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ISSN 2282-1694
impresa-sociale-4-2020-quando-l-impresa-artigiana-si-comporta-da-impresa-sociale

Numero 4 / 2020

Saggi

Quando l’impresa artigiana si comporta da impresa sociale

Roberto Paladini

Abstract

Recentemente si sono intensificate le politiche pubbliche rivolte alla rigenerazione urbana, promosse con l’intento di riattivare dinamiche sociali ed economiche nei contesti locali oggetti di intervento. In queste progettualità, così come nella letteratura accademica di riferimento, si evidenzia spesso che il ruolo svolto dalle piccole imprese, ed in particolare dalle botteghe artigianali e dai negozi di vicinato, riveste funzioni esplicitamente sociali, contribuendo consapevolmente ai processi di presidio e di rigenerazione territoriale. In particolare, l’impresa artigiana si presenta dal punto di vista storico come uno degli attori che ha maggiormente influenzato lo sviluppo urbano, sociale ed economico delle città, ben oltre la mera questione produttiva (Sennet, 2008). Costa (2011) ha evidenziato come l’impresa contribuisca allo sviluppo locale mediante interazioni sociali basate su collaborazioni negoziate e aperte tra artigiani, comunità e network. Morandi (2008) ha ben argomentato come l’artigianato giochi da sempre un importante ruolo quale presidio sociale, potendo dare o togliere qualità alla città e al territorio, attribuendo peculiarità, sicurezza e specificità ai luoghi o banalizzandoli in un paesaggio omologato. L’approccio dell’economia sociale basato sulla comunità, che sottolinea l’importanza di coinvolgere le comunità locali nel processo decisionale e nello sviluppo di reti di capitale sociale (ad esempio, Thomas, Duncan, 2000), riconosce appunto il ruolo assunto dalle piccole e medie imprese, prevalentemente di natura artigianale, fortemente radicate nei territori. Il presente saggio mira ad evidenziare se e a quali condizioni tali imprese possano essere considerate alla stregua delle imprese sociali, entrando a far parte delle sue molteplici attività, pur non avendo i requisiti formali per poter accedere a tale categoria. L’analisi si svolge mediante la presentazione di alcune progettualità esemplificative in cui l’artigianato gioca un ruolo determinante nei processi di inclusione sociale e riabilitazione di categorie deboli, come ad esempio giovani con difficoltà scolastiche ma abilità manuali, disoccupati, svantaggiati, persone affette da disturbi psichici, carcerati, rifugiati e migranti. Utilizzando i mestieri artigianali per raggiungere i loro scopi d’inclusione sociale professionale, tali iniziative attuano una forma di salvaguardia del patrimonio culturale dell’artigianato artistico e tradizionale ma al contempo esercitano in modo esplicito una forte azione a carattere sociale. L’impresa artigiana così considerata non solo risulta essere poco orientata al profitto, ma va oltre il compimento di mere azioni riferibili all’ambito della social responsibility, configurandosi in modo contiguo rispetto alle imprese sociali.

Keywords: impresa sociale, impresa artigiana, rigenerazione urbana, piccola e media impresa, welfare territoriale

DOI: 10.7425/IS.2020.04.10

Introduzione

Anche se la stagione inaugurata dalla crisi internazionale del 2008 ha duramente colpito le imprese artigiane in Italia (CNA, 2017) e ciò ha reso auspicabile lo sviluppo di politiche dedicate al loro sostegno (Bramanti, 2012), alcune osservazioni empiriche mostrano una loro nuova centralità rispetto ai processi di sviluppo e rigenerazione urbana e alla formazione di capitale sociale (Cirelli, Nicosia, 2014). Oggi si registra una sostanziale convergenza di operatori del settore e policy maker sul ruolo che l’artigianato può avere quale componente importante delle politiche di uno sviluppo locale sostenibile, come già evidenziato ampiamente nella Carta di Aalborg per una città sostenibile nel 1994.

L’artigianato risulta di rilievo sia come agente per le nuove strategie competitive dei territori che si sviluppano a partire dal marketing territoriale e dalla riqualificazione urbana, sia in riferimento alla valorizzazione del patrimonio culturale, dei prodotti tipici e della specifica tradizione locale. Come affermato da Monti (2014), «tali imprese, nelle loro variegate forme, non possono limitarsi a rilasciare output, ma devono necessariamente produrre outcome per l’intera collettività, come una maggiore integrazione sociale e più in generale contribuire al benessere dei cittadini».

Inoltre, l’importanza del patrimonio immateriale custodito dalle imprese artigiane e nella maggior parte dei casi dalle botteghe artigiane operanti nel settore artistico e tradizionale, è ampiamente e formalmente riconosciuta a livello nazionale e internazionale. Nella fattispecie, come ben riassunto da Clagnan (2019), nel novembre 1989 viene adottata la Raccomandazione sulla salvaguardia della cultura tradizionale e del folklore[1], nel novembre 2001 la Dichiarazione universale sulla diversità culturale[2], nel 2003 la Convenzione UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale[3], nel 2005 la Convenzione UNESCO sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali[4] e, sempre nel 2005, la Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società[5]. Questi nuovi strumenti «determinano il pieno riconoscimento dell’eredità culturale come elemento fondamentale e fondante per l’identità culturale delle comunità e dei gruppi […] evidenziandone le potenzialità inclusive» (D’Alessandro, 2014).

Il ruolo riconosciuto alle botteghe artigiane artistiche e tradizionali nelle ultime decadi ha assunto, in parallelo al concetto di patrimonio culturale (cultural heritage), una crescente rilevanza (Vecco, 2010), estendendosi alle persone e alle pratiche portatrici di valori culturali. In questo senso, le caratteristiche degli oggetti, dei luoghi e delle pratiche non hanno valore di per sé, ma in quanto significative per una comunità. È il rapporto con il luogo e la comunità in cui nascono e si sviluppano, che fa assumere ai saperi e ai mestieri tradizionali il ruolo di beni culturali immateriali. Ciò assunto, nei diversi approcci alla rigenerazione urbana riscontrabili nella letteratura accademica di riferimento, il crescente ruolo ricoperto dalle botteghe artigiane in termini di patrimonio immateriale pare ricondursi ad una particolare definizione del termine “rigenerazione”. L’approccio utilizzato in questo scritto – in riferimento al termine “rigenerazione” – si rifà alla definizione di Roberts (2000), secondo cui la rigenerazione comprende «una visione e un’azione globale e integrata che conduce alla risoluzione dei problemi urbani e che cerca di portare un miglioramento duraturo delle condizioni economiche, fisiche, sociali e ambientali di un’area che è stata soggetta a cambiamenti». Nelle molteplici prospettive accademiche che hanno approfondito il concetto di rigenerazione urbana, come verrà di seguito evidenziato, sembra profilarsi una crescente valenza anche in termini sociali, in merito all’operato che le imprese artigiane possono effettuare in un determinato contesto territoriale, ed in particolare nei centri urbani e storici italiani.

