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ISSN 2282-1694
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Numero 4 / 2014

Saggi brevi

Il selfie del Terzo settore e dei suoi stakeholder: proposte della società civile per la riforma del Terzo settore

Anna Chiara Giorio

Abstract

Lo scorso mese di maggio il Governo italiano ha lanciato una consultazione pubblica in merito alla Riforma del terzo settore. Hanno risposto oltre mille soggetti tra singoli, organizzazioni del terzo settore e varie tipologie di stakeholder che interagiscono con esso. Tutti i contributi ricevuti - moltissimi dei quali con precise proposte di tipo normativo in ambito giuridico, amministrativo, fiscale e di policy - sono stati letti e classificati per essere utilizzati in sede di redazione dei decreti legislativi e, successivamente, di programmazione delle politiche.

I risultati emersi forniscono non solo linee di indirizzo per orientare il legislatore, ma offrono anche uno spaccato qualitativo di come stia evolvendo l’identità delle varie componenti del terzo settore, chiamate a costruire nuove sintesi tra la propria memoria e la necessità di cambiamento. Le opinioni ricevute misurano infatti la loro reale propensione all'innovazione, legata all’azione locale ma anche al confronto con il contesto e gli indirizzi nazionale ed europeo. Questo saggio breve intende dare un primo ritorno sintetico delle sollecitazioni ricevute, senza avere la pretesa di esaustività.


Few months ago, Italian Government launched a public consultation on the reform of the third sector. More than a thousand people responded to the consultation (individuals, nonprofit organizations and many stakeholders of the third sector). All contributions (many of them with specific legal, administrative, fiscal, policy proposals) have been read and classified in order to be used in drafting legislative decrees and political programs.

These results provide not only guidelines for the legislator, but also draw a qualitative framework of how the identity of the various components of the third sector is changing and building new synthesis between the past and the need for change. The collected opinions measure the real willingness to change, due to local action but also to the comparison with national and European contexts. This short paper aims at giving a brief report on the contributions received, without claiming to be exhaustive.

Introduzione

Il Governo italiano in carica - come per altre riforme in corso - ha fatto precedere la riforma del terzo settore da una consultazione pubblica, svoltasi nei mesi di maggio e giugno 2014 attraverso il sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, sulla base di ventinove linee guida predisposte dal Governo stesso con la collaborazione di alcuni parlamentari esperti del tema. Le linee guida proposte hanno anticipato il disegno di legge delega e vanno nella direzione di rafforzare una visione unitaria del terzo settore, senza livellarne le differenze ma sostenendone le singole specificità, inserendolo in un contesto più ampio e complessivo. Questo intento riguarda da un lato la piena attuazione del principio di sussidiarietà nella riprogrammazione delle politiche pubbliche afferenti la costruzione di un welfare partecipativo che ridefinisca la collaborazione tra organizzazioni profit, nonprofit e amministrazione pubblica. D’altra parte il disegno di riforma intende valorizzare il ruolo economico ed imprenditoriale del terzo settore, offrendo un maggior sostegno allo sviluppo imprenditoriale ed occupazionale delle organizzazioni il cui scopo è di natura sociale e non lucrativa. Questa visione ampia mira ad un intervento normativo che riconosca e sostenga la funzione educativa che il terzo settore svolge nel tessuto sociale, anche favorendo i comportamenti donativi e pro-sociali dei singoli cittadini e delle imprese.

La consultazione ha dato avvio ad un processo di riforma legislativa teso ad accompagnare e rafforzare un’evoluzione sociale in realtà già in atto, che incide sul piano valoriale, culturale e dei comportamenti delle singole persone, delle aggregazioni sociali e della loro interazione a livello economico, sociale e politico. L’adozione, da parte del Governo, dello strumento consultivo aperto a tutta la cittadinanza, anziché di quello più tradizionale di tavoli con le rappresentanze dei cosiddetti corpi intermedi, assume particolare rilievo non solo in un contesto più generale di crisi delle rappresentanze tradizionali (corpi intermedi tra Stato e società civile), di partiti e sindacati e delle loro emanazioni nella società, ma anche e soprattutto in relazione ai soggetti coinvolti, che si autoidentificano anche in base alla loro governance multistakeholder. Lo strumento della consultazione pubblica rappresenta infatti esso stesso un’occasione di partecipazione alla governance dello spazio pubblico da parte di tutti i soggetti del terzo settore e dei loro stakeholder, allargando i confini dal tradizionale campo di gioco delle le politiche di welfare locali. Questa governance richiede di partire dalla ridefinizione del proprio spazio interno - a livello organizzativo e finalistico - della propria identità, autopercezione e del proprio ruolo.

