Questo paper prende in esame le modalità di creazione di network di imprese sociali sulla base di percorsi che ricercano e aggregano valori comuni e atteggiamenti cooperativi tra gli operatori. Lo studio mette in evidenza i motivi per i quali gli elementi cooperativi di questi network e i valori delle imprese sociali vanno poi a beneficio dell’intera comunità. E’ pertanto un lavoro che offre contenuti di interesse sia per gli imprenditori sociali sia per i policy maker.
Il nostro intento sarà quello di illustrare i processi tramite i quali in Scozia è stato applicato il modello del capitale sociale per creare network di imprese sociali, di spiegare come attraverso questi network gli imprenditori sociali siano riusciti a delineare i tratti identificativi dell’impresa sociale, nonché di chiarire come attraverso il fare rete le imprese sociali abbiano rilanciato il capitale sociale nelle sue varie forme, al fine di incentivare l’interesse pubblico. Le nostre conclusioni pongono enfasi: sulle sinergie tra i valori sociali dell’impresa e la creazione di capitale sociale, sul ruolo del networking nella costruzione di una massa critica di valori sociali all’interno delle comunità, nonché sulle complementarietà delle imprese sociali con altre tipologie di attori economici e nelle sinergie che la costruzione del welfare di comunità richiede tra pubblico e varie forme di attori privati.
This paper focuses on how social aims and cooperative attitudes have been supported in the shaping of networks in Scotland, and why this is relevant for the sustainable development of social enterprise and communities.
From this background, our main aim is to evidence the processes whereby cooperation leading to the rise of networks of social enterprises in Scotland, have created a collective identity and revamped social capital, in order to serve their mission for the promotion of public interest. Our conclusions emphasise the centrality of social enterprise aims to the production of social capital, the role of networking in building a critical mass of social values within communities, the complementarities of other typologies of economic actors in the construction of social capital and community welfare.
Traduzione italiana di: Campbell C., Sacchetti S. (2014), “Social enterprise networks and social capital: A case study in Scotland/UK”, in Christoforou A., Davis J.B. (a cura di), Social Capital and Economics: Social Values, Power, and Social Identity, Routledge Advances in Social Economics, Routledge, London.
Gli imprenditori sociali sono persone che credono fermamente nella possibilità di potere positivamente influire sulla propria comunità attraverso la gestione della loro impresa. Si tratta di persone disposte a “sporcarsi le mani” e dotate della determinazione necessaria per realizzare un obiettivo sociale. Essi ricorrono spesso a questa tipologia di impresa in quanto mezzo privilegiato per perseguire un fine sociale in modo indipendente attraverso l’auto-finanziamento. Questo modello viene preferito per le caratteristiche di autonomia e creatività, in contrasto con le più tradizionali organizzazioni nonprofit che si basano su donazioni e sovvenzioni[1].
Non esiste una definizione di impresa sociale universalmente accettata, tuttavia, la sua caratteristica più distintiva è data dalla base di valori sui quali si fonda l’impresa, volti a perseguire scopi sociali e/o ambientali, con spirito imprenditoriale. Le attività delle imprese sociali mirano al conseguimento di un obiettivo sociale e reinvestono il loro surplus. A tal fine esse devono essere economicamente sostenibili e, in questo senso, si distinguono da altre organizzazioni del terzo settore per lo più dipendenti da sovvenzioni e donazioni (Figura 1). La gestione delle risorse è altresì diversa rispetto all’impresa for profit tradizionale. Il surplus delle imprese sociali è infatti vincolato da un asset-lock: esso non viene cioè distribuito ma accantonato e reinvestito nelle attività dell’impresa stessa o nella comunità (ad esempio attraverso una riduzione dei prezzi dei servizi, o optando per la fornitura gratuita di servizi per alcune categorie di utenti) (Tortia, 2010).
Figura 1: Prospettive comparate sulle principali caratteristiche delle imprese sociali in Scozia - © Assist Social Capital CIC → denotano movimenti potenziali delle organizzazioni --- denotano barriere permeabili
Le imprese sociali non devono essere confuse con le cosiddette “imprese etiche” che mantengono come obiettivo, a differenza delle imprese sociali, la massimizzazione dei profitti e la redistribuzione dello stesso a beneficio dei fondatori. Non va nemmeno confusa con quelle organizzazioni di volontariato che dipendono da sovvenzioni pubbliche (anche se di fatto generano autonomamente parte del proprio reddito). Piuttosto, esse mirano a massimizzare la generazione di profitti compatibilmente con l’intento prinicipale, ossia il perseguimento di uno o più obiettivi sociali, allo scopo di essere indipendenti e resilienti nel tempo[2]. Ciò consente all’impresa sociale di essere più creativa e maggiormente reattiva alle esigenze di mercato e ai cambiamenti dei bisogni della comunità (Sacchetti, Tortia, 2012).
Anche se un simile modello d’impresa a sostegno dell’interesse comune e del benessere sociale esiste da secoli, è stato negli anni Novanta che il suo sviluppo ha vissuto un’accelerazione. Da allora il concetto di impresa sociale è diventato sempre più popolare. Esistono imprese sociali in tutto il mondo e ne nascono di nuove ogni giorno. Secondo la Commissione Europea, ci sono 2 milioni di imprese sociali nell’Unione Europea (pari al 10 per cento di tutte le imprese europee), che a loro volta impiegano oltre 11 milioni di lavoratori (pari al 6 per cento della popolazione attiva dell’UE). Negli Stati membri le imprese sociali sono presenti in quasi tutti i settori dell’economia, tra i quali finanza, assicurazioni, agricoltura, artigianato, servizi commerciali, servizi sanitari e sociali.
Nel 2003, mentre cresceva l’interesse per l’imprenditorialità e l’impresa sociale, vi era scarso supporto specialistico. Nel caso della Scozia, molti imprenditori si sentivano isolati o in pericolo di perdere terreno a favore di altre forme tradizionali di impresa o di organizzazioni di volontariato dipendenti dai sussidi pubblici o da donazioni. Questo è stato il punto di partenza dal quale sono emersi vari network di imprese sociali (Social Enterprise Networks, SENs), utilizzando un modello che applicava intenzionalmente la teoria del capitale sociale. Questi network, che attualmente svolgono un ruolo strategico nel panorama dell’impresa sociale scozzese, a livello locale, nazionale e tematico, si sono poi aggregati in una meta-rete. Le imprese sociali scozzesi si sono costituite in più di 20 SENs, con oltre 400 partecipanti attivi che si incontrano regolarmente, e con un impatto economico complessivo di oltre 300 milioni di sterline annue.
Il saggio illustra come in Scozia la formazione di network basati sull’affermazione volontaria e condivisa dei valori delle imprese sociali abbia contribuito a creare una massa critica di attori volti al perseguimento di obiettivi sociali e alla diffusione di atteggiamenti cooperativi. L’intento principale di questo lavoro è quello di esemplificare i processi tramite i quali l’atteggiamento cooperativo degli imprenditori sociali abbia consentito la formazione di reti e rilanciato l’idea di capitale sociale a favore di obiettivi pubblici. Lo studio mette in evidenza i motivi per i quali la cooperazione tra imprese vada poi a beneficio dell’intera comunità. Si considerrà l’esperienza dei soggetti coinvolti nello sviluppo di Network di Imprese Sociali (da qui in poi: SENs) per esemplificare come dal concetto accademico di capitale sociale sia stato derivato e concretamente programmato un modello di sviluppo.
