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ISSN 2282-1694
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Numero 4 / 2014

Casi studio

Imprese sociali e finanziamenti europei: quale rapporto? Il caso del Veneto

Denise Florean

Abstract

Questo caso studio intende indagare - con particolare attenzione al Veneto - il rapporto tra imprese sociali e finanziamenti europei, cercando di valutare quanto queste organizzazioni siano in grado di intercettare nuove risorse e, soprattutto, di guardare all’Unione Europea come soggetto capace di sostenerne, anche finanziariamente, i percorsi innovativi. Alcune regioni italiane più di altre hanno saputo lavorare, grazie alla valorizzazione del proprio vissuto storico, alla costituzione di un tessuto locale ispirato al paradigma di uno sviluppo sostenibile in grado di coniugare ecologia, economia ed equità sociale, che ha sostanzialmente contribuito a rafforzare i processi di cooperazione. In questo senso il Veneto presenta caratteristiche che testimoniano la persistenza di una dotazione di capitale sociale in grado di produrre impegno civico, solidarietà e partecipazione, che, declinate assieme alla spiccata propensione all’imprenditorialità, hanno costituito la fortuna della cooperazione sociale regionale. 

La ricerca, effettuata su un campione di cooperative sociali venete, pur non rappresentando un caso statistico significativo dell’intero universo, ha consentivo di mettere in evidenza le tendenze diffuse circa la tematica discussa: lo scenario appare critico in quanto le cooperative sociali venete sembrerebbero, in forza delle proprie caratteristiche strutturali e dirigenziali, più orientate ad una progettazione su scala locale. In questo senso si suggeriscono possibili margini di miglioramento, anche alla luce del paradigma dell’absorptive capacity, o capacità d’assorbimento dell’impresa, sviluppato negli anni '90 da Coehn e Levintal.


This case study aims at investigating - with a focus on Veneto (a region of North Italy) - the relationship between social enterprises and European funding, in order to establish how these organizations are able to attract new resources and, above all, to consider the European Union as a subject sustaining their innovative paths, also from a financial point of view. By valuing their historical background, some Italian regions have been able to set up a local framework inspired by sustainable development - combining ecology, economy and social equity - which has substantially contributed to strengthening the cooperation processes. Veneto attests the persistence of a social capital which can produce active citizenship, solidarity and participation, which - along with the strong propensity for entrepreneurship - ensured the success of regional social cooperation.

The study was carried out on a sample of social cooperatives of Veneto. It has not a statistically significant in the the entire universe but it allows to highlight specific trends: the scenario is critical because social cooperatives of Veneteo seem more oriented to a program on a local scale, according to their structural characteristics and management,. We suggest possible improvements, especially according to the paradigm of absorptive capacity, that is the absorption capacity of an organization, developed in the 90s by Coehn and Levintal. 

Introduzione

Da tempo in Europa si è sviluppata una solida esperienza scientifica sui temi dell’impresa sociale che negli ultimi anni ha saputo stimolare le istituzioni dell’Unione Europea. La proposta di politiche comunitarie a favore di questo particolare modello di impresa è stata incoraggiata dal riconoscimento dell’impatto economico e sociale prodotto in tutta Europa. Come una sorta di premialità all’impresa sociale - che mediamente ha affrontato la crisi con più dinamismo rispetto alle aziende for profit - si inaugura una nuova stagione di politiche comunitarie che mirano a favorire l’affermazione del modello e a creare un ecosistema entro cui le imprese sociali possano evolvere con pari dignità rispetto alle aziende di tipo tradizionale. Il fulcro della trasformazione che sta coinvolgendo l’impresa sociale, sia dal punto di vista dell’evoluzione dei modelli organizzativi che della stessa cultura d’impresa, è intimamente legato alla disponibilità di risorse aggiuntive che possano guidarne il processo evolutivo; inoltre a partire dal prossimo settennio le risorse comunitarie dedicate saranno davvero consistenti. Alla luce di queste premesse il paper si concentrerà sull’analisi delle capacità delle imprese sociali di intercettare queste risorse.

Nuove misure a sostegno dell’impresa sociale nella programmazione comunitaria 2014-2020

Negli ultimi anni la Commissione Europea si è concentrata sull’implementazione del piano per l’imprenditoria sociale e sull’elaborazione di nuove azioni e misure di contaminazione tra le politiche in grado di sostenere e promuovere lo sviluppo dell’impresa sociale nel suo complesso. Con il settennio di programmazione 2014-2020 saranno operativi nuovi strumenti comunitari per la crescita qualitativa delle imprese sociali, le cui caratteristiche funzionali sono state disegnate sulla base delle considerazioni contenute nella Social Business Initiative (Commissione Europea, 2011b) e nella strategia Europa 2020 (Commissione Europea, 2013a). Quest’ultima suggerisce che la nuova economia europea dovrà costruirsi su paradigmi di una crescita che sia: a) intelligente (volta a perseguire lo sviluppo di un’economia basata sulla conoscenza e l’innovazione); b) sostenibile (attraverso l’efficientamento delle risorse e la diffusione di una cultura basata sulla sostenibilità); c) inclusiva (in grado di favorire la coesione sociale e preservare i tassi di occupazione). Appare quindi evidente quale grande possibilità sia offerta all’impresa sociale e alle organizzazioni del terzo settore, attori di eccellenza per la costruzione di un’Europa intelligente, sostenibile ed inclusiva.

In termini di crescita intelligente, l’impresa sociale rappresenta un esempio di innovazione organizzativa, ancor prima che sociale, che ha attecchito in una molteplicità di settori, dall’agricoltura ai servizi. Risulta anche evidente l’apporto ad una crescita sostenibile ed inclusiva se si considera che l’impresa sociale è caratterizzata da un sistema valoriale basato sulla centralità della persona, il rispetto del contesto ambientale, la creazione di esternalità positive a carattere sociale e solidale. Quanto alla capacità di preservare i tassi occupazionali, è dimostrato come l’impresa sociale in Europa riesca, nonostante la crisi, a contrastare la disoccupazione e la precarietà del lavoro attraverso l’inclusione sociale e l’occupazionale di gruppi vulnerabili (Commissione Europea, 2013c; Venturi, Zandonai, 2012b).

