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ISSN 2282-1694
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Numero 4 / 2020

Saggi

Raccogliere e valorizzare i dati sull’impatto. Quale contributo alla conoscenza?

Luigi Corvo, Lavinia Pastore

Abstract

Il crescente interesse verso i temi della sostenibilità e dell’innovazione sociale apre nuove opportunità per declinare il grande potenziale dell’innovazione tecnologica a favore di obiettivi di impatto sociale ed ambientale. Allo stesso modo, tuttavia, la comunità scientifica che si occupa di questi temi si trova di fronte a nuove prove per rendere misurabili i risultati raggiunti: se da un lato tale sfida è ben avviata rispetto alla dimensione ambientale, grazie alla diffusione di standard ampiamente condivisi, dall’altro non si è raggiunto lo stesso livello di consapevolezza rispetto alla misurazione delle ricadute sociali.

Questa ricerca intende verificare la possibilità di superare il limite di misurabilità dell’impatto sociale integrando innovazione sociale e innovazione digitale. Più nello specifico, raccogliendo i dati di misurazione di impatto sociale dalle fonti accreditate, si intende applicare metodi di big data analysis e business intelligence per costruire un set di informazioni utili per informare i processi di misurazione di impatto sociale e pervenire ad un data warehouse contenente benchmark su tutta la catena della teoria del cambiamento (input / attività / outputoutcome / social value / impact). I risultati mostrano un grande potenziale di informazioni generabili dalle tecnologie digitali per rendere più misurabili, affidabili e scalabili i processi di innovazione sociale.

Keywords: innovazione sociale, impatto, valutazione

DOI: 10.7425/IS.2020.04.06

Introduzione: di cosa parliamo quando discutiamo di impatto (sociale)?

Negli ultimi anni il discorso pubblico, innanzitutto a livello internazionale, ricorre sempre più all’uso del termine impatto, accompagnato spesso da un aggettivo (economico, sociale, ambientale…) e sempre più ricompreso in una, almeno apparentemente, più ampia evocazione del concetto di sostenibilità.

Ma di cosa si parla, quando si discute di impatto?

Secondo noi, il discorso potrebbe essere riassunto come segue: negli anni di grande sviluppo del modello produttivo industriale è avvenuta una vera e propria criminalizzazione della complessità che ha portato alla riduzione del concetto di valore al suo equivalente monetario. Di conseguenza, il principale compito che il discorso sull’impatto assume è quello di legalizzare il valore nella sua complessità, quindi ben oltre ciò che è misurabile con metriche finanziarie. E, a ben vedere, tale compito potrebbe risultare utile anche per le stesse prospettive finanziarie.

Ma proviamo a procedere per gradi. Valutare l’impatto, per come abbiamo inteso impostare la questione, vuol dire costruire e trasmettere un set di informazioni in grado di allargare e approfondire la conoscenza sul valore generato e di orientare in modo più completo i processi decisionali a diversi livelli.

Ma prima di addentrarci, è opportuno rispondere ad alcune domande.

Cosa e chi è interessato dal discorso sull’impatto?

Il “cosa” valutare rappresenta una delle questioni su cui sarebbe opportuno fare chiarezza.

Valutare i prodotti, i servizi, i progetti (che chiameremo in termini più generici “attività”) che una organizzazione produce e valutare l’organizzazione che li produce non è esattamente la stessa cosa.

Tale distinzione nasce da un diverso modo di intendere l’essenza e la funzione di una organizzazione: se secondo gli approcci anglosassoni è possibile assimilare ciò che una organizzazione è all’insieme di attività che essa realizza, secondo l’approccio mediterraneo l’organizzazione è intrinsecamente un organismo biologico che genera valore anche per il solo modo di stare “al mondo” (ovvero di stare in società). Ecco spiegato, dunque, il motivo per cui si accavallano discussioni sulla valutazione d’impatto delle attività e sulla valutazione d’impatto delle organizzazioni.

Confondere i due piani sarebbe un errore sia teorico che empirico. Un’attività, come ad esempio un progetto, può esser condotto da più organizzazioni e, al tempo stesso, una organizzazione può co-condurre diversi progetti.

Un ottimo saggio pubblicato su Impresa Sociale (Zamagni et al., 2018) si è focalizzato sulla costruzione di un modello per misurare e valutare l’impatto sociale delle imprese sociali. Quindi l’impatto dell’organizzazione e non delle sue attività.