Il presente saggio evidenzia come nell’ultimo decennio vari progetti ed esperienze abbiano esplorato il ruolo che l’artigianato potrebbe svolgere nello sviluppo sociale e in pratiche di empowerment. L’artigianato, così inteso, è un fenomeno diffuso e vitale che ingloba persone con diversi trascorsi e necessità. Esso riscopre la sua versatilità e le possibilità di applicazione del suo patrimonio culturale, che consiste in un vasto bagaglio di conoscenze e competenze, ma anche in un particolare modo di agire e pensare: l’agire artigiano su cui Sennett immagina di fondare un nuovo paradigma sociale. Una società che percepisce il valore dell’artigianato per il benessere sociale e lo impiega nelle sue attività, mantenendone viva la pratica, è una società che si riflette nel patrimonio culturale immateriale rappresentato dai saperi artigianali. In questo senso, il lavoro artigianale – al pari degli oggetti che popolano la nostra quotidianità – è un elemento che connette le persone alla società e che può contribuire alla felicità e al benessere di un individuo. Ben si prestano dunque le attività artigianali non solo per offrire occupazione e garantire servizi di vicinato in un territorio, ma anche come luoghi in cui si può respirare socialità, trovare un punto di riferimento, riscoprire la propria identità e talvolta, grazie alle attività artigiane, si può intervenire socialmente rispetto a persone con difficoltà.

L’articolo presenta sei azioni progettuali, nazionali e internazionali, che vedono le imprese artigiane quali attori chiave in processi ad alta valenza sociale. Tra le esperienze individuate, vi sono, con riferimento all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, il laboratorio di artigianato e design Cucula[6] e il progetto Atena / Ex libris ( 2017 e 2018); rispetto alla valorizzazione di persone che si trovano in una situazione per cui possono sentirsi senza posto, identità o valore si evidenziano il progetto Malefatte, e le esperienze delle Case circondariali di Santa Maria Maggiore, Piazza Lanza, Bollate e San Vittore; per quanto riguarda la tutela del patrimonio culturale immateriale e lo sviluppo di capitale sociale, si illustra il progetto di rigenerazione urbana Venice Original; per evidenziare il ruolo di presidio sociale si riporta il caso di Base, un caso riuscito di portierato sociale a Milano; infine, con riferimento all’integrazione di rifugiati e migranti, si presenta il caso de La fabrique NOMADE.

L’ipotesi di ricerca sostenuta, attraverso la metodologia dello studio di caso (Sena, 2016), è che in progettualità quali quelle presentate – che sembrano trovare un crescente spazio negli interventi sviluppati in ambito urbano, talvolta supportati da politiche pubbliche – il ruolo agito dalle imprese artigiane abbia una valenza sociale rilevante, non solo in termini di creazione di relazioni e fiducia tra attori locali, con riferimento alla creazione di capitale sociale e allo sviluppo sostenibile dei territori, ma configurandosi alla stregua di azioni tipiche di imprese sociali, operando in ambiti quali il sociale to court, il sanitario e l’assistenziale, entrando a far parte delle sue molteplici attività, pur avendo scopo di lucro.

L’obiettivo e il disegno della ricerca

L’obiettivo principale di questo saggio è quello di offrire un contributo all’avanzamento teorico sul tema del riconoscimento del ruolo espressamente sociale (quantomeno potenziale) che le imprese artigiane possono svolgere nei propri territori. Nella fattispecie, dopo aver evidenziato quanto riconosciuto in letteratura all’artigianato rispetto ai processi di rigenerazione urbana e di sviluppo del territorio, la ricerca presenta sei casi esemplificativi, nazionali e internazionali, in cui l’agire delle imprese artigiane ha un elevato impatto sociale. I progetti rappresentano interventi temporanei o di natura stabile in cui le imprese artigiane operano in termini di inserimento lavorativo di persone svantaggiate o con disabilità, in ambito sociale, sociosanitario o per l’integrazione di migranti o rifugiati.

Nei paragrafi inziali verrà proposta una review della letteratura sulla rigenerazione urbana più influente e del nesso tra impresa artigiana e impresa sociale, frutto di una ricerca condotta attraverso Google Scholar, Scopus e Web of Sciences. Successivamente verranno presentati i casi sopra descritti, che qui classificheremo secondo quanto riportato in Tabella 1.

Tabella 1. Casi esemplificativi del ruolo sociale di imprese artigiane

Caso Ambito d’intervento Territorio
Fabrique NOMADE Integrazione di rifugiati e migranti Parigi
Cucula Inserimento lavorativo di persone svantaggiate Berlino
Atena / Ex libris Inserimento lavorativo di persone svantaggiate Regione Veneto
Santa Maria Maggiore, Piazza Lanza, Bollate e San Vittore Valorizzazione di persone che possono sentirsi senza riferimenti, identità, valore Venezia, Catania, Milano
Base Portierato sociale Milano
Venice Original Tutela del patrimonio culturale immateriale e sviluppo di capitale sociale Venezia


L’ipotesi di ricerca è che nelle progettualità presentate il ruolo agito dalle imprese artigiane non solo abbia una valenza sociale rilevante in termini di creazione di relazioni e fiducia tra attori locali – con riferimento alla generazione di capitale sociale e allo sviluppo sostenibile dei territori – ma sia affine alle azioni tipiche intraprese da imprese sociali, operando in ambiti quali il sociale, il sanitario e l’assistenziale. L’impresa artigiana così considerata non solo risulta essere poco orientata al profitto, ma va oltre il compimento di mere azioni di social responsibility, avvicinandosi più profondamente all’operato delle imprese sociali. I risultati attesi intendono evidenziare se e a quali condizioni tali imprese artigiane possono essere considerate vere e proprie imprese sociali, pur avendo scopo di lucro. Ci si chiede infine se esse non abbiano diritto, assieme alle imprese sociali, ad un trattamento di tutela e a supporto della loro sopravvivenza.