I fondi strutturali

Storicamente l’Unione Europea ha promosso a livello locale l’avvio di molte iniziative a sostegno dell’impresa sociale, in particolare attraverso la programmazione del Fondo Sociale Europeo (FSE) e del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR); per il periodo 2014-2020 la promozione dell’economia e dell’imprenditorialità sociale vengono elevate a priorità d’investimento specifico di questi fondi. Con la strategia Europa 2020 l’Unione si concentra sulla necessità di integrare strategicamente le azioni poste in essere nella nuova programmazione, a partire da un coordinamento tra i programmi a gestione diretta e le politiche di coesione, attraverso la quota di fondi strutturali gestiti direttamente dagli Stati membri e dalle Regioni, che vengono esplicitamente invitati ad investire maggiormente nell’impresa sociale attraverso l’introduzione nei programmi FSE e FESR di azioni mirate (Commissione Europea, 2013b). Le norme che governano il nuovo ciclo di investimenti delle politiche di coesione sono state approvate formalmente dal Consiglio dell’Unione Europea e sono entrate in vigore il 20 dicembre 2013 con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’Unione. La dotazione finanziaria destinata alle politiche di coesione per il nuovo settennio è pari a 352 miliardi di euro, di cui una quota variabile tra il 50 e 80% sarà destinata - attraverso FESR e FSE - a impiego, inclusione sociale, ricerca e innovazione per le PMI.

Il Regolamento n. 1304/2013 del 17 dicembre 2013 (Parlamento Europeo, 2013e) è il quadro normativo di riferimento per la programmazione dell’FSE. Nel testo si sottolinea come una delle priorità di investimento sia l’innovazione sociale; in particolare l’FSE dovrebbe incoraggiare e sostenere le imprese sociali, gli imprenditori ed i progetti innovativi delle organizzazioni di terzo settore, anche nell’implementazione di progetti pilota dall’alto valore di replicabilità. Tra le sperimentazioni caldeggiate viene proposto lo sviluppo di metriche sociali quali, ad esempio, l’etichettatura sociale. L’imprenditoria sociale è ufficialmente contemplata dal nuovo regolamento FSE nell’ambito dell’obiettivo tematico “Promuovere l’inclusione sociale e combattere la povertà e ogni discriminazione”; almeno il 20% dei finanziamenti è dedicato al collaudo e alla proiezione su scala di soluzioni innovative mirate a soddisfare esigenze sociali, occupazionali e formative.

Il FESR contribuisce a rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale, eliminando le principali disparità regionali nell’Unione tramite lo sviluppo sostenibile e l’adeguamento strutturale delle economie regionali, compresa la riconversione delle regioni industriali in declino e delle regioni in ritardo di sviluppo. Il fondo sostiene principalmente investimenti in ricerca, innovazione e in attività dalle ricadute dirette nel tessuto produttivo europeo, è quindi indirizzato alle PMI, incluse le imprese dell’economia sociale (Commissione Europea, 2003). Tra le priorità di investimento del fondo compaiono la promozione di un’occupazione sostenibile e di qualità, il sostegno all’inclusione sociale e, in quest’ambito specifico, sono caldeggiate misure a supporto dell’impresa sociale anche nella fase di start up.

Le azioni di sperimentazione nel campo dell’imprenditorialità sociale, di collaborazione tra i Paesi membri, di identificazione e diffusione di buone pratiche, nonché la formazione di nuovi professionisti dell’economia sociale permeano trasversalmente gli obiettivi programmatici dei fondi strutturali 2014-2020, contribuendo ad implementare la strategia specifica dell’Unione, che attraverso le iniziative di prossima implementazione si prefigge di innovare profondamente la stessa politica di coesione negli Stati membri.

I fondi diretti

Il nuovo programma dell’Unione Europea per l’occupazione e l’innovazione sociale, che costituisce parte integrante di un’iniziativa globale europea volta a stimolare l’occupazione, agirà in sinergia con le azioni FSE. Il nuovo progetto prevede di coordinare l’implementazione delle misure a sostegno dell’inclusione sociale e dell’occupazione con un forte indirizzo di razionalizzazione dato dalla revisione degli strumenti finanziari gestiti direttamente dalla Commissione. Il fine ultimo di questo efficientamento, che si manifesta in termini di accentramento (a fini di controllo), è perseguire una maggiore coerenza delle politiche sociali e assicurare un impatto dell’azione dell’Unione negli ambiti d’azione specifici.

La proposta di un nuovo Programma per l’Occupazione e l’Innovazione Sociale (EaSI) prende forma nel 2011 a partire dalla volontà di dare seguito alle attività di successo implementate nello scorso periodo di programmazione, ma concentrandosi anche su nuove azioni che possano aiutare l’Unione ad innescare importanti riforme nel mercato del lavoro. Il programma di microfinanza a sostegno dell’occupazione e dell’innovazione sociale approvato con Regolamento n. 1296 del 11 dicembre 2013 (Parlamento Europeo, 2013d) si propone i seguenti obiettivi strategici:

  • rafforzare l’impegno verso gli obiettivi di Europa 2020 ed il coordinamento delle attività a livello europeo e nazionale in materie chiave quali occupazione, affari sociali e inclusione sociale;
  • favorire lo sviluppo di sistemi di protezione sociale e di mercati del lavoro adeguati, accessibili ed efficienti, facilitare le riforme, promuovendo il buon governo, l’apprendimento reciproco e l’innovazione sociale;
  • modernizzare il diritto dell’Unione secondo i principi della regolamentazione intelligente e far sì che la normativa dell’Unione su questioni connesse alle condizioni di lavoro sia applicata in modo efficace;
  • stimolare la mobilità geografica dei lavoratori, ora carente, e creare nuove opportunità di occupazione attraverso l’adeguamento tra domanda ed offerta di lavoro;
  • rendere disponibili micro-finanziamenti per gruppi vulnerabili quali persone a rischio disoccupazione, giovani, anziani o immigrati;
  • migliorare l’accesso al credito per le imprese sociali (Marchetti, 2013).

