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ISSN 2282-1694
impresa-sociale-4-2014-la-finanza-sociale-l-impatto-sulla-dinamica-domanda-offerta

Numero 4 / 2014

Policy

La finanza sociale: l'impatto sulla dinamica domanda-offerta

Mario Calderini, Veronica Chiodo

Abstract

E’ legittimo preoccuparsi del fatto che il dibattito sulla finanza sociale sia, almeno in ambito internazionale, molto orientato ai problemi dell’offerta di capitale e meno legato a reali necessità emergenti sul lato della domanda. Tuttavia, avocare la semplice caratteristica di labour-intensity dell’impresa sociale così come la conosciamo oggi non è più un argomento sufficiente per argomentare contro la necessità di accompagnare la crescita della stessa impresa sociale con adeguati e più moderni strumenti di finanziamento.

La tesi proposta è che la frontiera di nuove opportunità tecnologiche disponibili, spesso ormai in forma di commodity, abiliti nuove modalità di risposta ai bisogni sociali, maggiore capacità di rilevazione dei bisogni e crescenti spazi di reingegnerizzazione dei processi di risposta ai bisogni sociali nel segno della prevenzione. Tutto ciò concorre a determinare un incremento della scala naturale dell’intervento, sia per le caratteristiche intrinseche della tecnologia sia perché orienta la dimensione dell’attività dell’impresa sociale ad un bacino di soggetti potenzialmente molto più ampio.

Scala di intervento, intensità di competenze e governance multistakeholder sono le tre determinanti principali della presumibile crescente attenzione dell’impresa sociale verso i mercati dei capitali. E’ quindi la rottura del paradigma di intervento sociale a motivare la necessità di promuovere un maggiore flusso di capitale verso l’impresa sociale e non semplicemente l’arretramento della finanza pubblica dalle politiche di welfare.

E’ quindi necessario chiedersi se e come sia possibile promuovere l’afflusso di capitali, competenze e tecnologie all’impresa sociale, in un delicato equilibrio tra innovazione e necessità di preservare gli elementi e i valori costituivi che hanno spesso garantito all’impresa sociale efficacia nell’intervento. Il lavoro articola una riflessione di policy in questa direzione, suggerendo possibili direzioni di soft-policy per l’imprenditorialità sociale.


It is legitimate to be concerned about the fact that the debate on social finance is, at least on an international level, much more targeted on the problems concerning capital supply than on the real needs arising from the demand side. However, referring to labour-intensity characterizing social enterprise as we know it nowadays is no longer sufficient to argue against the need to support the growth of social enterprise with adequate and modern funding tools.

The thesis presented here is that new technologies, now available in the form of commodities, enable new ways of addressing social needs, an increased ability to identify them and more opportunities to provide effective answers in the form of prevention. All this contributes to producing an increase in the natural level of intervention, both because of the intrinsic technological features and because the activity of the social enterprise is directed to a potentially wider user base.

The three main determiners of the increased social enterprise’s concern for capital markets are: scope of intervention, skills intensity and multistakeholder governace. Thus, breaking the paradigm of social intervention is what really encourages an increase in capital flows toward social enterprise, and not simply the decrease in public funding to welfare interventions.

Therefore it is necessary to inquire whether and how capital, skills and technology flow to social enterprises can be fostered, in a delicate balance between innovation and the need to preserve those funding values that have often guaranteed social enterprise an effective intervention. This essay presents a policy analysis in this sense, suggesting soft policy strategies for social entrepreneurship.


Le traiettorie di sviluppo della finanza ad impatto sociale nel nostro Paese sono ancora incerte. Certamente è ormai chiara la natura globale e di mercato del fenomeno, che plausibilmente produrrà mutamenti strutturali su scala internazionale ai quali appare anacronistico e velleitario contrapporre iniziative normative di scala locale.