Piccole imprese come attrici di sviluppo socio-economico locale e produttrici di capitale sociale

L’impresa artigiana si presenta dal punto di vista storico come uno degli attori sociali che ha maggiormente influenzato lo sviluppo urbano, sociale ed economico delle città (Sennet, 2008). Costa (2011) ha evidenziato come il ruolo agito dalle imprese artigiane abbia una valenza sociale rilevante, sia in termini di creazione di relazioni e fiducia tra attori locali che con riferimento alla creazione di capitale sociale. In particolare, ha sottolineato come l’impresa artigiana contribuisca allo sviluppo locale mediante interazioni sociali basate su collaborazioni negoziate e aperte tra artigiani, comunità e network. In Italia, numerose analisi, spesso basate su studi di caso, enfatizzano lo stretto rapporto tra commercio (detto talvolta “di prossimità” o “di vicinato”), artigianato e centri storici, in termini di qualità della vita, sviluppo socio-economico e identità dei territori (Cirelli, Nicosia, 2014; Ferrucci, 2015; Iacovone, 2018). L’artigianato viene riconosciuto come una componente importante di questo nesso, ma non sempre viene analizzato come comparto specifico e non risultano studi focalizzati sul particolare ruolo sociale agito dall’artigianato.

L’artigianato sembra rappresentare oggi un’occasione importante per lo sviluppo territoriale, la tenuta della base occupazionale locale e delle reti sociali di famiglie e imprese. Analogamente a quanto analizzato da Cirelli e Nicosia (2008), risulta evidente che le medesime considerazioni che si possono fare sul valore sociale dei negozi di vicinato e dei servizi di prossimità, valgono per le botteghe artigiane a forte vocazione culturale. I negozi di vicinato e le botteghe artigiane così intese, oltre ad assolvere un ruolo di presidio sociale in zone scarsamente popolate, rendono maggiormente vive o vivibili le città e in particolare i centri urbani. Tra i servizi di così detta “utilità sociale” generalmente attribuiti alle botteghe artigiane vi sono la creazione di occasioni occupazionali intra familiari e tramite collaboratori, la personalizzazione del prodotto/servizio attraverso un contatto diretto con il consumatore, la promozione di lavorazioni e prodotti locali creati nel rispetto delle tradizioni del territorio, lo sviluppo di un tessuto imprenditoriale anche con disponibilità di piccole quantità iniziali di capitale, la garanzia di servizi di prima necessità in modo diffuso in città e paesi, lo sviluppo di relazioni sociali.

Interventi a favore del commercio di prossimità e dell’artigianato vengono così inseriti nell’ambito delle politiche di rigenerazione urbana (Fregolent, Farronato, 2014; Leoni et al., 2014).

Dal punto di vista culturale, le botteghe artigiane sono luoghi in cui si tramandano i mestieri e quindi i saperi che le persone si sono costruite negli anni; sono un valore aggiunto e un servizio all’offerta culturale e turistica di un territorio, fungendo da trait d’union tra cultura e ambiente da un lato, e turismo dall’altro. Inoltre, esattamente come per tutte le attività commerciali, è possibile affermare che le città (e in particolare i centri storici) che trovano nell’artigianato la loro attività principale sono vivaci, aperte, disincantate, ricche di esperienze umane. Di fatto, si registra oggi una relativa convergenza tra operatori del settore e amministratori locali sul ruolo che l’artigianato può avere nella promozione di uno sviluppo locale sostenibile. Questo sia in chiave di marketing territoriale o place branding, sia in una prospettiva di tutela del patrimonio culturale, dei prodotti tipici e delle tradizioni locali (Battilani, 2018; Cirelli, Nicosia, 2014; Ferrucci, 2015; Iacovone 2018).

È senz’altro per gli stessi motivi, oltre all’attribuzione di una valenza culturale sia all’artigianato, sia ai centri storici, che da decenni sono stati sviluppati interventi e varate normative a favore dell’uno e dell’altro, spesso in modo congiunto. Numerosi piani e programmi comunitari includono misure e interventi dedicati all’artigianato, spesso in relazione al patrimonio culturale (Commissione Europea, 2019). Inoltre, come esplicitamente inserito nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile promossa dall’ONU (2015), l’artigianato può costituire un fattore determinante per il raggiungimento dell’obiettivo di «rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili».

Un rinnovato interesse per il mondo dell’artigianato è inoltre percettibile, in Italia e all’estero, nello specifico o nell’ambito delle “economie creative”. Accanto alla crescente presenza dei termini arts & crafts nei titoli indicizzati da Google Books, vanno segnalati in particolare, come evidenziato in Busacca e Paladini (2019), L’uomo artigiano del sociologo americano Richard Sennett (2008), Futuro artigiano dell’economista Stefano Micelli (2011), le pubblicazioni della Fondazione Cologni sui “mestieri d’arte” e il Made in Italy.

Numerose sono anche le iniziative didattiche e i progetti di ricerca sviluppati in collaborazione con enti pubblici e non, come quelli evocati in (Fregolent, Farronato, 2014; Leoni et al., 2015) o il progetto Interreg IVC 2007-2013 INNOCRAFTS, coordinato dal Comune di Firenze.

La relazione tra tradizione, modernità e mercato non è però sempre virtuosa e presenta aspetti problematici non secondari, esponendo molte di queste imprese artigiane ad alta valenza culturale a una crescente difficoltà di sostenibilità economica, mettendo a rischio l’intero patrimonio immateriale da loro custodia.

Rigenerazione urbana e punti di contatto tra impresa artigiana e impresa sociale

Posto il crescente riconoscimento del ruolo dell’artigianato nei territori, in questa sede ci si interroga sui punti di contatto tra l’impresa artigiana e l’impresa sociale. Alcuni di essi sembrano maggiormente evidenti in ambiti riferibili alla rigenerazione urbana.

Nei diversi approcci alla rigenerazione urbana riscontrabili nella letteratura accademica, il ruolo dell’artigianato pare ricondursi a una particolare declinazione del concetto “rigenerazione”. L’approccio utilizzato in questo scritto fa riferimento alla definizione di Roberts (2000) secondo cui la rigenerazione comprende «una visione e un’azione globale e integrata che conduce alla risoluzione dei problemi urbani e che cerca di portare un miglioramento duraturo delle condizioni economiche, fisiche, sociali e ambientali di un’area che è stata soggetta a cambiamenti» (Ibid). Si fa inoltre riferimento al ruolo ricoperto dalle imprese operanti nel settore culturale, come intese da Florida (2004).