Per perseguire questi obiettivi, EaSI recupera e rafforza tre strumenti già in uso dalla Commissione nella programmazione 2007-2013, ossia i programmi Progress, Eures e Microfinanzia (Parlamento Europeo, 2013d).

L’asse Progress sosterrà lo sviluppo, l’attuazione, il monitoraggio e la valutazione della politica occupazionale e sociale dell’Unione. Rispetto al passato, le azioni dedicate alla parità di genere e alla lotta contro le forme di discriminazione confluiranno nelle nuove linee di finanziamento diretto della Direzione Generale Giustizia. Dal 15% al 20 % della dotazione complessiva per l’asse sarà destinato alla promozione della sperimentazione sociale come metodo per testare e valutare soluzioni innovative in vista di una loro utilizzazione su più ampia scala. La partecipazione all’asse Progress è aperta a tutti le organizzazioni, gli operatori e le istituzioni del settore pubblico e privato, comprese quindi le imprese sociali.

L’asse Eures continuerà come in passato a sostenere le forme di cooperazione destinate a promuovere la mobilità geografica dei lavoratori e a rendere trasparenti le offerte e le richieste di nuovo impiego per chi cerca e per chi offre lavoro, nonché le informazioni di supporto a chi si appresta a spostarsi all’estero per motivi di lavoro. Il nuovo programma vorrebbe sostenere - in modo particolare nell’ambito di quest’asse - lo sviluppo di programmi di mobilità intelligente che riescano a colmare le carenze di lavoratori in determinati settori del mercato, accrescendo così le possibilità di impiego. Sono ammissibili le amministrazioni nazionali, regionali e locali, i servizi per l’impiego e le organizzazioni delle parti sociali.

L’asse Microfinanza si rinnova completamente rispetto al precedente programma di microfinanza (lanciato nel 2010 nell’ambito del programma Progress), con il fine di garantire l’accesso ai finanziamenti alle imprese sociali e maggiore supporto ai soggetti erogatori di microcredito (Aiccon, 2013). Tra gli obiettivi dell’asse vi è sostenere lo sviluppo del mercato dell’investimento sociale e agevolare l’accesso al credito per le imprese sociali, mettendo a disposizione strumenti di equity, quasi-equity, prestito e sovvenzioni fino a 500 mila euro per le imprese sociali che hanno un fatturato annuo non superiore ai 30 milioni di euro e che non siano imprese di investimento collettivo. Il sostegno dell’asse è garantito tramite la stipula di accordi specifici, in particolare con la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) e con il Fondo Europeo per gli Investimenti (BEI).

Il budget assegnato all’intero programma è pari a circa 919 milioni di euro, così ripartito tra gli assi: 61% per il Progress (di cui 97 milioni riservati a finanziare progetti di innovazione sociale), 18% per l’Eures e 21% per la Microfinanza dedicata all’imprenditoria sociale. Alla luce dei limitati fondi a disposizione, della ripartizione di tali fondi tra i diversi assi e degli storici orientamenti della Commissione in tema di misure finanziate, è possibile ipotizzare che anche nell’ambito di questo nuovo programma saranno privilegiati progetti con un evidente effetto moltiplicatore a beneficio di ulteriori attività ed iniziative. Le selezioni a finanziamento nell’ambito dell’asse Eures saranno emanate da un comitato a sé stante - creato sulla base della precedente attività della rete Eures - mentre per i progetti e le iniziative degli assi Progress e Microfinanza la selezione sarà in capo alla Commissione in stretta collaborazione con le istituzioni finanziarie.

L’implementazione del nuovo EaSI consente di guadagnare in termini di efficienza rispetto alle iniziative passate, grazie alla possibilità di effettuare attività trasversali sui tre assi; le attività finanziate potranno infatti beneficiare di un’armonizzazione dei processi di informazione, comunicazione, monitoraggio e valutazione. In questo senso le sinergie tra EaSI e FSE saranno pienamente sfruttate come scaling up dei risultati. In altri termini si auspica che l’FSE possa rappresentare lo strumento che in futuro sosterrà la replicabilità, negli Stati membri, delle iniziative poste in essere a titolo di pilot innovativo a carattere di sperimentazione sociale nell’ambito di EaSI.

Il ruolo della finanza

Le misure poste in essere dall’Unione Europea per migliorare l’accesso ai finanziamenti per le imprese sociali sono quindi varie. Più in generale, lo stimolo alla crescita e competitività del tessuto produttivo comunitario rappresenta l’obiettivo primario della riforma che ha investito il mercato unico europeo in risposta alle tensioni create dalla crisi economica mondiale. In particolare, è stato dato notevole rilievo alla problematica di accesso al credito delle PMI, affrontata nel processo di revisione dello Small Business Act (Commissione Europea 2008; 2011c). La fornitura di capitali per le PMI nella fase di start up è uno dei nuclei centrali del Single Market Act (Commissione Europea, 2011a - azione chiave 6, stimolare gli investimenti a lungo termine nell’economia reale, facilitando l’accesso ai fondi di investimento a lungo termine), in cui si evidenzia come risulti sempre più difficile trovare fondi per investimenti nelle imprese innovative e come la raccolta di capitali per l’investimento transfrontaliero risulti essere una delle possibili soluzioni da percorrere in via primaria. In questo contesto, nel marzo 2013 l’Unione ha approvato una serie di norme dedicate a due tipologie di investimento prioritarie per le PMI europee: da una lato il Regolamento sui Fondi di venture capital (EuVeca) (Parlamento Europeo, 2013a) e dall’altro il Regolamento sui Fondi per l’imprenditoria sociale (EuSef) (Parlamento Europeo, 2013b). La necessità è quella di stabilire un quadro comune di norme a livello europeo circa l’utilizzo dei fondi EuVeca e EuSef, con particolare riferimento agli obiettivi di investimento ammissibili, agli strumenti di investimento e alle categorie di investitori possibili. In assenza di tale quadro comune, infatti, si incorrerebbe nel rischio che gli Stati membri adottino misure divergenti a livello nazionale ostacolandolo il corretto funzionamento del mercato interno.