Lo stesso dibattito sul tema, sempre vivace, non ha ancora trovato un baricentro concettuale stabile, a differenza di quello internazionale molto orientato ad analizzare i problemi legati all’offerta di capitale ma meno attento alle questioni relative al lato della domanda di capitale. Le specificità nazionali impongono invece un’attenzione bilanciata ad entrambi gli aspetti del problema, riconoscendo che l’efficacia delle azioni di promozione dell’offerta è strettamente dipendente dalla disponibilità di adeguate opportunità di investimento (GIIN, 2014). Ciò anche per evitare di ripercorrere gli errori che hanno caratterizzato le politiche di sostegno all’imprenditorialità high-tech, quando molte energie si spesero per la promozione di un’offerta che ancora oggi fatica a trovare corrispondenti opportunità di investimento.

L’offerta di capitale per le organizzazioni che operano nel sociale è polarizzata tra un novero di strumenti di debito, come il credito tradizionale, mutualistico, il microcredito, che hanno raggiunto un buono stato di maturità e rappresentano un punto di riferimento per il mondo del terzo settore, e una serie di strumenti sviluppati dalla finanza inclusiva afferenti al mercato dell’equity, in uno stato embrionale, che presentano sì esperienze di grande rilevanza, ma con dimensione assai contenuta. Il caso del crowdfunding è paradigmatico: nonostante l’ampia celebrazione a livello mediatico, i risultati raggiunti in termini di ammontare di capitali raccolti e impiegati e legittimazione della pratica sono ancora modesti (Giudici et al., 2013; Politecnico di Milano, 2013). D’altra parte, il panorama nazionale vanta esperienze pionieristiche isolate, quali quella di Oltre Venture, uno dei primi Impact Investement Fund in Europa ed uno dei primi fondi ad aver ricevuto il supporto del European Investment Fund (Impact Investing Lab, 2014).

Una conferma di questo assetto emerge anche dai dati che descrivono l’attuale offerta e domanda di finanza per il terzo settore. Le cooperative sociali - le analisi svolte sino ad oggi sono fortemente orientate verso queste - per coprire il proprio fabbisogno finanziario fanno affidamento quasi esclusivamente su risorse proprie, cioè contributi dei soci ed entrate dalla vendita di beni e servizi (Unione Europea, 2014a, 2014b). D’altra parte, esse sembrano mostrare una minima propensione all’investimento (UBI Banca, 2014); e laddove ve ne sia, viene sostenuta prevalentemente attraverso l’autofinanziamento, oppure ricorrendo ad istituzioni pubbliche. Ancor più indicativo è il fatto che la non-esigenza di capitali da investire sembri essere giustificata dalla natura stessa dell’attività svolta (CRC, 2004). Il sistema bancario, in particolare quello tradizionale, è l’altra principale fonte di finanziamento, nonostante le cooperative sociali lamentino una carenza nell’offerta di prodotti e metodi di valutazione ad hoc rispetto alle loro esigenze (UBI Banca, 2014; Unione Europea, 2014a, 2014b; Rago, Venturi, 2013).

Ciò che emerge è quindi un profilo della domanda piuttosto statico e ripiegato su se stesso. Ed è, a nostro parere, proprio nell’evoluzione di questo profilo, prima che nella sofisticazione degli strumenti finanziari, che si giocherà la partita dello sviluppo della finanza ad impatto sociale in Italia. In effetti, l’offerta di una finanza ad impatto sociale si giustificherà se, e solo se, esisterà una domanda di questa tipologia di capitale paziente ben più consistente e credibile di quella attuale. Conseguentemente, il sostegno politico ed economico dovrà essere orientato alla promozione della domanda più che dell’offerta ed in particolare a quei processi evolutivi che sembrano investire l’imprenditorialità sociale e poter determinare una trasformazione del paradigma nell’intervento sociale. Solo il verificarsi di un cambiamento della struttura intrinseca della domanda determinerà una crescita dei volumi di capitali richiesti e una maggiore propensione agli investimenti delle imprese sociali che potrebbero essere, in parte, soddisfatte dalla finanza ad impatto sociale.