Entrando nel merito dei temi affrontati dal progetto di riforma ed in relazione ai macro obiettivi sopra richiamati, la consultazione si è focalizzata su cinque aree tematiche, articolate in ventinove linee guida, parte delle quali già da diversi anni oggetto di dibattito tra “addetti ai lavori”, i quali più volte hanno provato a portarli all’attenzione delle istituzioni legislative nazionali attraverso proposte di singoli disegni di legge.

La prima area tematica, Ricostruire le fondamenta giuridiche, definire i confini e separare il grano dal loglio, ha riguardato il riordino della normativa, mediante semplificazione ed introduzione di elementi innovativi: dallo statuto generale alle leggi speciali di settore, dalla semplificazione del riconoscimento della personalità giuridica degli enti alla chiara individuazione delle finalità legate all’interesse generale e non al lucro, dall’adozione di un unico registro del terzo settore a quella di strumenti per rafforzarne la trasparenza, all’istituzione di un organo di indirizzo, promozione e controllo.

La seconda area, Valorizzare il principio di sussidiarietà verticale ed orizzontale, è entrata nel merito dell’esercizio della sussidiarietà, con domande specifiche riguardo a contenuti e strumenti innovativi per la costruzione di un welfare partecipativo, partendo dalla legge 328/2000 sul sistema integrato di interventi e servizi sociali. Le linee guida hanno sollecitato una riflessione sulla ridefinizione dei rapporti con l’amministrazione pubblica, con le imprese di mercato for profit, l’introduzione di strumenti innovativi per sostenere la domanda privata (quali i voucher per le prestazioni sociali).

Un terzo gruppo di linee guida rispondenti all’obiettivo di Far decollare davvero l’impresa sociale, ha affrontato gli aspetti inerenti la dimensione imprenditoriale delle organizzazioni del terzo settore ed in particolare la necessità di riforma della disciplina sull’impresa sociale, con riferimento all’obbligatorietà dell’acquisizione della qualifica, all’ampliamento dei settori di intervento, ai vincoli alla distribuzione degli utili, alla ridefinizione delle categorie di svantaggio.

Un’ulteriore area tematica di consultazione volta ad Assicurare una leva di giovani per la difesa della Patria accanto al servizio militare ha interrogato i cittadini sulla proposta di riforma del servizio civile in chiave universalistica, come diritto per tutti, nella logica di renderlo strumento di educazione alla partecipazione civile e come esperienza propedeutica tesa a favorire l’occupabilità dei giovani.

Infine l’ultima parte dei contenuti di riforma sottoposti a consultazione è stata dedicata a Dare stabilità e ampliare le forme di sostegno economico, pubblico e privato, degli enti di terzo settore, affrontando il tema degli strumenti economici di sostegno del terzo settore, dagli incentivi fiscali alla finanza sociale, fino al riordino dello strumento del cinque per mille, legandoli all’utilità e all’impatto sociale generato dalle organizzazioni nonprofit beneficiarie.

I risultati emersi dalla consultazione, che ha visto una partecipazione molto eterogenea, appaiono utili su almeno due piani. Il primo ha come beneficiari diretti il Governo ed il legislatore, in relazione alle finalità della consultazione stessa, per indirizzare la legge delega ma soprattutto per la stesura dei successivi decreti legislativi. Il secondo piano ha come beneficiari gli stessi soggetti del terzo settore, in quanto i contributi alla consultazione permettono di misurare la loro propensione al cambiamento, legata all’azione locale ma anche al confronto con il contesto e gli indirizzi nazionale ed europeo.

Chi ha partecipato alla consultazione: vecchi e nuovi stakeholder

La consultazione pubblica ha ottenuto la risposta di 1016 soggetti, di cui 867 sono entrati nel merito delle linee guida proposte dal Governo. L’attenzione va posta non tanto al dato quantitativo, quanto al qualitativo, rappresentativo delle varie tipologie di portatori di interesse, di coloro cioè che a vario titolo impattano con le realtà del terzo settore.

