Sostienici! Rivista-Impresa-Sociale-Logo-Mini
Fondata da CGM / Edita e realizzata da Iris Network
ISSN 2282-1694
Tempo di lettura:  6 minuti
Argomento:  Attualità
data:  02 maggio 2020

Una semplice proposta: stop al mercato, riorganizzarsi su principi collaborativi

Gianfranco Marocchi

Avvertiamo i limiti del mercato, ma, come nel 2008, fatichiamo a intravedere scenari alternativi, che oggi la crisi rende necessari. Di qui una proposta concreta: uno stop al mercato nel welfare e una transizione verso modelli di tipo collaborativo.


Tante differenze, e una costante. Il mercato

Se per tanti aspetti tendiamo a leggere l’emergenza Covid in termini di assoluta discontinuità con gli eventi precedenti, compresa la crisi del 2008, un aspetto di continuità andrebbe invece ricordato: l’insufficienza dei meccanismi di mercato, soprattutto quando il benessere collettivo richiede la capacità di affrontare situazioni complesse.

Bene scriveva Scalvini nell’editoriale di Impresa Sociale 1/2020: il mercato si è dimostrato, in queste situazioni, essere “una specie di pilota automatico a cui però, malgrado la presunta razionalità, manca la struttura mentale e soprattutto etica del comandante della nave. Infatti, tende a fuggire dalla nave non appena la situazione inizia a divenire critica, anziché resistere a garantirne la rotta.” E di ciò, tanto nella crisi precedente, quanto in quella attuale sembra esservi una diffusa consapevolezza.

Dopo l’avvio della crisi del 2008, si era consapevoli dell’irragionevolezza di un sistema finanziario che a furia di compravendere crediti basati sulla compravendita di altri crediti scaraventò il mondo in una crisi da cui si uscì, parzialmente e solo a costi altissimi, molti anni più tardi; e non a caso talune forme di legittimazione a livello europeo dell’economia sociale, come la Social Business Initiative (2001), risalgono a quegli anni: si avvertiva l’urgenza di sviluppare l’economia in direzioni diverse, più orientate a rispondere all’interesse generale; e anche l’imporsi, a livello europeo, del tema dell’innovazione sociale a partire dal 2009 – pur tenendo a mente la necessità di tenere questo concetto distinto da quello di impresa sociale, come ricordava Borzaga nell’editoriale di Impresa Sociale 1/2013 – testimoniava la ricerca affannosa di strade alternative a quelle mainstraming per lo sviluppo economico.

Anche oggi reagiamo all’emergenza Covid scoprendo, sotto varie forme, l’urgenza del “non mercato”: nella narrazione della crisi, con i suoi eroi e suoi martiri, che vede la sanità pubblica come baluardo di salvezza (e la sanità meno pubblica d’Italia, quella lombarda, come modello da guardare con sospetto), nella consapevolezza dell’iniquità di sottoporre al mercato un vaccino o una cura, che istintivamente percepiamo come bene da rendere disponibile secondo criteri di equità e non secondo il potere d’acquisto (in questo spirito si muove il “Patto europeo per il vaccino”); nel sentire giusto e naturale che la ricerca di soluzioni sia trattata alla stregua di un common come nel progetto del CERN e non come una conoscenza proprietaria; nel ritenere intollerabile che il prezzo dei dispositivi di protezione sia governato dalla legge della domanda e dell’offerta; e, forse, ancor prima, nell’avvertire la necessità, forse ancora un po’ vaga e confusa, che il mondo che verrà sia costruito su basi diverse. Quanto il “non mercato” assuma venatura stataliste o, come auspicato da questa rivista, forme cooperative e comunitarie è un discorso più volte fatto su queste pagine, che in questa sede però tralasciamo.

Il paradosso di Snake

Il concetto qui è un altro: per quanto ragionamenti, buon senso, studiosi, simpatie popolari portino a ritenere naturale restringere e collocare appropriatamente la sfera del mercato – non certo sopprimerla, semplicemente limitare la sua tendenza onnivora – in un modo o nell’altro, magari con qualche cambio di facciata, il mercato risorge più forte di prima. Anzi, come il preistorico videogioco Snake / Nibbles, ingurgita tutto, anche i suoi oppositori e si allunga sempre più, fino appunto, come l’antico serpente di bit, a entrare in conflitto con se stesso scontrandosi con la propria coda o cozzando contro il primo ostacolo.

