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ISSN 2282-1694
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Numero 3 / 2024

Saggi

Come nasce l’imprenditorialità cooperativa

Roger Spear

Introduzione di Giulia Galera

Il contributo di Roger Spear, co-fondatore insieme a Carlo Borzaga della Rete Internazionale di Ricerca EMES, prende le mosse da alcune delle riflessioni di Carlo sulla cooperazione e sul percorso imprenditoriale che conduce alla nascita di nuove cooperative, tra cui l’evoluzione della forma cooperativa verso l’impresa sociale. Un tema che è stato in più di un’occasione esplorato da Borzaga insieme allo stesso Spear. Ne è un esempio il volume Trends and Challenges for Co-operatives and Social Enterprises in Developed and Transition Countries, (Borzaga e Spear, Edizioni 31, 2004), co-curato da Borzaga e Spear, dove i due studiosi riconducono il rinnovato interesse da parte di ricercatori e practitioner nei confronti delle organizzazioni cooperative alla loro trasformazione ed espansione in nuovi campi di attività di interesse generale. Questi due fenomeni sono descritti come fortemente interconnessi, essendo la trasformazione della forma cooperativa - tra cui l’allargamento in primis della propria base sociale - il presupposto per poter espandere le attività in ambiti nuovi, dove i bisogni scoperti sono molti e crescenti. Il volume, che sintetizza i risultati di un convegno organizzato da Issan a Trento nel 2003, esplora le dinamiche evolutive delle cooperative sia nel cosiddetto Nord Globale, sia nei paesi dell’Europa dell’est, nell’intento di condividere con ricercatori e professionisti interessati a studiare e a promuovere lo sviluppo delle organizzazioni dell’economia sociale, alcune riflessioni sui recenti sviluppi della forma cooperativa verso l’impresa sociale anche in paesi fino a quel momento poco studiati, come quelli appunto che si accingevano ad entrare nell’Unione Europea.

Altre riflessioni sulla cooperazione, promosse da Borzaga grazie alla sua capacità di mettere in rete studiosi ed esperti di discipline e paesi diversi, sono contenute nel report Promoting the understanding of cooperatives for a better world che riassume i risultati della conferenza organizzata da Euricse, Alleanza Internazionale delle Cooperative (ICA) e Alleanza delle Cooperative italiane in occasione dell’anno internazionale della cooperazione proclamato dall’ONU nel 2012. La due giorni di Venezia vide confrontarsi oltre cinquanta relatori provenienti da tutto il mondo sui temi legati al mondo cooperativo e – tra le altre cose – firmare un Appello ai Governi e Capi di Stato dell’Unione europea sull’importanza delle banche cooperative per la ripresa economica. Ciò che emerge chiaramente dalle riflessioni di Venezia è che le imprese cooperative possiedono tutte le caratteristiche per partecipare in modo dinamico e innovativo allo sviluppo sociale ed economico delle società in cui sono inserite. E che la loro dimostrata capacità di adattamento e trasformazione le pone in condizione di reagire positivamente a situazioni di difficolta, pur non limitandosi ad essere un modello utile solo in momenti di crisi. Di qui la crescente “domanda di cooperazione”, intesa come modalità di gestione delle attività economiche alternativa a quella di mercato tradizionale. Le conclusioni dei lavori quindi “rivalutano molto il modello cooperativo, sia dal punto di vista economico che dal punto di vista sociale”, e smentiscono molti dei limiti considerati tipici delle cooperative, per cui sarebbero considerate sistematicamente meno efficienti rispetto alle altre forme di impresa. Grazie a interventi mirati sulle diverse esperienze cooperative, il convegno ha non a caso ribadito che le cooperative non sono confinate in particolari settori, né sono necessariamente imprese solo di piccola dimensione, e neppure risultano meno capitalizzate rispetto alle imprese di capitali. Tutt’altro: nelle fasi di crisi hanno il vantaggio di tendere a mantenere i livelli occupazionali, come e più delle altre imprese, o ad accrescerli, e risultano anche più longeve (Borzaga e Galera, 2013).