È difficilmente controvertibile che fino ad oggi il modello prevalente di imprenditorialità sociale nel nostro Paese sia stato quello della cooperazione sociale e che esso sia caratterizzato da una natura labour-intensive. E’ proprio su questa evidenza - un modello di intervento sociale largamente rappresentato da una forma labour-intensive - che si basa gran parte dello scetticismo circa la necessità di mobilitare ingenti capitali attraverso l’impact finance. Se una forma di impresa con tali caratteristiche abbia bisogno di capitali tali da giustificare la creazione di un mercato finanziario ad hoc, per alcuni una vera e propria asset-class (GIIN, 2010), è una domanda certamente legittima. Altrettanto importante è però riflettere sul fatto che l’imprenditorialità sociale sarà investita da grandi processi di cambiamento, esogeno (in funzione delle nuove opportunità tecnologiche e dei nuovi modelli di risposta ai bisogni) ed endogeno (nella natura stessa dell’impresa sociale, nei suoi vincoli legislativi, statutari e di governance). All’esito di tali cambiamenti, natura labour-intensive e relativa necessità di capitali saranno, perlomeno, da verificare.

La prima occasione di cambiamento è rappresentata dalla disponibilità di una nuova frontiera di opportunità tecnologiche legata alla rivoluzione digitale ma anche alla commoditizzazione di alcune tecnologie nel campo delle scienze della vita. L’impatto delle nuove tecnologie si manifesta da un lato nella maggiore disponibilità di soluzioni a problemi sociali - attingendo alle nuove tecnologie per l’assistenza, la cura, l’educazione, l’inclusione e i trasporti - e dall’altro nella stessa capacità di rilevazione di nuovi bisogni, ad esempio attraverso i big data. Paradigmatico in questo senso è la diffusione del modello delle smart communities, che muovendo da una connotazione urbana ad una più articolata rappresentazione del territorio e delle comunità che lo compongono salda la visione tipicamente tecnologica con una visione di innovazione economica e sociale che si origina nelle comunità. Altro esempio significativo è quello della collaborative economy, in cui la nascita di un nuovo ed innovativo paradigma economico basato sull’aggregazione e la condivisione è abilitato dalle opportunità legate all’avvento di Internet, della geolocalizzazione e degli smartphone.

Dall’intersezione di modelli di intervento e di impresa ben consolidati nell’alveo della cooperazione sociale ed in generale dell’imprenditorialità sociale e la nuova disponibilità su ampia scala di tecnologie innovative è presumibile nasca quindi una nuova domanda di investimenti e di capitali, potenzialmente in grado di trasformare la natura labour-intensive dell’impresa sociale e forse anche la natura stessa dei modelli di impresa. La disponibilità di nuove tecnologie e il correlato bisogno di dotare l’impresa sociale delle competenze necessarie restituisce attualità al classico dibattito sulla necessità o non necessità della crescita dell’impresa sociale, attribuendo alla nozione di scalabilità un significato non meramente legato all’aumento dei volumi di attività e di lavoro utilizzato ma all’intensità di innovazione e competenze. La nostra ipotesi è che questa trasformazione, guidata da una nuova frontiera di opportunità tecnologiche, apra nuovi spazi di crescita e di nuova imprenditorialità sociale cui saranno legate nuove necessità di capitali.

Una seconda possibilità di innovazione è la crescente reingegnerizzazione dei processi di risposta ai bisogni sociali nel segno della prevenzione. A livello internazionale, la risposta ad alcune problematiche sociali, come il contenimento dei crimini recidivi o la prevenzione in ambito sanitario (ad es. diabete), si sta già orientando verso questa modalità di intervento. L’impiego di modelli innovativi da parte delle pubbliche amministrazioni finalizzati a spostare la natura dell’intervento da un’azione di rimedio all’emergenza verso la prevenzione del problema può contribuire in diversi modi alla creazione di una domanda di capitali: l’intervento di prevenzione è per sua natura diretto ad un bacino potenzialmente più ampio di soggetti; l’intervento ha una natura anticipativa rispetto alle disponibilità di risorse pubbliche; in ultimo, il carattere preventivo dell’intervento comporta, ancora una volta, l’impiego di tecnologie e lo sviluppo delle connesse competenze. Ancora, una volta, quindi scala e anticipazione, con annesse necessità di capitali.

Un’ipotesi quindi, per la nascita del mercato dell’impact finance, che è anche una precondizione: la rottura del paradigma di intervento sociale, innescata da innovazione tecnologica e prevenzione. Le imprese che nei prossimi anni cercheranno di rispondere a problemi sociali consolidati ed emergenti lo faranno utilizzando nuove tecnologie, nuovi modelli organizzativi e nuovi strumenti e tanto il processo di cambiamento, quanto il modello che ne emergerà, determineranno esistenza e consistenza della domanda per la finanza ad impatto.