Nell’ultimo decennio vari progetti ed esperienze hanno esplorato il ruolo che l’artigianato potrebbe svolgere nello sviluppo sociale e in pratiche di empowerment. Si tratta di un artigianato diffuso e vitale, in grado di inglobare persone con diversi trascorsi e necessità. Esso riscopre la sua versatilità e le possibilità di applicazione del suo patrimonio culturale, che consiste in un vasto bagaglio di conoscenze e competenze, ma anche in un particolare modo di agire e pensare: l’agire artigiano su cui Sennett immagina di fondare un nuovo paradigma sociale. Una società che percepisce il valore dell’artigianato per il benessere sociale e lo impiega nelle sue attività, mantenendone viva la pratica, è una società che si riflette nel patrimonio culturale immateriale rappresentato dai saperi artigianali.

In queste dinamiche, sembrano verificarsi alcuni punti di contatto, seppur ancora marginali e insufficienti, tra le imprese artigiane – prevalentemente di natura artistico e tradizionali, con un maestro artigiano all’interno e operanti in attività con valenza sociale – e l’impresa sociale come intesa nel nostro ordinamento dalle l.n. 155/2006. In particolare, tra i punti di contatto paiono esserci:

  • la produzione di benefici diretti a favore di una intera comunità, seppur in modo non esplicito e dichiarato come per le imprese sociali;
  • le possibili ricadute a vantaggio della comunità e di coloro che utilizzano i beni o i servizi prodotti;
  • Il tutelare e promuovere un “bene comune”, quale il patrimonio culturale immateriale da esse custodito;
  • la valorizzazione del patrimonio culturale, ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42;
  • la tendenza più alla sopravvivenza (ad un contesto di mercato diventato ostile) che alla ricerca del massimo profitto possibile;
  • la distribuzione degli utili è, se presente, limitata alla sussistenza dell’imprenditore e della sua famiglia;
  • la capacità e l’innata tendenza a costruire relazioni e fiducia tra attori locali;
  • la tendenza alla creazione di capitale sociale.

Come affermato da Borzaga (2010), a definire un’impresa come sociale sono sempre più spesso non i beni e i servizi prodotti, ma gli obiettivi e le modalità con cui la produzione è realizzata. Sia in ambito scientifico che legislativo si sono dunque ampliati i settori in cui operano le imprese sociale, travalicando i confini dettati per le cooperative sociali – che nel nostro Paese hanno costituito la forma più longeva e diffusa di impresa sociale – (servizi sociali e inserimento lavorativo di persone svantaggiate). Se sono chiaramente ricomprese tra le attività delle imprese sociali quelle di «finanza etica, di microcredito, di commercio equo e solidale e, più in generale, le iniziative produttive di beni e servizi, anche privati, che si propongono obiettivi diversi dal profitto dei proprietari» (Yunus, 2008), di più dubbia interpretazione è se le imprese dichiaratamente orientate al profitto devono essere escluse to court, o se possano rientrare tra le “aree grigie”, in quanto imprese convenzionali formalmente orientate al profitto, ma che nella prassi non perseguono la sua massimizzazione (Borzaga, 2010). Sicuramente uno dei principali elementi che esclude l’inserimento delle imprese artigiane nella qualifica d’impresa sociale è la loro natura giuridica, che le vede prevalentemente imprese unipersonali o famigliari, senza o con pochi dipendenti. Come affermato nel d.gls. 112/2017, non possono acquisire la qualifica di impresa sociale le società costituite da un unico socio persona fisica.

Se l’impresa artigiana prescinde da specifiche forme giuridiche, e può sicuramente rispettare molti dei requisiti derivanti dalla dimensione economico imprenditoriale elencati nella principale definizione di impresa sociale proposta alla fine degli anni ‘90 dal network EMES (Borzaga, Defourny, 2001; Defourny, Nyssens, 2008), certamente essa non ne possiede alcuni di determinanti, quali la partecipazione degli stakeholder alle decisioni aziendali e il vincolo di non distribuzione degli utili. In tal senso non è possibile porre in equivalenza una situazione di scarsa redditività di fatto di molte piccole imprese artigiane e il vincolo statutario richiesto alle imprese sociali. Le aziende artigiane, inoltre, non possiedono i requisiti sociali – come elencati nella legge n.155/2006 – necessari per essere definite tali. La loro valenza sociale sembra dunque non solo non riconosciuta, ma anche condannata ad essere di “serie b” rispetto alla platea di beneficiari a cui la legge sull’impresa sociale si rivolge.

Il presente elaborato analizzerà sei casi di imprese artigiane che presentano una rilevanza sociale di rilievo, al fine di evidenziare che già avvengono punti di contatto, e talvolta di sovrapposizione, tra le imprese sociali e questa particolare categoria di imprese.

Sei casi di impresa artigiana ad alta valenza sociale

La fabrique NOMADE

L’associazione parigina La fabrique NOMADE nasce nel 2016, con lo scopo di valorizzazione il savoirfaire di rifugiati e immigrati. Si occupa dell’inserimento professionale di cittadini di paesi terzi risiedenti regolarmente sul territorio francese che possiedano competenze tecniche riconducibili alla sfera dei mestieri dell’artigianato artistico. Si tratta di un’iniziativa sperimentale che unisce organicamente due ambiti molto complessi: l’artigianato artistico tradizionale e l’inserimento professionale di stranieri.

Come si evince dal sito internet dell’associazione, l’attività si sostanzia in un programma di accompagnamento di durata variabile, progettato per rinfrancare la fiducia degli artigiani in sé stessi e per aumentare la loro conoscenza del settore dell’artigianato artistico e tradizionale occidentale. Un percorso che non deve però considerarsi strettamente alla stregua di una formazione o di un avviamento lavorativo, poiché non assicura una continuità diretta tra le attività svolte durante l’ accompagnamento e il mondo del lavoro; gli artigiani migranti che vi prenderanno parte devono dunque trovarsi nella condizione di poter dedicare diversi mesi al progetto e devono essere motivati a mettersi in gioco per avere la possibilità di praticare il proprio mestiere artigianale d’origine in Europa.

Nel settembre 2016 l’associazione viene selezionata per prendere parte al programma di avviamento Les Audacieuses d’Ile de France de La Ruche, rivolto a donne imprenditrici nel sociale della regione di Parigi; risulta inoltre assegnataria di una sede, dove vengono installati i laboratori artigianali. Ad oggi La fabrique NOMADE ha completato tre cicli di accompagnamento lavorativo rivolti ad artigiani migranti, per un totale di 15 artigiani accompagnati, 3 collezioni sviluppate e centinaia di manufatti realizzati.

