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ISSN 2282-1694
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Numero 3 / 2022

Saggi brevi

L’analisi del valore aggiunto. Un’esperienza di valutazione di un progetto di agricoltura sociale

Roberta Mari, Massimo Santinello

Abstract

Il presente lavoro si pone l’obiettivo di analizzare il Valore Sociale Aggiunto di un progetto specifico di agricoltura sociale basandosi sul modello elaborato da Mannarini et al. (2018) che concepiscono il Valore Sociale Aggiunto come concetto psicosociale multidimensionale utile a capire l’impatto di un progetto utilizzando parametri diversi da prospettive econometriche. A tale scopo è stato somministrato un questionario a 11 partecipanti di cui 3 utenti del progetto e 8 dipendenti. I risultati hanno permesso di evidenziare la capacità del progetto di produrre valore sociale aggiunto, soprattutto in termini di identificazione con l’organizzazione che lo ospita e di senso di comunità.

Keywords: valore sociale aggiunto, reti sociali, agricoltura sociale

10.7425/IS.2022.03.07

Il Valore Sociale Aggiunto

Secondo Donati (2014) il Valore Sociale Aggiunto sarebbe riconducibile all’interazione tra i concetti di capitale sociale e di beni relazionali. Tale interazione sarebbe caratterizzata da un processo temporale consequenziale e non circolare o ricorsivo. Vi sarebbe inizialmente la produzione di un bene relazionale, ad esempio l’attivazione di relazioni all’interno di una rete per l’organizzazione di un servizio per la rete stessa (quale un servizio di day care per bambini), ciò porterebbe alla produzione di capitale sociale (ad esempio, cooperazione, reciprocità tra i membri della rete, fiducia) che, una volta prodotto, può rafforzare o generare nuovi beni relazionali (Donati, 2014). Il Valore Sociale Aggiunto consisterebbe nella differenza tra l’inizio e la fine del processo e rappresenterebbe quindi la “capacità della rete di produrre sociabilità quale valore aggiunto (che consiste nell’aumento di parametri relazionali, ad esempio: il grado di reciprocità, la cooperazione, la fiducia, l’affinità ecc.)” (Donati, 2014, p. 28). È utile precisare tuttavia che non tutte le relazioni producono dei beni relazionali, ma possono anche generare effetti negativi (relational evil; Donati, 2014).

In uno studio del 2012, Bassi cerca di definire e misurare la capacità delle organizzazioni non profit di produrre capitale sociale e beni relazionali. In tale studio l’autore riporta quattro declinazioni di “valore aggiunto” che possono essere prodotti da un’organizzazione di terzo settore: economico, politico, culturale e sociale. Nello specifico, quello sociale consiste nella creazione e produzione di beni relazionali (relazioni interne) e di capitale sociale (relazioni esterne). Bassi (2012) inoltre ha definito il concetto di Valore Sociale Aggiunto come costituito da tali dimensioni e ha successivamente costruito uno strumento in grado di indagarle (Social Added Value Evaluation system – S.A.V.E.).

Mannarini et al. (2018) hanno successivamente elaborato un modello e uno strumento di misurazione di Valore Sociale Aggiunto (VSA) e la cui validità è stata testata su 75 organizzazioni che operano nel settore sociale nel Sud Italia. Gli autori dello studio concepiscono il VSA come un concetto psicosociale multidimensionale, composto da relazioni esterne ed interne. Tali dimensioni (interna ed esterna) sarebbero costituite a loro volta da diversi costrutti, per la cui individuazione e definizione gli autori si sono ispirati a diversi concetti tipici della psicologia di comunità, ad esempio, il senso di comunità organizzativo, l’identificazione con l’organizzazione, ecc. (Mannarini et al., 2018). L’agricoltura sociale, essendo un’area che unisce il mondo agricolo e quello sociale può costituire un ambito utile alla sperimentazione di un metodo per cogliere il VSA prodotto da questo tipo di esperienze.

Obiettivi e metodologia della ricerca

L’obiettivo generale della presente ricerca è stato quello di esplorare l’applicabilità del costrutto di Valore Sociale Aggiunto in un progetto di agricoltura sociale. Per la sua natura esplorativa, si è scelto di concentrarsi in questa fase sull’analisi di un’unica esperienza, senza porci obiettivi di generalizzabilità dei risultati.

