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ISSN 2282-1694
impresa-sociale-5-2015-energia-come-community-asset-e-orizzonte-di-sviluppo-per-le-imprese-di-comunita

Numero 5 / 2015

Casi studio

Energia come community asset e orizzonte di sviluppo per le imprese di comunità

Luca Tricarico

Abstract

Le nuove tecnologie per la produzione distribuita di energia stanno raggiungendo un livello di maturità che lascia presagire un ampio sviluppo di iniziative dal basso nella costituzione di “sistemi energetici locali”, formule che giocano un ruolo cruciale nella ridiscussione dell’intero sistema infrastrutturale e del mercato dell’energia. Se questo tema è ampiamente trattato dal punto di vista tecnologico ed ingegneristico, il dibattito sulle caratteristiche delle organizzazioni che dovranno guidare le iniziative locali è appena iniziato. Obiettivo del paper è fornire un quadro dello stato attuale della diffusione dei sistemi energetici locali, degli approcci sperimentati e riflettere su quale possa essere il ruolo delle imprese di comunità. Il punto chiave è rappresentato dagli aspetti normativi e regolatori relativi al “grande” mercato energetico, un ecosistema normativo basato su operatori, produzioni e reti centralizzate che poco si presta alle particolari esigenze delle iniziative locali. L’analisi intende aprire un nuovo orizzonte di sviluppo delle Imprese di Comunità Energetiche, ponendo una riflessione sul loro ruolo nel dibattito generale e sullo sviluppo di città e territori policentrici.


New technologies for the production and distribution of energy are reaching a maturity level the lets us hope for a widespread development of bottom-up initiatives in the constitution of “local energy systems”, which play a crucial role in rediscussing the entire infrastructure and the energy market. On the one hand this topic is widely debated from a technological and engineering point of view, on the other hand the discussion on the features of the organizations that will lead local initiatives has just began. The main objective of this paper is to provide a general overview on the current state of local engineering systems diffusion, of the approaches already experimented and focus on the role of community enterprises. The key point is represented by the normative and regulatory aspects concerning the “main” energy market, a normative ecosystem based on operators, productions and centralized networks which is not particularly in line with the peculiar needs of local initiatives. This analysis aims at opening a new development perspective on Energy Community Enterprises, suggesting a consideration on their role in the general debate and in the development of cities and polycentric territories.

Introduzione

Le tecnologie disponibili per la creazione di sistemi energetici locali (dispositivi locali di approvvigionamento energetico, smart grid, micro grid etc.) stanno raggiungendo un livello di maturità tale da ipotizzarne una diffusione su larga scala (Energy & Strategy Group, 2014). Questi nuovi sistemi energetici locali ad alto capitale tecnologico possono produrre vantaggi integrati come l’efficienza, la riduzione dei costi (di produzione e consumo), il miglioramento della qualità dell’approvvigionamento, la maggior diffusione di produzioni rinnovabili, lo sviluppo di nuove filiere di produzione, la creazione di occupazione e l’attivazione di iniziative locali per l’empowerment economico e sociale delle comunità.

Ad esclusione di contributi puntuali su forme organizzative tradizionali come le cooperative di utenza (Spinicci, 2011), la discussione sui sistemi energetici locali è principalmente trattata in termini tecnologici ed ingegneristici. Risulta quindi necessario ampliare il dibattito collegando la “produzione distribuita” alle teorie e alle pratiche di imprese di comunità, ossia alle organizzazioni che promuovono formule innovative di sviluppo, auto-regolamentazione e gestione di spazi e servizi per le comunità locali (Tricarico, 2014; Cottino, Zandonai, 2014; Bailey, 2012; Brunetta, Moroni, 2011). Obiettivo di questo paper sarà anche inquadrare quali possano essere le criticità che le imprese di comunità energetiche dovranno affrontare per inserirsi in un ipotetico scenario di riorganizzazione energetica globale.

Set tecnologici disponibili e sistemi energetici locali

Quando parliamo di sistemi energetici locali intendiamo la predisposizione di una serie di tecnologie utili a realizzare un sistema di produzione e distribuzione locale dell’energia, oltre ai sistemi in grado gestirne l’utilizzo. Tra questi sicuramente le smart grid rappresentano un esempio importante ed avanzato, senza dimenticare però le micro grid (on e off-grid) e altri sistemi sperimentali di on-site utility e/o di coalizione di utenze (Mendes et al., 2011; Chicco, Mancarella, 2009; Hiremath et al., 2007). Grazie all’implementazione di soluzioni tecnologiche per la produzione distribuita di energia e la gestione intelligente dei flussi energetici nella distribuzione, vi sono diverse possibilità di approvvigionamento energetico locale, utilizzabili per ottenere diversi benefici in termini di costi e qualità dell’energia.