Il Regolamento sui fondi EuSef per l’imprenditoria sociale è orientato al mercato dell’investimento sociale, solo in parte rappresentato da fondi di investimento specifici destinati alle imprese sociali. Tali fondi assicurano finanziamenti alle imprese che generano cambiamenti sociali, apportando in aggiunta un contributo significativo al raggiungimento degli obiettivi della strategia Europa 2020. La definizione dei requisiti qualitativi per l’utilizzo della denominazione EuSef ha il fine di assicurare l’applicazione diretta di tali requisiti ai gestori di organizzazioni di investimento collettivo che raccolgono capitali utilizzando tale denominazione (Parlamento Europeo, 2013b). Inoltre i gestori che utilizzeranno tale denominazione dovranno rispettare le stesse regole in tutta l’Unione, incrementando così anche la fiducia degli investitori.

In generale le nuove norme impatteranno direttamente sui gestori dei fondi sopracitati e prevedono l’introduzione di nuovi requisiti minimi comunitari relativamente al portafoglio, alle tecniche di investimento, alle categorie di imprese ammissibili al finanziamento, alla standardizzazione ed uniformizzazione delle regole applicabili alle diverse categorie di investitori cui potranno essere indirizzati i fondi. L’attività primaria dei fondi per l’imprenditoria sociale consiste nel fornire finanziamenti alle imprese sociali mediante investimenti primari. Come specificato nel regolamento “è opportuno che i fondi qualificati per l’imprenditoria sociale non partecipino né ad attività bancarie d’importanza sistemica esterne al comune quadro normativo prudenziale (il cosiddetto ‘sistema bancario ombra’), né si basino sulle tipiche strategie di private equity, come le rilevazioni con capitale di prestito” (Parlamento Europeo, 2013b).

Altro significativo strumento in sostegno all’impresa sociale approvato nella primavera del 2013 è il Social Impact Accelerator (SIA), gestito da un partenariato pubblico-privato paneuropeo per affrontare il crescente bisogno di disponibilità di capitale proprio per sostenere le imprese sociali. Il SIA è gestito dal Fondo Europeo per gli Investimenti (FEI) e propone finanziamenti alle imprese sociali in tutta Europa. La novità più importate è la rilevanza posta sugli aspetti di valutazione dell’impatto sociale generato dai progetti finanziati, che sarà quantificato attraverso un nuovo quadro di riferimento per la rendicontazione dell’impatto, applicato a tutti i livelli della catena di investimento; la nuova standardizzazione ideata dal FEI permetterebbe di valutare e mettere a confronto la performance delle imprese sociali operanti in modo diverso e in settori diversi. Oltre ad accrescere la disponibilità di finanziamenti specifici per l’impresa sociale, il SIA mira a sviluppare le infrastrutture del mercato dei fondi esistente offrendo assistenza sotto forma di coaching ai gestori di fondi che ora non hanno capacità operativa per partecipare al SIA. L’obiettivo a lungo termine del SIA e del suo principale investitore, la BEI (Banca Europea degli Investimenti), è quello di investire sull’impatto sociale e contribuire così in modo innovativo al sostegno delle imprese sociali in Europa: l’applicazione di metodi di valutazione dell’impatto sociale degli investimenti è in grado di contribuire alla diffusione di una nuova mentalità tra gli investitori, più aperta agli investimenti in progetti di inclusione sociale.

Il caso studio

Disposizioni di così ampio respiro hanno innescato inevitabilmente la messa in atto di nuove. Negli ultimi due anni gli sforzi delle istituzioni europee si sono concentrati non tanto sul legittimare la validità del modello “impresa sociale”, quanto piuttosto sull’elaborare nuovi strumenti che ne facilitassero la crescita; tra questi ha assunto una dimensione centrale l’accesso al finanziamento. Non solo quindi si indica il sostegno all’impresa sociale quale priorità d’investimento dei fondi strutturali per il periodo di programmazione 2014-2020, ma si prevedono forme di incentivo e sostegno alla creazione di fondi privati dedicati e nuovi strumenti comunitari che utilizzino la risorsa del microcredito come stimolo alla crescita.

Pur non entrando nel merito delle disposizioni normative illustrate, risulta evidente che esse avranno riflessi importanti anche in Italia, considerato che molti operatori si avvicinano con grande interesse al mondo della cosiddetta “finanza sociale”. Cresce quindi la disponibilità di risorse, soprattutto a livello europeo, ma il rischio è che non vi sia sufficiente capacità di intercettare e sfruttare le opportunità di crescita che l’Unione Europea mette a disposizione delle imprese sociali, vanificandone così lo sforzo programmatico e normativo.

Grazie alla valorizzazione del proprio vissuto storico alcune regioni italiane più di altre hanno saputo lavorare alla costituzione di un tessuto locale ispirato al paradigma di uno sviluppo sostenibile in grado di coniugare ecologia, economia ed equità sociale, che ha sostanzialmente contribuito a rafforzare i processi di cooperazione.

Il Veneto, in questo senso, presenta caratteristiche che testimoniano la persistenza di una dotazione di capitale sociale in grado di produrre impegno civico, solidarietà e partecipazione che, declinate assieme alla spiccata propensione all’imprenditorialità, hanno costituito la fortuna della cooperazione sociale regionale (Fighera, 2009). Il presente della cooperazione sociale veneta è stato segnato dal metodo di regolamentazione delle politiche per l’innovazione e per la sostenibilità dello sviluppo, che, seppur affermatosi su percorsi alternativi, è stato influenzato sin dal primo dopo guerra da una comune matrice cattolica (Jori, 2009). Lo sviluppo sul territorio di reti cosiddette informali è infatti espressione della vivacità del terzo settore e di una comunità locale molto vicina - in alcune province più che in altre - ad associazioni religiose attente alle scelte politiche locali.

In Veneto gli attori dell’economia sociale hanno contribuito a costruire relazioni e promuovere azioni di varia natura per intercettare risorse da dedicare alla progettazione di una nuova immagine del territorio, più vicina alla comunità, e che in ogni caso “scaturisca dalla consapevolezza di esserne la spina dorsale” (Tortora, Magritelli, 2009). Il “gioco cooperativo” in questa regione nasce e si sviluppa a partire da ideali condivisi di sostenibilità, equità sociale, espressione della cultura “bianca” e da una vera e propria scommessa imprenditoriale sulle potenzialità dell’innovazione applicata all’erogazione dei servizi di carattere generale.