Così è successo dopo la crisi del 2008. Si può discutere in che misura il mercato abbia assorbito elementi di socialità tipici dell’impresa sociale e in che misura, al contrario, abbia attirato, almeno culturalmente, quest’ultima nella propria orbita con le migliori lusinghe, sino a confinare la consapevolezza del valore positivo della biodiversità imprenditoriale in piccole enclaves; ma quel che è certo che, come scrive Salvatori in Impresa Sociale 1/2020, le forze di mercato hanno portato ad una progressiva depoliticizzazione della società, all’aumento delle disuguaglianze, a successive privatizzazioni di servizi pubblici: insomma, ad un mondo sempre più a misura di mercato; con buona pace dei discorsi diffusi all’alba della precedente crisi sulla necessità di cambiamenti radicali del sistema economico.

E ora? Cosa accadrà? Anche in questo caso auspicheremo un mondo più giusto, ci esalteremo per gli ippocampi ricomparsi tra i canali di Venezia, ci diremo che “nulla sarà come prima”, che non dovrà essere come prima, che vogliamo vivere in una società che riscopre l’essenzialità, rispetta l’ambiente, investe sulla salute e poi riterremo che il mercato, competizione e concorrenza – gli ingredienti che, assolutizzati, hanno creato la situazione da cui si vorrebbe distanziarsi – siano gli unici modi per realizzarlo?

Ma tu ce l’hai con il mercato?

Non ci sarebbe da stupirsi se vi fosse chi a questo discorso reagisce chiedendo “Ma tu ce l’hai con il mercato?”, per poi elencare tutti i benefici che esso porta: beni e servizi in quantità, innovazione, dinamicità. Non che queste e altre virtù non possano essere sottoposte a critica, ma il discorso ci porterebbe lontano.

Qui il punto è un altro. Il male non è il mercato, è averlo assolutizzato come strumento universalmente valido, avergli conferito a priori e ovunque un primato sia etico che funzionale. Il mercato è sempre l’opzione più giusta e quella che funziona meglio e per migliorare l’efficienza del sistema dobbiamo contagiare con meccanismi di mercato ogni ambito e ogni istituzione; con la conseguenza, tra l’altro, che le imprese sociali sono ritenute innovative nella misura in cui accettano di finanziarizzarsi e gli enti pubblici sono considerati efficienti nella misura in cui si aziendalizzano.

Carlo Borzaga ha ben argomentato come, da un punto di vista economico, la competizione in taluni ambiti e circostanze non rappresenti l’opzione preferibile (“Sia la teoria che l’esperienza hanno dimostrato che adottare nell’affidamento di servizi caratterizzati al contempo da asimmetria informativa e alta intensità di lavoro procedure competitive basate del tutto o anche solo in parte su valutazioni di carattere economico, comporta in genere l’abbassamento della qualità di servizi, l’aumento dei carichi di lavoro e spesso la riduzione dei livelli salariali”).

La questione non è quindi se il mercato sia “bene” o “male”, ma quando rappresenti l’opzione preferibile. La religione del mercato questa distinzione non la vede; predica la maggiore estensione possibile del mercato, in qualsiasi ambito. Uno sguardo più equilibrato e laico riesce invece a bilanciare costi e benefici e a distinguere casi in cui affidarsi alla capacità del mercato di selezionare il prodotto migliore e i casi in cui far valere altri meccanismi.

Uno sguardo all’oggi e una semplice proposta

Provando a semplificare la convinzione che si vuole esprimere: ci sono buone ragioni per sostenere che nel welfare e probabilmente nella gran parte delle attività di interesse generale e con riferimento a quella parte di domanda proveniente dalla pubblica amministrazione (in specifico enti locali e aziende sanitarie), meno mercato c’è, meglio è. Si tratta di una quota di domanda pari, con riferimento alla cooperazione sociale, a circa due terzi del totale nei servizi di welfare e ad una metà scarsa nelle attività di inserimento lavorativo di persone svantaggiate.