Per quanto riguarda la produzione distribuita, le ricerche di settore mostrano come le fonti rinnovabili hanno raggiunto ad oggi un livello ottimale di funzionalità e maturità tecnologica (Energy & Strategy Group, 2014) con buone performance tecnico-economiche. In supporto alle produzioni rinnovabili, un set tecnologico chiave è sicuramente rappresentato dalle batterie e dai sistemi di stoccaggio di energia (storage elettrochimici e non). Questi rappresentano la vera svolta in termini di funzionamento off-grid, ossia nella possibilità dei sistemi di essere indipendenti dalla rete di trasmissione nazionale (e quindi dal mercato dei grandi operatori), diventando autonomi a tutti gli effetti. Un recente rapporto effettuato da UBS (UBS Global Research, 2014) (in collaborazione con società come Tesla e Umicore) sullo stato di fatto e le prospettive di sviluppo dell’innovazione tecnologica nel settore storage per edifici, mostra il dirompente potenziale di mercato nei prossimi 20 anni, con riduzioni dei costi di stoccaggio dell’energia fino al 50% per il 2020 (Tabella 1).

Tabella 1: Riduzione del costo dei sistemi storage al litio entro il 2020 | Costi stimati (E) per l’energia stoccata in batterie (€/kWh) (UBS Global Research, 2014). Fonte: Tesla, Umicore, UBS | Rielaborazione grafica dell’autore.

Altre tecnologie[1] sviluppate per supportare i sistemi locali sono:

  • i sistemi software di metering per le previsioni dei consumi e di monitoraggio delle produzioni rinnovabili e i sistemi hardware che possono impartire automaticamente le modalità di funzionamento in base alla misurazione dei parametri di consumo (Bearl et al., 2010);
  • le tecnologie di distribuzione dell’energia elettrica e termica (rete di teleriscaldamento), ossia le nuove infrastrutture locali per il trasporto di energia dai punti di produzione a quelli di consumo (o alla rete pubblica). Queste possono essere supportate da reti di comunicazione che abilitano lo scambio informativo tra i vari “nodi” di produzione e consumo, cablate (fibra ottica etc.) o wireless, per migliorare le performance dello smart-metering (Feng et al., 2013). 

Dal sistema centrale alle unità decentrate: aspetti infrastrutturali 

La grande rete energetica rappresenta da sempre l’infrastruttura essenziale per le attività umane ed il funzionamento delle società contemporanee. Grazie ad esse vengono forniti: energia ad abitazioni ed uffici; riscaldamento e raffreddamento quando le condizioni climatiche lo richiedono; connessione tra produttori e consumatori; trasporto di flussi energetici e calore tra Regioni e Stati diversi. Secondo un recente studio prodotto da McKinsey (Dobbs et al., 2013) il valore medio mondiale per nazione relativo allo stock infrastrutturale energetico (comprese strade e vie d’acqua) si attesta intorno al 70% del PIL. Il mantenimento di questa rete – secondo le stime prodotte dalla International Energy Agency (IEA International Energy Agency, 2012) – costa globalmente 1.6 bilioni di dollari e circa 1.5% del PIL mondiale per soddisfarne la domanda. Se consideriamo altri costi come le stime sulle esternalità negative delle emissioni prodotte dall’attuale sistema (ad esempio i cambiamenti climatici) e gli investimenti necessari per garantire l’allargamento dell’accesso all’energia, i costi dell’attuale sistema potrebbero aumentare considerevolmente (Goldthau, 2014). Un capitale enorme la cui produttività dipende dal mantenimento dell’attuale paradigma tecnologico, una configurazione così imponente in termini di asset fisici e finanziari che rallenta l’innovazione e la ricerca di nuove formule di organizzazione (ibid.).

Rispetto alle nuove possibilità di riconfigurazione, un recente contributo di Moroni (Moroni, 2015) è utile per inquadrare lo scenario: “Se pensiamo alle infrastrutture energetiche, comprendiamo naturalmente le infrastrutture fisiche necessarie alla produzione, trasformazione, trasmissione, distribuzione e accumulazione energetica. L’attuale configurazione nella produzione dell’energia elettrica è principalmente generata in grandi impianti di notevole potenza, collocati, solitamente, lontano dagli utenti finali che vengono raggiunti attraverso lunghe linee e diramazioni. Considerando l’asset di trasmissione e distribuzione dell’energia elettrica in Italia, ad esempio, l’attuale rete di trasmissione è composta da 63.500 km di linee (www.terna.it)”. Un possibile scenario alternativo nella diffusione dei sistemi energetici locali prevedrebbe invece “l’utilizzo di numerosi impianti di piccola potenza, posti vicino al punto di consumo dell’energia stessa. Questo potrebbe al momento avvenire combinando impianti basati ancora su combustibili fossili e altri che si affidano invece a fonti rinnovabili. Per il futuro potremmo spostare tutto in questa seconda direzione, in particolare fotovoltaico e solare termico, mini eolico e idroelettrico, geotermico” (ibid). Lo stesso scenario è stato ipotizzato dal ricercatore e parlamentare tedesco Hermann Scheer[2] nel famoso saggio Imperativo Energetico, come realizzare la completa riconversione del nostro sistema energetico (Scheer, 2010), dove sostiene che “l’uso estensivo di fonti rinnovabili può essere attuato solo attraverso molte iniziative indipendenti in molti luoghi diversi, ridiscutendo l’intero sistema infrastrutturale e redistribuendo le opportunità del mercato”.