Le cooperative sociali venete saranno capaci di porsi in una posizione competitiva nell’attrarre nuove risorse provenienti dall’Unione? Possiedono le caratteristiche per competere nella progettazione su scala europea? Riusciranno ad utilizzare tali risorse per alimentare processi evolutivi? Questo caso studio cerca di illustrare uno scenario che contestualizzi tali interrogativi.

La ricerca è stata effettuata su un campione di cooperative sociali: un consorzio, un gruppo cooperativo paritetico e quattro cooperative (una di tipo A - specializzata nella gestione di servizi socio-sanitari ed educativi - due di tipo B e una di tipo misto A+B). Le 6 organizzazioni sono state selezionate in considerazione dei seguenti criteri: tipologia di cooperativa, localizzazione nel territorio regionale, dimensione (capacità produttiva e capitale umano). L’indagine non ha prodotto statistiche rappresentative dell’intero universo della cooperazione sociale veneta, quanto piuttosto ha permesso di mettere in luce alcune tendenze e comportamenti in relazione al tema delle risorse comunitarie. Come strumenti di rilevazione si è utilizzato un questionario semi-strutturato, somministrato durante il mese di dicembre 2013.

Osservando la Figura 1 è possibile classificare le organizzazioni per dimensione: “grandi”, “medie” e “piccole”. Appartengono alla categoria “grandi” il consorzio, il gruppo cooperativo paritetico e la cooperativa di tipo misto A+B, i cui valori di fatturato complessivi si collocano tra i 20 e 6 milioni di euro annui. Il gruppo delle “medie” si compone di due cooperative sociali, una di tipo A e una di tipo B, i cui fatturati rientrano nella fascia tra 4 e 1 milione di euro. La cooperativa classificata come “piccola” ha invece un fatturato di 550 mila euro.

Figura 1: Fatturato (valori in milioni di euro)

Il comportamento sul fatturato è rispecchiato anche nei dati relativi al numero dei soci, dei lavoratori e dei volontari delle cooperative del campione (Figura 2).

Figura 2: Numeri di soci, lavoratori e volontari

Per quanto riguarda lo spettro d’azione sul territorio, il consorzio e una delle cooperative medie indirizzano le proprie attività sulla regione, mentre le altre imprese sono più attive a livello provinciale e comunale (Tabella 1).

Tabella 1: Distribuzione territoriale delle attività

Come evidenziato in Figura 3, il campione è piuttosto omogeneo se si guarda al bacino d’utenza. I servizi erogati sono indirizzati a persone in stato di emarginazione più o meno grave (senza tetto, immigrati, donne vittime di violenza o tratta, stranieri) e/o affette da svantaggio fisico-psicologico (disabili, minori affetti da autismo, anziani). Solo la cooperativa più piccola, svolgendo la propria attività di inserimento lavorativo all’interno degli istituti penitenziari, presenta un target esclusivo (persone in esecuzione penale e in misura detentiva alternativa).

Figura 3: Classi di utenti

Il tema dell’impatto sociale è stato largamente dibattuto negli ultimi anni: in più occasioni si è riconosciuto come un salto di qualità in termini di impatto sociale sia possibile anche grazie a risorse economiche aggiuntive e preferibilmente specializzate, sia di origine pubblica che privata. Dal lato dell’offerta gli strumenti di finanza specializzata sono vari e sempre più strutturati, mentre i dati relativi al versante della domanda confermano uno scenario che è ormai inutile ignorare: la maggior parte delle imprese sociali italiane continua a finanziarsi attraverso il contributo dei soci, l’attività commerciale e, in misura predominante, i finanziamenti pubblici. In tempi di progressiva contrazione delle risorse pubbliche questo modello sembra destinato a mostrare i propri limiti. Molte imprese sociali stanno vivendo una fase di sviluppo che comporta un cambiamento significativo del proprio modello di business, spesso attraverso l’implementazione di innovazione di processo (Venturi, Zandonai, 2012a) legate per lo più alle modalità di erogazione di alcuni servizi oggi indirizzati direttamente ai privati, e di innovazione organizzativa, volta a redistribuire le mansioni principali all’interno della cooperativa, anche per presidiare nuovi fronti, quali il fundraising. L’insieme di questi fattori porta una parte dell’imprenditoria sociale tradizionale, per lo più di matrice cooperativa, ad orientare le proprie strategie nell’ottica di intercettare risorse finanziarie secondo nuovi approcci.

Come precedentemente osservato l’offerta dell’Unione Europea per il periodo 2014-2020 sarà ricca e varia; sembra quindi auspicabile verificare se le imprese sociali italiane saranno in grado di intercettare queste risorse ancor prima di chiedersi se le somme stanziate saranno in grado di sostenerne il processo evolutivo. Nell’analisi si è cercato di verificare se le cooperative sociali venete intervistate abbiano o meno la forza di intercettare nuove risorse.

Esaminando i dati raccolti emerge innanzitutto un profilo di cooperazione sociale veneta conscia di dover cercare soluzioni alternative per sopperire alla progressiva riduzione delle risorse pubbliche. In questo scenario comune è però possibile rilevare tendenze diverse: alcune organizzazioni investono totalmente nello sviluppo dell’attività commerciale, stimolando conseguentemente la propria vocazione imprenditoriale, mentre altre cercano di “salvare” i filoni di attività storici, prevalentemente a carattere assistenziale, con una ricerca costante di nuove fonti di finanziamento. Sintetizzando potremmo dire che il processo di affermazione e crescita delle cooperative sociali venete è legato alla capacità di aprirsi a processi di innovazione profondi che investano il modo di “pensarsi come impresa”. Organizzazioni più dinamiche, spesso giovani - e anche per questo tendenzialmente versatili - sono più propense ad investire nella propria vocazione imprenditoriale innovando i processi (attivazione di nuove linee produttive, ricerca di partnership commerciali stabili ecc.). Un simile dinamismo è difficilmente presente nelle organizzazioni storiche più grandi; in questi casi prevale sì la volontà di innovare, ma pur sempre in totale coerenza con le core activities della cooperativa. Queste imprese investono maggiormente in processi di innovazione organizzativa piuttosto che di processo, strutturandosi per essere competitive nella ricerca di forme di finanziamento alternative, spesso facenti capo a finanza specializzata di tipo privato.