La tipologia più rappresentata (45,7% dei contributi validi) è quella di stakeholder che hanno espresso opinioni a titolo personale: appartenenti ad organizzazioni di terzo settore, lavoratori, utenti di servizi, detentori di una potenziale domanda, dipendenti di amministrazioni pubbliche che gestiscono rapporti con organizzazioni di terzo settore, singoli ricercatori e studiosi, educatori, volontari, volontari in servizio civile, professionisti che offrono supporto e consulenza alle organizzazioni nonprofit, decisori pubblici, operatori della finanza dedicata, ecc.

I contributi inviati non a titolo individuale ma in rappresentanza di organizzazioni di terzo settore sono stati 380 (42,3% del totale dei contributi validi) più o meno equamente distribuiti tra organizzazioni di volontariato (20,9%), associazioni di promozione sociale (20,4%), con una prevalenza di cooperative sociali e loro consorzi (29,5%); in misura minore fondazioni, associazioni non riconosciute, enti ecclesiastici, organizzazioni per la cooperazione allo sviluppo (Ong), altre tipologie di Onlus (29,2%).

A differenza di altre organizzazioni di rappresentanza sociale - che molti dati empirici registrano in calo di rappresentatività - la partecipazione alla consultazione ha evidenziato un comportamento controtendenza vista la propensione da parte delle organizzazioni di terzo settore ad aderire a enti sovralocali cui affidare la propria rappresentanza, di secondo o più ancora di terzo livello. I dati rilevati registrano infatti che il 58,2% dei contributi è firmato da organizzazioni di primo livello, il 20% da organizzazioni di secondo livello e ben il 21,8% da organizzazioni di terzo livello, formati in genere da enti di rappresentanza a livello nazionale o sovranazionale. A tale riguardo va però sottolineato come molti contributi provenienti da singole organizzazioni territoriali riproducono il pensiero espresso dall’ente di rappresentanza di riferimento. Le associazioni non riconosciute, che i recenti dati Istat riportano ancora come componente maggioritaria del terzo settore, non hanno invece partecipato alla consultazione, salvo alcune eccezioni, mantenendo la propria tradizione anti istituzionale, localistica ed autoreferenziale.

Le pubbliche amministrazioni hanno fatto registrare una bassa percentuale di adesione alla consultazione (2,6% del totale), a testimonianza dell’ancora scarsa conoscenza del settore e ancora più scarsa propensione a considerare il terzo settore come partner nella definizione delle politiche pubbliche. Più alta (9,4%) è stata invece la partecipazione di altre organizzazioni che a vario titolo interagiscono con le organizzazioni del terzo settore: imprese for profit, organizzazioni di rappresentanza datoriale e sindacale, ordini professionali direttamente coinvolti nelle tematiche, università, enti e network di ricerca, istituti finanziari per il sociale.

Contributi mirati e selettivi e/o esercizio di corresponsabilità

Il tasso di risposta alle cinque aree tematiche permette sia di valutare l’interesse e le competenze specifiche dei partecipanti in relazione ai singoli punti della consultazione sia di misurarne il coinvolgimento sull’insieme dei macro obiettivi. Le risposte evidenziano in particolare la disponibilità dei soggetti del terzo settore ad allargare il campo di interessi ed azione, accettando la sfida del cambiamento delle politiche pubbliche su welfare partecipativo, sviluppo economico, creazione di valore sociale. I dati evidenziano un diverso comportamento tra organizzazioni di terzo settore, amministrazioni pubbliche e loro stakeholder (Tabella 1).

Tabella 1: Le aree di intervento dei partecipanti alla consultazione (in percentuale sul totale dei contributi validi) | Fonte: Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (2014)

La maggioranza dei soggetti singoli ha espresso opinioni generali sul terzo settore (53,8%) non riferibili in modo diretto ad aree di contenuto della proposta di riforma. Altri stakeholder collettivi hanno commentato soprattutto le linee guida inerenti il riordino normativo e fiscale. Le amministrazioni pubbliche e le organizzazioni di terzo settore hanno invece affrontato (in percentuale superiore al 30 %) tutti i punti delle linee guida. Analizzando i comportamenti di varie organizzazioni di terzo settore (Tabella 2) si osserva un maggior protagonismo e una trasversalità tematica da parte delle componenti più imprenditoriali: cooperative ed imprese sociali. Le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale hanno avuto comportamenti simili, concentrandosi su tematiche inerenti l’assetto normativo che le riguarda direttamente (riforma dei registri, i centri di servizi per il volontariato, ecc.), il riordino fiscale e, più in generale, il sostegno economico.