La fiducia negli altri e la nostra capacità di lavorare insieme per conseguire risultati che siano di beneficio comune non è un fenomeno nuovo. Si può piuttosto affermare che condivisione e fiducia siano esistite da quando gli esseri umani hanno iniziato a vivere in gruppi (fin dai tempi delle popolazioni di cacciatori e raccoglitori si collaborava per abbattere animali come i mammut, troppo grandi per il singolo cacciatore). Il termine “capitale sociale” definisce dunque la capacità umana a cooperare. Il termine si è aggiunto di recente al linguaggio dei policy maker e, benché la situazione stia cambiando, è ancora largamente sconosciuto al di fuori degli ambienti accademici e di policy. Venne utilizzato per la prima volta nel 1916 da Lyda Judson Hanifan per descrivere “quegli elementi intangibili [che] contano più di ogni altra cosa nella vita quotidiana delle persone” (Hanifan, 1916). Negli anni Settanta e Ottanta Pierre Bourdieu e James Coleman lo applicarono ai loro studi su disuguaglianza ed istruzione. In seguito, nel 2000, Robert Putnam diede una spiegazione molto chiara dell’importanza del capitale sociale in “Bowling Alone: The Collapse and Revival of American Community” (Putnam, 2000). Ancor prima, lo stesso autore utilizzava il concetto di capitale sociale per spiegare le differenze di sviluppo tra il Settentrione e il Mezzogiorno d’Italia (Putnam, 1993). Il lavoro suscitò un notevole interesse; il dibattito sfociò nella pubblicazione di numerosi contributi accademici a supporto delle affermazioni di Putman e di altri studiosi, secondo i quali il capitale sociale è fondamentale per la prosperità e la resilienza delle comunità.
Al giorno d’oggi l’idea di capitale sociale rientra nei dibattiti di un ampio numero di problematiche. Oltre alle argomentazioni legate alla prosperità economica si pensi, ad esempio, alla rilevanza del capitale sociale rispetto alla pianificazione urbanistica, alle reti di trasporto pubblico, all’istruzione, alla salute. La Banca Mondiale e l’OCSE hanno prodotto studi sul tema e i governi di tutto il mondo, dal Canada all’Australia, dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna e all’Irlanda hanno finanziato iniziative per capire come investire al meglio nella creazione di capitale sociale. Nello stato Austriaco di Vorarlberg, l’OFRI (Office for Future-Related Issues) da dieci anni impiega il concetto di capitale sociale per mettere a punto interventi di policy sui temi dello sviluppo sostenibile e iniziative di democrazia partecipativa. Più di recente, la provincia di Gipuzkoa, nei Paesi Baschi, ha avviato un programma di investimenti finalizzato a rinvigorire l’economia; il progetto Gipuzkoa Sarean ha lo scopo di rafforzare il capitale sociale per rendere Gipuzkoa una regione più competitiva, grazie all’identificazione e alla messa in rete di valori e obiettivi condivisi nella speranza di generare effetti positivi su produttività, sostenibilità ambientale e coesione sociale.
Più ci avviciniamo al terzo decennio del nuovo secolo, più i policy maker riconoscono che le comunità dovranno affrontare sfide significative oltre i confini delle proprie comunità locali. Per fronteggiarle adeguatamente sarà necessario rafforzare la sfera locale attraverso un’azione collettiva che assicuri efficacia ai programmi economici e sociali. Come afferma Barack Obama: “Sappiamo che ci sono alcune cose che facciamo meglio insieme”. L’applicazione del capitale sociale a politiche e programmi pubblici ha il grande potenziale di influenzare trasversalmente molti dilemmi di policy. Laddove le problematiche riguardanti il capitale sociale vengono affrontate con chiarezza, competenza e precisione da attori pubblici e privati, come nelle regioni di Vorarlberg e Gipuzkoa, i programmi di policy risultano più efficaci. In un panorama che vede crescere la complessità delle risposte da dare ai bisogni socio-economici, la presenza di capitale sociale potrebbe fornire un margine di vantaggio e assicurare un accesso più sicuro al benessere e alla prosperità.
Le relazioni tra individui e le loro interconnessioni sono un elemento fondamentale del capitale sociale. In un suo importante contributo sul capitale sociale Granovetter (Granovetter, 1983; p. 202) distingue i legami forti da quelli deboli. I legami forti formano una rete compatta che include gli amici più cari, mentre i legami deboli fanno riferimento ai conoscenti e formano una rete a bassa densità. La differenza sostanziale è che, mentre i legami deboli estendono le opportunità oltre la cerchia sociale dell’individuo aumentando così l’accesso a informazioni e risorse, i legami forti costituiscono una risorsa più rara, si caratterizzano per una “maggiore motivazione,” ma nello stesso tempo possono frenare anziché dare il via a nuove possibilità (ibid.; p. 209). Il messaggio complessivo del contributo di Granovetter è che i legami deboli possono essere un mezzo potente per migliorare le opportunità di scelta al di là di ciò che la nostra sfera di conoscenze più intime può offrirci.
Tuttavia, una valutazione delle opportunità disponibili per i singoli attori e trasversalmente anche per le comunità e le realtà locali, deve riuscire a ricondurre i legami sociali dei singoli ad un’idea più ampia di sviluppo locale, o a integrare la sfera privata dei vantaggi e delle opportunità derivanti dalla rete relazionale del singolo (ad esempio, quella dell’individuo alla ricerca di un lavoro o della singola impresa in cerca di nuove vie di crescita) con una concezione della sfera relazionale come risorsa condivisa a livello di comunità e per il benessere di tutti i suoi componenti. Suggeriamo, nello specifico, che il capitale sociale sia una forma di risorsa collettiva che agisce nelle comunità in forza di norme, quali la fiducia e la reciprocità, in grado di promuovere la cooperazione. A questo proposito, e in accordo con quanto affermato da Fukuyama (Fukuyama, 2001), il capitale sociale può essere definito come una norma comportamentale che favorisce la cooperazione tra due o più soggetti, anziché l’utilizzo di atteggiamenti individualistici ed esclusivi. E’ più probabile osservare la formazione di una società civile forte dove persistono livelli di cooperazione alti, piuttosto che in comunità dove l’interesse privato non viene perseguito in sinergia con l’interesse pubblico. Dove prevale la cooperazione a vari livelli (tra individui, organizzazioni, istituzioni) si sviluppano in misura maggiore la partecipazione, il senso critico e la creatività, si generano innovazione e nuove opportunità di sviluppo, diminuisce il rischio di essere isolati anche in caso di malattia o di bisogno e pertanto ci si possono attendere maggiore prosperità e benessere individuale (Fukuyama, 1995; Putnam, 1993; Sacchetti, 2013).