Le cooperative intervistate appaiono generalmente informate sull’offerta dell’Unione Europea, ma, seppur in un’ottica di generale apertura a questa tipologia di finanziamento, gli intervistati sottolineano diversi aspetti critici. Lo scenario emerso è vario: si passa da una cooperativa internazionalizzata con successo, che abitualmente gestisce finanziamenti di provenienza comunitaria per un peso pari a circa il 10-15% dei finanziamenti totali annuali, ad un’altra che invece non ha mai sperimentato questo approccio.

Ad una attenta analisi appaiono chiare alcune delle variabili che influenzano le esperienze di progettazione europea per la ricerca di finanziamenti: la dimensione - da collegarsi al suo essere o meno strutturata - e il legame più o meno forte con i principi che ispirano la mission aziendale.

La variabile dimensionale

Partendo dalla classificazione dimensionale basata su fatturato e risorse umane (Figura 1 e 2) si è proceduto a rilevare informazioni circa il finanziamento delle attività aziendali. Alle 6 cooperative è stato chiesto di indicare da dove derivasse la principale fonte di finanziamento, scegliendo tra finanziamento pubblico di tipo statale, regionale ed attività commerciale.

Il risultato è vario (Tabella 2): due cooperative (una media e la piccola) affermano di poter contare su entrate derivanti unicamente dall’attività commerciale, mentre le rimanenti riescono a finanziare le proprie attività grazie ad un mix di finanziamenti pubblici (per lo più regionali) ed attività commerciale. Le tipologie di servizi erogati a fini commerciali sono molto diverse tra loro e questo spiegherebbe la necessità di affiancarvi, in alcuni casi, quote di finanziamento pubblico (si spazia dalla vendita di prodotti artigianali realizzati nell’ambito degli inserimenti lavorativi alla consulenza e vendita di pacchetti formativi ad altre organizzazioni cooperative del territorio, dall’housing sociale alla gestione di servizi ambientali multi-utility).

Tabella 2: Principali fonti di finanziamento

Nel valutare poi quante risorse organizzative siano dedicate al fundraising possiamo osservare che:

  • le tre “grandi” si sono strutturate prevedendo la creazione di un ufficio interno dedicato al fundraising;
  • le “medie” hanno destinato una figura professionale - in entrambi i casi in possesso di laurea e titoli di formazione specifica - al monitoraggio e ricerca di opportunità di finanziamento;
  • la “piccola” non è nelle condizioni di destinare risorse umane per la ricerca di finanziamenti - che aiuterebbero la crescita aziendale - e indirizza le proprie energie nell’espandere le linee di produzione.

Incrociando i dati sin qui rilevati con le risposte alla domanda “Si ritiene sufficientemente informato circa le nuove possibilità di finanziamento europeo? Se si, come reperisce queste informazioni?” si evidenzia un’attitudine generale delle “grandi” nel tenersi costantemente informati sulle linee di finanziamento comunitarie per le imprese sociali (attraverso web, newsletter, passaparola ecc.) - ad eccezione delle cooperative di dimensioni più modeste che lamentano un generica mancanza di tempo, risorse e competenze specifiche.

In relazione ai canali informativi e formativi, le cooperative “grandi” - pur essendo organizzazioni stabili, strutturate e dotate di un ufficio fundraising - presentano comportamenti diversi:

  • 1 ricorre a consulenze esterne per informazioni sull’euro-progettazione;
  • 1 sfrutta canali diretti contattando servizi di consulenza estera, enti europei o le stesse Direzioni Generali della Commissione Europea;
  • 1 investe nella formazione del personale e nella partecipazione a network europei specializzati.

In merito a quest’ultimo punto:

“ [...] Il Consorzio investe molto in formazione e ricerca per i suoi dipendenti e per i dipendenti delle cooperative associate. Le Direzioni di queste credono molto nell’innovazione come leva per lo sviluppo. Come primo passo il Consorzio ha investito nella formazione di noi referenti della progettazione, pertanto io ho appena partecipato ad un corso organizzato dalla Fundraising School di Forlì intitolato “Impresa sociale nella prospettiva europea, finanziamenti e fondi strutturali”. Con la collega (dell’ufficio progettazione) abbiamo partecipato anche a vari incontri di euro-progettazione organizzati da Unioncamere Veneto. Il primo passo sarà quello di condivider contenuti ed obiettivi con la dirigenza per poi attrezzarci di reti nuove sia per costruire nuove progettazioni che per gestirle, il tutto con slancio in quanto i tempi richiedono di investire [...] in questo senso”.

Alle organizzazioni intervistate è stato chiesto se avessero usufruito di finanziamenti europei negli ultimi cinque anni e, in caso affermativo, quali fossero questi finanziamenti. Come ipotizzabile, le “grandi” si sono dimostrate più esperte (a seguire si colloca una “media” con qualche esperienza di gestione alle spalle). La più “grande” - abituata ad usufruire di contatti diretti in ambito europeo - ha gestito diversi finanziamenti assegnati nell’ambito di dieci distinti programmi di cooperazione, mentre le altre tre (due “grandi” e una “media”) hanno gestito solo risorse del Fondo Sociale Europeo (FSE), in gran parte erogate nell’ambito del Programma Operativo Regionale 2007-2013, e non senza difficoltà. Le criticità sono da ricondursi principalmente alla costituzione di un partenariato internazionale (quando inseriti in progettualità sottoposte a finanziamento FSE diretto della Commissione Europea) e alla rendicontazione.

L’analisi delle esperienze suggerisce come, anche in presenza di organizzazioni strutturate e dotate degli strumenti necessari per intercettare risorse finanziarie comunitarie, gli esiti in termini di internazionalizzazione - intesa in questo contesto come capacità di ottenere e gestire finanziamenti provenienti dall’Unione Europea - possano essere ben diversi.