L’ipotesi della diffusione di sistemi energetici locali deve quindi essere accompagnata da un’attenta riflessione su quali organizzazioni possano esserne responsabili. In questo scenario emergono nuove opportunità per organizzazioni collettive di produzione e gestione di servizi energetici; non tanto quelle composte da singole unità abitative, commerciali o industriali (come spesso si immagina, anche in termini di possibili innovazioni legislative), quanto piuttosto nuove forme di imprese di comunità, le Imprese di Comunità Energetiche (ICE), ossia aggregazioni di individui auto-organizzate e auto-regolate che, oltre agli ambiti di azioni di più tradizionale appannaggio delle imprese di comunità, potrebbero occuparsi di questioni energetiche. Si può inoltre ipotizzare la nascita di coalizioni tra più ICE, per potenziarne l’azione e la diffusione sui territori in concomitanza dello sviluppo di filiere di produzione.

Un sistema policentrico di generazione dell’energia di questo tipo può inoltre essere reso più efficace dalle smart grid e dalla disponibilità di tecnologie abilitanti, ossia nuovi tipi di “reti intelligenti interattive” a cui si possono agganciare le molteplici unità. Mentre le reti elettriche tradizionali distribuiscono a utenti passivi l’energia proveniente da un unico centro produttore, in questo caso avremo una molteplicità di prosumers (consumatori e produttori) che si connettono a reti in grado di gestire flussi plurimi di energia che possono indifferentemente andare in una direzione piuttosto che l’altra. Una rete di questo genere riesce a rispondere in maniera tempestiva alle richieste di minore o maggiore consumo dei vari utenti, garantendo una gestione ottimale e immediata dell’insieme. Come sostiene Moroni (Moroni, 2015) “non è necessario che la smart grid sia pubblica (Lowi, Crews, 2003); e non è nemmeno necessario che sia unica e universale. In questo scenario non solo non ci sono ragioni intrinseche per parlare di ‘monopolio naturale’ nella generazione dell’energia; non ce ne sono neppure nella distribuzione[3]”.

Policentrismo energetico: implicazioni prevedibili

Possiamo considerare due tipologie di implicazioni prodotte da un sistema policentrico e dalla diffusione dei sistemi energetici locali: implicazioni di tipo generale (sistemiche), rispetto alla produzione energetica, e implicazioni rispetto ai singoli utenti o a coalizioni di utenti[4]. Per quanto riguarda le implicazioni sistemiche vano tenuti in considerazione:

  • risparmio energetico e costi di produzione;
  • performance ambientali e riduzione delle emissioni inquinanti;
  • gestione delle infrastrutture, costi della rete nazionale e le esternalità negative. 

La diffusione dei sistemi energetici locali può dare luogo a due categorie di implicazioni verso i singoli e/o le coalizioni di utenti:

  • riduzione dei consumi e miglioramento della qualità ed affidabilità della fornitura energetica;
  • riduzione della vulnerabilità energetica di alcune fasce di popolazione. 

Il risparmio energetico complessivo e i costi di produzione

Realisticamente la produzione potrebbe risultare ad oggi più costosa, a causa principalmente della taglia ridotta degli impianti. Ciò però sarebbe controbilanciato dall’assenza di perdite connesse alla trasmissione dell’elettricità per lunghi tragitti (Energy & Strategy Group, 2014) (le perdite di energia associate alla trasmissione e distribuzione in Italia sono state nel 2007 pari al 6,2% dell’energia immessa in rete e il 6% nel 2008 - www.terna.it). 

Le performance ambientali e la riduzione delle emissioni inquinanti

L’aspetto più rilevante dei sistemi energetici locali è rappresentato dall’utilizzo di produzioni distribuite basate principalmente su fonti rinnovabili (Scheer, 2010). La dipendenza delle produzioni basate su combustibili fossili (sotto forma di carbone, gas naturale e petrolio) genera l’immissione in atmosfera di miliardi di tonnellate all’anno di anidride carbonica (34,5 nel 2012) (PBL Netherlands Environmental Assessment Agency, 2012). Attualmente i circa 14.000 miliardi di watt di energia consumati globalmente (nell’anno 2012), al 79 % vengono prodotti da combustibili fossili; nell’area OCSE (nel 2013) in percentuale dell’81% (IEA International Energy Agency, 2014). 