Riconoscere che vi siano prospettive e bisogni diversi, nonché l’esistenza di interdipendenze tra le scelte e le azioni individuali non esclude atteggiamenti o preferenze orientate al perseguimento esclusivo dell’interesse individuale (Sacchetti, 2013). L’individuo può decidere infatti di non considerare, nel merito delle proprie scelte, le conseguenze anche negative che da queste possono derivare. Si pensi al caso in cui il management di un’impresa utilizzi una situazione di asimmetria informativa a discapito dei lavoratori, o ancora si pensi all’eventualità di comportamenti opportunistici tra colleghi all’interno di un gruppo di lavoro, o ancora a quei casi in cui il comportamento opportunistico di alcuni utenti provochi lo sfruttamento eccessivo e la distruzione di risorse comuni a danno dell’intera popolazione (il tipico esempio è quello dell’abuso di risorse idriche in agricoltura o dell’attività di pesca in un lago) (Ostrom, 1990). Al contrario, la cooperazione si caratterizza, dal punto di vista comportamentale, per una predisposizione a cogliere diversità di prospettive, di bisogni, di desideri e di impressioni nonché nella capacità di fare sintesi e identificare obiettivi comuni che sostengano lo sviluppo di tutti in modo trasversale. A tal fine, è necessario riconoscere il ruolo della partecipazione dei vari stakeholder nella definizione di norme condivise che regolino i processi decisionali e la definizione degli obiettivi. La letteratura empirica e quella sperimentale hanno dimostrato che la partecipazione alla definizione della norma aumenta l’impegno e la conformità alla norma stessa. Inoltre, la presenza di una norma stabilita che supporti la reciprocità genererà un comportamento cooperativo. La norma, infatti, contribuisce a formare il comportamento degli agenti generando l’aspettativa che ognuno di essi contraccambierà l’altra parte. Nel momento in cui gli attori condividono la certezza che gli individui ricambieranno i comportamenti, le scelte si baseranno su preferenze derivanti dalla conformità alle norme stabilite. Le scelte inoltre rifletteranno, da un punto di vista deontologico, le preferenze dell’agente rispetto ai diritti e ai doveri che si ritiene debbano dare forma al percorso decisionale. E’ interessante notare che, laddove non sia presente un preaccordo sulle norme comportamentali, tende a prevalere un comportamento individualistico (Grimalda, Sacconi, 2005; Sacconi, Degli Antoni, 2011; Sacconi et al., 2011).
Considerazioni analoghe possono essere applicate all’analisi della cooperazione tra imprese. Si consideri, ad esempio, l’esperienza di alcuni distretti industriali dove la prossimità rende le interazioni e gli scambi di conoscenza tacita più probabili e frequenti (Becattini, 1990; Becattini, Rullani, 1993). Nel caso specifico dei distretti industriali l’idea di capitale sociale è stata utilizzata per interpretare le relazioni di cooperazione e fiducia tra gli imprenditori. Gli effetti positivi del capitale sociale sono stati messi in relazione alla performance economica delle piccole e medie imprese, nonché alla riproduzione dell’identità economica, sociale e culturale del distretto. Laddove il capitale sociale contribuisce alla creazione di vantaggi di localizzazione, inoltre, il sistema territoriale diventa più competitivo. L’economia regionale spiega infatti che il capitale sociale è in grado di potenziare l’attrattività di un territorio facilitando le relazioni, incrementando gli scambi di informazioni, diminuendo i costi di transazione e generando un impatto positivo sulla produzione in termini sia pecuniari che tecnologici.
Nel complesso si ritiene che il capitale sociale offra un terreno fertile per la localizzazione di impresa in generale. Dal momento, tuttavia, che i modelli di impresa si distinguono l’uno dall’altro in termini di obiettivi, competenze, forme di governance e prassi decisionali, approfondiremo la linea di analisi del capitale sociale ipotizzando che il patrimonio relazionale radicato in un luogo generi conseguenze diverse a seconda del modello prevalente, ossia del tipo di norme che sostengono la struttura economica e a seconda dei valori e dei saperi di cui una comunità si fa portatrice. Il ruolo facilitatore del capitale sociale deve perciò essere inteso nel contesto definito dagli obiettivi, dai processi e dagli esiti delle scelte operate dalle imprese e dalle istituzioni di supporto al sistema produttivo. In altre parole, i risultati e gli esiti delle reti di impresa possono essere diversi a seconda degli obiettivi, della natura delle relazioni, delle norme comportamentali che regolano l’interazione. Le imprese infatti si coordinano tra loro in vari modi. Questi possono differire anche in maniera considerevole. Ai due estremi opposti troviamo, da un lato, network eterarchici basati sulla cooperazione, su processi decisionali condivisi, reciprocità e fiducia, finalizzati al perseguimento di obiettivi condivisi. Dall’altro lato troviamo reti gerarchiche nelle quali il governo delle relazioni è finalizzato al perseguimento degli interessi dell’impresa principale (generalmente l’impresa committente) mentre le relazioni si basano sull’asimmetria di potere decisionale e su norme e incentivi incentrati sul principio di comando e controllo (Sacchetti, Sugden, 2003). Poiché in base alla definizione adottata, al contrario del modello gerarchico, la resilienza del capitale sociale dipende dal radicamento di comportamenti cooperativi nella comunità, ipotizziamo anche che, nello specifico, le organizzazioni e le reti eterarchiche e aperte incentrate su valori condivisi, cooperazione e obiettivi pubblici siano adatte ad utilizzare e a riprodurre il capitale sociale (Sacchetti, Sudgen, 2009; Sacchetti, 2013; Sabatini et al., 2013).
La peculiarità delle imprese sociali, da questo punto di vista, è che esse promuovono obiettivi sociali e relazioni cooperative senza i vincoli imposti dalla massimizzazione del profitto e dall’accumulazione di ricchezza individuale. La performance non è misurata in termini di risultati esclusivamente monetari ma, piuttosto, in termini del valore sociale prodotto a beneficio della collettività. Tuttavia, le imprese sociali agiscono all’interno di un contesto socio-economico dove la “cultura pecuniaria” è dominante, come Veblen già sul finire del diciannovesimo secolo affermava riferendosi al funzionamento delle istituzioni in America (Valentinov, 2005; Veblen, 1899/2003; Sacchetti et al., 2013). Le organizzazioni nonprofit non sono estranee ai meccanismi di mercato. Anzi, di fatto operano sul mercato in quanto imprese. I principi legati alla competitività sono riconosciuti come caratteristiche specifiche delle imprese sociali, distinte da altre organizzazioni del terzo settore (come ad esempio fondazioni e charities). La diffusione di valori legati al profitto all’interno delle imprese sociali, tuttavia, assume rilievo negativo quando, come ha notato Weisbrod (Weisbrod, 1998), gli obiettivi e le pratiche che qualificano le imprese tradizionali sono anteposti agli obiettivi sociali, o quando comportamenti individualitici vengono premiati anche tra i dipendenti attraverso incentivi e da attitudini manageriali che vanno a detrimento di comportamenti cooperativi. In mancanza di riconoscimento da parte del management e dei colleghi, la cooperazione come “disposizione comportamentale” verrà sostituita nel tempo da comportamenti individualistici. In altre parole, se inserito in un contesto fortemente individualistico, anche l’individuo con solide disposizioni cooperative si adeguerà, seppure non immediatamente, al contesto, a meno che non scelga di lasciare l’impresa (Ben-Ner, Ellmann, 2012).
Meta-organizzazioni come i network di imprese sociali possono agire come facilitatori e amplificatori dei valori dell’imprenditoria sociale. L’idea è che le reti che riproducono nella prassi e nei risultati i valori dell’impresa sociale possono contribuire a raggiungere una “massa critica” di attitudini cooperative che altrimenti correrebbero il rischio di essere sostituite dai valori prevalenti a sostegno di obiettivi e processi economici convenzionali (Witt, 2003: sull’importanza della massa critica e dell’evoluzione dei valori). Il problema dimensionale nella disseminazione di valori è perciò cruciale, poiché permette alle imprese sociali di essere identificate come entità distinte dalle altre tipologie di impresa, di segnalare e comunicare al mondo esterno le prassi e gli obiettivi, distinguendosi con maggiore chiarezza da imprese tradizionali e dal settore pubblico. La comunicazione di un’identità specifica pone le imprese sociali nella posizione di offrire competenze complementari ad altri settori economici, nello specifico servizi di welfare. Le complementarietà tra imprese sociali, settore pubblico e settore for profit tradizionale incrementano così la le opportunità di collaborazione in un’ottica di interesse pubblico. Il caso dei network di imprese sociali (SENs) sviluppatisi nel contesto scozzese, e presentato qui di seguito, illustra come gli imprenditori sociali abbiano agito collettivamente al fine di raggiungere una massa critica che permettesse loro di identificare e rafforzare norme comportamentali condivise e, nello stesso tempo, di differenziarsi dalle organizzazioni for profit nonché da alcuni aspetti critici delle charities e delle fondazioni.