Tantissima bibliografia, al tempo stesso, si concentra sulla valutazione d’impatto delle attività, comparando metodi differenti, analizzandone i risultati e verificandone la consistenza in termini di affidabilità e utilizzabilità.

Tuttavia, se utilizzando il modello proposto da Zamagni e colleghi (Zamagni et al., 2015) dovesse emergere un impatto positivo, ciò non ci informerebbe circa ciò che di positivo realizza un’organizzazione, bensì circa ciò che di positivo è quella organizzazione per il suo ambiente interno e per il territorio e la comunità con cui opera. Su questa fondamentale distinzione non c’è ancora sufficiente chiarezza, nonostante l’enfasi posta dalle Linee Guida pubblicate con il Decreto del 23 luglio 2019 che assumono già nel titolo l’opportunità di questa distinzione, definendo che esse sono dedicate alla “realizzazione di sistemi di valutazione dell’impatto sociale delle attività svolte dagli Enti del Terzo Settore”.

La seconda domanda, ovvero chi è interessato dal discorso sull’impatto, appare più semplice. Perché la risposta più immediata sarebbe: ogni organizzazione genera effetti di cambiamento positivo o negativo nel medio-lungo termine in grado di incidere sul benessere delle persone, della comunità e della collettività. Tutti, dunque, sono interessati, ma con livelli di urgenza e rilevanza abbastanza diversificati.

Sebbene non si intenda stilare qui una graduatoria, non si può non osservare che il principale soggetto interessato dalla valutazione di impatto è la Pubblica Amministrazione, come ha fatto osservare un acuto articolo di Marocchi (2019). Va sottolineato che il focus sull’impatto delle politiche si inserisce all’interno degli studi sul public management andando ulteriormente a rinforzare i filoni teorici ed empirici critici verso il new public management e a dare sostanza al paradigma della public governance (si vedano a riguardo i lavori su public valuenew public governance e collaborative governance).

Ma nel momento stesso in cui si assume questa prospettiva, si contraddice e si supera il titolo stesso dell’articolo di Marocchi (“La VIS serve per valutare le politiche, non le azioni delle singole organizzazioni”). Dicendo che il primo soggetto interessato dalla valutazione d’impatto è la PA stiamo dicendo che lo sono tutti i soggetti con cui la PA, direttamente o indirettamente, stabilisce relazioni per la creazione di valore pubblico. Ecco il passaggio a nostro avviso decisivo e bonariamente oltraggioso rispetto all’impostazione settoriale: proprio perché riguarda le politiche pubbliche ci riguarda tutti. Perché siamo tutti co-creatori di politiche pubbliche, e perché non intendiamo le politiche pubbliche come una sequenza meccanica di azioni messe in atto da un attore isolato e autoritario. Chi più degli Enti del Terzo Settore dovrebbe rivendicare la titolarità condivisa delle politiche? La valutazione d’impatto serve per valutare le politiche, ecco perché riguarda le azioni degli Enti del Terzo Settore.

Allo stesso tempo l’impatto riguarda sempre più anche le imprese orientate al profitto e i soggetti finanziari di natura privata. Le prime, con diverso grado di profondità e con molte differenze riferibili al contesto geografico e all’ambito produttivo, hanno da tempo avviato una transizione che sfida il paradigma della Corporate Social Responsibility e ambisce a determinare le condizioni di intenzionalità nella generazione di impatti positivi per la società e l’ambiente. I secondi avvertono la crescente domanda di accountability da parte di piccoli e medi risparmiatori/investitori e iniziano progressivamente ad associare l’impatto agli schemi di compliance chiamati ESG (Environmental, Social, Governance).

Riassumendo, quindi, troviamo l’impatto come elemento di relazione fra diverse configurazioni organizzative che popolano una ridisegnata geografia del valore, dove le distinzioni e i perimetri non sono più segnati da meri elementi formali, ma da differenti visioni, intenzioni e valori.

Se chi scrivesse sapesse rappresentare graficamente questo concetto, non tratteggerebbe più una linea retta che mette ad un estremo le proposte di valore “not for profit oriented” e ad un altro estremo quelle “for profit oriented”, ma disegnerebbe un cerchio caratterizzato da due frecce a spirale: una rappresenta l’intensità delle intenzioni di profitto e una l’intensità delle intenzioni di impatto. Al variare della composizione di queste intensità varia la natura e quindi la forma giuridica delle organizzazioni e il loro modo di relazionarsi, tanto all’interno quanto all’esterno del suo sempre più poroso perimetro.