La gestione delle infrastrutture, i costi della rete nazionale e le esternalità negative

I sistemi distribuiti potrebbero impiegare in maniera più efficiente il calore di scarto che è possibile recuperare dalla trasformazione dell’energia, calore disperso nella grandi centrali in quanto è poco conveniente convogliarlo verso utilizzatori lontani (Butera, 2004). L’energia auto-consumata all’interno di sistemi locali comporterà un minore sfruttamento dei componenti della rete pubblica (linee e trasformatori) e una riduzione degli investimenti di rete (Energy & Strategy Group, 2014). Inoltre, gli impianti distribuiti sarebbero più facilmente localizzabili e molto meno impattanti sul territorio. Bisogna inoltre tenere conto di importanti esternalità negative derivanti dalla grande rete di trasmissione, come le radiazioni elettromagnetiche e i comprovati danni provocati alla salute umana (Draper et al., 2005). 

Riduzione dei consumi e miglioramento della qualità ed affidabilità della fornitura energetica

La generazione distribuita dell’energia consentirebbe la creazione di network non gerarchici e competitivi, con un aumento dell’autonomia e della possibilità di scelta in termini di soluzioni più adatte alle esigenze locali (Butera, 2004), generando la prevedibile riduzione dei costi per i consumatori finali. L’energia auto-consumata dai sistemi locali, inoltre, non dovrebbe essere più trasportata tramite la rete pubblica, comportando così una riduzione delle perdite del sistema complessivo. 

Riduzione vulnerabilità energetica di alcune fasce di popolazione

Osservando l’esempio italiano, negli ultimi 20 anni si è registrato un progressivo aumento dei costi energetici (NE Nomisma Energia, 2013). Questo fenomeno è da imputare da un lato alla forte dipendenza dalle importazioni di materie prime, dall’altro alla mancata liberalizzazione e riconfigurazione della rete nazionale di trasmissione (Bitetti, Rocca, 2014) e alla continua tassazione energetica come fonte per il reperimento di risorse pubbliche. Questo potrebbe comportare un inasprimento della energy poverty (Faiella, Lavecchia, 2014; Oldfield, 2011), ossia l’incapacità di acquistare un paniere minimo di beni e servizi energetici. È necessaria la ridiscussione dei monopoli pubblici sulle reti e configurazioni infrastrutturali attualmente impostate sul modello delle produzioni e distribuzioni centralizzate. Per contrastare il fenomeno, in paesi come il Regno Unito in cui il problema è analizzato da molti anni (Boardman, 1991) sono state attivate politiche per promuovere la nascita di Imprese di Comunità Energetiche (DECC Department of Energy & Climate Change, 2014), oltre a misure per favorire l’efficienza nelle aree in cui risiedono le famiglie maggiormente disagiate .

Altri aspetti per la diffusione dei local energy system: tra regole e mercato

Le ricerche effettuate sulle implicazioni dell’innovazione tecnologica nelle organizzazioni delle società mostrano come le tecnologie co-evolvono con le istituzioni, gli operatori sociali e le politiche, formando un sistema socio-tecnologico (Goldthau, 2014; Geels, 2002). Il sistema attuale ha sicuramente favorito i large technological systems, impostando un quadro normativo che ha indotto la conseguente organizzazione socio-economica basata su grandi energy providers e una conseguente organizzazione territoriale della rete (ibid.). La profonda integrazione di questo paradigma tecnologico nei sistemi normativi tende a bloccare la possibilità di cambiamenti radicali verso formule decentrate. A questo è corrisposta la creazione di barriere monopolistiche e forti interessi economici legati al mantenimento dell’attuale assetto[5].

L’attuale assetto globale delle produzioni, legato alle fonti tradizionali (IEA International Energy Agency, 2012; 2014) è però poco efficace rispetto alle condizioni poste ad esempio dalle direttive europee (The 2020 climate and energy package; Parlamento Europeo, 2011) volte a favorire la riduzione di emissioni (del 20%) e la promozione nell’utilizzo di fonti rinnovabili (che dovranno raggiungere il 20% del totale) per l’anno 2020. Sarà difficile il raggiungimento di tali obiettivi senza superare gli attuali monopoli, promuovendo formule regolative che agevolino la decentralizzazione, la creazione di nuovi accordi che spingano sul passaggio da società energetica passiva ad una attiva. Alcuni Paesi hanno compreso questa possibilità e cercato di attirare investimenti in unità distribuite di produzione, in particolare nei sistemi di produzione basati sul fotovoltaico. Negli Stati Uniti, ad esempio, alcune amministrazioni locali lavorano per garantire la solar grid parity[6] di iniziative di produzione locale (Farrell, 2012). Alcuni organismi come l’Institute of Local Self-Reliance lavorano in collaborazione con le amministrazioni, elaborando politiche equilibrate in grado di promuovere efficienza, l’autonomia economica e la diffusione su larga scala delle Imprese di Comunità Energetiche.