Finora abbiamo suggerito che un comportamento cooperativo può contribuire ad identificare valori, obiettivi e processi condivisi all’interno delle comunità e a valutarne i risultati in modo integrato. Abbiamo anche affermato che le relazioni tra imprese possono sostenere procedure e obiettivi diversi, da quelli delle imprese tradizionali (il profitto) a quelli delle imprese sociali (il valore aggiunto sociale). Applichiamo ora queste considerazioni al caso specifico dei network di imprese sociali, in quanto essi costituiscono essenzialmente delle modalità per mettere in relazione tra loro imprese che abbiano come obiettivo il perseguimento di valore sociale, anche quando sono posti in contesti socio-economici che promuovono valori diversi.
Il primo network di imprenditori sociali scozzesi (Senscot) venne fondato da un piccolo gruppo di imprenditori che nel 1999 si resero conto che la loro attività avrebbe tratto beneficio dalla cooperazione con altri imprenditori simili in valori e obiettivi. Tra i fondatori vi erano Laurence Demarco e Rodney Stares, entrambi con un vasto background di sviluppo di comunità (sia Laurence che Rodney sono ancora attivamente coinvolti nel progetto). Il primo Direttore di Senscot fu Mel Young, fondatore di Big Issue Scotland e della Homeless World Cup (Coppa del Mondo dei Senzatetto). Gli obiettivi di Senscot erano: mettere in relazione e informare gli imprenditori sociali, agevolare il supporto tra pari, sviluppare il settore. Seppur con risorse limitate, il fulcro del progetto era quello di diffondere informazioni attraverso un sito internet e un regolare bollettino via e-mail. Uno dei vantaggi specifici di Senscot è ancora il bollettino, che iniziò come un blog scritto da Laurence sulla sua storia personale, sui suoi hobbies e sulle sue vacanze (principalmente in Spagna).
Per facilitare lo sviluppo del settore, Senscot opera come incubatore di infrastrutture di supporto per gli imprenditori sociali, individuando i loro bisogni e ricercando possibili risposte. Questo ha permesso loro di giocare un ruolo di spicco in una serie di partnership che hanno dato origine a numerose organizzazioni di supporto tra cui Development Trust Association Scotland (DTAS), Scotland UnLimited, First Port, Social Enterprise Academy (SEA) e Scottish Community Alliance. Tutte queste iniziative sono nate inizialmente nell’incubatore di Senscot e se ne sono successivamente allontanate una volta raggiunto lo status di organizzazioni autonome.
Nel 2002 il bollettino di Senscot veniva letto da oltre due mila persone e vi era la netta sensazione che il modello di impresa sociale si fosse ufficialmente consolidato anche in Scozia. Inizialmente Senscot concentrò gli sforzi sulla condivisione di informazioni e sull’interconnessione virtuale attraverso il bollettino settimanale e il sito internet con lo scopo di raggiungere l’intera comunità di operatori sociali in maniera sostenibile. Nel 2003 Colin Campbell (uno degli autori di questo lavoro) si unì a Senscot in qualità di network development manager, portando all’interno della rete il proprio interesse per l’idea di capitale sociale e alcune idee sulle modalità per metterlo in pratica. Ispirato dall’analisi di Fukuyama, adottò la seguente posizione:
“La capacità delle persone di associarsi l’una con l’altra è importante non solo sul piano economico, ma anche per ogni altro aspetto della vita sociale. La capacità di associarsi dipende, a sua volta, dal livello in cui queste comunità condividono norme e valori e sono in grado si subordinare l’interesse individuale a quello di gruppi più vasti. Al di là di valori condivisi c’è la fiducia, e la fiducia, come vedremo, ha un valore economico rilevante e misurabile” (Fukuyama, 1996; pp. 3-12).
Campbell utilizzò le sue conoscenze sulla teoria del capitale sociale per sviluppare un modello di supporto tra pari che avrebbe aiutato gli imprenditori sociali isolati, ai quali mancava una voce collettiva e un supporto specialistico. Per raggiungere questo obiettivo, articolò un modello di Communities of Practice su misura per gli imprenditori sociali, che prese il nome di SENs (Social Enterprise Networks). I SENs fornivano agli imprenditori sociali una piattaforma territoriale per riunirsi e incontrare altre persone che, come loro, desideravano rendere la propria organizzazione indipendente dalle donazioni.
Nell’ottobre 2004, Senscot iniziò una procedura per agevolare la convergenza delle imprese sociali in reti territoriali. Le reti avrebbero giocato un ruolo fondamentale per sostenere, consigliare e diffondere informazioni sulle imprese sociali in tutta la Scozia sia a livello locale che nazionale. Esse hanno avuto un grande impatto nel fornire supporto alla formazione di partnership strategiche in tutte le aree sotto la giurisdizione delle autorità locali. Il primo SEN fu quello del distretto del; un anno dopo i SENs su base geografica erano sette e nel 2006 diciotto. Questa rapida crescita dimostrò come esistesse un’effettiva domanda per questi network e Senscot sfruttò questo successo per attrarre finanziamenti dalla Lotteria Nazionale (Big Lottery Fund) e dal Governo Scozzese. Attualmente ci sono sedici SENs su base geografica e cinque su base tematica[3].
Ad oggi i SENs rispondono alle richieste del territorio in cui sorgono e tengono in considerazione le sue caratteristiche specifiche: le infrastrutture di supporto, la situazione economica locale, la storia e la tradizione dell’impresa e dell’economia sociale dell’area. La partecipazione è aperta a imprese sociali emergenti, consolidate o aspiranti tali in grado di fornire un beneficio dal punto di vista sociale e/o ambientale. Ciò significa che i membri condividono valori, obiettivi e modalità di azione, lavorano con gruppi o comunità svantaggiate (come ad esempio minoranze etniche), persone con difficoltà fisiche o con problemi di salute mentale e giovani a rischio.
Il ruolo di Senscot èstato quello di fondare ed agevolare i SENs solo laddove vi fosse un’autentica richiesta da parte delle imprese sociali locali. Senscot, per scelta, non avrebbe cercato di imporre un network in un’area in cui non vi era l’intenzione di svilupparne uno. Il fatto che i partecipanti al network condividessero gli stessi valori (derivanti dalla scelta iniziale di diventare imprenditori sociali) fornì una base per approfondire la comunicazione, condividere esperienze e individuare prospettive e opportunità a beneficio di tutti.