Per valutare il VSA si è scelto di adottare il modello elaborato da Mannarini et al. (2018) che prevede la sua misura come somma di alcuni punteggi derivanti da due set di indicatori: i beni relazionali interni (BRI) e i beni relazionali esterni (BRE).

Nello specifico, i beni relazionali interni (BRI) sono la risultante dei punteggi che derivano dalle scale relative ai seguenti costrutti:

  • Il senso di comunità organizzativo, con la scala COSOC-R (The Community Organization Sense of Community, Peterson et al., 2008) che prevede alcune domande che esplorano la relazione tra operatore e organizzazione, ad esempio: “Le persone hanno davvero un peso nella nostra organizzazione”. La scala è composta da 8 item che – secondo il framework concettuale di Hughey et al. (1999) su cui Mannarini et al. (2018) si sono basati – indagano quattro componenti: “la relazione con l’organizzazione, ovvero la qualità delle relazioni sul posto di lavoro, l’organizzazione come mediatrice tra l’individuo e altri gruppi entro la comunità allargata, l’influenza dell’organizzazione sulla comunità e il legame con la comunità” (Mannarini et al., 2018).
  • La qualità delle relazioni interne, misurata con un totale di 14 item selezionati in parte dalla scala di Zimet et al. (1998), per indagare il sostegno sociale che le persone percepiscono nelle relazioni all’interno dell’organizzazione, e in parte elaborati ad hoc da Mannarini et al. (2018) per misurare la qualità delle relazioni interpersonali e la soddisfazione per il ruolo ricoperto all’interno della cooperativa, con affermazioni quali “Il clima all’interno dell’organizzazione è collaborativo” o “Sono soddisfatto del mio ruolo all’interno dell’organizzazione”.
  • La possibilità di influenza nell’organizzazione, con 4 item adattati da Bassi (2011) che indagano la percezione delle persone di avere un’influenza su alcuni processi inerenti alla cooperativa, quali la scelta del presidente o quelle politico-strategiche, la definizione di procedure; ad esempio: “Quali sono le reali possibilità da parte degli associati di influire sui seguenti processi? (scelta del presidente, definizione di strategie, etc.)”.
  • La responsabilità sociale dell’azienda verso i suoi membri, con la seconda delle quattro subscale fattoriali della Corporate Social Responsability (CSR) scale di Turker (2009) e che si riferisce “all’investimento delle organizzazioni in risorse umane, in termini di sviluppo di capacità trasversali e benessere” (Mannarini et al., 2018). In questo modo è stata misurata come viene percepita la responsabilità sociale nei confronti dei membri dell’organizzazione, con 6 item quali: “La nostra organizzazione incoraggia le persone che ci lavorano a sviluppare competenze”.
  • L’indicatore di identificazione organizzativa con la scala Six-items measure of organizational identification (SOI) di Mael e Ashforth (1992) nell’adattamento italiano di Manuti e Bosco (2012) che mira a indagare come l’organizzazione influenzi l’identità sociale dei membri e come essa possa renderli fieri di appartenere all’organizzazione. Mael e Ashforth (1992) ritengono che l’identità organizzativa consista in una forma specifica di identificazione sociale e che se l’organizzazione promuove l’autostima dei membri che ve ne fanno parte, essi tendono ad identificarsi maggiormente con essa (Mannarini et al., 2018). Un esempio di item è: “Quando parlo dell’organizzazione per la quale lavoro generalmente dico ‘noi’ piuttosto che ‘loro’”.

Per la valutazione dei beni relazionali esterni (BRE) si sono usate le risposte alle seguenti scale:

  • La qualità delle relazioni esterne, con 15 item tratti e adattati da Kang et al. (2013) che misurano tre aspetti relativi alle relazioni che l’organizzazione intrattiene con attori esterni: le norme relazionali, la soddisfazione relazionale e il grado di conflitto nelle relazioni. Si richiede di esprimere il grado di accordo con frasi quali “abbiamo una relazione collaborativa” relativa ai partner con cui si hanno relazioni esterne al progetto.
  • La responsabilità sociale nei confronti degli utenti/beneficiari, con 3 item appartenenti alla terza subscala della CSR scale Turker (2009), che indagano il rispetto e la cura verso gli utenti o beneficiari dei servizi dell’organizzazione, con item quali “La soddisfazione degli utenti è molto importante per la nostra organizzazione”.
  • La responsabilità sociale nei confronti delle istituzioni, con la quarta subscala della CSR scale di Turker (2009), con item 6 item che misurano il grado di collaborazione con le istituzioni, con item quali “La nostra organizzazione collabora con le istituzioni pubbliche per implementare specifici programmi sociali e ambientali”.
  • La responsabilità verso la società in generale, con la prima subscala della CSR scale di Turker (2009), composta da 6 item relativi all’attenzione verso l’ambiente, i problemi sociali o il benessere sociale generale, con item quali: “La nostra organizzazione contribuisce con progetti e campagne di comunicazione a promuovere il benessere della società”.