Il tentativo di sostenere le produzioni locali tramite politiche ad hoc sta minacciando i margini dei profitti di alcuni grandi operatori attivi nel mercato della vendita dell’energia (Crouch, 2014), aspetto che si riflette nelle intense attività di lobbying e pressioni verso i legislatori europei per preservarne la posizione. Rispetto a questo tema, il nodo cruciale è rappresentato dal riposizionamento delle large-utilities nel mercato di produzione e distribuzione energetica locale, minacciato dal potenziale ingresso di nuovi attori competitors come le Imprese di Comunità Energetiche (UBS Global Research, 2014). Nelle proiezioni del mercato potenziale (basato sul cambio di paradigma verso sistemi energetici locali con nuove tecnologie di storage e fotovoltaico) effettuate dallo studio UBS (UBS Global Research, 2014) ci sono situazioni diverse nei diversi Paesi Europei[7] (Tabella 2). L’italiana ENEL è in ottima posizione nella possibile riorganizzazione del mercato di riferimento, essendo proprietaria della rete di distribuzione e potenzialmente capace di promuovere investimenti per il rinnovo delle infrastrutture (ibid.).

Tabella2: Up/downside risk previsto nel passaggio a produzione distribuita tramite tecnologie di produzione solare con storage. Fonte: Rielaborazione del grafico sulle Utility Europee (confrontando 2025 con il 2016) (UBS Global Research, 2014).

Un case history italiano di impresa di comunità energetica: la comunità cooperativa di Melpignano

Con il termine Imprese di Comunità Energetiche si intende definire una “coalizione di utenti” che, tramite la volontaria adesione ad un contratto, si associa in forma di impresa con l’obiettivo di gestire un sistema energetico locale: un’organizzazione volta a svolgere attività di produzione e distribuzione energetica in base alle mutualistiche esigenze di una comunità locale, cercando quindi di ridurre i costi e l’efficienza nei consumi. Ovviamente esistono diverse scale per cui considerare un sistema energetico locale (Mendes et al., 2011; Chicco, Mancarella, 2009; Hiremath et al., 2007). In questo contributo si è preferito analizzare questa particolare tipologia poiché particolarmente in linea rispetto alle caratteristiche del dibattito sulle imprese di comunità italiane. La scelta di questa case history vuole inoltre proporre una nuova lettura rispetto al contributo che imprese tradizionali come le cooperative possono offrire. In particolare viene delineato un modello di third party ownership capace di aggregare e regolare in formula virtuosa la “coalizione di utenti” nella produzione e gestione del servizio, descrivendone diritti e doveri, rapporti con le proprietà individuali e comuni, le scelte sull’impiego dei profitti etc.; affrontando brillantemente l’ingresso in un mercato che, così come descritto nei paragrafi precedenti, presenta notevoli ostacoli.

Cooperative di comunità: da tradizione a innovazione

Il principio del “lavorare per uno sviluppo sostenibile delle comunità” è diventato – in un passato recente – aspetto fondante dell’identità cooperativa[8], un modello di community building che trova la sua origine nelle comunità utopiche come quella di New Lanark ipotizzata da Robert Owen (1812), gestita come cooperativa per la gestione di beni e servizi con fini mutualistici. Un concetto che sintetizza il contributo che le cooperative hanno dato alla costruzione del benessere delle comunità, in particolare rispetto alle battaglie intraprese durante il XX secolo al fianco dei movimenti sociali e politici sorti nei diversi stati europei (Mori, 2014; MacPherson, 2012). Le cooperative di comunità (CdC) in Italia non sono definite da una norma specifica, ma rappresentano un nuovo modello di cooperazione che si sviluppa all’interno dei canali istituzionali del mondo cooperativo. Le CdC si distinguono dalle cooperative di consumo, di lavoro, di credito nelle finalità istituzionali, condividendo con le cooperative sociali il perseguimento dello sviluppo delle comunità di riferimento, ossia la produzione di vantaggi a favore di una comunità alla quale i soci promotori appartengono o eleggono come propria. Secondo quanto definito da Legacoop (2011) questo obiettivo può essere perseguito attraverso la produzione di beni e servizi che incidano in modo stabile su aspetti fondamentali della qualità della vita sociale ed economica della comunità.