Il tipo di interazione scelta va interpretata in termini di rete eterarchica, secodo la quale le modalità operative del network vengono delineate essenzialmente sulla base degli obiettivi e dei processi che gli imprenditori sociali applicano già nelle loro organizzazioni. La creazione di SENs, dal nostro punto di vista, può perciò essere intesa come il risultato di una valutazione dei processi e degli obiettivi, anche in contrasto con le interpretazioni prevalenti in altri settori della comunità (in termini di valori, norme, codici comportamentali e modalità di organizzare la produzione). Da allora il modello è stato rafforzato con la creazione di un codice volontario (Volountary Code of Practice)[4], che riflette i valori specifici delle imprese sociali scozzesi. Prima che questa iniziativa fosse lanciata Senscot dovette impegnarsi nel coordinamento del dibattito: si scelse il profilo di impresa sociale come modello di impresa, perché rappresentava un modello con cui gli imprenditori sociali scozzesi si identificavano maggiormente (a differenza della prospettiva generalmente utilizzata in Inghilterra, dove viene di norma accettata la distribuzione dei profitti e dove l’asset-lock assume un ruolo marginale).
Di seguito descriveremo dettagliatamente come i diversi elementi del capitale sociale interagiscano nei SENs e individueremo una piattaforma che permetta azioni sostenibili nel lungo periodo e senza il bisogno di strategie dall’alto o di risorse su larga scala.
Come ricordato in apertura, il capitale sociale determina la quantità e la qualità delle interazioni sociali e il modo in cui si può agire collettivamente a fronte di problemi emergenti. A questo punto risulta utile considerare da vicino le principali caratteristiche del capitale sociale. Si tratta di tre elementi che distinguono le tipologie di legami (Putnam, 1993):
Tutte le componenti riguardano “gli altri,” perciò un cambiamento positivo da una parte gioverà all’altra e viceversa.
Il concetto di capitale sociale ci fornisce una struttura e un lessico per comprendere esattamente quali vantaggi e svantaggi esso produce nelle sue varie forme e in che modo possa essere sviluppato efficacemente. Come anticipato nell’introduzione, riteniamo che il capitale sociale sia in grado di agevolare in vari modi lo sviluppo e la prosperità economica a livello sia nazionale che locale, sebbene nello specifico sia necessario approfondire la ricerca in merito all’impatto del capitale sociale su dimensioni dello sviluppo quali istruzione, cultura e salute. Per comprendere a fondo tali impatti, la natura delle relazioni puo’ essere differenziata come segue (Helliwell, Putnam, 1995; Iyer et al., 2005; Putnam, 2002; Szreter, Woolcock, 2004):
La differenza tra queste diverse tipologie di capitale sociale è cruciale. L’impatto del capitale sociale, nel bene o nel male, dipende dalla forma che assume a seconda delle circostanze. In quanto individui o comunità, abbiamo bisogno di tutte le diverse tipologie di capitale sociale nel corso delle varie fasi della vita. Ad esempio, in un’area urbana povera il capitale sociale si basa frequentemente su legami forti tra simili (bonding) ma raramente viene portato a livello istituzionale (linking). In una situazione del genere, nonostante comunichino efficacemente tra di loro, le persone non sono in grado di conseguire alcun cambiamento o progresso (ad esempio, un gruppo di minoranza etnica molto unito, ma chiuso). E’ probabile che questo sia dovuto all’afflusso limitato di informazioni dall’esterno e quindi all’assenza di nuove risorse in entrata e alla mancanza di relazioni di potere strategiche che possano rovesciare gli equilibri a loro favore, anche dal punto di vista politico.
Nel 2003 gli imprenditori sociali che si rivolgevano alla propria agenzia locale per il terzo settore ricevevano in risposta un invito a rivolgersi al locale Business Gateway, un’agenzia di supporto del Governo Scozzese per le imprese private tradizionali. Lì l’imprenditore sociale avrebbe spiegato al consulente di impresa che era loro intenzione reinvestire tutti i profitti nell’azienda. A quel punto sarebbe stato diretto verso l’Organizzazione Nazionale di Volontariato, la Scottish Council for Voluntary Organisations (SCVO), che li avrebbe poi reindirizzati nuovamente al punto di partenza, ossia all’agenzia locale per il terzo settore. Le poche agenzie di supporto all’impresa sociale non erano ancora visibili e gli imprenditori sociali non avevano a disposizione un percorso chiaro per acquisire quel supporto specialistico di cui avevano bisogno.
Come precedentemente osservato, partire dalla prospettiva del capitale sociale ha permesso a Senscot di fare convergere gli imprenditori sociali sulla base di valori condivisi e identificati dagli imprenditori stessi, generarando capitale sociale di tipo bonding e bridging. Sono così emersi gruppi coesi di imprese sociali in ogni area geografica. Questi gruppi (i SENs), facilitati da Senscot, agiscono come communities of practice (COP), ossia come gruppi di individui con interessi, pratiche e obiettivi comuni che, cooperando, sono in grado di affrontare sfide e trovare soluzioni vantaggiose per la collettività. La ricerca suggerisce che creando collegamenti attivi diventa possibile uscire dall’isolamento, inserirsi e massimizzare la conoscenza collettiva del gruppo (Lave, Wenger, 1991). Tra i vari vantaggi derivanti dal supporto e dallo sviluppo delle communities of practice vi sono quelli di condividere buone pratiche, risolvere rapidamente i problemi, guidare l’innovazione, acquisire conoscenza, facilitare lo sviluppo professionale.
Il bonding social capital si basa su valori condivisi e su conoscenze che uniscono il gruppo e contribuiscono a rafforzare i legami tra i suoi componenti. Come dice il proverbio, “chi si assomiglia si piglia”. Incontrarsi regolarmente e condividere quelle informazioni che alimentano gli obiettivi comuni dà ai partecipanti l’opportunità di approfondire e rafforzare le relazioni. L’elemento dell’incontro, della comunicazione faccia a faccia, è imprescindibile per formare e mantenere la componente forse più importante del capitale sociale, quella della fiducia. La fiducia tra i partecipanti al gruppo (“gruppo” è inteso qui in senso lato) è rappresentata fondamentalmente dalla loro capacità di agire senza il bisogno di regolamentazione, supervisione o monitoraggio (ECOTEC Research and Consulting, 2001). E’ piuttosto attraverso le norme condivise con le quali gli imprenditori sociali hanno definito l’identità delle loro imprese e attraverso il modello promosso da Senscot (bollettino e sito internet) che si diffonde un modello autodeterminato di impresa nuovo che dia risposta a bisogni sociali e ambientali.
I SENs si sono dati gli obiettivi di:
I SENs aspirano inoltre ad avere le seguenti caratteristiche:
Via via che i SENs aumentavano di numero, Senscot iniziò ad incentivare lo svolgimento di riunioni regolari tra partecipanti allo scopo di mantenere i legami aperti e ridurre la tendenza dei gruppi a diventare troppo protettivi nei confronti della loro sfera d’azione. Questo richiese l’impiego di risorse ulteriori. Nel 2007 Senscot si appellò alla Big Lottery e al Governo Scozzese per una richiesta di finanziamento volta ad impiegare un secondo agente di sviluppo di rete. Crebbe così anche il numero di persone all’interno di Senscot dedicate allo sviluppo del network. Networks1st, un nuovo sito internet, e il bollettino settimanale rivolto ai membri dei SENs beneficiarono di un ulteriore sviluppo in risposta alla crescente importanza dei SENs. Attualmente, Senscot continua ad incoraggiare incontri ed eventi locali e nazionali con una cadenza annuale allo scopo di alimentare il capitale sociale nelle sue varie forme (bonding, bridging e linking) a livello locale e regionale.