La complessità della dinamica sottesa a questa trasformazione rende particolarmente rischiosa qualunque opzione di policy che si proponga di accompagnare e abilitare i processi di crescita delle imprese e di promozione dei mercati. In linea generale, ed alludendo alle implicazioni che ciò dovrebbe avere a livello legislativo, è importante che il quadro normativo sia tale da consentire all’imprenditorialità sociale flessibilità ed inclusività rispetto ai diversi modelli di impresa - e di business - che potrebbero emergere dalle trasformazioni brevemente delineate. Questo senza snaturare i valori fondanti dell’imprenditorialità sociale ed in particolare una governance multistakeholder.

In secondo luogo, è difficile immaginare che il processo di scaling-up delle imprese sociali, intensivo di innovazione, tecnologie e competenze, si generi ed alimenti spontaneamente; esso dovrebbe essere sostenuto attraverso la creazione di piattaforme finalizzate a favorire la standardizzazione, l’interoperabilità e la replicabilità dei servizi e dei modelli operativi, così come la crescita delle competenze.

Inoltre, la suddetta trasformazione non può realizzarsi se non attraverso un profondo rinnovamento delle regole di procurement. Precisamente, è auspicabile che il mercato promosso dalla committenza pubblica sia in grado di riconoscere, da un lato, criteri di intensità di competenze ed efficienza nell’uso delle tecnologie e, dall’altro, riconosca un orizzonte di pluriennalità nella committenza compatibile con la necessità di programmare investimenti in capitale.

Sul lato dell’offerta di capitale, tra le molte priorità, la più urgente è probabilmente il coinvolgimento capillare del sistema bancario all’interno di questo processo di cambiamento. Come dimostrato dai sopracitati dati sulla domanda di finanziamento del terzo settore, il mercato dell’intermediazione creditizia rappresenta ancora un punto di riferimento fondamentale per queste organizzazioni; inoltre è un canale perfetto per la una diffusione su larga scala di prodotti di investimento ad impatto sociale grazie alla sua articolazione territoriale capillare e alla dimensione del risparmio privato che gestisce. L’eterogeneità delle suggestioni avanzate è indicativa quindi rispetto alla necessità che tutti gli attori in qualche modo implicati nel processo di risposta ai bisogni del tessuto sociale si impegnino nel creare un ecosistema favorevole alla sperimentazione nel mondo dell’imprenditorialità sociale.

In conclusione, la subordinazione della nascita del mercato dell’investimento ad impatto sociale al verificarsi di una trasformazione del paradigma di intervento sociale - innescata da innovazione tecnologica e prevenzione - implica che dimensione, natura e qualità di tale mercato possano essere analizzati solo attraverso una comprensione profonda delle modalità di evoluzione della domanda.

Con ciò si amplia e in qualche modo si smentisce una visione tradizionale che identifica lo spazio di azione della finanza ad impatto sociale nella copertura del vuoto lasciato dell’arretramento della capacità dell’attore pubblico di finanziare il welfare. Al contrario, la nuova domanda capitale da parte dell’impresa sociale può essere considerata come l’obiettivo finale di un processo di efficientamento dei modelli di intervento che, da un lato richiama nuovi capitali e dall’altro, attraverso questi e le imprese che li ricevono, contribuisce a colmare il divario tra finanza pubblica disponibile e bisogni da soddisfare.

Il mercato potenziale per gli investimenti ad impatto sociale può essere meglio considerato come “la quantificazione dei miglioramenti di efficienza ed efficacia che la nuova imprenditorialità sociale, sostenuta da capitali dell’impact finance, è chiamata a realizzare” (Social Impact Investment Taskforce, 2014a, 2014b). E, solo introducendo la necessaria intensità di innovazione - e, perché no, anche di tecnologia - nel paradigma di intervento nel sociale, sarà possibile realizzare questi miglioramenti in termini di efficienza ed efficacia. I capitali finanziari assisteranno questa trasformazione, se mai avverrà.


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