Rispetto ai sistemi energetici locali, le cooperative di comunità possono rappresentare una formula accostabile a quelle che sono state definite “comunità contrattuali” (Moroni, Brunetta, 2011), ossia formule private di organizzazione, regolate in diritti e doveri secondo un contratto di volontaria adesione degli individui. Le attività dell’impresa nella produzione, nella distribuzione e negli investimenti sono messe a punto in base alle caratteristiche degli utenti e del territorio in cui insistono. Grazie alla presenza concreta di un capitale sociale – unito ad un efficiente sistema di governance – la cooperativa può predisporre progetti in grado di riconoscere le opportunità e i bisogni del territorio e della comunità, e attivare di conseguenza gli investimenti necessari per rispondervi. In questo caso lo Statuto (o Contratto) di costituzione dell’impresa diventa la formalizzazione di una specifica “comunità di utilizzatori”. Rispetto alle cooperative sociali, la gestione è indirizzata verso obiettivi mutualistici, non necessariamente legati a persone in situazione di svantaggio e a politiche di protezione sociale, ma alla creazione di opportunità per un benessere diffuso della comunità (Legacoop, 2011).

L’analisi dell’esempio proposto può aiutarci ad entrare nel merito degli aspetti più interessanti riguardanti il ruolo che queste organizzazioni possono assumere nei sistemi energetici locali, in particolare rispetto alla capacità di:

  • attivare un coinvolgimento efficace degli individui della comunità nella produzione di beni e servizi urbani che il settore pubblico o il mercato degli “operatori privati tradizionali” non riesce a fornire a costi vantaggiosi;
  • definire un solido assetto istituzionale, garantendo relazioni con altri soggetti interessati alla costruzione degli asset tangibili ed intangibili necessari allo sviluppo dell’impresa (Tricarico, 2014).

Sistema energetico locale come coalizione di comunità: la comunità cooperativa di Melpignano

Tra gli esempi nel panorama italiano, la comunità cooperativa di Melpignano rappresenta un’esperienza interessante di riferimento, frutto della collaborazione tra Legacoop e l’amministrazione comunale. La comunità cooperativa è nata con l’obiettivo di gestire una rete di produzione di energia solare tramite pannelli fotovoltaici posti sui tetti degli edifici pubblici e privati della città, una formula nata come esperimento di organizzazione e gestione collettiva di beni e servizi di comunità (Tricarico, 2014; Legacoop, 2011). La cooperativa, secondo lo Statuto (art. 5), ha la responsabilità di installare gli impianti e di provvedere alla loro manutenzione, gestendo la produzione di energia con metering adeguato alle necessità degli utenti e rivendendo l’eccedenza sul mercato. In realtà, l’organizzazione si configura come una potenziale struttura multi-utility, in quanto si prevede come oggetto di attività anche la distribuzione e la fornitura di gas combustibili e risorse idriche e la gestione dei servizi di rete. Da un punto di vista giuridico essa è configurabile come una normale cooperativa mista (che contempla contemporaneamente produzione, lavoro e consumo).

I diversi soci membri della cooperativa aderiscono all’impresa volontariamente, in base alle diverse mansioni svolte: soci lavoratori autonomi, che apportano competenze tecniche e si occupano della realizzazione degli impianti; soci utenti, che si distinguono in soci “ospitanti”, cioè cittadini che vogliono ospitare un impianto fotovoltaico sul proprio tetto e soci “semplici”, che aderiscono al progetto con una quota di adesione al fine di beneficiare di energia elettrica a condizioni agevolate; soci “sovventori”, cioè coloro i quali decidono di investire nel progetto apportando capitale per la sua realizzazione.

L’acquisizione delle risorse organizzative è stata frutto del lavoro congiunto di tre partner che hanno sottoscritto un protocollo d’intesa: l’Amministrazione del Comune di Melpignano, ponendosi come coordinatrice del progetto; L’Officina Creativa di Lecce, la quale ha coordinato le attività, grazie all’esperienza nella promozione di modelli di comportamento incentrati sulla salvaguardia del territorio e sullo sviluppo di tecnologie alternative a basso impatto ambientale; l’Università del Salento, che ha realizzato uno studio di fattibilità sugli impianti fotovoltaici diffusi sui tetti delle abitazioni di Melpignano (attestando che circa 180 famiglie possedevano un tetto idoneo per ospitare il fotovoltaico), programmando la pianificazione e l’implementazione operativa del progetto.

La realizzazione degli impianti ha funzionato grazie alla presenza di numerosi proprietari di tetti, i quali ne hanno ceduto l’uso alla cooperativa per 20 anni, ricevendo gratuitamente energia. L’acquisizione delle risorse finanziarie per l’investimento iniziale è avvenuta grazie ad un finanziamento erogato da Coopfond e da Banca Etica e in piccola parte tramite la sottoscrizione delle quote associative. La capacità imprenditoriale della cooperativa ha permesso di ottenere sufficienti incentivi dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE). Tramite questi fondi la cooperativa sta riuscendo a ripagare gli interessi del finanziamento sull’investimento iniziale e a creare un fondo nelle proprie casse. L’utilizzo degli utili viene stabilito dai soci e può essere destinato a interventi volti a favorire la rigenerazione dello spazio urbano: interventi di miglioramento del verde pubblico, rifacimento di superfici stradali, servizi di scuolabus, mense scolastiche.