In generale, le relazioni tra Enti pubblici e Terzo settore andrebbero radicalmente ripensate. Se ne parlava nell’editoriale del numero 13/2019 di Impresa Sociale, documentando come si stiano diffondendo rapporti fondati su principi collaborativi e, come strumenti giuridici, sulla coprogrammazione e sulla coprogettazione. Se questo era vero già prima, la fase di emergenza che stiamo affrontando e quella di rilancio che dovrà seguire, rendono la transizione verso il nuovo modello ulteriormente urgente.

La gran parte degli strumenti per farlo già esistono: si tratta, in primo luogo, per tutti i nuovi interventi, di ricorrere in modo diffuso alla coprogettazione prevista all’art. 55 del Codice del Terzo settore; laddove i nuovi interventi abbiano invece marcate caratteristiche prestazionali, è possibile ricorrere a procedure riservate ai sensi degli articoli 112 (inserimento lavorativo) e 143 (welfare) del Codice degli appalti.

Vi sono poi misure straordinarie, legate alla particolare fase che stiamo vivendo, come quelle invocate dai firmatari dell’appello “Ricostruiamo il Paese”: la proroga dei contratti, delle convenzioni e degli accreditamenti in essere nell’ambito del welfare, dell’inserimento lavorativo e ragionevolmente della maggior parte degli ambiti di attività di interesse generale, con riprogettazione in modalità partecipata insieme al gestore per adattare i servizi al nuovo contesto; o, in subordine, laddove vi fossero motivi specifici per non ricorrere alla proroga, la sospensione del principio di rotazione che costituisce di per sé uno degli aspetti più irragionevoli del Codice degli Appalti.

Insomma, nell’ambito di una più ampia transizione verso forme collaborative, si sostiene la necessità di considerare in questa fase la competizione per interventi finanziati da pubbliche amministrazioni come un’opzione residuale e quindi da evitare o comunque da limitare al minimo.

Vantaggi e svantaggi

Perché si sostiene questa proposta? Esaminiamo vantaggi e svantaggi delle diverse opzioni, in particolare per quanto riguarda le misure che nuove e straordinarie proposte con riferimento a questa fase (la proroga dei contratti esistenti), essendo le altre (in particolare la coprogettazione) già vigenti e al limite da rafforzare. Ciò viene fatto dal punto di vista dell’interesse generale, ritenendo che possano invece esservi ottimi motivi, quantomeno in questa fase, per tralasciare il punto di vista delle possibili aspettative di soggetti economici interessati ad aggredire il mercato della domanda pubblica.

Vantaggi di una competizione di mercato nelle commesse pubbliche (quella che sarebbe limitata dalla proposta di proroga dei contratti in essere): possibilità di selezionare un fornitore migliore di quello attuale, di realizzare alcuni risparmi (pochi, almeno quelli legittimi, essendo i costi incomprimibili), di stimolare qualche soluzione innovativa (poche, visto che si invitano i partecipanti a rispondere ad un capitolato predefinito e visto che non è detto che il procedimento di valutazione sia in grado di cogliere e valorizzare gli atteggiamenti innovativi). Vantaggi minimi, insomma. In ogni caso, anche nella fase di rilancio post Covid, il ricorso a coprogettazioni sui nuovi interventi rende in ogni caso il panorama più vario, senza contare che la parte di domanda privata, le risorse derivanti da enti filantropici o da progettazioni comunitarie segue comunque strade diverse assicurando la dinamicità del sistema.

In compenso sono molti gli svantaggi della competizione di mercato, soprattutto nell’attuale frangente.

Il primo è che enti duramente provati faranno di tutto per non perdere quote di mercato, ribasseranno le offerte economiche, prometteranno cose impossibili, perché chi perde muore. Dal punto di vista degli amanti del mercato questo potrebbe essere un vantaggio per il soggetto pubblico che acquista; per chi conosce il welfare ciò significa invece una sola cosa: deperimento della qualità dei servizi a danno dei cittadini, sfruttamento dei lavoratori, frequenti fallimenti di chi è stato espulso dal mercato perché più coscienzioso degli altri (la moneta buona scacciata dalla cattiva) o per chi ha azzardato troppo pur di rimanerci.