Il programma di accompagnamento che La fabrique NOMADE ha concepito per rimuovere alcuni fattori frenanti – barriere socio-linguistiche, assenza di reti di rapporti interpersonali, mancato riconoscimento delle qualifiche, esperienze e competenze professionali da parte della società di accoglienza, scarsa conoscenza del mercato francese – si compone di cinque moduli interrelati. Il primo consiste in corsi di lingua specifici per i mestieri d’arte, ovvero focalizzati su termini e formule da utilizzare in ambito lavorativo. Nel secondo modulo gli artigiani sono portati a visitare musei, esposizioni, rivendite di oggetti di design, imprese artigiane, per conoscere il mercato francese di riferimento sia da un punto di vista artistico che commerciale.

Di grande importanza è il terzo modulo: gli artigiani tengono degli atelier di pratica artigianale, diventando maestri e insegnanti del proprio savoirfaire. Questa attività, oltre a essere funzionale per la raccolta di fondi attraverso le quote di iscrizione dei partecipanti e per aumentare la visibilità degli artigiani e dell’associazione, permette agli stessi di praticare la lingua francese, intessere relazioni sociali, ma soprattutto di riacquistare fiducia in sé stessi comprendendo l’interesse e la stima che il loro savoirfaire suscita nel pubblico.

Il quarto modulo prevede una collaborazione professionale con alcuni designer francesi. Ogni artigiano, in coppia con un designer, crea una serie limitata di oggetti che vogliono essere rappresentativi della sua abilità tecnica e competenza professionale. Ad oggi sono state prodotte tre collezioni con le rispettive serate di lancio, che hanno riscosso grande successo in termini di pubblico e vendita di oggetti. Questo modulo, per la sua complessità organizzativa e per le sue implicazioni, è diventato il cuore dell’attività dell’associazione. Il momento di progettazione in collaborazione con i designer, seguito dalla fase produttiva accompagnata da un responsabile di produzione e da un responsabile della collezione, rappresentano una prima esperienza lavorativa per i migranti in qualità di artigiani in Francia: sono portati a interfacciarsi con varie figure professionali e vengono invitati a rispettare gli orari di lavoro, le quantità di produzione e gli standard di qualità determinati. Il quinto ed ultimo modulo consiste nell’attivazione di uno stage presso un ente esterno.

Cucula project

Nato nel 2014 a Berlino, il Cucula project ha visto la collaborazione di designer e giovani rifugiati maliani e nigeriani per la fabbricazione di mobili di legno sulla base dei disegni del progetto “Autoprogettazione” di Enzo Mari. Cucula è un laboratorio di artigianato e design, ma anche un’associazione per l’educazione di giovani rifugiati ai mestieri della falegnameria, oltre che una piattaforma per scambi culturali sul tema delle migrazioni. La particolarità dei mobili che Cucula continua a produrre e vendere, è l’utilizzo di assi di legno provenienti dalle imbarcazioni utilizzate da migranti per attraversare il Mediterraneo per raggiungere l’Europa.

La Cucula - Refugees Company for Crafts and Design è una manifattura, una piattaforma per lo scambio interculturale e un programma sperimentale di preparazione professionale; un progetto modello che supporta i rifugiati nella costruzione del proprio futuro professionale. Nel laboratorio Cucula, fino a otto giovani rifugiati (a rotazione costante) apprendono le competenze di base nel design e nell’artigianato. Con l’aiuto del programma di formazione integrato Cucula Education – in cui si offrono corsi, moduli pratici, nonché consulenza legale individuale e supporto quotidiano – i tirocinanti si preparano per il loro apprendistato, corso di studio o professione sotto forma di lavoro a tempo indeterminato, stage o semplicemente come partecipante al programma educativo. Lo scopo di questo programma è quello di fornire una struttura, per consentire l’accesso ai social network, per promuovere l’autoefficacia e la capacità di agire, sviluppare, pianificare e attuare le proprie prospettive professionali future.

Come manifattura, Cucula produce e vende oggetti di design di alta qualità. In collaborazione con i rifugiati, i designer e gli artisti, crea uno spazio di produzione vivace nel laboratorio dell’azienda, in cui vengono eseguiti una varietà di progetti e lavori su commissione, tra cui lavori di falegnameria, sviluppo del prodotto, scenografia, performance art ed elementi su misura. La produzione collettiva fornisce ai rifugiati una prospettiva concreta per preparare il loro futuro e contemporaneamente cofinanziare la loro formazione. In questo modo, Cucula rappresenta un modello che offre opportunità lavorative agli individui e soluzioni alle questioni sociali, insistendo su processi di uguaglianza sociale in contesti di vita reale.

Atena / Ex Libris

Nel 2017 la società Ecipa Nordest ha promosso il progetto “Atena, recupero e innovazione delle arti e dei mestieri a Venezia: fabbri, ceramisti, vetrai”, per contribuire ad un ricambio generazionale per fabbri, ceramisti e vetrai veneziani, attraverso l’inserimento professionale di disoccupati e svantaggiati.

Grazie ad un periodo di tirocinio di quattro mesi in rapporto uno a uno con un maestro artigiano, il progetto ha inteso tramandare e valorizzare in ottica innovativa questi mestieri mediante l’apporto di nuove leve, adeguatamente formate, e attraverso la costruzione di una rete tra soggetti diversi interessati a creare valore comune e maggior sostenibilità a livello locale. Una delle finalità del progetto è stata favorire l’occupazione di persone in condizioni di svantaggio (es. disoccupazione) che fossero motivate ad apprendere lavori artistici e tradizionali basati sul “saper fare con le mani e con il cuore”, per dare un contributo attivo per il recupero e la valorizzazione di mestieri antichi, in risposta al concreto rischio di perdita dell’immenso patrimonio di conoscenze, tecniche e tradizione che essi rappresentano. Il progetto si è dunque rivolto a disoccupati (privi di lavoro e immediatamente disponibili allo svolgimento di attività lavorativa) e svantaggiati (secondo le definizioni Reg. UE n.651/201 e L.381/1991). I disoccupati selezionati hanno partecipato a un insieme di interventi integrati che hanno generato un ambiente di apprendimento complesso e stimolante: formazione, tirocini, laboratori creativ, visite di studio, workshop tematici, project work per l’avvio di attività autonoma. Sono stati realizzati in particolare 5 tirocini della durata di 4 mesi, svolti presso le botteghe artigiane che hanno aderito al progetto (3 fabbri, 1 ceramista, 1 vetraio).