Le Imprese di Comunità Energetiche come settore concreto di diffusione del fenomeno

Il tema della produzione distribuita di energia è di grande attualità e potrebbe mettere in discussione l’organizzazione territoriale, sociale ed economica del sistema energetico globale; una nuova organizzazione che richiama la necessità di formule locali innovative di auto-approvvigionamento a discapito dei grandi operatori privati e pubblici. Rappresenta un’innovazione di sistema che nel lungo periodo mira al superamento dell’esclusiva presenza di grandi operatori nel controllo della produzione energetica, nella gestione delle reti e nell’erogazione del servizio.

Grazie ai recenti progressi della ricerca sull’impiego di set tecnologici integrati, cittadini e autorità locali hanno ad oggi la possibilità di entrare in maniera dirompente nel mercato energetico, rivoluzionando il modo in cui oggi viene generata ed utilizzata l’energia (Hall, 2015) (Figura 1). In particolare, la riduzione del costo delle tecnologie come lo storage (Mooney, 2015) sta allargando ulteriormente la platea e le capacità di produzioni energetiche locali da parte di città, comunità e territori, allontanandola dall’attuale scenario di dipendenza dalla grande rete energetica centrale e quindi dalle grandi produzioni. Un cambiamento che potrebbe mettere al centro dell’attenzione le Imprese di Comunità Energetiche come organizzazioni chiave per un futuro scenario di policentrismo energetico e territoriale.

Figura 1: Schema sintetico sul cambiamento di paradigma derivante dalla costituzione di sistemi energetici locali (Realising Transition Pathways, 2015).

Per accogliere il cambiamento, nei prossimi anni sarà fondamentale la ricerca e la sperimentazione di “pratiche organizzative” in grado di accogliere l’ampio potenziale di nuove iniziative imprenditoriali di comunità. È infatti necessario individuare quali “tecnologie sociali” (Lowi, MacCallum, 2014) in termini regolativi possano liberare il potenziale di diffusione dei sistemi energetici locali.

Negli ultimi è stato molto partecipato il dibattito su iniziative definite come “pratiche di innovazione sociale dal basso”, su imprese della società civile e sulle imprese di comunità (Wagenaar, van der Heijden, 2015; Healy, 2014; Bailey, 2012; Moulaert et al., 2010), sottolineandone il potenziale contributo nella gestione e valorizzazione di community asset per nuove formule policentriche di sviluppo territoriale.

In questi approcci, però, sembra poco chiara la riflessione su alcuni aspetti organizzativi utili a determinare modelli replicabili sui territori. Se il tema delle imprese di comunità ha avuto diversi contributi interpretativi nel dibattito internazionale, sono poco chiari alcuni aspetti cruciali in termini di:

  • “messa a sistema” del coinvolgimento degli individui: statuti e/o contratti in grado di definire i confini della comunità e le regole che ne definiscono i rapporti;
  • costituzione di un solido capitale sociale per assicurare un modello sostenibile di investimento nei progetti locali;
  • formule di governance interna in merito alle priorità e gli obiettivi capaci di redistribuire i benefici prodotti dalle attività.

In questo senso le Imprese di Comunità Energetiche potrebbero essere considerate come organizzazioni concrete, basate sull’adesione volontaria, unite da una concreta formula di coinvolgimento rappresentata dal contratto associativo della “coalizione di utenti”. Il potenziale mostrato dalla riorganizzazione del mercato energetico può rappresentare, grazie all’avanzamento tecnologico, un importante community asset verso cui queste organizzazioni potrebbero fondare la diffusione nei territori.

In Italia, dal punto di vista delle norme che regolano il campo d’azione delle imprese di comunità, è evidente come la mancanza di un efficace recinto (ex-lege) in cui inquadrarne le attività, allontani la possibilità di impostare un quadro di policy nazionale utile ad affermare il loro ruolo come attori chiave nei processi di diffusione. Il tema che si ricollega all’ambiguità evidenziata in due aspetti:

  1. Dalle norme che definiscono le attività delle organizzazioni non profit (Moro, 2014): un “magma” in cui non risulta chiara la definizione dei servizi e degli obiettivi che si identificano come di interesse generale, per cui non è ben definita la presenza di strumenti che garantiscano ad organizzazioni identificabili come imprese di comunità le agevolazioni utili a promuoverne un’azione coordinata.
  2. Dalle misure di promozione di sistemi energetici locali. Nonostante il potenziale di diffusione del mercato italiano (Tabella 2), la definizione normativa delle organizzazioni capaci di proporre veri e propri sistemi energetici locali considera modalità come i Sistemi Efficienti di Utenza e le Reti Interne di Utenza, di difficile applicazione a causa dei vincoli temporali di entrata in esercizio. Le misure di promozione si focalizzano inoltre sull’incentivazioni di soluzioni tecnologiche singole, come i Titoli di Efficienza Energetica o i Conto Energia, trascurando particolari misure su aggregazioni di tecnologie ed utenti (Energy & Strategy Group, 2014).