Tabella 2. Interessi tematici dei contributi alla consultazione, per tipologia di organizzazione del terzo settore (valori percentuali) | Fonte: Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (2014)

Testo unico e valorizzazione delle specificità delle singole componenti

Uno dei principali obiettivi della riforma, come già osservato, riguarda il rafforzamento, nell’opinione pubblica e a livello normativo, dell’identità del terzo settore, salvaguardando e valorizzando le specificità e competenze delle singole componenti. In tale direzione le linee guida hanno interrogato i partecipanti alla consultazione su più punti specifici, tra cui i principali riguardanti la riforma del Titolo I del Codice Civile e le singole leggi speciali, in particolare la revisione della legge 66/91 sul volontariato e della 383/2000 sulle associazioni di promozione sociale con riferimento particolare alla razionalizzazione dei registri e dei servizi, la ricostituzione di un’autorità pubblica terza con competenze sul terzo settore.

La maggior parte dei contributi è stata concorde sulla necessità di istituire un quadro di principi e regole comune a tutte le componenti del terzo settore. Il primo elemento unificante dovrebbe riguardare innanzitutto la finalità solidaristica e l’utilità sociale delle attività. Tra le regole comuni maggiormente condivise sono stati poi indicati i principi di una governance improntata alla partecipazione e trasparenza da perseguire mediante l’adozione di strumenti graduati - in relazione alla dimensione economica dell’ente - e di rendicontazione economica e sociale. Nella cornice complessiva dello statuto generale dovrebbe si dovrebbe poi:  delineare un coerente sistema di fiscalità di vantaggio che distingua tra “benefici concessi ad un’organizzazione in base alla sua natura e benefici legati alla rilevanza sociale dell’attività”; fissare l’obbligo di indivisibilità del patrimonio e di non distribuzione degli utili (con la parziale eccezione per le imprese sociali); indicare regole chiare che permettano di distinguere tra lavoro volontario e lavoro retribuito.

Negli statuti speciali invece - da riorganizzare per evitare sovrapposizioni, incoerenze e duplicazioni - la maggioranza dei contributi richiede che trovino spazio le specificità delle attività svolte, salvaguardando i “ruoli specifici di advocacy e di promozione dei diritti, di erogazione e redistribuzione delle risorse, di produzione di beni e servizi di interesse collettivo”. In tale direzione è stata richiesta anche una legge speciale che riconosca come nuovi soggetti del terzo settore i network e le reti, che si presentano oggi come raggruppamenti stabili.

Per quanto riguarda le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale, la maggior parte delle opinioni va nella direzione espressa dalle linee guida, che ha indicato un percorso di parziale convergenza tra le due tipologie. I contributi condividono la necessità di predisporre un unico Registro - che alcuni indicano su base regionale ed altri nazionale - e la ridefinizione ed unificazione dei due Osservatori (dell’associazionismo e del volontariato) sia nelle funzioni che nelle componenti, dove dovrebbero sedere un numero maggiormente rappresentativo di organizzazioni. Ancora verso la parziale convergenza vanno i contributi che auspicano la riorganizzazione dei centri di servizio per il volontariato - per renderli più razionali e fruibili dal maggior numero di organizzazioni anche di promozione sociale - e la richiesta di adozione di criteri unici di remunerazione per i soci lavoratori e quelli volontari.

Molti interventi hanno espresso la richiesta, con riferimento alle leggi speciali, di “re-inquadramento delle associazioni di volontariato di secondo livello nell’ottica della valorizzazione dei sistemi di rete e del riconoscimento della rappresentanza volti a favorire il dialogo e i raccordi con i livelli superiori istituzionali e in termini di contributo programmatorio alle politiche sociali”.

Solo una minoranza, costituita da enti di volontariato e da associazioni, ha espresso invece opinione contraria al testo unico e alla creazione di un registro unico delle associazioni e degli organizzazioni di volontariato, preoccupata di snaturare la propria identità e specificità.