Al progetto Atena è seguito il progetto Ex Libris. Recupero e valorizzazione dei mestieri collegati alla carta e alla rilegatura d’arte, nel 2018, specializzato nel recupero e valorizzazione dei mestieri collegati alla lavorazione della carta e della legatoria d’arte.

Il progetto ha risposto ai fabbisogni professionali di un gruppo di botteghe artigiane d’alta qualità e di lunga tradizione, che operano nel territorio veneziano e si occupano di lavorazione della carta e stampa. Le botteghe artigiane partner del progetto si occupano di: produzione di carta a mano di alta qualità utilizzata da artisti e per la fabbricazione di block notes e sketch book, con rilegature in pelle e finiture di tipi diversi; legatoria di ogni tipo, produzione di stampe di pregio da incisioni con il torchio a mano o con altri tipi di tecniche incisorie; grafica creativa; stampa a caratteri mobili, serigrafia d’arte; produzione di oggettistica in carta fino a libri d’artista più sofisticati o al restauro di libri antichi. Le finalità del progetto sono state le stesse del progetto Atena, sia in termini di riuscire a tramandare e valorizzare in ottica innovativa certi mestieri, che di inserimento lavorativo di disoccupati o svantaggiati. Entrambi i progetti sono stati finanziati dal Fondo Sociale Europeo.

I progetti delle case circondariali di Santa Maria Maggiore, Piazza Lanza, Bollate e San Vittore

In Italia molte iniziative che hanno coinvolto il modo dell’artigianato si sono sviluppate per creare sbocchi lavorativi in contesti di legalità per i detenuti e, soprattutto, le detenute delle carceri.

Tra queste vi è la Cooperativa sociale Rio Terà dei Pensieri, per la riabilitazione professionale dei detenuti del carcere maschile di Santa Maria Maggiore a Venezia; la cooperativa organizza un laboratorio artigianale di PVC riciclato per la creazione delle borse e accessori della linea Malefatte.

Nella Casa Circondariale di Piazza Lanza a Catania opera la Cooperativa sociale FiloDritto che si occupa del recupero delle arti tessili siciliane e, in particolar modo, della lavorazione artigianale del feltro; le detenute vengono formate alla produzione di oggetti in feltro e i manufatti vengono poi commercializzati rendendo tale attività una fattispecie di lavoro creativo remunerato.

Anche negli Istituti Penitenziari di Bollate e San Vittore sono stati installati dei laboratori tessili; si tratta della sartoria San Vittore, il brand di moda di Cooperativa sociale Alice, per l’inserimento lavorativo delle donne detenute; la sartoria San Vittore realizza e vende capi di abbigliamento disegnati da stilisti e toghe su misura per magistrati e avocati, secondo la tradizione forense.

Base

Tra i servizi tipicamente sociali in cui l’artigianato gioca spesso un ruolo importante, quantomeno in riferimento ai servizi per l’abitare, vi sono quelli di portierato. In questo saggio, tra i tanti, è stato scelto il caso del portierato sociale Base, a Milano.

La portineria è da sempre il punto di riferimento formale e informale delle comunità di abitanti. Crocevia delle informazioni, approdo certo dei condomini in cerca di orientamento, ma anche di servizi semplici quanto essenziali (dal cambio delle lampadine all’accoglienza degli artigiani).

La Portineria di Base dal 2016 è diventata hub informativo e di servizi per il polo ex-Ansaldo di Milano e per i residenti e i lavoratori della zona. Inoltre, è il luogo di coordinamento e diffusione delle informazioni relative a tutte le attività che si svolgono nell’ex-Ansaldo (Laboratori della Scala, Mudec, Base Milano, casaBASE, officinaBASE, burò, CariploFactory e i nuovi i laboratori della compagnia Colla), ma anche dei principali eventi e luoghi di innovazione sociale e culturale della città. Progressivamente, sono stati attivati servizi di prossimità per i lavoratori e i residenti, per rispondere a problemi semplici che spesso complicano la vita: la ricezione dei pacchi, la cura delle piante e degli animali domestici, il ritiro della lavanderia. Tra i servizi della portineria vi sono:

  • Info Point: la Portineria orienta i visitatori tra i diversi edifici e tra le diverse attività della programmazione culturale di Base, Mudec, Laboratori del Teatro la Scala e MUTEF-Teatro dei Colla.
  • Servizi di ricezione pacchi e corrispondenza, deposito chiavi, recapito spesa e custodia temporanea di piccoli oggetti
  • Servizi di buon vicinato: la Portineria mette in contatto i cittadini, in particolare del quartiere, creando fiducia, circolarità, socialità e aiuto alla risoluzione di piccoli problemi domestici. In particolare mediante servizi di artigianato, bricolage, riparazioni, consulenza informatica, visite e piccoli aiuti domestici, assistenza, pagamenti di bollette, spesa per anziani, ripetizioni, etc.
  • Scambio di libri e di oggetti: il servizio di “Biblioteca delle cose” prevede il prestito di oggetti (utensili da giardino, cassetta degli attrezzi, macchina da cucire, piccoli elettrodomestici, attrezzi, giochi) per 1-2 settimane o 1 mese. Si accede al servizio attraverso la messa a disposizione di almeno un oggetto in buono stato. Nel caso di prestito di oggetti di valore è previsto il deposito di una caparra.
  • Il mercato di quartiere: vengono messi in contatto i produttori artigiani e i consumatori. Ogni settimana i produttori venderanno i loro prodotti online, direttamente ai lavoratori dell’ex Ansaldo, delle aziende vicine e agli abitanti del quartiere. La distribuzione dei prodotti avviene presso la Portineria, nella fascia oraria e nel giorno stabilito.

Riqualificazione urbana a cura di botteghe artigiane: il caso Venice Original

Il progetto Venice Original si sviluppa tra il 2014 e il 2019 da fondi relativi alla riqualificazione urbana della Camera di Commercio di Venezia. Promosso da Ecipa Nordest e la CNA Metropolitana di Venezia, si presenta come una guida che, proponendo percorsi alternativi agli itinerari mainstream del turismo di massa, rilancia l’artigianato attivo nel centro storico di Venezia, promuovendo il territorio e valorizzando i mestieri tipici e storici della laguna.