Review della letteratura

Questo saggio intende contribuire al dibattito in atto presentando alcuni avanzamenti di una specifica ricerca che stiamo portando avanti da diversi anni all’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” e che a maggio 2019 è diventata anche uno spin off (Open Impact). Il fatto stesso che sia nata un’organizzazione ad hoc impegnata in modo continuativo e focalizzato sul tema, testimonia quanto la ricerca stessa sia aperta e possa essere ulteriormente incrementata.

Gli assunti teorici di partenza sono quelli brevemente descritti nell’introduzione, oltre ad una domanda di ricerca “di fondo”: come poter contribuire in modo concreto all’avanzamento ed implementazione di un’altra misurazione del valore che incorpori anche (e soprattutto) gli impatti (sociali, ambientali ed economici). Inoltre, per sviluppare il progetto di ricerca sono stati presi in esame altri due filoni di letteratura da intendersi come complementari (per certi aspetti quasi esogeni) al dibattito sull’impatto sociale. La letteratura presa in esame proviene da due campi di ricerca che godono di una forte attenzione da parte di accademici di tutto il mondo:

  • il campo di ricerca sull’innovazione sociale, con specifica analisi degli studi sull’impatto sociale;
  • il campo di ricerca sui big data, con specifica analisi degli studi sul potenziale dei big data in processi di innovazione sociale.

L’innovazione sociale ha concentrato l’attenzione di diversi studiosi a partire dagli anni immediatamente successivi alla crisi del 2007-2008, e ciò non è ritenuto casuale. Sulla scorta di iniziative politiche assunte dal Governo inglese e da quello statunitense (la Big Society in un caso e la White House Office of Social Innovation and Civic Participation nell’altro) l’innovazione sociale viene sempre più assunta come paradigma che consente di ripensare le relazioni sociali ed economiche al fine di rispondere ai bisogni sociali attraverso nuove idee, processi, prodotti e servizi in grado di tenere in equilibrio tre caratteristiche essenziali:

  1. una maggiore efficienza rispetto alle soluzioni tradizionali;
  2. una maggiore efficacia rispetto alle soluzioni tradizionali;
  3. la creazione di nuove relazioni sociali in grado di abilitare gli attori a prender parte a processi collaborativi di creazione di valore.

Gli autori che si sono dedicati a questo campo di ricerca, infatti, nel tentativo di fornire una definizione di social innovation, hanno stressato in modo differente ciascuna delle tre caratteristiche, rapportandole a contesti differenti e, quindi, mettendole in relazione con differenti esigenze.

La Commissione Europea (2017), assumendo una definizione istituzionale, ha concentrato l’attenzione sulla necessità di efficacia dei processi di innovazione sociale, mentre Murray (Murray et al., 2010) pone l’accento sulla duplice accezione sociale di questa innovazione (sociale per le sfide cui si propone di rispondere, sociale per la tipologia di relazioni che sono innescate dai processi). Phills, differenziando il punto di osservazione, sposta l’attenzione dai processi al valore generato, ritenendo che la caratteristica peculiare delle iniziative di innovazione sociale sia la destinazione prioritariamente sociale, piuttosto che individuale, del valore generato (Phills et al., 2008). Herrera sottolinea il punto di vista delle ricadute sul comportamento delle organizzazioni e l’opportunità che tali processi incontrino le strategie di CSR delle imprese che, proprio per questa ibridazione, divengono strategie istituzionalizzate di corporate social innovation (Herrera 2015) e allo stesso modo, ma da un altro punto di vista, Murdock e Nicholls (2012) riconducono l’innovazione sociale alla necessità di ricontestualizzare la funzione pubblica per perseguire obiettivi di valore pubblico, giustizia ed equità.

Westeley e Antadze (2010) sottolineano come, per poter cambiare strutturalmente le routines e le costruzioni di autorità precedenti, i processi di innovazione sociale necessitano di durabilità e di impatto. Tale aspetto, particolarmente peculiare per la nostra analisi, viene declinato in impatto sociale e, inteso in questo senso, può essere visto come qualcosa di più ampio di un mero completamento delle istanze di accountability: esso rappresenta il segnale cha abilita l’interazione fra più attori sociali con l’obiettivo di trasformare le relazioni pregresse verso nuove forme collaborative che, richiamando i due autori, generando impatto potranno durare nel tempo.