I primi SENs avevano tutti una base geografica. Ciò significa che i partecipanti provenivano da varie tipologie di imprese sociali appartenenti a diversi settori di mercato e con diverse competenze. Questo sistema funzionava bene perché permise alle imprese sociali di cooperare condividendo competenze, norme e valori senza cadere in chiusure legate a problemi di concorrenza con operatori provenienti dagli stessi settori. In seguito i tempi furono maturi per pensare a SENs tematici o di settore che avrebbero potuto dare un valido contributo, in particolare per le imprese sociali operanti in aree fuori dal business mainstream.
Non a caso il primo SEN tematico fu il SEN Creatività e Cultura. A causa del numero ridotto di imprese sociali connesse ai SENs operanti nel settore culturale, si decise che questi gruppi tematici avrebbero avuto una competenza nazionale. L’iniziativa partì bene, poi nello stesso periodo il Governo scozzese conducesse una revisione dei suoi programmi culturali; ciò concesse al SEN Creatività e Cultura di avere accesso al dibattito sulle riforme, beneficiando dell’opportunità di relazionarsi con personalità e agenzie importanti per lo sviluppo di iniziative nel settore (linking social capital). Questo tipo di capitale sociale sfociò in molteplici inviti e momenti di partecipazione a dibattiti tematici a Edinburgo, nella sede del Parlamento Scozzese, e viceversa importanti stekeholder presenziarono agli incontri del SEN in qualità di ospiti. Tuttavia, una volta conclusosi il processo di consultazione, l’accesso agli stakeholder (e quindi il linking social capital) si esaurì. Questa improvvisa perdita di accesso ai processi deliberativi era sintomatica dell’assenza di direzione strategica da parte del SEN tematico, presente invece per i SENs territoriali molto più capaci di identificare e accedere agli enti strategici responsabili per lo sviluppo economico e di comunità, come le autorità locali, le Community Planning Partnerships e così via. Nonostante l’aumento della partecipazione a più di trenta organizzazioni, la perdita di accesso diretto ai decisori ebbe un impatto negativo sullo slancio del gruppo tematico, che scomparve gradualmente. Infine, anche gli incontri del SEN Creatività e Cultura si esaurirono interamente.
Il secondo SEN tematico ad essere istituito fu il SEN Salute. Questo SEN naque in uno scenario simile al precedente, con uno slancio iniziale successivamente smarrito a causa della mancanza di opportunità di influire sulle decisioni. Campbell identificò il problema nell’assenza, in Scozia, di una direzione strategica a livello tematico. Tale mancanza costituiva una barriera allo sviluppo di iniziative concrete e faceva sì che la collaborazione all’interno del SEN Salute avesse un impatto minimo o del tutto assente. Perciò, ancora una volta utilizzando l’idea di capitale sociale, Campbell elaborò con Senscot un metodo che avrebbe favorito le opportunità di connessione istituzionale dei SENs tematici (linking social capital). Questo portò allo sviluppo di una tavola rotonda tematica sponsorizzata da un’importante agenzia del settore pubblico che si incontrava regolarmente (ogni tre mesi) con i rappresentanti del SEN tematico, contribuendo così a rinsaldare il legame diretto con i policy maker. Dal momento che l’obiettivo delle roundtables era lo sviluppo delle imprese sociali operanti in un settore specifico (salute, cultura), questo modello permise ai policy maker di familiarizzare con i settori e di diventarne in effetti i maggiori sostenitori.
Il ruolo delle tavole rotonde tematiche era di avvicinare le imprese sociali sorte “dal basso” (grassroot) e afferenti a bisogni sociali specifici. Alle tavole rotonde si richiedeva di sviluppare indicazioni di policy di area. Per raggiungere questo obiettivo, Senscot lavorò per identificare all’interno di ciascuna agenzia di sviluppo pubblica individui con un interesse particolare verso i benefici generati dall’impresa sociale, in termini di obiettivi e di innovazione sociale. Questo permise di identificare all’interno degli enti istituzionali individui disposti a sostenere, con finanziamenti dedicati, la creazione di valore aggiunto sociale attraverso imprese private. Le tavole rotonde ora generano benefici comuni, ossia costruiscono relazioni istituzionali (linking) attraverso tre incontri all’anno ed una conferenza annuale che studia soluzioni al superamento delle barriere che ancora frenano lo sviluppo delle imprese sociali e delle loro comunità di riferimento.
L’introduzione delle tavole rotonde tematiche, con i loro sostenitori provenienti dal settore pubblico, è stata estremamente efficace nell’accrescere il senso di attualità e rilevanza dell’impresa sociale nell’agenda politica. Le difficoltà derivanti dalla crisi finanziaria fanno sì inoltre che le imprese sociali che riescono a completare, attraverso il co-finanziamento dei progetti, le risorse messe a disposizione dal settore pubblico siano favorite. Al momento sono attive quattro tavole rotonde tematiche su salute, sport, cultura e alimentazione di comunità.
Nel 2008 vi erano diciotto SENs con circa 250 imprese in totale. Si era raggiunto un punto critico con un numero crescente di imprese sociali auto-identificatesi che collaboravano attivamente e ben connesse a livello locale, nazionale e tematico. Questo dato di fatto aprì la strada a nuove opportunità. Una delle più importanti venne nel 2005 con la modernizzazione del processo degli appalti pubblici ad opera del Governo Scozzese. La conseguenza fu l’inclusione nei bandi di appalto della Community Benefit Clause (Scottish Government, 2008). L’introduzione della clausola generò un improvviso interesse da parte del settore for profit tradizionale per le imprese sociali. A seguito della nuova misura di policy venne immediatamente creato un registro online (ReadyforBusiness.org) contenente i dettagli di tutte le imprese sociali disponibili a partecipare alle gare di appalto in cooperazione con imprese tradizionali. ReadyforBusiness.org permetteva alle imprese convenzionali del settore privato di identificare, una volta vinta la gara di appalto, le imprese sociali più adatte a rispondere alle richieste poste dalle clausole di Community Benefit presenti nel contratto.
L’esistenza dei SENs e il ruolo centrale di Senscot nello stringere relazioni con ogni suo singolo componente è stata la base che ha permesso a ReadyforBusiness.org di funzionare efficacemente. Senza un livello pre-esistente di capitale sociale, sarebbe stato impossibile identificare le imprese sociali in primis e, di riflesso, lavorare con loro per sviluppare ReadyforBusiness.org fino a farlo diventare il registro ufficiale contenente il maggior dettaglio sulle imprese sociali disponibili a partecipare alle gare di appalto. Il Governo Scozzese, che aveva finanziato ReadyforBusiness.org come progetto pilota a sostegno di un singolo bando, fu così motivato ad aprire il settore degli appalti pubblici ulteriormente. Il bando di sviluppo fu vinto dal nuovo consorzio di imprese sociali ReadyforBusiness LLP, formato da Senscot, Social Firms Scotland e Community Enterprise in Scotland.
Il modello di sviluppo presentato è stato costruito sviluppando il capitale relazionale sulla base di cultura, norme e valori condivisi, che hanno dato poi origine ai SENs. Il percorso ha consentito a questi network di diventare una rete auto-organizzata e interconnessa di relazioni reali piuttosto che un elenco di nomi contenuti in un database. Questo risultato fa oggi sperare di potere contare su uno sviluppo ulteriore, in termini di possibilità commerciali e di crescita economica per le imprese sociali che ne fanno parte. Oggi ci sono 21 SENs (16 territoriali e cinque tematici: Salute, Cultura e Creatività, Alimentazione Comunitaria, Sport e Start-up). Essi impiegano sei lavoratori a tempo pieno per lo sviluppo delle reti e quattro ulteriori figure impiegate direttamente per facilitare il lavoro dei SENs. Un numero crescente di SENs è partner alla pari in altri enti che si occupano di costruire dotazioni infrastrutturali strategiche per il terzo settore (Third Sector Interface) e il loro slancio cresce di anno in anno.