Venice Original riunisce artigiani “originali” attivi nel centro storico di Venezia in una piattaforma disponibile sul sito web www.veniceoriginal.it, interamente dedicato alla descrizione dei laboratori artigianali e dei loro prodotti. Una mappa interattiva presenta le botteghe e guida l’utente alla visita della laguna, promuovendo il territorio con itinerari tematici volti a riscoprire le tradizioni della città.

Il progetto ha coinvolto oltre 100 botteghe dell’artigianato di qualità del centro storico veneziano (su un totale di 1087 artigiani complessivi), di cui 40, oltre ad essere inserite nella piattaforma con apposita descrizione testuale e fotografica e nella relativa mappa, sono state inserite in 4 percorsi tematici dell’artigianato artistico e tradizionale.

Tre percorsi sono stati relativi agli antichi mestieri della gondola, del vetro e della maschera ed hanno evidenziato diverse tecniche di lavorazione dei manufatti, le varie componenti e fasi di lavoro, le molteplici interpretazioni possibili delle varie lavorazioni, ecc. Il quarto percorso si è riferito alla specifica zona del cosiddetto «chilometro dell’arte», compresa tra le Gallerie dell’Accademia e Punta della Dogana, passando per Palazzo Cini e Guggenheim.

L’idea progettuale ha sviluppato un importante partenariato, composto da molteplici istituzioni pubbliche ed organizzazioni private locali. Oltre all’Ente Camerale, finanziatore del progetto, la CNA Associazione Artigiani del centro storico di Venezia in stretto rapporto con il Maclab (Laboratorio di Management dell’Arte e della Cultura dell’Università Ca’ Foscari Venezia) ha coinvolto in modo attivo: Comune di Venezia, l’Accademia delle Belle Arti di Venezia, il Conservatorio di musica di Venezia, Sumo Società Cooperativa Sociale, Ca’ Foscari Alumni, Science Gallery Venice, Associazione El Felze, Associazione compagnia dei Mascareri, Associazione Maestri Vetrai, Associazione Marco Polo.

Gli scopi di Venice Original sono evidenziare (e valorizzare) le botteghe artigiane storiche e tradizionali del centro storico di Venezia, identificandole mediante l’applicazione sulla vetrina di un marchio distintivo di qualità artigiana “Venice Original”; produrre inoltre un lavoro culturale che sviluppi e rafforzi l’identità del luogo oggetto dell’intervento, contribuendo a implementare le capacità di proposta dei soggetti economici coinvolti, anche grazie alla costituzione di una rete in grado di realizzare iniziative e autopromuoversi per il futuro.

Discussione

La versatilità dell’artigianato e le molteplici possibilità di applicazione del suo patrimonio culturale, che consiste in un vasto bagaglio di conoscenze e competenze, ma anche in un particolare modo di agire e pensare, potrebbe forse essere in grado di fondare, come immaginato da Sennett, un nuovo paradigma sociale. Una società che percepisce il valore dell’artigianato per il benessere sociale e lo impiega nelle sue attività, mantenendone viva la pratica, è una società che si riflette nel patrimonio culturale immateriale rappresentato dai saperi artigianali.

Le progettualità prese ad esempio in questo elaborato evidenziano diversi flussi relazionali che si instaurano tra l’impresa ed i diversi attori del network: il mercato costituito da clienti, i fornitori di beni e servizi ed altre organizzazioni presenti sul territorio, il rapporto con le istituzioni cittadine, le relazioni sviluppate con e a favore dei soggetti destinatari degli interventi, etc. Attraverso le relazioni che si instaurano tra impresa ed attori, ma anche tra gli stessi soggetti, sono scambiate risorse sia tangibili che intangibili, quali la conoscenza e le esperienze. Si crea un vero e proprio circuito che implica effetti sul territorio e sull’ambiente esterno: parallelamente lo stesso ambiente determina effetti sulle relazioni che prendono forma e su quelle già instaurate (Ford et al., 1998). Nella fattispecie, i diversi campi in cui si inseriscono le attività artigianali coinvolte, riflettono la capacità di adattamento del comparto ad essere un perfetto strumento se non di propulsione quanto meno a supporto di attività prettamente sociali.

Nei casi evidenziati le attività sociali si sono realizzate per mezzo dell’artigianato o comunque coinvolgendo imprese nel processo produttivo del bene/servizio erogato. Al di là della forma giuridica dell’organizzazione promotrice dell’intervento, è possibile affermare che senza le competenze e la disponibilità dei maestri artigiani coinvolti tali iniziative non si sarebbero certamente potute portare a compimento. Pur riscontrando nella pratica una certa frequenza di esemplificazioni simili a quelle qui riportate, in cui l’artigianato interviene in modo diretto in campi tipicamente di competenza delle imprese sociali, quali i servizi di welfare e di servizio della comunità, i limitati riferimenti bibliografici trovati in letteratura sul nesso tra imprese artigiane e imprese sociali, che di contro rappresenta il punto chiave del saggio, evidenziano come la distanza tra i due mondi almeno a livello teorico resti ancora marcata, probabilmente anche per un fattore culturale e di approccio.

Il contributo di questo paper alla comprensione del fenomeno evidenzia i termini attraverso cui un’impresa artigiana a valenza culturale persegue o può perseguire finalità sociali. Così come avviene nelle progettualità qui descritte, in molteplici casi le imprese artigiane si mettono a servizio della comunità, sposano una specifica causa e dedicano parte del loro tempo, se non la totalità, al compimento di azioni che esulano dalla ricerca della massimizzazione del profitto e si spostano (quanto meno informalmente) nel campo del non profit.

Certo resta la fragilità dell’ipotesi qui dichiarata, supportata anche da oggettive distanze formali tra le diverse tipologie di imprese (imprese unipersonali, con scopo di lucro, etc., che poco hanno a che fare con la natura strutturale delle imprese sociali previste dalla normativa di riferimento), pur avendo evidenziato che in alcuni casi questo avvicinamento avviene nella sostanza. Certo le imprese artigiane, pur operanti mediante tali modalità e seppur orientate nel proprio agire da tali fini sociali, restano pur sempre imprese che possono distribuirsi l’utile, utilizzando le risorse eccedenti diversamente dalle imprese sociali. Inoltre, l’impresa artigiana non è tenuta a coinvolgere gli stakeholder nella propria governance né alla democraticità della gestione, differenziandosi nettamente in tal senso dalle imprese sociali.