In parallelo è stata portata avanti l’analisi dell’altro filone di ricerca; il risultato dello studio dei due approcci ha gettato le basi per la costituzione del framework teorico che viene presentato nel secondo paragrafo.

È interessante sottolineare che il campo di ricerca sui big data ha visto una crescente produzione scientifica a partire dal 2011, anno in cui le più importanti società globali di consulenza hanno dedicato attenzione al tema attraverso report, conferenze internazionali e riassetto delle strategie di business.

I big data sono definibili come quelle raccolte massive di dati aventi 3 caratteristiche peculiari, dette le “3V” dei big data (Davies, 2014):

  1. larghi Volumi, in termini di consistenza quantitativa dello stock di dati;
  2. alta Velocità, per quanto concerne la fluidità di raccolta e di rinnovamento dei dati;
  3. grande Varietà, in riferimento allo spettro di informazioni desumibili dai dati.

Akter introduce ulteriori 2 aspetti (portando il modello di Davies da 3 a 5V), che sono la Veridicità e il Valore, sottolineando l’importanza di verificare sia l’attendibilità sia la possibile usabilità dei dati (Akter et al., 2016). Desouza e Smith, proprio in riferimento all’effettiva usabilità dei dati, introducono l’elemento della processabilità, attribuendo ai big data la caratteristica di essere troppo complessi per essere processati con i tradizionali tool di database management e legandoli, quindi, alle tecnologie di machine learning e intelligenza artificiale (Desouza, Smith, 2014).

Un importante passo nella direzione della nostra analisi viene condotto dallo studio di Opresnik e Taisch, che collegano il fenomeno dei big data alle diverse tipologie di fonti-contesti da cui derivano, distinguendo:

  • i dati generati dalle imprese tradizionali;
  • i dati machine-generated, ovvero dati ottenuti grazie a sensori e altri dispositivi dell’internet delle cose;
  • social data, particolarmente rilevanti per la presente ricerca (Opresnik, Taisch, 2015).

La prospettiva teorica per noi più interessante, tuttavia, nasce dall’intersezione dei due campi di ricerca appena descritti e la potremmo denominare big data for social good.

Su questo campo, al contrario, si registra ancora una insufficiente presenza di studi ed elaborazioni: sebbene i big data siano stati messi al servizio della risoluzione di complessità legate alla sfera tecnica ed economica (Chen et al., 2012), non sono al momento state condotte analisi altrettanto dettagliate rispetto al valore sociale dei big data (Agarwal, Dhar, 2014).

Il framework teorico

La ricerca ha pertanto come riferimento principale il filone di studi sul social impact assessment (come presentato nell'introduzione) che rappresenta una delle aree di indagine del paradigma della social innovation e che ha come obiettivo quello di individuare metriche precise per la valutazione della capacità delle iniziative di innovazione sociale di rispondere a bisogni sociali in modo più efficace ed efficiente rispetto alle soluzioni tradizionali, generando nuove relazioni fra gli stakeholders.

Tale tema sta vivendo un momento di straordinario interesse, sulla base di istanze mosse da diversi attori:

  • L’ONU, che richiede metriche robuste per poter collegare i flussi informativi legati ai progetti territoriali al cascading informativo che sorregge gli SDGs.
  • Le banche e gli attori finanziari, che necessitano di metriche semplificate e consistenti per assumere decisioni di allocazione in risposta alla crescente propensione dei risparmiatori/investitori di collocare risorse su titoli ad impatto.
  • Le PA, che, anche in ragione alla scarsità di risorse, ma ancora di più per via della sempre più complicata relazione fra Istituzioni e cittadini, intende dare evidenza del valore sociale generato da programmi pubblici.
  • Le imprese for profit e le imprese sociali. Con le prime impegnate ad esser sempre più individuate come soggetti che mirano non solo alla massimizzazione del profitto ma anche alla creazione di condizioni di maggiore sostenibilità sociale ed ambientale, e le seconde chiamate sia da riforme recenti (Codice del Terzo Settore) sia da nuove policies finanziarie (fondi ad impatto) a dare evidenza dell’impatto sociale che sono in grado di generare.

