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ISSN 2282-1694
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Numero 5 / 2015

Recensioni

Creative Economies, Creative Communities. Rethinking Place, Policy and Practice

Flaviano Zandonai

Warren S., Jones P. (edited by) (2015), Creative Economies, Creative Communities. Rethinking Place, Policy and Practice, Ashgate, London.

Nell’economia di un numero monografico dedicato alle imprese di comunità, il testo curato da Warren e Jones rappresenta un contributo rilevante, sia per i contenuti che propone, che per i suoi limiti. Gli argomenti sono presentati per sollecitare un confronto non solo fra ricercatori, ma anche fra policy makers e addetti ai lavori (practitioners), grazie ad una interessante combinazione di dati di ricerca e documenti di policy dalla quale scaturisce una lettura autenticamente critica e non meramente orientata a restituire “lo stato dell’arte”.

Il testo affronta la dimensione comunitaria – i suoi modelli ed i processi generativi – a partire da un punto di vista in parte inedito ma soprattutto rilevante, ovvero quello dell’economia creativa e della produzione culturale. Il carattere inedito di questo approccio non è certo legato alla carenza di analisi e proposte (anche nel contesto italiano), solo che non sempre queste analisi intercettano il discorso sull’imprenditoria comunitaria e i suoi principali (e consistenti) bacini di sviluppo, come il nonprofit e la cooperazione in campo culturale e creativo. Così come non sempre colgono i caratteri “extraurbani” dello sviluppo comunitario preferendo concentrare l’attenzione in maniera quasi esclusiva sulle aree metropolitane.

Il libro non sfugge dunque a questi limiti, ma a differenza di altri contributi ha il merito di proporre un framework interpretativo adattabile a diversi contesti e che si struttura intorno al concetto di luogo, inteso come una “ribalta” densa di significati (a space with a meaning) all’interno della quale si modellano le relazioni tra economie di diversa natura e comunità locali. Nel campo della cultura e della creatività la ricerca di interpolazioni non estemporanee tra luoghi, comunità ed economie è tutt’altro che agevole, ma, forse anche per questo, è ricca di elementi di apprendimento. Essa deriva infatti da prospettive scientifico-culturali come le creative cities di Richard Florida e Charles Landry, che hanno pesantemente influenzato le agende di molte aree metropolitane e, di conseguenza, l’allocazione di consistenti risorse destinate a progetti di sviluppo che facevano (e fanno) leva sul potere “rigenerante” di una classe creativa globale da attrarre e concentrare all’interno di spazi in cerca di nuove destinazioni d’uso in chiave post-industriale. Questi approcci sono però oggetto di una critica sempre più serrata, non solo per aver disatteso, in tutto o in parte, le aspettative legate al loro impatto, ma anche per aver contribuito a generare ulteriori esternalità negative, che possono essere ricondotte all’aumentata capacità delle industrie della creatività e della cultura mainstream di estrarre valore dalle comunità di pratica (artisti, attivisti, ecc.), appropriandosene secondo logiche di accumulazione che poco hanno a che vedere con lo “shared value”.

In questo senso un rinnovato protagonismo comunitario non può che realizzarsi attraverso il recupero di capacità dialettica nei confronti di economie esterne a partire da alcune opzioni di valore da rinegoziare come piattaforma su cui fondare quello che si potrebbe definire, utilizzando lo schema di Aldo Bonomi, un nuovo patto tra flussi e luoghi. Un primo elemento di valore è costituito dalla capacità di inclusione. Una sfida che si rinnova da trent’anni a questa parte per comunità il cui destino è sempre più legato ad un confronto serrato con un “altro” variamente interpretato – dai migranti ai creativi, dai knowledge workers ai “ritornanti” alle comunità di origine – e che, per svariate ragioni, è sempre più diverso, ridefinendo nel profondo le forme e le prassi della “vita in comune”. In questo ambito, ad essere particolarmente sollecitato è proprio il “senso di comunità”, ovvero gli elementi di identità e di appartenenza che si possono ascrivere non solo a substrati storico-culturali, di etnia e territorio, ma anche – e sempre più spesso – a situazioni di mancanza (community of lack), intorno alle quali prendono forma azioni di resilienza. Infine emerge un’interessante funzione di “agenzia” svolta dalle comunità attraverso la quale i luoghi si moltiplicano e si interconnettono in chiave multi-locale, grazie all’operato di intermediari che esercitano il loro ruolo attraverso il medium della cultura e della creatività, che su questo fronte manifestano tutto il loro “vantaggio competitivo”.

Un volume ricco di stimoli quindi, anche per quanto riguarda l’approccio metodologico (ad esempio l’utilizzo della fotografia come strumento di indagine) e che nel suo insieme dimostra come cultura e creatività rappresentano, anche con i loro limiti, un importante driver per la costruzione di comunità place-based.

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