Conclusioni

Il paper evidenzia il ruolo che le imprese artigiane possono avere rispetto a campi d’intervento con elevata valenza sociale, talvolta esplicitamente di natura sociosanitaria e/o assistenziale. Pur evidenziando le analogie e le differenze tre le imprese artigiane e le imprese sociali – e azzardando l’ipotesi che le attività artigiane possano rientrare a far parte dei molteplici settori di attività delle imprese sociali, poiché in determinate condizioni si comportano come tali – la ricerca presenta alcuni casi in cui la tipologia di organizzazione coinvolta sembra contare molto meno rispetto alla finalità dell’azione svolta.

Rispetto ai risultati attesi dichiarati, gli esempi analizzati evidenziano le variegate modalità con cui le imprese artigiane possono essere considerate come vere e proprie imprese sociali, pur avendo scopo di lucro. Se i principali impedimenti a questo ingresso semantico paiono essere più di natura giuridico formale che sostanziale, questo fenomeno potrebbe contribuire ad un possibile progressivo assottigliamento del confine profit/non profit che qualifica l’impresa sociale, implicando la costante necessità di valutare l’ampliamento dei confini posti.

Nella fattispecie, la partecipazione delle imprese ai servizi di welfare e ai processi d’inclusione sociale e di rigenerazione urbana qui presentati, ha favorito l’intensificarsi del loro ruolo rispetto alla comunità. In questa chiave le imprese artigiane diventano co-autrici di politiche con un chiaro scopo sociale, venendo identificate di fatto come imprese sociali, non per i beni e i servizi prodotti, ma per gli obiettivi e le modalità con cui la produzione è realizzata. Imprese che diventano dunque sociali de facto e non ex lege e in base al codice Ateco. In tal senso, molte delle progettualità presentate, partecipano alla costruzione di un’idea di luogo che abbraccia un nuovo modello di sviluppo, in grado di riscoprire un rapporto tra sociale ed economico, producendo benefici e ricadute dirette a favore di una intera comunità e di coloro che utilizzano i beni o i servizi prodotti. In uno scenario (e rispetto al dibattito in merito) in cui non sembra esclusa la possibilità di ampliare lo spettro di attività delle imprese sociali, per la loro natura complessa e poliedrica e di difficile interpretazione unitaria, oltre che per la mancanza di molteplici requisiti spiccatamente di natura sociale, le attività artigianali non sono ricomprese in questo elenco/possibilità.

In questo paper si sono evidenziati alcuni elementi di vicinanza rispetto ad una funzione sociale agita da tali imprese, in antitesi rispetto alla mera ricerca del profitto. Nella fattispecie, dopo aver evidenziato il ruolo riconosciuto alle piccole imprese artigiane operanti nell’inserimento lavorativo di persone svantaggiate quali disoccupati, migranti e lavoratori delle carceri, nonché nella cultura, si è evidenziato come una parte di aziende artigiane sembri essere particolarmente orientata alla vocazione sociale, contribuendo a sviluppare nel concreto la comunità di riferimento, anche operando nei servizi sociali di welfare.

Sulla base delle esemplificazioni qui riportate è possibile affermare che il mestiere artigiano può favorire l’inserimento lavorativo di persone fragili, che è comunque cosa diversa dal sostenere che l’artigiano sia di per sé un’impresa sociale. Per analogia con quanto affermato da Arena (2020) rispetto ai cittadini “attivi”, anche gli artigiani, e in generale le imprese private, potrebbero rientrare nel polo dell’interesse generale, come sancito dalla costituzione all’art. 118, superando in tal modo la visione dicotomica del mondo (diviso in portatori di interessi pubblici e portatori di interessi privati) secondo la quale i portatori di interessi privati sono per definizione egoisti e incompetenti (Ibid).

Se l’impresa artigiana per la sua dimensione numericamente limitata e per il particolare legame con il territorio si candida ad essere l’impresa profit che più delle altre si può assumere responsabilità di welfare – non per operazioni di social accountability ma per la sua “naturale vocazione” e per il suo privilegiato rapporto con la storia, l’identità e la comunità territoriale – probabilmente si potrebbe sostenere l’ipotesi che, a determinate condizioni, essa possa avere diritto a un trattamento di favore, assieme alle imprese sociali, anche a tutela e supporto della loro sopravvivenza, oggi più che mai in grande difficoltà. In tal senso sarebbe interessante approfondire uno spazio ulteriore di ragionamento su come inquadrare questi aspetti sociali di un soggetto privato, a cavallo tra impresa sociale e Terzo settore, con fondamenti diversi da imprese benefit, la cui socialità è basata sul radicamento territoriale, sul condividere il destino del luogo in cui è inserita, sulle relazioni fiduciarie e sul capitale sociale.

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Note

  1. ^ Recommendation on the Safeguarding of Traditional Culture and Foklore, adottata a Parigi il 15 novembre 1989 dalla XXV Conferenza Generale UNESCO.
  2. ^ UNESCO Universal Declaration on cultural diversity, approvata a Parigi il 2 novembre 2001 dalla XXXI Conferenza Generale UNESCO.
  3. ^ Convention for the safeguarding of the Intangible Cultural Heritage, approvata a Parigi il 17 ottobre 2003 dalla XXXII Conferenza generale dell’UNESCO ed entrata in vigore il 20 aprile 2006. I Paesi parte sono attualmente 178. L’Italia ha ratificato la Convenzione il 30 ottobre 2007.
  4. ^ Convention on the Protection and Promotion of the Diversity of Cultural Expression, approvata il 20 ottobre 2005 a Parigi dalla XXXIII Conferenza Generale dell’UNESCO con 148 voti a favore, 4 astenuti e 2 contrari (Stati Uniti e Israele). La Convenzione è entrata in vigore il 18 marzo 2007. Attualmente gli Stati parte sono 145 ed è stata ratificata dall’Italia il 16 febbraio 2007.
  5. ^ Council of Europe Framework Convention on the Value of Cultural Heritage for Society, la Convenzione è stata adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 27 ottobre 2005 a Faro, in Portogallo ed è entrata in vigore il 1 giugno 2011. Gli Stati che hanno ratificato la Convenzione attualmente sono 18, l’Italia ha firmato la Convenzione il 27 febbraio 2013 ma non ha ratificato.
  6. ^ Cfr. https://www.cucula.org/en/, Banz, Krohn (2018), Herring (2018 - pp. 422-423).
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