Il punteggio totale del Valore Sociale Aggiunto è stato ottenuto sulla base del modello di Mannarini et al. (2018). Come specificato dalle autrici, solo alcuni item delle scale considerate sono state ritenute accettabili (in termini di indici di fit). Nello specifico, gli item con una saturazione bassa (λ < .40) sono stati esclusi dal modello, ad eccezione degli item relativi alla scala di “influenza sull’organizzazione” (con λ = .17) poiché l’eliminazione di tali item non influiva sul fit complessivo del modello. Inoltre, hanno proceduto a unire le sottoscale relative alla “responsabilità sociale verso gli utenti/beneficiari” e “verso le istituzioni” (CSR scale, Turker, 2009) per ottenere un fit migliore del modello.

Di conseguenza, gli item considerati per il calcolo del valore sociale aggiunto, secondo il modello di Mannarini et al. (2018) e relativi ai beni relazioni interni ed esterni sono i seguenti:

  • COSOC-R (Peterson et al., 2008): item 3, 4, 5, 6, 7, 8.
  • Qualità relazioni interne (Zimet et al., 1998 e item ad hoc da Mannarini et al., 2018): item 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 relativi al supporto; item 10, 11 relativi alle relazioni interpersonali; item 12, 13, 14 relativi alla soddisfazione di ruolo.
  • Influenza sull’organizzazione (item adattati da Bassi, 2011 in Mannarini et al., 2018): item 1, 2, 3, 4.
  • Responsabilità sociale nei confronti dei membri dell’organizzazione (seconda sottoscala della CSR scale di Turker, 2009): item 1, 2, 3, 4, 6.
  • Senso di identificazione organizzativa (SOI scale di Mael e Ashforth (1992), nell’adattamento italiano di Manuti e Bosco, 2012): item 1, 2, 3, 4, 5.
  • Responsabilità sociale nei confronti di stakeholder sociali e non sociali (prima sottoscala della CSR scale di Turker, 2009): item 1, 3, 4, 5, 6.
  • La responsabilità sociale nei confronti di utenti/beneficiari dell’organizzazione (terza sottoscala della CSR scale di Turker, 2009): item 1,3.
  • La responsabilità sociale nei confronti delle istituzioni (quarta sottoscala della CSR scale di Turker, 2009): item 2.
  • La qualità delle relazioni esterne (item adattati da Kang et al., 2013 in Mannarini et al., 2018): item 1, 3, 4, 5, 6 relativi alle norme relazionali; item 7, 8, 9 relativi alla soddisfazione e item 13, 15 relativi al conflitto. 

In questa fase esplorativa, oltre ai costrutti previsti dal modello di Mannarini et al. (2018), si è ritenuto di aggiungere e valutare il costrutto di identificazione organizzativa – già incluso nel modello di Mannarini et al. (2018) – con un’ulteriore scala, la Three components’ measure of organizational identification di Ellemers et al., (1999) nella versione italiana di Manuti e Bosco (2012), che sottolinea maggiormente la concezione di organizzazione come “noi” e che lega il concetto di identificazione organizzativa a quello di identificazione di gruppo, il quale risulta parte essenziale del commitment affettivo (Ellemers et al., 1999, p. 372 in Manuti e Bosco, 2012) verso l’organizzazione e che ne condiziona l’identificazione con essa.

Secondo Manuti e Bosco (2012), Ellemers et al. (1999) non distinguono i concetti di commitment e di identificazione, a differenza di Mael e Ashforth (1992), ma individuano una relazione di stretta connessione tra identificazione, coinvolgimento e impegno nel proprio lavoro. Ellemers et al. (1999) individuano quindi tre componenti dell’identificazione organizzativa e previste nella scala, ovvero: affective commitment, group self esteem e self-categorization (Manuti, Bosco, 2012).