A tale filone di letteratura va necessariamente integrato il campo di studi sui big data, al cui interno da qualche anno è nato un approfondimento specifico sui social big data, intesi come quei dati che nascono da interazioni e comportamenti sociali in grado di lasciare traccia nel contesto web (o fuori da esso, ma integrabili attraverso sistemi di internet delle cose).

Dal 2011, anno di pubblicazione da parte di McKinsey del report Big data: The next frontier for innovation, competition, and productivity (McKinsey Global Institute, 2011), si è attivato un interesse sempre crescente rispetto al potenziale uso dei dati per migliorare la produttività e la competitività delle organizzazioni.

In questa ricerca, tuttavia, noi intendiamo concentrarci su un potenziale diverso, riferibile alla capacità dei big data di supportare processi decisionali volti a rispondere a sfide sociali complesse. Più nello specifico, il presente lavoro tenta di indagare le possibilità di utilizzo dei big data per rispondere alla sfida della misurazione e valutazione dell’impatto sociale su larga scala e con prospettiva multi-stakeholder.

Le domande di ricerca cui il paper tenta di rispondere sono:

  1. Utilizzando la big data analysis è possibile ridurre il gap di misurabilità tipico dell’impatto sociale?
  2. Le informazioni elaborate con la big data analysis riescono a migliorare i processi di innovazione sociale in termini di scalabilità?

Metodi

La metodologia utilizzata può essere schematicamente rappresentata in 4 passaggi essenziali.

1. Mappatura delle fonti dati e costruzione del database di raccolta

Sono state prese considerazione le repository più accreditate di report di misurazione e valutazione di impatto sociale di progetti di innovazione sociale. Tali repository sono: Social Value, Social Finance UK, Issuelab, New Economic Foundation. Sono stati individuate circa 1000 report contenenti dati coerenti con il nostro fabbisogno e, fra questi, si è scelto di considerare prioritariamente quelli che hanno superato un processo di review o di validazione esterna condotta da organi indipendenti. Parallelamente si è costruito un framework per l’importazione dei dati, avvalendosi del supporto di esperti di ambienti digitali. Ciò ha previsto la costruzione di una matrice entità-relazioni, per collegare ciascuna variabile importata alle altre con cui sussiste una relazione di senso sulla base del modello adottato per la valutazione d’impatto. Il modello considerato è quello della Theory of Change (ToC).

2. Raccolta dei dati tramite analisi documentale

Tre analisti indipendenti hanno analizzato i report individuati come prioritari in base al criterio dell’affidabilità dei dati contenuti e hanno categorizzato i valori riportati all’interno dei campi variabile impostati con il database framework. I report analizzati sono 333[1]. Gli autori sono intervenuti nell’analisi solo in caso di espressa richiesta degli analisti o per necessità di dirimere interpretazioni divergenti.

3. Analisi dati tramite strumenti di business intelligence

I dati raccolti sono stati analizzati attraverso un integratore di servizi software, Power BI, che è in grado di connettere i dati e di farli interagire in modo da trasformare i dati puri in informazioni coerenti con la matrice entità-relazioni costruita. Si tratta di uno dei sistemi più utilizzati da aziende per la gestione e l’uso di dati, prodotto da Microsoft, e disponibile in versione cloud.

4. Sistematizzazione e rappresentazione dei risultati preliminari

I dati sono stati sistematizzati in macro-variabili per poter essere più facilmente rappresentabili. Le macro-variabili individuate sono coerenti con il modello di valutazione e misurazione d’impatto sociale prescelto (ToC) e sono:

  • stakeholders, con classificazione fra attori pubblici, privati, finanziari;
  • input (dati finanziari e non);
  • finanziatori, con classificazione fra attori pubblici, privati, finanziari;
  • governance, con classificazione fra progetti a conduzione pubblica, privata o mista;
  • processi, con dati su attività specifiche relative ai progetti di innovazione sociale;
  • output, con dati sia quantitativi sia qualitativi;
  • outcome, con specifica distinzione fra outcome hard (quantitativi), cashable (con ricadute finanziarie oggettive) e soft (qualitativi);
  • indicatori, con collegamento logico al relativo outcome;
  • proxy finanziarie, per consentire la traduzione di unità di outcome in valore monetario.