Tra gli altri spunti emersi si richiama la richiesta di “potenziamento del diritto all’associazione”, l’indicazione di predisporre politiche specifiche che provvedano “forme stabili di formazione alla cittadinanza e al volontariato” da condursi nel sistema formativo scolastico, il diritto, anche per gli inoccupati e disoccupati, al riconoscimento e certificazione delle competenze acquisite con l’attività di volontariato.

Con riferimento all’istituzione di un organismo pubblico con competenze specifiche sul terzo settore, la maggior parte dei contributi concorda sulla necessità di istituire nuovamente tale organismo con funzioni di indirizzo, controllo, promozione e studio. Una minor uniformità riguarda invece l’identità giuridica da adottare: authority indipendente piuttosto che agenzia piuttosto che organismo presso il Ministero.

Le organizzazioni non governative che svolgono attività di cooperazione internazionale e le organizzazioni di volontariato che svolgono pure tali attività richiedono infine al legislatore di raccordare la normativa sul terzo settore con quella recentemente approvata in Parlamento sulla cooperazione internazionale.

Il contributo alla costruzione di un welfare partecipativo

Le linee guida sulla riforma chiamano in causa il terzo settore riconoscendolo come co-protagonista, assieme all’amministrazione pubblica, di un’altra riforma che riguarda le politiche di welfare, che da welfare state si vuol far diventare welfare community o welfare partecipativo. Il principio ispiratore su cui si vorrebbero basare le nuove politiche è quello della sussidiarietà verticale ed orizzontale, riformulato nell’articolo 118 del titolo V della Costituzione. Gli strumenti normativi richiamati dalla riforma su cui intervenire per valorizzare il ruolo del terzo settore partono dal riferimento alla legge 328/2000 sulla programmazione e gestione dei servizi sociali, gli affidamenti ed appalti in materia di servizi sociali e la proposta di incentivi “per la libera scelta dell’utente a favore delle imprese sociali mediante deduzioni o detrazioni fiscali oppure mediante voucher”.

Entrando nello specifico dei temi affrontati dalla consultazione, la totalità degli interventi, provenienti per la maggior parte da organizzazioni di terzo settore e, in particolare, da cooperative o imprese sociali (55,7 %), sottolinea la necessità di rafforzare gli strumenti normativi a sostegno della partecipazione degli enti nonprofit all’intero ciclo di programmazione, gestione e valutazione delle politiche pubbliche di welfare territoriale. Tali strumenti dovrebbero, in particolare, promuovere e sostenere le capacità progettuali sia del terzo settore sia dei partenariati tra amministrazioni pubbliche locali e organizzazioni nonprofit in materia di servizi sociali. Le forme di co-progettazione degli interventi si caratterizzano in modo innovativo per l’assunzione di corresponsabilità nella presa in carico di problemi sociali presenti sul territorio, in antitesi con i tradizionali rapporti di tipo economico basati sulla competitività. A tale riguardo molti interventi segnalano esperienze innovative di co-progettazione territoriale che andrebbero diffuse mediante l’ausilio di politiche pubbliche mirate.

Alcuni contributi, infine, invitano ad allargare le modalità di progettazione dei servizi sociali sopra richiamate a tutto l’ambito delle politiche pubbliche, citando la Carta per la responsabilità sociale condivisa predisposta dal Consiglio d’Europa, che prevede una “sussidiarietà circolare” estesa a tutti gli ambiti delle politiche pubbliche e invitando lo stato italiano e le amministrazioni pubbliche competenti a dare attuazione quanto prima a tale documento.

Tra gli strumenti di policy europea che vanno nella direzione sin qui indicata, in molti interventi sono state richiamate le Direttive 2014/23 in tema di aggiudicazione dei contratti di concessione e la Direttiva 2014/24 in materia di appalti pubblici, ritenendone significativo il recepimento a livello nazionale, accompagnato da azioni di sistema volte a favorire l’adozione di tali strumenti in modo corretto ed omogeneo su tutto il territorio nazionale.