Proprio per le differenze rilevate in letteratura relative alle due scale di misura di identificazione organizzativa, si è voluto indagare ulteriormente tale costrutto impiegando entrambe le misure per verificare ulteriormente come tale costrutto potesse avere un ruolo nella produzione di VSA.

Si è inoltre aggiunto il costrutto di empowerment con la scala di Spreitzer (1995) nell’adattamento italiano di Pietrantoni e Prati (2008) composta da 12 item, quali: “Riesco ad incidere in modo significativo su quanto accade nel contesto di lavoro” e divisa in quattro sottoscale (di tre item ciascuna): significatività, abilità, auto-determinazione, influenza. Tale strumento è stato aggiunto per esplorare l’eventuale relazione tra empowerment e VSA, nello specifico se ad un senso maggiore di empowerment percepito dai partecipanti corrispondesse anche un maggiore VSA.

L’analisi sul campo: il metodo

La ricerca ha coinvolto undici partecipanti adulti, due di sesso femminile e nove di sesso maschile parte del progetto di agricoltura sociale CosepBio della cooperativa sociale Cosep di Padova. I partecipanti sono stati reclutati su base volontaria. Oltre ai membri della cooperativa che lavorano al progetto sono stati coinvolti anche alcuni utenti del progetto poiché costituiscono parte attiva e fondamentale del progetto stesso. Tra questi hanno partecipato coloro il cui grado di comprensione degli strumenti è risultato sufficientemente buono.

Poiché i partecipanti alla ricerca hanno un grado di coinvolgimento e un ruolo diverso all’interno del progetto, oltre che gradi di comprensione diversa (alcuni partecipanti sono infatti dipendenti, dirigenti del progetto e altri sono utenti con diverse tipologie di difficoltà) sono stati elaborati due set di strumenti. Il primo riguarda i dipendenti e i dirigenti per i quali vengono somministrati tutti gli strumenti previsti nel modello del Valore Sociale Aggiunto di Mannarini et al. (2018) e quelli aggiunti nella presente ricerca e in precedenza descritti in dettaglio.

Per gli utenti il focus è stato limitato alle relazioni interne al progetto (BRI), supponendo che la consapevolezza delle relazioni tra la struttura e i soggetti esterni fossero meno percepibili da chi è solo un utilizzatore.

Per il gruppo dei dipendenti, si è calcolato (sommando i punteggi ottenuti nelle scale dei diversi indicatori), secondo il modello di Mannarini et al. (2018) il punteggio relativo ai beni relazionali interni (BRI), ai beni relazionali esterni (BRE) e al valore sociale aggiunto (VSA), selezionando solo gli item degli indicatori previsti dal modello per il calcolo del VSA, come descritto in precedenza.

Visto il numero ridotto dei soggetti, per le analisi dei dati si è proceduto al calcolo degli indicatori descrittivi (media e deviazione standard) e al confronto (senza avvalersi di test statistici) con i punteggi dello studio di Mannarini et al. (2018) o con altri studi disponibili in letteratura.

In assenza di altri studi il confronto è avvenuto con la media teorica, ossia il punteggio medio che si otterrebbe nella scala presa in considerazione se i soggetti rispondessero usando sempre la risposta intermedia tra quelle possibili. Questo confronto, seppur non permetta di trarre conclusioni estendibili a contesti più generali, è utile a interpretare i punteggi ottenuti in maniera positiva o negativa rispetto alla media teorica ottenuta.

Per analizzare le relazioni tra costrutti si è usato il coefficiente di correlazione di Pearson. Un valore elevato del coefficiente (che può variare tra 0 e 1) indica un buon grado di relazione tra i due costrutti, ma non va interpretato come un indicatore di causalità.

Si è consapevoli che il numero limitato di osservazioni riferite peraltro ad una unica impresa e il reclutamento volontario dei partecipanti rendono impossibile trarre conclusioni riferibili a soggetti diversi da quelli effettivamente analizzati; ma si è ritenuto comunque di esporre di seguito quanto emerso dall’indagine in quanto esemplificativi degli esiti conseguibili con la metodologia applicata.

Risultati

In Tabella 1 vengono riportati i punteggi ottenuti dai singoli dipendenti (da D1 a D8), la media dei punteggi del gruppo, la deviazione standard (ossia un indice di dispersione dei punteggi intorno alla media, indicata tra le parentesi) e la media teorica relativa ai BRI, ai BRE e al VSA ottenuta sommando i punteggi teorici delle diverse scale e dividendo il totale per il numero degli item. In questo modo si dispone di una indicazione “intermedia” tra il massimo e il minimo teorico.