Il dato di sintesi è espresso dallo SROI (social return on investment), che si ottiene dividendo il valore sociale generato dagli outcome (e misurato attraverso le proxy finanziarie) per il valore degli input.

Risultati

Come anticipato, la prima fase di analisi ha riguardato 333 report[2] relativi ad altrettanti progetti di innovazione sociale condotti a livello internazionale.

A questi corrisponde un capitale investito (input) di circa 36 miliardi di euro e un budget medio per progetto di circa 120 milioni di euro. I beneficiari di tali progetti sono 2 milioni di persone e le organizzazioni (imprese, imprese sociali, PA, altre organizzazioni) che hanno preso parte a tali progetti sono 711. Gli ambiti dei progetti sono: addiction, business, construction, CSR, culture, education, empowerment, environment, health, housing, migration, sport, technology, volunteering, well-being.

Un aspetto particolarmente rilevante attiene alla ricchezza delle aree di outcome importate, sia dal punto di vista quantitativo (sono 2952) sia dal punto di vista qualitativo (sono tutte censite con riferimento alle fonti). Ad esse sono collegati 2804 indicatori che rendono misurabili le stesse aree di outcome e 2566 proxy finanziarie che ne consentono la traduzione in valore monetario; 4027 sono le impact chains complessivamente mappate. La Figura 1 riassume i risultati emersi.

Figura 1. Capitale investito e valore generato

Come si può osservare dalla Figura 1, è stato possibile costruire uno SROI medio fra tutti i progetti analizzati, ed esso è pari a 6,43 (indica che 1 euro investito ha mediamente generato 6,43 euro di valore sociale). Ciò mostra che l’integrazione fra tutti i dati di impatto sociale restituisce informazioni utili per aumentare significativamente il livello di conoscenza rispetto al potenziale generativo dei progetti di innovazione sociale in termini di valore aggiunto sociale.

Tuttavia, il potenziale uso dei big data in tale ambito è ben maggiore: attraverso interfacce digitali è possibile muoversi nel dashboard e ottenere informazioni di sempre maggiore dettaglio.

Ciascuna delle infografiche rappresentate, infatti, è dinamica ed interrogabile, ed essendo logicamente collegata con tutte le altre sulla base del framework ToC, consentirà di rappresentare i dati secondo driver di interrogazione multipli.

Una ulteriore analisi possibile attiene alla comparazione fra cluster di progetti raggruppati in base al contesto geografico in cui vengono realizzati. Al crescere dei report analizzati, infatti, si tenderà ad una sempre maggiore omogeneizzazione della rappresentatività territoriale dei progetti e questo rende possibili analisi differenziate a seconda di variabili esogene (contesto politico, contesto sociale, contesto economico, contesto tecnologico). La Figura 2 mostra una rappresentazione geografica dei progetti analizzati.

Figura 2. Distribuzione geografica dei progetti analizzati

La disponibilità di un sistema interoperabile accentua il carattere di usabilità dei dati e consente di giungere ad unità sempre più granulari di informazioni.

L’organizzazione del database secondo una matrice entità relazioni, infatti, consente una lettura anche disarticolata dei dati: ciascuna area di outcome, che nello schema logico di importazione ha una struttura di relazione con altre variabili, può essere interrogata anche singolarmente e ciò, in risposta alla prima domanda di ricerca, accresce in modo esponenziale l’uso di questi dati per successive attività di misurazione e valutazione e per attività di impact forecasting. La Figura 3 mostra un esempio.

Figura 3. L’usabilità dei dati di misurazione e valutazione dell’impatto sociale

Come si può desumere dalla Figura 3, le informazioni sono interrogabili sia attraverso la descrizione del fabbisogno di informazioni, sia dal nome del progetto, sia direttamente dalle aree di outcome. Queste, quindi, andranno a collegarsi automaticamente agli indicatori e alle proxy finanziarie collegate per abilitare un uso cross, e non più solo verticale, delle informazioni disponibili.

Tale facoltà segna il passaggio dal concetto di dato al concetto di informazione desumibile da esso e, grazie alla disarticolazione e alla trasversalità delle informazioni, si può accedere alla creazione di conoscenza sul dominio specifico ed estendibile a domini coerenti.

Per rispondere alla seconda domanda di ricerca, dunque, occorre considerare il potenziale utilizzo di questi dati per migliorare la scalabilità delle iniziative di innovazione sociale. Ciò è possibile laddove i risultati del progetto dimostrano una adeguata integrazione fra la sostenibilità sociale e la sostenibilità economica generabile dai risultati del progetto.