Complessivamente i SENs generano redditi per le loro rispettive communities of practice dell’ordine di milioni di sterline l’anno e hanno un ruolo attivo nella definizione delle politiche settoriali. Sull’impatto dei SENs, citiamo un recente studio compiuto dal SEN territoriale di Glasgow (“Social Enterprise in Glasgow. Scale as well as Substance”, Social Value Lab, 2013) secondo il quale le 509 imprese sociali presenti hanno un profitto annuale congiunto di 767 milioni di sterline. Inoltre, da una nuova ricerca condotta dal SEN territoriale di Edimburgo su oltre centoventi imprese sociali, risulta come queste contribuiscano all’economia locale per più di 44 milioni di sterline all’anno (“Social Enterprise in Edinburg: People, Profit and Place”).
Di seguito si descrivono brevemente i cinque SENs piu’ importanti, territoriali e tematici.
Network di Imprese Sociali di Dundee (Dundee Social Enterpise Network, DSEN). Il DSEN esordì come un gruppo informale di imprenditori sociali sostenuto da Senscot. Nel 2010 il network diventò un’impresa di comunità e al momento sta facendo domanda per acquisire lo status di charity. Il DSEN ha 26 membri, 4 nuove candidature in corso e circa 20 potenziali imprese sociali o aspiranti tali ad esso collegate. Tutti i membri del DSEN soddisfano i criteri che qualificano l’impresa sociale e il Voluntary Code of Practice. DSEN è partner del Dundee Third Sector Interface, accanto a rappresentanti del volontariato e riceve finanziamenti per offrire supporto alle imprese sociali della città. Il Comune di Dundee ha stabilito una stretta relazione professionale con il DSEN e il network è stato un partner naturale per lo sviluppo del modello dell’impresa sociale nella città. Questo modello prevede una nuova strategia per il sostegno ed il trasferimento di assets alle imprese sociali.
Network di Imprese Sociali di Edimburgo (Edinburgh Social Enterprise Network, ESEN). Sostenuto da Senscot, ESEN è nato da un piccolo gruppo di imprenditori sociali con l’intenzione di riunirsi per offrire supporto reciproco tra pari. Si è poi sviluppato in un ente che mira a diventare una voce collettiva per l’impresa sociale nella realtà cittadina. Nel corso degli anni gli imprenditori sociali hanno tracciato il profilo del SEN e, nel momento in cui la Third Sector Interface è apparsa, ESEN era diventato ormai un’organizzazione riconosciuta e un partner naturale per questa infrastruttura. Nel 2012 ESEN offriva supporto a 53 organizzazioni. ESEN è attualmente il più ampio SEN della Scozia con più di 70 imprese partecipanti e 50 imprese sociali non partecipanti che però ricevono supporto. ESEN è partner alla pari della Thrid Sector Interface di Edimburgo ed è destinatario di finanziamenti a sostegno delle imprese sociali della città. ESEN impiega un coordinatore di rete a tempo pieno per fornire supporto amministrativo e presenziare alle riunioni a nome dei partecipanti. Molto del sostegno che ricevono le imprese è peer-to-peer ed è offerto dai partecipanti che si incontrano anche al di fuori degli eventi del Network.
SEN Sport, Senscot. SEN Sport venne istituito nel 2008 ed è stato sostenuto direttamente da una persona dedicata all’interno di Senscot. Comprende 62 partecipanti e oltre 20 organizzazioni che aspirano ad adottare il modello di impresa sociale. Con una partecipazione diffusa in tutta la Scozia, i membri del network si incontrano due volte all’anno su base territoriale con riunioni organizzate nelle aree della Scozia del Nord, dell’Ovest e nell’Est, nonché durante una conferenza nazionale annuale. I membri di SEN Sport sono incentivati a collaborare sia con i SEN territoriali se disponibili, sia con la locale Third Sector Interface.
SEN Salute, Senscot. Il SEN Salute conta attualmente 50 imprese partecipanti. Il SEN Salute mira a fornire contatti e sostegno tra pari, ma anche a tenere gli associati aggiornati sulla legislazione, sulle politiche, sui finanziamenti e le potenziali partnership. Il coordinatore del SEN Salute è allo stesso tempo anche il coordinatore del SEN per l’Alimentazione di Comunità.
SEN Cultura e Creatività, Senscot. Il SEN Cultura e Creatività (CCSEN) è stato il primo SEN tematico, ora conta 60 partecipanti in tutta la Scozia. La tavola rotonda del SEN Cultura e Creatività comprende rappresentanti di Creative Scotland, del Cultural Enterprise Office, di Highlands and Islands Enterprise, del Governo Scozzese, di Museums Galleries Scotland, di VOCAL e del SEN Cultura e Creatività stesso. Nel 2012 la tavola rotonda del CCSEN ha presentato un documento ufficiale che delinea la aree in cui i partecipanti al network avrebbero potuto contribuire a sostegno del settore. A partire da questo documento la tavola rotonda ha sviluppato un piano di lavoro per il 2013/14. Il network è ancora in fase di crescita, si avvale di un nucleo centrale di partecipanti attivi che mirano a sviluppare ulteriormente il CCSEN anche attraverso l’apertura a nuovi associati.
Ci chiediamo: perché atteggiamenti cooperativi come quelli sviluppatisi tra le imprese sociali scozzesi sono auspicabili? Come possono atteggiamenti simili generare risultati che vadano a beneficio della collettività? Dewey (Dewey, 1917; Dewey, 1927) individua le ragioni per cui è importante cooperare.
A fronte dei vantaggi sopra citati, come rendere più agevole il percorso che porta alla diffusione di questa tipologia di organizzazioni? Abbiamo detto che rintracciare e riscoprire la natura plurale dei bisogni richiede una predisposizione alla cooperazione da parte degli attori (o di alcuni attori) all’interno di ogni comunità (ad esempio imprenditori e operatori sociali). Questa da sola tuttavia non è sufficiente. Per facilitare questa forma di attività è necessaria la presenza a livello contestuale di politiche di supporto (Sacchetti, 2013). Nello specifico, il ruolo delle istituzioni è stato di facilitazione, poiché hanno garantito un riconoscimento legale alle imprese sociali, come dimostra la legge inglese in materia. Allo stesso modo, codici di etica professionale volontari sviluppatisi all’interno dei SENs hanno perfezionato le norme comportamentali e gli obiettivi caratterizzanti l’impresa sociale, esplicitandone l’identità. Questo elemento è rilevante soprattutto per evitare che le imprese sociali siano sopraffatte dalle prassi e dagli obiettivi delle imprese tradizionali. La costruzione di un’identità consolidata pone infatti le imprese sociali nella posizione di cooperare con altri attori (privati o pubblici) senza perdere la propria identità, anzi facendo di questa l’elemento distintivo con il quale l’impresa sociale contribuisce all’azione comune all’interno di network misti. Una più ampia definizione di beneficio comune, infatti, includerebbe non soltanto gli utenti dell’impresa sociale, o coloro che vi lavorano (ossia i volontari e lavoratori) ma anche la rete estesa di attori collegati ad essa, incluse le aziende for profit e altri stakeholder. Ad esempio, le imprese sociali impegnate nell’asstenza sociale ai giovani hanno un impatto sulle associazioni dei genitori, sui centri per l’impiego, sui datori di lavoro, sulle amministrazioni pubbliche e sulla scuola (Valentinov, 2013; Sacchetti, Tortia, 2012). Questi stakeholder lavorano all’interno e in collaborazione con l’impresa sociale, e pertanto investono attivamente nella creazione di capitale sociale, in quanto risorsa comune della quale la comunità intera può beneficiare.
