Trattandosi di associazioni bidirezionali e non causali, tuttavia, questo implica anche la consapevolezza che quanto precedentemente descritto non è facilmente implementabile in assenza di buoni conti economici e gestioni dei patrimoni redditizie.

La governance appare, attraverso gli occhi degli amministratori delle Fondazioni, come una funzione mediamente più ricca ed articolata rispetto a quella che emerge dai principali modelli teorici proposti per le imprese for profit. La classica attività di controllo ed indirizzo, con minime ingerenze nell’operatività garantita dalle linee manageriali, tipica delle imprese, si arricchisce nelle Fondazioni di ulteriori ruoli e compiti cui gli amministratori sono chiamati per rendere l’azione filantropica più deterministica e distintamente solidale. Il grado di coinvolgimento dei membri del board nei progetti finanziati sembra andare oltre l’accurata pianificazione e la verifica di risultati ed impatti, suggerendo la necessità di una marcata competenza dei soggetti decisori al fianco dello staff operativo, sovente molto snello.

Fino a che punto possano spingersi le apparenti sinergie tra livelli di governo e piani d’azione operativi è un quesito ancora poco investigato nella letteratura sulla governance e rende l’analisi del nonprofit di assoluto interesse per il progresso della teoria. Il governo delle Fondazione è materia specifica ed in continua evoluzione, ispirata e contaminata dai classici studi sulla governance, ma chiaramente distinta dagli stessi e alla ricerca di proprie linee guida, modelli teorici, best practice e professionalità dedicate. Per questo si ritiene che il governo delle Fondazioni rappresenti un’area di ricerca meritevole di ulteriori approfondimenti.

I soggetti apicali delle Fondazioni italiane, in estrema sintesi, dichiarano di potere e volere sperimentare soluzioni d’intervento sociale “pilota”, anche innovative e rischiose, il cui eventuale successo le renda poi proponibili come modello per altri attori privati e pubblici. I rispondenti si sentono, inoltre, idonei ad erogare servizi di welfare privato ove necessario, acconsentendo ad un uso abbastanza utilitaristico delle proprie prerogative istituzionali. In questo modo si allineano alle finalità ed ai metodi propri della filantropia strategica di stampo anglosassone, nel farlo, tuttavia, non sembrano disponibili a derogare su specifici elementi solidaristici che fanno parte della tradizione nazionale. Infine pare confermato che tali soluzioni d’intervento sociale siano possibili solo in presenza di patrimoni redditizi e di soggetti di governo sempre più specializzati nella filantropia ed in grado di monitorare le esperienze di altre Fondazioni.

Questa via italiana alla filantropia strategica, combinazione ragionata di progettualità pluriennale d’eccellenza ed erogazioni più capillari, merita di essere maggiormente studiata ed approfondita nella sua componente d’originalità rispetto al modello teorico prevalente. Magari passando dal semplice esercizio di stile su dati soggettivi, qui riassunto, a progetti di ricerca di più ampio respiro che analizzino i dati oggettivi riconducibili ai 25 anni di successi e fallimenti sperimenti dalle FOB nei diversi campi sociali d’intervento. Sarebbe interessante valutare, infatti, se il modello nella sua peculiarità funziona meglio di altri, come forse indirettamente confermato dalla recente nomina alla presidenza dell’European Foundation Centre di un esponente delle Fondazioni italiane che ha accettato il mandato con un messaggio coerente con i risultati presentati in questa relazione: “L’Europa si trova di fronte a grandi sfide. In questo contesto è importante consolidare il ruolo della filantropia. Non solo come polo aggregativo di risorse in grado di rispondere ai bisogni, ma anche come strumento per rafforzare la nostra identità”.

Concludendo, si vuole ringraziare tutti i soggetti apicali delle FOB che hanno reso possibile questo approfondimento empirico e l’ACRI che ne ha facilitato e supportato lo svolgimento. Conoscere, analizzare e dibattere l’opinione dei soggetti decisori in maniera neutra e terza è infatti un compito di grande utilità per aiutare le Fondazioni a continuare nel percorso di crescita e sviluppo come finanziatori autorevoli del terzo settore.

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Note

  1. ^ Importanti indicazioni su forme e stili di governo sono arrivate da documenti di autoregolamentazione promossi in questi anni dalle Fondazioni stesse come “La carta delle Fondazioni” ed il “Protocollo d’intesa” tra ACRI e MEF.
  2. ^ Gli alberi di segmentazione di Chaid valutano quali variabili esplicative, all’interno di quelle maggiormente correlate con la variabile obiettivo, risultano più discriminanti nel determinare il comportamento del campione relativamente alla variabile scelta come obiettivo. In altre parole, quali caratteristiche del modello e dei processi di governo sono maggiormente selettive nello spiegare l’aumento del peso percentuale delle attività ex ante o ex post.
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