La sostenibilità sociale è ottenuta quando il valore sociale derivabile dall’applicazione delle proxy alle aree di outcome è quantomeno pari al valore del budget investito.

La sostenibilità economica si ha quando il valore dei cashable outcome, ovvero di quegli outcome che hanno una immediata traducibilità finanziaria, è quantomeno uguale al valore del budget investito.

I dati raccolti, rispondendo dunque alla seconda domanda di ricerca, consentono di discriminare fra i progetti sostenibili, consentendo anche di discernere le determinanti della sostenibilità e di individuare le strategie di scalabilità più coerenti.

Conclusioni

La principale conclusione a cui si è giunti è che l’utilizzo di sistemi di raccolta, gestione e rappresentazione dei big data nel campo dell’innovazione sociale ha un potenziale molto significativo. Tale potenziale ha poi la capacità di generare cross fertilization su campi di ricerca affini, quali, ad esempio, quello sulla sostenibilità e sullo sviluppo dell’Agenda 2030 (SDGs).

Questo va considerato in almeno tre accezioni:

  • Potenziale rispetto alle future attività di misurazione e valutazione dell’impatto sociale di progetti di innovazione sociale: con la raccolta, l’analisi e l’elaborazione di big data, infatti, i processi di misurazione e valutazione possono godere di baseline robuste che consentono comparazioni e creano una banca di benchmark preziosa per poter verificare la consistenza dei risultati di impatto sociale.
  • Potenziale in termini di possibilità di condurre analisi predittive rispetto all’impatto generabile da progetti di innovazione sociale: i big data abilitano l’adozione strategica delle informazioni di impatto, ben oltre le fasi di misurazione e valutazione. L’utilità di dati consolidati, infatti, consente di ispirare all’impatto la costruzione delle strategie e i processi di design di politiche, programmi e progetti con l’obiettivo di poter rappresentare ex ante l’impatto atteso e di procedere, ex post, a verificare gli scostamenti rispetto all’impatto misurato.
  • Potenziale in termini di creazione di conoscenza condivisa utile a supportare i processi decisionali complessi: se tali dati vengono gestiti con logica open source e con un processo di validazione continua delle informazioni (approccio wiki), la community di ricercatori e practitioner che lavora sull’impatto sociale potrà arricchire continuamente i dati raccolti e favorire la crescita qualitativa e quantitativa delle informazioni desumibili dai dati.

La realizzazione di questo progetto di ricerca ha portato alla nascita di uno spin off dell’Università di Roma Tor Vergata (www.openimpact.it) e sta interagendo con diverse tipologie di organizzazioni che stanno adottando questa logica per introdurre il ciclo di vita dell’impatto sociale come driver strategico di cambiamento verso la sostenibilità.

I prossimi passi di questo progetto di ricerca riguardano l’estensione dell’analisi fino a coprire tutta la popolazione di dati disponibili a livello globale e la fertilizzazione di campi affini, quali, ad esempio, la misurazione del grado di raggiungimento marginale degli SDGs.

Collegando logicamente le aree di outcome ad uno o più SDGs coerenti, infatti, è possibile verificare quanto ciascun progetto, programma, politica sta raggiungendo risultati in linea con la Strategia 2030 e, quindi, favorendo un flusso di dati bottom up per sostanziare con i dati la transizione verso una società, un pianeta ed un’economia più sostenibili. La Figura 4 ne mostra un risultato preliminare.

Ciascun progetto, attraverso le aree di outcome, impatterà su uno o più SDGs (ad esempio al Goal 3 sono collegate 416 aree di outcome). Avendo il valore sociale generato per ciascuna area di outcome, dunque, sarà possibile verificare quanto valore sociale è generato da ciascun progetto, o da un cluster di progetti, da un programma e da una politica rispetto ad ogni SDG.

Figura 4. Risultato preliminare di collegamento fra i dati di impatto sociale e gli SDGs

Bibliografia

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Note

  1. ^ Entro il 20/09/2020, l’analisi è in corso, il database è in continua espansione dato che è un progetto di ricerca continuo.
  2. ^ I dati presentati sono aggiornati al 20/09/2020, il database è in continua espansione dato che è un progetto di ricerca continuo.
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