Tabella 1. Punteggi totali di ogni dipendente relativi ai Beni Relazionali Interni, Beni Relazionali Esterni e Valore Sociale Aggiunto.

Se confrontati con la media teorica (ottenuta secondo la metodologia descritta in precedenza) i punteggi medi dei partecipanti nelle tre dimensioni risultano superiori. Ad esempio, relativamente ai beni relazionali esterni la media dei dipendenti è pari a 56.63 con DS pari a 21, e quindi superiore alla media teorica pari a 54. In particolare, quelli dei beni relazionali interni e del valore sociale aggiunto superano di oltre 15 punti la media teorica (un numero equivalente a 1 deviazione standard dei dati rilevati). Rispetto a quelli emersi dallo studio di Mannarini et al. (2018), i valori ottenuti sono tendenzialmente più bassi. Inoltre, relativamente al Valore Sociale Aggiunto, coloro che svolgono un ruolo dirigenziale (D7 e D8) presentano i valori più elevati.

Non disponendo di norme di riferimento relative ad una popolazione di partecipanti a progetti di agricoltura sociale con le quali poter confrontare i nostri risultati, i dati ottenuti dai nostri soggetti sembrano evidenziare da un lato una indicazione positiva rispetto al punteggio medio teorico, nel senso che si produca valore sociale, dall’altro, il confronto con i dati di Mannarini et al. (2018) sembra suggerire che altri progetti di area sociale producano un impatto maggiore.

In questo senso, in Tabella 2 vengono riportati i punteggi relativi ai costrutti per cui è stato possibili trovare altri confronti in letteratura, pur consapevoli che la numerosità del nostro gruppo di soggetti non consente di generalizzare l’interpretazione del confronto a tutta l’area dell’agricoltura sociale.

Nella Tabella 2 viene riportata oltre che la media del nostro gruppo di soggetti, la media ottenuta in un’altra esperienza e la media teorica di ogni scala per fornire un ulteriore riferimento utile ad interpretare il dato fornito. Per gli altri costrutti previsti nella ricerca non è stato possibile trovare studi recenti utili ad attuare tale confronto e pertanto non vengono riportati in tabella. 

Tabella 2. Medie e deviazioni standard dei punteggi ottenuti nel presente studio e dei punteggi rilevati in letteratura.

In Tabella 2 si può notare che relativamente al senso di comunità organizzativo, il punteggio medio ottenuto dai partecipanti nella presente ricerca è in linea con quello emerso nello studio di D’Aprile et al. (2014). In entrambi i casi, i valori sono superiori alla media teorica della scala (24) il che suggerisce che il senso di comunità organizzativo del gruppo dei dipendenti sia elevato.

Inoltre, i punteggi medi ottenuti nelle due scale relative all’identificazione organizzativa di Mael e Ashforth (1992) pari a 20.88 e di Ellemers et al. (1999) pari a 51.25 risultano superiori a quelli ottenuti da Manuti e Bosco (2012). Questo sembra indicare che i partecipanti presentino un buon grado di interiorizzazione dell’organizzazione per cui lavorano. Infine, per quanto riguarda l’empowerment il punteggio medio ottenuto pur risultando superiore alla media teorica della scala (48) è tendenzialmente inferiore rispetto ad altre esperienze della letteratura di Pietrantoni e Prati (2008) pari a 60.48.

In Tabella 3 vengono riportate le correlazioni – indicate con l’indice di correlazione di Pearson – emerse tra i costrutti che costituiscono i BRI e le due scale aggiunte nella presente ricerca, quella di identificazione organizzativa di Ellemers et al. (1999) e quella relativa all’empowerment di Spreitzer (1995). 

Tabella 3. Correlazioni tra scale dei beni relazionali interni, l’identificazione organizzativa e l’empowerment.

Dall’analisi delle correlazioni (Tabella 3) i coefficienti più elevati sono risultati quelli tra le scale relative ai beni relazionali interni, ovvero tra qualità delle relazioni interne e il senso di comunità organizzativo (0.70) e tra la qualità delle relazioni interne e l’identificazione organizzativa (0.80). Quindi, sembrerebbe che a una miglior qualità delle relazioni interne, corrisponda un forte senso di comunità organizzativo e un alto grado di identificazione con l’organizzazione lavorativa.