Le linee guida hanno poi sollecitato l’opinione pubblica sull’opportunità di adozione di strumenti concreti, quali i voucher e deduzioni o detrazioni fiscali, volti a sostenere la domanda degli utenti dei servizi verso le imprese sociali. Considerando che la maggior parte delle risposte su tale argomento proviene dalle cooperative e imprese sociali stesse, principali produttori ed erogatori di servizi sociali, le opinioni espresse non manifestano posizioni nette a favore o sfavore di tali strumenti. Riportano invece alcuni problemi emersi da diverse sperimentazioni effettuate a livello territoriale, da cui si reputano necessari, per quanto riguarda i voucher, ulteriori studi volti a “quantificare il valore, identificare i criteri di attribuzione ed i requisiti necessari all’accesso”. Per quanto riguarda le detrazioni, molti contributi richiamano alcuni studi che sosterrebbero la positività di tali strumenti a favore dell’emersione dal lavoro nero, soprattutto per collaboratori domestici e badanti, recuperando risorse aggiuntive da destinare all’implementazione dei servizi stessi.

L’impresa sociale tra obiettivi solidaristici ed economici

Oggetto della consultazione su questa tematica è l’impresa sociale, come viene disegnata dalla legge delega 118 del 2005 e dal successivo decreto legislativo 155/2006 e che non è mai a tutti gli effetti decollata. In particolare la consultazione ha messo a dibattito l’opzionalità della qualifica, l’esaustività dell’elenco dei settori di intervento possibili e delle tipologie di soggetti svantaggiati, il divieto di remunerazione di capitale, la non assunzione di diritto della qualifica da parte delle cooperative sociali. Il Governo ha voluto anche interrogare l’opinione pubblica su come armonizzare la disciplina tributaria e gli strumenti di fiscalità di vantaggio previsti per le altre tipologie di organizzazioni di terzo settore.

Più che sugli altri temi in questo caso sono emerse evidenti distinzioni tra le varie organizzazioni del terzo settore, in particolare tra le più numerose realtà a carattere imprenditoriale (cooperative sociali), gli enti (soprattutto i più piccoli e settoriali), gli enti di volontariato, le associazioni di advocacy e i network dell’economia sociale a respiro più europeo che svolgono attività di ricerca, diffusione di buone pratiche ed erogano servizi di sostegno alle imprese dell’economia sociale e alla diffusione di innovazione sociale.

Le maggiori divergenze si sono registrate in relazione ai vincoli alla remunerazione di capitale, tradizionali elementi di distinzione tra organizzazioni nonprofit ed organizzazioni imprenditoriali. Per la maggior parte delle piccole associazioni di promozione ed enti di volontariato - ad eccezione di quelli inseriti in organizzazioni di terzo livello di rappresentanza anche a livello internazionale (che sono ancora quasi ideologicamente lontani dalla produzione di valore economico che contrappongono a quello sociale) -l’assenza di scopo di lucro è incompatibile con ogni forma di remunerazione di capitale e distribuzione degli utili. Essi tendono quindi a non considerare le imprese sociali come organizzazioni di terzo settore. All’opposto, alcuni network ed organizzazioni, tra cui anche le imprese for profit, aventi per obiettivo la produzione di innovazione sociale e la diffusione di strumenti di finanza sociale, tendono a considerare non negativamente la remunerazione di capitali e la redistribuzione degli utili anche per il terzo settore che deve invece avere come tratto distintivo la produzione di impatto sociale. In particolare le organizzazioni finanziarie che operano nell’ambito della finanza sociale vedono l’eliminazione dell’indivisibilità perpetua di patrimonio come fattore importante per lo sviluppo delle imprese sociali, facilitando così l’attrazione di capitali.

In una posizioni mediana si pongono le cooperative e le cooperative sociali, quasi uniche forme di impresa sociale oggi attive in Italia, che indicano, come criteri più importanti cui la normativa deve rispondere, le finalità di interesse generale e l’assenza di scopo di lucro, distinguendo tale concetto da quello relativo al divieto di distribuzione di utili. Essi condividono quindi la possibilità di parziale remunerazione di capitale e di distribuzione degli utili.

Per quanto riguarda i punti sull’ampliamento dei settori e delle categorie di svantaggio, vi è condivisione quasi unanime. I settori di afferenza dovrebbero essere allargati almeno a quelli del commercio equo e solidale, del microcredito, dell’housing sociale e dei servizi per l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, che si propone vengano definiti in relazione anche ad uno svantaggio temporaneo legato a condizioni soggettive.