Questa criticità emerge anche nel dibattito sui limiti delle norme che regolano le attività di imprese sociali e cooperative, che ostacolano il pieno riconoscimento come strumenti di politiche nazionali, contrariamente a quanto è successo in altri contesti europei come il Regno Unito (DECC Department of Energy & Climate Change, 2014; Le Xuan, Tricarico, 2014; Bailey, 2012).

In questo senso, particolari aspetti critici riguardano:

  • la scarsa definizione degli strumenti per la rendicontazione dell’impatto territoriale delle attività delle imprese e la capacità di realizzare efficaci monitoraggi del rapporto tra attività, comunità e contesti in cui queste agiscono (activities annual report);
  • la mancanza di un’autorità di controllo che liberi le imprese sociali e cooperative dalla rigidità indotta dalle regole sui settori di intervento ammessi, svolgendo una funzione di “test di socialità” dell’operato, basandosi sull’analisi dei monitoraggi e su controlli a campione, sul modello inglese delle community interest company. Sarebbe così possibile far diventare le imprese di comunità come equivalenti ad onlus di diritto, con relativi benefici fiscali e nelle procedure di donazione, eliminando le differenze di trattamento con le altre organizzazioni nonprofit.

Riguardo alle Imprese di Comunità Energetiche, alcuni interessanti spunti arrivano dal Regno Unito, dove il consorzio di ricerca[9] Realising Transition Pathways ha costituito un osservatorio permanente sulle produzioni distribuite e la transizione verso quello che definiscono il “civic energy future” (Realising Transition Pathways, 2015). Lo studio effettuato sul contesto inglese ha osservato la fattibilità tecnica di un possibile incremento del 50% delle produzioni locali di energia primaria per il 2050, rispetto all’1% attuale (DECC Department of Energy & Climate Change, 2014). Questo a partire dal nuovo framework governativo sul Community Energy Strategy (ibid.), una serie di riforme prodotte per innovare le regolazione in merito a nuove formule di gestione per favorire la diffusione dei sistemi energetici locali. Nel contesto inglese, come in quello tedesco (Bertram, Landgrebe, 2014) e danese (Olsen et al., 2002), il modello cooperativo di produzione è il più diffuso e rappresenta il modello più finanziato dagli istituti di credito. Questo, grazie alla solidità delle iniziative proposte, ha permesso la nascita di Imprese di Comunità Energetiche che gestiscono grossi asset di impianti rinnovabili (ad esempio il Middelgrunden di Copenaghen) con rilevanti ricadute economiche sulle comunità e sulle autorità locali interessate.

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Note

  1. ^ Per un resoconto completo dello sviluppo tecnologico dei sistemi energetici locali e loro funzionamento, si rimanda al Report “Le prospettive di sviluppo delle Energy Community in Italia” (Energy & Strategy Group, 2014).
  2. ^ Uno dei protagonisti del processo delle esemplari politiche di promozione delle produzioni rinnovabili in Germania negli ultimi anni (Jacobsson, Lauber, 2006).
  3. ^ “Le electric utilities non si sono viste riconoscere lo status di monopolio naturale prima dell’avvento di organi pubblici che sorsero per regolarle” (Lowi, 2003 - p. 164). Si veda anche Geddes (Geddes, 1992). 
  4. ^ Un aspetto non considerato (per scelta metodologica) è lo sviluppo di nuove filiere nazionali di produzione e di occupazione derivanti dall’espansione del settore legato alla produzione, l’installazione e alla manutenzione delle tecnologie dei sistemi energetici locali. Per questo si rimanda alla letteratura specifica (Sastresa et al., 2010; del Rio, Burguillo, 2008).
  5. ^ Come evidente dai rapporti Trasparence International sul lobbying (Transparency International Italia, 2014) o dal quadro interpretativo sul tema proposto da Foldvary e Klein (Foldvary, Klein, 2003).
  6. ^ Per solar grid parity si intende la capacità di produrre energia in sistemi locali ad un valore corrispondente alla media del mercato retail.
  7. ^ Dati derivanti dall’analisi di diversi fattori come: la distanza dai consumatori finali, le caratteristiche del sistema infrastrutturale di trasmissione e distribuzione e la disponibilità di giornate assolate (UBS Global Research, 2014).
  8. ^ Come esito della Conferenza Internazionale di Manchester del 1995 in cui sono stati riscritti i 10 principi guida dell’identità cooperativa (ICA, 1995).
  9. ^ Costituito da: University of Strathclyde Glasgow, University of Surrey, UCL, University of East Anglia, University of Leeds, University of Bath, University of Cardiff, Engineering and Physical Sciences Reasearch Council, London Imperial College, Loughborough University.
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