Come si può notare in Tabella 3, anche la correlazione tra la scala di identificazione organizzativa di Ellemers et al. (1999) e la scala di responsabilità sociale verso i membri risulta forte (0.67). Ad un alto senso di identificazione con l’organizzazione sembrerebbe corrispondere dunque una forte responsabilità sociale verso i membri dell’organizzazione stessa.

Per quanto riguarda i beni relazionali esterni (BRE) le correlazioni con i due costrutti aggiunti nella presente ricerca risultano deboli (r < 0.3) mentre quelli tra le scale relative alla responsabilità sociale verso diversi attori sono risultati particolarmente rilevanti e sono stati riportati in Tabella 4.

Tabella 4. Correlazioni tra scale, beni relazionali esterni, CSR scale di Turker (2009).

Tra questi, quello tra i punteggi della scala di responsabilità sociale nei confronti degli stakeholder sociali e non sociali e nei confronti delle istituzioni (0.96) fa pensare che sostanzialmente siano indicatori di uno stesso costrutto, e più in generale tali correlazioni suggeriscono l’ipotesi che un alto senso di responsabilità sociale dei dipendenti sia molto connesso a quello verso gli attori esterni – stakeholder sociali e non sociali e le istituzioni – ma anche verso gli attori interni, quali utenti e beneficiari dei servizi (Tabella 4). Quindi i coefficienti di correlazione elevati ci suggeriscono l’ipotesi che la responsabilità sociale sia un atteggiamento unico, coerente, rivolto a qualsiasi soggetto.

Da sottolineare, infine, sono le correlazioni emerse tra il Valore Sociale Aggiunto, i beni relazionali interni e i due strumenti aggiunti (scala di identificazione organizzativa di Ellemers et al. 1999 e scala di Empowerment). Relativamente all’empowerment, le correlazioni sia con il punteggio del Valore Sociale Aggiunto (r = 0.21), sia con quello dei beni relazionali (r = 0.19) risultano deboli. Come atteso, invece, la correlazione tra le scale di identificazione organizzativa risulta molto elevata (0.75).

In riferimento ai risultati dei tre utenti – che hanno compilato solo una selezione di strumenti relativi ai beni relazionali interni e i due strumenti aggiunti relativi all’identificazione organizzativa e al senso di empowerment – i punteggi dei singoli partecipanti sono sempre superiori alla media teorica di ogni scala. Questo potrebbe significare che vi è una rilevante produzione di beni relazionali interni anche tra gli utenti.

Discussione

La presente ricerca costituisce un contributo di tipo metodologico nel campo dell’analisi del Valore Sociale Aggiunto e vuole contribuire alla riflessione sull’applicabilità di strumenti di analisi relativi a tale costrutto, anche in contesti di agricoltura sociale. I valori di Valore Sociale Aggiunto ottenuti nella ricerca si avvicinano a quelli dello studio di Mannarini et al. (2018). Nel complesso, quindi, il progetto di agricoltura sociale CosepBio sembra produrre beni relazionali che si traducono in Valore Sociale Aggiunto. I punteggi medi dei partecipanti sono infatti superiori alle medie teoriche e in linea con i risultati di altre attività relative al terzo settore.

Inoltre, è riscontrabile una certa variabilità nei punteggi, in parte probabilmente dovuta al diverso ruolo ricoperto all’interno del progetto; chi svolge ruoli dirigenziali ottiene punteggi maggiori nella qualità delle relazioni interne ed esterne. Questo punteggio potrebbe essere spiegato dal fatto che chi ricopre tali ruoli all’interno della Cooperativa Cosep e si occupa del progetto CosepBio si potrebbe ritrovare ad intrattenere quotidianamente scambi relazionali con il singolo attore, sia interno che esterno al progetto, facilitato dalla piccola dimensione del progetto e con l’obiettivo condiviso di rendere funzionale il progetto stesso, sia per chi vi partecipa attivamente che per chi risulta acquirente dei prodotti di CosepBio.

Inoltre, come si può notare in Tabella 1, il soggetto D6 riporta un punteggio dei BRI in linea con quello degli altri partecipanti, ma ne ottiene uno molto basso per quanto riguarda i BRE. La differenza tra i due tipi di punteggi è ancora maggiore nel soggetto D7. Questo ha consentito di evidenziare due dipendenti molto attenti alle relazioni interne, ma meno alle relazioni tra la cooperativa ed altri soggetti istituzionali o del territorio. Questa differenza di punteggio potrebbe evidenziare il diverso grado di coinvolgimento nelle relazioni intrattenute, ma tale ipotesi rimane da indagare e da approfondire con ulteriori ricerche.