Con riferimento all’assunzione della qualifica di diritto da parte delle cooperative sociali vi è accordo unanime.

L’armonizzazione delle agevolazioni fiscali e della disciplina tributaria delle imprese sociali con quelle riconosciute al nonprofit, dovrebbe far riferimento innanzitutto al cinque per mille - evitando però il rischio di de-commercializzazione - all’allargamento alle imprese sociali degli incentivi previsti per le start up innovative a vocazione sociale e ad alcuni benefici quali la possibilità di utilizzo delle risorse umane in servizio civile.

Il valore educativo del servizio civile universale

Il Governo ha inserito nella consultazione anche la proposta di istituire il servizio civile universale. Da un lato con tale proposta si intende rafforzare il ruolo educativo del servizio civile, che si inserisce nell’ambito degli obiettivi del terzo settore di educazione alla solidarietà e alla cooperazione, attraverso la promozione e tutela dei diritti sociali, erogazione di servizi alla persona, attività di tutela e salvaguardia del patrimonio ambientale e culturale. D’altra parte si intende rafforzare il ruolo che esso può esercitare nell’ambito delle politiche attive del lavoro per l‘acquisizione di competenze, successivamente spendibili nel mercato del lavoro.

I punti toccati dalle linee guida riguardano in generale l’istituzione di tale servizio come diritto per tutti, i tempi del servizio, la possibilità di aprire il servizio civile agli stranieri e di poterlo svolgere in altri paesi europei, la possibilità e le modalità di riconoscimento delle competenze acquisite, con particolare riferimento ai crediti formativi, tirocini e alla possibilità di accordi tra amministrazioni pubbliche, organizzazioni profit e del terzo settore per la loro realizzazione.

Quasi tutti i partecipanti alla consultazione hanno affrontato questi temi ed hanno risposto in modo concorde. In particolare in questa macro area si sono concentrati gli interventi non solo dei rappresentanti degli enti e dei volontari in servizio civile, ma anche di volontari, giovani e utenti di servizi erogati da giovani volontari in servizio civile. L’unanime condivisione di tale istituzione si accompagna però alla richiesta di revisione delle funzioni e ruoli delle istituzioni pubbliche che esercitano la competenza e di incremento sostanziale dei fondi dedicati, giudicati, già a regime attuale, insufficienti rispetto alla domanda e all’offerta, nonché certezza delle modalità di erogazione.

Il tema del riconoscimento dei crediti formativi e delle competenze acquisite è stato sottoposto all’attenzione normativa già per il servizio civile volontario, ma si è sempre arenato per i conflitti di competenza tra gli organi pubblici preposti.

La partecipazione degli stranieri viene giudicata positivamente, come pure il servizio civile volontario in regime di reciprocità con gli altri paesi dell’Unione Europea. Alcuni contributi sollecitano la creazione dei Corpi civili di pace, già previsti per legge e non ancora attuati e l’istituzione del servizio civile anche per anziani, nell’ottica della valorizzazione delle esperienze, delle competenze e delle motivazioni.

Fiscalità di vantaggio e ampliamento del sostegno economico, di natura pubblica e privata, ma commisurato alla capacità di generare valore sociale

L’ultima tematica oggetto di riforma e sottoposta dal Governo a consultazione pubblica riguarda le forme di finanziamento al terzo settore. Essa è stata articolata in diversi punti, dal riordino delle forme di fiscalità di vantaggio al potenziamento del cinque per mille, dagli strumenti per favorire i comportamenti donativi dei soggetti singoli ed associati agli strumenti di finanza sociale ed etica, alla messa a disposizione di tutte le organizzazioni di terzo settore dei beni pubblici tra cui, in particolare, quelli confiscati alla mafia.

Il contributo di tutti gli intervenuti, con più o meno chiarezza, è stato indirizzato alla ratio che la normativa dovrebbe seguire. E’ stato invece delegato agli ordini dei commercialisti, ai rappresentanti degli istituti finanziari dedicati e alle reti della cooperazione il compito di entrare nel merito - con interventi più specialistici - delle misure fiscali e degli strumenti finanziari sia pubblici che privati, ad eccezione del cinque per mille. Tale ratio si lega strettamente alle capacità delle organizzazioni beneficiarie di perseguire finalità solidaristiche o di utilità sociale e di generare impatto sociale: quanto più un ente dimostri di essere in grado di perseguire questi fini tanto più dovrebbe “essere aiutato”. In questa direzione gli interventi più innovativi e di respiro “europeista” auspicano politiche pubbliche che contribuiscano a diffondere la cultura della misurazione del valore sociale e dell’impatto sociale. Solo alcune piccole associazioni ed organizzazioni di volontariato richiedono ancora finanziamenti pubblici a fondo perduto sulla base di universali valori solidaristici antitetici a quelli di mercato.