La variabile valoriale

Il legame delle imprese sociali con il territorio e con la comunità locale è il fattore che storicamente ne ha ispirato la costituzione attorno a valori condivisi di solidarietà, partecipazione ed inclusione sociale. Non stupisce quindi che alcuni degli intervistati affermino che la carenza di cooperative sociali venete abili nella ricerca e gestione di finanziamenti di natura comunitaria sia da collegare, in molti casi, alla frequente incompatibilità delle call con gli obiettivi societari. L’esigenza di dare risposte concrete e rapide ai problemi quotidiani che affliggono le comunità locali porterebbe le cooperative ed i consorzi ad indirizzarsi verso altre forme di finanziamento, che meglio si prestano a sostenere il carattere sociale ed inclusivo delle singole mission aziendali, piuttosto che il processo di affermazione del modello impresa. Questa convinzione potrebbe essere legata alla tendenza di alcuni soggetti finanziatori - tra cui la stessa Unione - a mettere a disposizione prodotti finanziari che spingono sulla crescita dimensionale delle imprese, sull’efficientamento interno, sull’espansione in nuovi settori di attività diversi da quelli tradizionali, tanto cari alle cooperative sociali storiche.

“[...] Il problema [...] è costituito dal fatto che le risorse europee ti fanno lavorare pochino sul locale e molto sulla dimensione europea e questo spesso porta le cooperative (o perlomeno così pensano i CDA delle cooperative) fuori mission”.

Le politiche comunitarie si sono concentrate non solo nel promuove studi accademici, ricerche di settore e misure di accompagnamento nello sviluppo d’impresa, ma hanno anche cercato di sposare ideali di inclusione sociale e solidarietà, introducendo azioni di promozione trasversale dell’innovazione sociale, di cui per definizione le imprese sociali sono portatrici. Si tratta di un cambiamento dal potenziale enorme: si pensi ad esempio all’introduzione dei concetti di innovazione sociale ed impresa sociale in Horizon 2020 (soprattutto considerando che avrebbero difficilmente trovato spazio nell’ambito dell’ex VII Programma Quadro per la Ricerca e lo Sviluppo Tecnologico).

Per le cooperative sociali venete un reale freno all’euro-progettazione sembrerebbe essere la richiesta di chiari elementi di transnazionalità, anche in termini di impatto.

“[...] Se una cooperativa vuole sviluppare un servizio turistico ‘Venezia-centrico’, ad esempio, o ‘dolomiti-centrico’, che senso ha obbligarla a guardare all’Europa?”.

La questione sembrerebbe appartenere più all’impostazione di pensiero degli imprenditori sociali, piuttosto che al loro bagaglio valoriale o agli orientamenti della mission della cooperativa. La tendenza diffusa sembra essere quella di non dover necessariamente guardare all’Europa per risolvere problematiche locali o per implementare percorsi di innovazione di processo, di prodotto e organizzativa all’interno dell’azienda.

In definitiva, la capacità di intercettare e gestire con successo le risorse comunitarie sembra essere connessa, più che alla presenza di corrispondenza tra gli obiettivi dei bandi e le mission societarie, alla variabile dimensionale e quindi, con i dovuti adattamenti, al concetto di absorptive capacity sviluppato negli anni ‘90 da Coehn e Levintal (Cohen, Levinthal, 1990).

L’absorptive capacity: una possibile chiave di lettura

La capacità di assorbimento di un’organizzazione (absorptive capacity) è definita come la sua capacità di riconoscere, assimilare ed utilizzare nuova conoscenza, soprattutto in relazione a processi di elaborazione dell’innovazione. E’ influenzata dal bagaglio di esperienze capitalizzate dall’azienda o dal personale, dalla struttura organizzativa e dalle reti di relazioni (Cohen, Levinthal, 1990); questi elementi sono emersi, a vario titolo, nello studio di caso.

Dall’analisi precedentemente illustrata sembrerebbe che più un’organizzazione è strutturata più riesce a gestire con successo e in modo autonomo progettualità e finanziamenti europei. Inoltre molte cooperative hanno partecipato con regolarità a corsi di formazione e, in generale, investono nella formazione del personale.

La risposta alla domanda “Ha idee alternative ai classici corsi di formazione per diffondere la conoscenza circa l’esistenza di specifici finanziamenti europei?” ha evidenziato un interessante collegamento tra l’acquisizione di competenze tecniche e la creazione di reti che mettano in contatto con aziende, altre cooperative sociali ed enti con esperienza matura nell’euro-progettazione e nella gestione di finanziamenti europei. La capacità di networking è stata sondata per comprendere quanto la partecipazione a reti possa aiutare nel processo di “familiarizzazione” con le misure europee dedicate all’impresa sociale. Le cooperative sociali venete sembrano tutto sommato scettiche sull’affiliazione a dei network, ne riconosco le potenzialità ma al contempo non vi associano un effetto diretto nella generazioni di benefici.

“[...] La mia esperienza coi network europei mi dice che sono un buon strumento per conoscere determinate informazioni ma poi, quando si tratta di progettualità europee [...] sembra estremamente difficile trovare un compromesso per avere anche un proprio ‘beneficio’. Pertanto, visti sia gli iter che i costi per entrare in determinate reti, abbiamo sempre preferito lavorare seguendo collaborazioni informali”.

Inoltre la capacità delle organizzazioni di trarre beneficio dall’attività di ricerca di soggetti esterni sembrerebbe riconducibile alla capacità di assorbimento dell’organizzazione (Morrison, 2006), che si articola a livello pratico nelle sue capacità di rielaborazione di input. Solo una delle organizzazioni dichiara di avere rapporti frequenti e di lunga data con enti di ricerca e giustifica così la propria scelta:

“[...] Siamo soci di Euricse (www.euricse.eu) dalla sua nascita [...] E’ un rapporto che ci lega da anni, sin dai tempi dei fondatori della cooperazione che lavorano con noi, con le impostazioni teoriche di Carlo Borzaga che poi ha fondato Issan prima e Iris Network ed Euricse poi. Non escludiamo che queste organizzazioni diventino una piattaforma anche per la progettazione europea […]”.

Lo scenario si complica se si guarda alla capacità di assorbimento dal punto di vista delle relazioni intessute con attori locali. I racconti dei cooperatori sociali evidenziano difficoltà nel fare rete all’interno dello stesso sistema cooperativo locale. Paradossalmente, risulterebbero essere meno problematici i rapporti con i privati (le famiglie soprattutto, ma anche i gruppi di interesse) e le amministrazioni locali.