Questi aspetti sembrano confermati dall’elevata correlazione riscontrata tra la qualità delle relazioni interne e l’identificazione organizzativa (Tabella 3), che può far ipotizzare che molte tra le pratiche di Cosep siano in grado di favorire il legame tra la qualità delle relazioni interne e l’identificazione organizzativa. Per esempio, le frequenti interazioni sia informali che formali tra i diversi attori del progetto o la cura e l’attenzione verso il percorso di ogni utente e dipendente all’interno del progetto. La funzione di tali pratiche meriterebbe un’approfondita analisi anche attraverso interviste qualitative.

La correlazione (Tabella 3) tra la qualità delle relazioni interne e il senso di comunità organizzativo (0.70) è coerente con questi dati. La frequente partecipazione attiva alle pratiche lavorative quotidiane, che abbiamo visto essere strettamente connesse a relazioni qualitativamente positive con gli attori interni alla cooperativa, porta le persone a sentirsi parte di una comunità. La validità e la direzione di tale ipotesi potranno essere indagate in ricerche future.

Le alte correlazioni emerse tra le scale relative alla responsabilità sociale riportate in Tabella 4, fanno propendere verso l’ipotesi che l’atteggiamento di responsabilità sociale sia pervasivo rispetto a diverse aree e attori coinvolti. In altre parole, qualora presente, tale atteggiamento non si limita solo ad alcuni soggetti o istituzioni, ma riguarda tutte le situazioni. Inoltre, il punto vendita dei prodotti di CosepBio all’interno della cooperativa Cosep potrebbe amplificare questo atteggiamento: vendere prodotti di agricoltura biologica con l’obiettivo di offrire prodotti sostenibili, digeribili e salubri, implica stabilire un rapporto di fiducia con i clienti in nome anche di una idea globale di responsabilità sociale. Anche questa interpretazione dovrà essere sottoposta ad una verifica in altre ricerche.

Anche i risultati emersi dal gruppo degli utenti fanno propendere per una valutazione positiva di questa esperienza di agricoltura sociale in quanto i punteggi emersi nelle singole scale proposte agli utenti sono sempre risultati superiori alla media teorica della scala prevista. I punteggi documentati per gli utenti relativi al senso di comunità organizzativo, alla qualità delle relazioni interne, all’identificazione organizzativa e all’empowerment fanno ipotizzare che il progetto di agricoltura sociale CosepBio sia in grado di produrre risultati positivi per il percorso di ogni utente nelle dimensioni indagate e riconducibili al VSA.

L’assenza di indicatori standardizzati per la realtà italiana non consente di spingerci oltre.

Nei nostri dati non è stata riscontrata una relazione tra empowerment e VSA. Questo potrebbe indicare che il senso di empowerment non sembrerebbe contribuire alla definizione del Valore Sociale Aggiunto, restando probabilmente più in una dimensione individuale.

La presente ricerca ha coinvolto una singola organizzazione e il gruppo dei soggetti è inevitabilmente ristretto. Tale limite, particolarmente accentuato in riferimento al gruppo degli utenti, rende non solo non generalizzabili i risultati ottenuti, né alla popolazione, né ad altri progetti di agricoltura sociale, ma anche da considerare con le dovute cautele. Relativamente a questo limite, si è resa evidente la necessità di individuare degli strumenti adatti al coinvolgimento di un maggior numero di utenti, che siano dunque in grado di tener conto di difficoltà di comprensione dovute ad una diversa lingua madre o alle condizioni specifiche di ogni utente. Un ulteriore limite è rappresentato dalla mancanza di un confronto longitudinale nel tempo dei risultati.

La presente ricerca, seppur con un campione limitato di partecipanti, ha fornito, per la prima volta in Italia, alcuni dati su un’esperienza di agricoltura sociale e sull’applicabilità dell’analisi del Valore Sociale Aggiunto, utili ad aprire un dibattito e un confronto con altre esperienze soprattutto per piccole organizzazioni anche nell’area dell’agricoltura sociale.

In conclusione, nonostante i limiti, la ricerca ha costituito uno strumento di analisi utile al progetto CosepBio per la cooperativa Cosep e un contributo empirico allo studio sul Valore Sociale Aggiunto nell’ambito del terzo settore.

Bibliografia

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