Un altro aspetto importante e innovativo, affrontato però da una nicchia di singoli professionisti, organizzazioni che si occupano di finanza per il sociale, network di ricerca sull’economia sociale e organizzazioni di terzo livello della cooperazione sociale riguarda gli strumenti di sostegno finanziario provenienti da privati, per il recupero di risorse non speculative, che le politiche pubbliche dovrebbero sostenere (equity crowdfunding, social bond, ecc.).

Infine un piccolo accenno allo strumento del cinque per mille, che a parere di tutti gli intervenuti necessita di miglioramenti legati alla fruibilità (tempi certi di erogazione, procedure semplificate per l’accesso, modalità di rinnovo automatico, allargamento dei potenziali beneficiari alle organizzazioni di tutela dei beni culturali ed ambientali) e all’ammontare della spesa (abrogazione del tetto). Alcune piccole organizzazioni di volontariato hanno sollevato, a tal riguardo, il problema della difficoltà di accesso per organizzazioni che non possiedano risorse economiche ed organizzative adeguate per attività di autopromozione, a causa del quale si creano disparità di trattamento tra grandi e piccoli enti; per questo richiedono al legislatore di prevedere politiche pubbliche di promozione di tutte le organizzazioni sul territorio che accompagnino tale strumento.

Conclusioni

I singoli risultati della consultazione qui illustrati sono descritti in un report di sintesi a cura del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali (consultabile qui) e al momento sono oggetto di studio del legislatore per procedere alla definizione dei singoli decreti legislativi.

Tali contributi rappresentano un’occasione per misurare gli atteggiamenti delle organizzazioni di terzo settore e dei loro stakeholder di fronte al cambiamento di mentalità che viene loro richiesto, che peraltro essi stessi, in buona parte, hanno delineato, auspicato e anticipato. Cambiamento che va in diverse direzioni: il riconoscimento di tutto il terzo settore come soggetto produttivo, che educa alla partecipazione civile, che non può più ottenere benefici economici da finanziatori pubblici e privati sulla base dei valori che trasmette ma sul valore sociale che produce, che agisce in cooperazione con altri soggetti nonprofit, pubblici e privati for profit.

Con riferimento alle varie tipologie di componenti il terzo settore, è possibile parlare di conservatori, riformisti e rivoluzionari nell’ambito? Sembrerebbe di si, applicando tale chiave di lettura in particolare ai tre aspetti sopra evidenziati.

Potrebbero essere definiti “conservatrici” alcune piccole organizzazioni di volontariato e associazioni locali one issue, che non partecipano a reti più ampie, spesso con una presenza storica concentrata in alcuni territori; esse presentano una chiusura quasi a riccio nella paura di perdere i valori di riferimento, per lo più di natura filantropica. All’opposto i “rivoluzionari” sono organizzazioni a struttura reticolare e “liquida”, di costituzione recente e spesso indotta dalle recenti politiche europee legate all’ innovazione sociale e alla finanza sociale, il cui terreno d’azione parte da esperienze internazionali, con un approccio che si potrebbe definire bottom down; il loro orizzonte di riferimento è l’impatto sociale, sia in termini di finalità sia di operatività.

Infine vi sono le organizzazioni “riformiste” che costituiscono, da un punto di vista quantitativo, il nerbo delle organizzazioni di terzo settore in Italia e sono in costante equilibrio tra esigenza di fare memoria storica ed innovare. Ancorate al contesto locale, dove agiscono, ma alimentate da una partecipazione alle reti nazionali e sovranazionali, da cui traggono strumenti di lettura della realtà più ampia, perseguono processi innovativi costantemente, per adeguarsi ai bisogni dei territori ove operano.

Riteniamo che in queste tre categorie possa riassumersi il selfie del terzo settore come si è presentato alla consultazione pubblica lanciata dal Governo.

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