“[...] Nelle cooperative c’è scarsa propensione a lavorare insieme. Se ciò già non accade a livello locale (anche per le piccole imprese, comunque, la sostanza non cambia), figuriamoci se si possono comprendere i benefici del lavorare in rete a livello europeo”.

Ammettendo le difficoltà reali del lavoro in rete, sia a livello locale che transnazionale, i più ottimisti suggeriscono come un nuovo elemento per favorire l’aggregazione delle cooperative sociali venete - soprattutto in vista di ottenere finanziamenti di tipo europeo - potrebbe essere rappresentato da relazioni con esperti e ricercatori.

“[…] Ritengo sia limitativo e poco efficace/efficiente pensare alla progettazione come singola cooperativa [...] sarebbe sensato e utile ragionare in termini più ampi [...] ossia unire le forze di più enti e ragionare quantomeno a livello regionale, affiancandosi ad altre organizzazioni per […] il respiro che gli esperti potrebbero apportare [nella progettazione europea]”.

Le considerazioni sin qui fatte anche alla luce della teoria della capacità di assorbimento dovrebbero portare a concludere che tanto più le organizzazioni sono strutturate, orientate alla formazione ed inserite in network di enti di ricerca-sviluppo tanto più dimostrano esperienza nell’intercettare e gestire finanziamenti europei. Nel caso del campione veneto analizzato però la realtà si discosta dal modello: la resistenza di alcune organizzazioni nell’avvicinarsi all’euro-progettazione non permette di identificare una perfetta corrispondenza del modello con i comportamenti delle intervistate. Molte cooperative sembrerebbero inoltre essere maggiormente propense ad inserirsi in una posizione non da leader nella corsa ai finanziamenti europei.

“Non ritengo che le realtà del nostro territorio siano pronte o abbiano caratteristiche tali da poter gestire autonomamente questo percorso; sono invece pronte a seguire un altro soggetto che le coinvolga una volta attivato il processo. Ritengo che le imprese sociali venete possano reagire meglio alle opportunità offerte a livello locale e regionale dall’introduzione, ad esempio, di misure specifiche a loro dedicate nel Programma Operativo Regionale 2014-2020, piuttosto che a livello transnazionale”.

Sembrerebbe dunque che i tempi non siano ancora maturi, per le cooperative sociali venete, per intraprendere progettazioni e gestioni di finanziamenti comunitari; quasi tutte le organizzazioni intervistate si stanno però attrezzando - con tempi e modi diversi - per diventare più competitive ed affrontare con nuovo spirito le sfide del prossimo settennio di programmazione europea. Le ingenti risorse a disposizione rendono di fatto impossibile ignorare l’importanza di possedere le capacità di attingervi, qualora si presentassero le condizioni per poterne usufruire. Questa tensione positiva al miglioramento si evince soprattutto dall’investimento formativo e dall’intenzione di indirizzare eventuali finanziamenti europei non tanto alla realizzazioni di progetti “chiusi nel cassetto” da tempo, quanto più a sperimentazioni innovative. La presenza poi di imprese sociali più strutturate ed esperte, in grado di assumere il ruolo di coordinamento in cordate europee, offrirebbe la possibilità a molte imprese sociali medio-piccole di acquisire le competenze fondamentali per la gestione di finanziamenti europei (superando le problematiche tipiche del project management e del fundraising).

Conclusioni

La trattazione ha evidenziato come la capacità di crescita ed evoluzione delle imprese sociali sia da considerarsi intimamente connessa alla disponibilità di risorse da investire in progettazione innovativa. La stessa Unione Europea ha tenuto in considerazione questo fattore nel processo di elaborazione delle nuove misure a sostegno dell’imprenditoria sociale nel prossimo settennio di programmazione (2014-2020). La nuova programmazione dei fondi strutturali metterà a disposizione significative risorse economiche che dovranno essere allocate in modo mirato; per questo si rende necessario per le imprese sociali europee un sforzo significativo nel tentativo di intercettarle.

L’analisi svolta sul campione veneto ha messo in luce uno quadro piuttosto critico. Con qualche eccezione, le cooperative sociali venete sembrerebbero maggiormente portate alla progettazione su scala locale, in forza delle proprie caratteristiche strutturali e della forma mentis dell’attuale classe dirigente; sembra infatti questa la strada più semplice e sperimentata per acquisire risorse aggiuntive da dedicare all’implementazione di progetti ad alta vocazione sociale, coerenti con la mission cooperativa. Non sembra invece radicata la convinzione di poter realizzare progetti sociali guardando direttamente all’Europa come soggetto finanziatore; le difficoltà nel garantire aspetti di transnazionalità - spesso richiesti nei progetti europei - sembrerebbe essere un deterrente per un cambio di mentalità. Le cooperative intervistate si muovono nell’ambito della progettazione europea soprattutto con il Programma Operativo Regionale, riducendo così i margini di complessità di gestione, non sentendosi ancora adeguatamente attrezzate per le sfide di una progettazione più ampia.

L’Unione ha sicuramente fatto un grande passo nella programmazione di linee di finanziamento ottimali per le imprese sociali, a partire dai fondi FESR e FSE. L’introduzione di strumenti quali il Social Impact Accelerator, la messa a punto del nuovo Programma per l’Occupazione e l’Innovazione Sociale (EaSI) e la promozione del concetto di innovazione sociale all’interno di complessi programmi di finanziamento quali Horizon 2020 sono misure importanti, ma forse premature per una parte della cooperazione sociale italiana (quanto meno quella veneta). E’ probabile che alle imprese sociali serva qualche tempo per riorganizzare le proprie risorse e competenze, al fine di essere attrezzate e competitive a livello europeo. L’attenzione dei policy maker europei non è mai stata tanto concentrata sui bisogni delle imprese sociali come in questi ultimi tre anni; il che lascia presagire esistano ulteriori margini di miglioramento delle politiche ad esse rivolte fino a portare, in tempi maturi, al pieno utilizzo delle misure finanziarie stanziate.


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