Grazie a politiche dedicate hanno potuto svilupparsi anche network ibridi, ad sempio con l’introduzione di una Community Benefit Clause (CBC) nel settore degli appalti pubblici. Nello specifico, le clausole di community benefit sono state concepite dal Governo Scozzese con l’obiettivo di creare un percorso di “appalto sostenibile” ossia “un processo tramite il quale le amministrazioni soddisfino le proprie esigenze di beni, servizi e opere pubbliche attraverso modalità che generino un valore adeguato alla cifra investita e che nel contempo realizzino benefici per la società e l’economia minimizzando i danni inferti all’ambiente” (Sustainable Procurement Task Force, 2006; Scottish Government, 2008). I molteplici obiettivi (economici, sociali, ambientali) identificati da policy maker hanno dato alle aziende tradizionali un forte incentivo a ricercare partnership con le imprese sociali, le quali risultano meglio posizionate rispetto alle imprese convenzionali sullo sviluppo di percorsi sociali o di salvaguardia ambientale. Si innescano così dinamiche di apprendimento reciproco per le quali attori eterogenei vengono a contatto con valori, obiettivi e prassi di impresa diversi. Ne scaturisce un percorso in cui si lavora insieme alla ricerca delle reciproche complementarietà, si superano i pregiudizi e si crea fiducia.
Anche i SENs, dando supporto alle imprese sociali e facendo da ponte con le amministrazioni appaltatrici, hanno rivestito un ruolo importante favorendo l’accesso a opportunità di cooperazione tra settori e la creazione di capitale sociale tra il settore pubblico, il settore convenzionale for profit e l’impresa sociale. La cooperazione e l’apprendimento tra settori e attori al di fuori dell’impresa sociale può contribuire ad accrescere il welfare di comunità in questo senso.
L’impresa sociale possiede caratteristiche che possono contribuire alla formazione di capitale sociale e al benessere della comunità. In particolare attraverso il networking è possibile generare cooperazione tra attori privati che condividono finalità sociali, aumentandone le prospettive di sviluppo. In questo paper abbiamo evidenziato che tenere in considerazione le connessioni tra impresa sociale e welfare di comunità significa entrare in contatto con un percorso aperto, che contempli una pluralità di legami e di obiettivi di sviluppo in risposta alla crescente complessità dei bisogni sociali, al di là di metodi di impresa tradizionali e di aspettative abituali. Nel caso della Scozia, le implicazioni derivanti dalla creazione di reti di relazioni sono economiche (ossia permettono a un flusso di risorse e di informazioni di circolare tra imprese, settori e comunità locali, nonché di creare nuovo valore) ma anche sociali. Si tratta, in altre parole, di costruire fiducia, comportamenti cooperativi, metodologie e risultati innovativi in quei settori di servizi che rispondono ai bisogni delle comunità. Nell’insieme l’impresa sociale è un forte promotore del capitale sociale, in virtù dei suoi valori e dei suoi obiettivi. Sebbene ciò avvenga in prima battuta attraverso il networking tra organizzazioni simili, l’esperienza della Scozia insegna che a contribuire alla creazione di capitale sociale è di fatto una molteplicità di attori anche al di fuori del terzo settore, tra i quali i policy maker (attraverso lo strumento deliberativo delle tavole rotonde e le nuove regole di appalto) e le imprese tradizionali (attraverso i contratti richiesti dagli appalti pubblici).
Inoltre, la struttura di valori condivisa da un lato e il ruolo del coordinatore delle iniziative di networking dall’altro, hanno giocato un ruolo fondamentale per la durata e la sostenibilità economica dei SENs e, di conseguenza, anche per la capacità delle imprese sociali di beneficiare delle opportunità economiche offerte da un contesto di policy in continua evoluzione. Prima della comparsa di Senscot nel 1999 non c’era supporto specialistico per l’imprenditoria sociale. Ciò implicava scarsi finanziamenti e accesso limitato alle agenzie di sostegno. Inserendosi inizialmente nel processo di bonding (favorendo cioè i legami tra individui con la stessa base di valori), Senscot è stata in grado di favorire un intervento leggero e poco costoso, mettendo gli imprenditori sociali in grado di trarre beneficio da incontri organizzati a cadenza regolare e miranti a condividere conoscenze e prassi di lavoro.
La collaborazione e la cooperazione all’interno di communities of practice basate su conoscenze e valori condivisi ha condotto a un impatto graduale. I SENs (come network autogestiti di imprese sociali) hanno dato una voce collettiva agli imprenditori sociali e hanno permesso loro di diventare visibili combinando conoscenze e impatto economico. Questo ne ha accresciuto le capacità, ha fornito alle imprese credibilità e nuove opportunità economiche che hanno motivato i partecipanti a proseguire la collaborazione. Catene di produzione brevi dal lato dell’offerta (i SENs) permettono l’accesso a nuove opportunità (bridging social capital), qualora i decisori ne siano consapevoli. Per amplificare l’impatto dei SENs, Senscot incoraggia eventi nazionali che riuniscono tutti i network. Questa attività di linking pone enfasi sull’impatto economico dei SENs e favorisce le opportunità di collaborazione con i policy maker. Facilitare l’accesso a queste catene produttive brevi usando le piattaforme ICT (siti internet, database ecc.) ne aumenta ulteriormente l’impatto, consentendo l’accesso a nuovi mercati e a maggiori opportunità.
Infine, la nascita dei SENs ha generato un senso di autodeterminazione e orgoglio tra gli imprenditori sociali. La suddivisione in SENs locali e tematici ha permesso la partecipazione a pieno titolo delle imprese sociali a processi di definizione di policy a livello locale e nazionale. Questo, a sua volta, influenzerà i futuri investimenti pubblici nel terzo settore e, di conseguenza, il futuro a lungo termine delle imprese sociali stesse.
L’esperienza della creazione dei SENs scozzesi indica come comportamenti cooperativi, attraverso varie forme di capitale sociale, possano essere incoraggiati riconoscendo alle imprese sociali un ruolo definito, distinto, ma complementare a quello di altri settori economici. Dotandosi di specifiche norme di comportamento, le reti di imprese sociali hanno sostenuto la creazione di una identità comune. Le collaborazioni tra i settori, sia con il settore privato for profit (attraverso la Community Benefit Clause) sia con il settore pubblico (attraverso le tavole rotonde dei SENs tematici e il loro ruolo nel definire misure di policy) hanno dimostrato la possibilità concreta di portare benefici per le imprese sociali e per le comunità che esse servono, a patto che l’identità dell’impresa sociale sia rispettata e salvaguardata.
I nostri ringraziamenti vanno alla redazione della rivista Impresa Sociale; ad Asimina Christoforou e John B. Davis, curatori del volume sul quale questo studio è stato pubblicato nella versione originale inglese; a Senscot e ai partecipanti ai SENs e alle tavole rotonde; a Ermanno Tortia e Lorenzo Sacconi per le discussioni sull’argomento; ai nostri studenti magistrali del corso in Sviluppo Socio-Economico dell’Università di Stirling per il loro interesse attivo e la loro partecipazione al percorso di ricerca sul capitale sociale; a Vittoria Fontanesi per il supporto nella traduzione. La responsabilità di eventuali errori è nostra.
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