Il secondo è la rigidità dei contratti. Lo schema [lettura dei bisogni – capitolato – valutazione offerte – contratto] funziona in una situazione di bisogni sufficientemente stabili, mentre al contrario ci aspetta un periodo in cui dovremo agire con flessibilità senza precedenti, adattando gli assetti di servizio di volta in volta e modellandoli anche sulla base delle buone prassi realizzate in altri contesti, cosa ottenibile solo o in uno scenario gerarchico (servizi ri-pubblicizzati e organizzazione via via adattata per via d’autorità) o collaborativo; in uno contrattuale e di mercato no. Uno scenario collaborativo permette inoltre di mobilitare risorse aggiuntive grazie alla corresponsabilizzazione dei partecipanti.

Il terzo è una quota di risorse importante da dedicare alla gestione di una competizione; sia ordinariamente, con il carico di lavoro che deriva agli enti dalla gestione delle gare mentre avrebbero in questa fase ben altro cui dedicarsi, sia in considerazione del fatto che, per i motivi sopra esposti, la competizione sarà particolarmente litigiosa. Soldi ed energie confluiranno in notevole quantità agli studi legali (per incarico di enti pubblici o di Terzo settore) anziché ai cittadini che dovrebbero beneficiarne.

Il quarto è che oggi un eventuale ricorso al mercato restituirebbe risultati spuri, influenzati da variabili estemporanee quale il diverso grado di affaticamento delle organizzazioni per effetto della crisi, come anche ANAC di fatto riconosce.

Conclusioni

In conclusione, l’accantonamento delle logiche e degli strumenti di mercato nell’ambito del welfare, dell’inserimento lavorativo e presumibilmente di una buona parte dei servizi di interesse generale e il contestuale ripensamento complessivo delle modalità di relazione con tra Enti pubblici e Terzo settore sembra rispondere in modo significativo a prevalenti esigenze di interesse pubblico; costituisce una base di stabilità per evitare di far franare infrastrutture sociali preziose per questo paese quanto i viadotti autostradali; non annulla la presenza di dinamiche diverse nella parte restante di domanda. È, infine, un intervento regolativo dall’impatto fortissimo con costi economici nulli, particolarmente prezioso in un contesto in cui i provvedimenti assunti per mitigare le conseguenze economiche della crisi determinano una spesa pubblica esorbitante. Perché non adottarlo? Non certo per omaggio a imposizioni comunitarie, che a questo punto paiono essere archiviate su temi ben più impegnativi rispetto a ambiti di attività in cui l’Unione stessa ha sempre riconosciuto le buone ragioni di un’autonomia agli Stati membri. L’unica risposta ragionevole sarebbe la religione del mercato, cui si tende ad essere devoti anche contro ogni evidenza: per cui si afferma che “tutto va cambiato”, ma ci si scandalizza non appena viene scalfito il meccanismo che pure pare corresponsabile delle più recenti crisi mondiali. Ma si tratterebbe, appunto, di una risposta manifestamente ideologica e contraria all’interesse generale.

Rivista-impresa-sociale-Gianfranco Marocchi Impresa Sociale

Gianfranco Marocchi

Impresa Sociale

Nel gruppo di direzione di Impresa sociale, è anche vicedirettore di Welforum.it. Cooperatore sociale e ricercatore, si occupa di welfare, impresa sociale, collaborazione tra enti pubblici e Terzo settore.

Sostieni Impresa Sociale

Impresa Sociale è una risorsa totalmente gratuita a disposizione di studiosi e imprenditori sociali. Tutti gli articoli sono pubblicati con licenza Creative Commons e sono quindi liberamente riproducibili e riutilizzabili. Impresa Sociale vive grazie all’impegno degli autori e di chi a vario titolo collabora con la rivista e sostiene i costi di redazione grazie ai contributi che riesce a raccogliere.

Se credi in questo progetto, se leggere i contenuti di questo sito ti è stato utile per il tuo lavoro o per la tua formazione, puoi contribuire all’esistenza di Impresa Sociale con una donazione.