La forte capacità di resilienza dimostrata dalle cooperative durante la crisi economico-finanziaria del 2008-2009 è alla base di un altro lavoro che corona il forte interesse di Carlo per la cooperazione: il manuale edito da Oxford University Press The Oxford Handbook of Mutual, Co-operative, and Co-owned Business, edito da Jonathan Michie, Joseph R. Blasi, e appunto Carlo Borzaga nel 2017. Il manuale, focalizzato sulle organizzazioni “di proprietà dei soci” diversi dagli investitori (tra cui: cooperative di consumo, cooperative agricole e di produzione, cooperative di lavoro, società di mutuo soccorso, cooperative di credito, organizzazioni di solidarietà, mutue assicurative e società di proprietà dei dipendenti) si propone di rispondere alla crescita di interesse nei confronti delle imprese non capitalistiche, per lungo tempo trascurate in generale dalle scienze sociali.

Partendo da una conoscenza approfondita dei lavori di Carlo, l’articolo di Spear cerca di avanzare nella riflessione, focalizzandosi sui percorsi imprenditoriali di sviluppo della cooperazione attraverso una review della letteratura che guarda anche all’impresa sociale, quale nuova forma di impresa di natura collettiva di proprietà di persone diverse dagli investitori.

Spear riconosce l’esistenza di una pluralità di percorsi di sviluppo imprenditoriale, sia ex novo da parte di nuove cooperative e/o imprese sociali, sia trasformativi, come il percorso di nascita di nuove cooperative da imprese in crisi (imprese recuperate) o dalla riconfigurazione dei servizi del settore pubblico (in particolare nel Regno Unito). Questi percorsi sono sovente accomunati dal coinvolgimento attivo di soggetti diversi, come sponsor o sostenitori, tra cui reti che sono espressione della capacità del movimento cooperativo di auto-organizzarsi e sostenere il proprio sviluppo su ampia scala. Ne è un esempio la banca cooperativa - Caja Laboral Popular - che ha per molti anni sostenuto lo sviluppo di nuove cooperative nei Paesi Baschi. Analogamente, in Italia Spear si sofferma sul ruolo dei consorzi e delle federazioni che hanno sostenuto lo sviluppo delle cooperative sociali specie in una prima fase del percorso evolutivo di questa nuova forma cooperativa. Di rilievo sono nondimeno le agenzie di sviluppo cooperativo operative nel Regno Unito e in Svezia, che hanno sostenuto la creazione di un gran numero di cooperative di lavoratori.

L’importanza del sostegno istituzionale garantito dal movimento cooperativo e/o da parte di soggetti esterni è un aspetto su cui si è più volte soffermato anche Carlo Borzaga. E questo sia analizzando il caso italiano, dove egli sottolinea nei suoi scritti il ruolo svolto dal movimento cooperativo nel promuovere - in una particolare fase storica - anche il riconoscimento della cooperativa sociale, sia con riferimento al contesto europeo. Nello studio Mapping of Social Enterprises and their Ecosystems, coordinato da Carlo Borzaga per conto della Commissione Europea (Commissione Europea, 2020), le reti cooperative e di impresa sociale sono considerate uno degli elementi chiave che contribuiscono a rendere un ecosistema più o meno favorevole allo sviluppo della cooperazione e/o dell’impresa sociale. In un’ottica comparata, mentre il ruolo dei consorzi è stato fondamentale nel promuovere lo sviluppo dell’impresa sociale in Italia, l’incapacità di auto-organizzarsi da parte delle nascenti imprese sociali contribuirebbe a spiegare, in base allo studio citato, la presenza meno diffusa di queste imprese in alcuni paesi dell’est Europa (Report Mapping, realizzato per la Commissione Europea, 2020).

Venendo alle caratteristiche che distinguerebbero il percorso evolutivo delle cooperative e dell’impresa sociale da quello delle imprese tradizionali, rifacendosi alla definizione proposta dalla rete EMES, cui contribuì in maniera determinante anche Carlo Borzaga, Spear si sofferma sulla dimensione collettiva. In base alla definizione EMES “le imprese sociali sono il risultato di dinamiche collettive che coinvolgono persone appartenenti a una comunità o a un gruppo che condivide un certo bisogno o obiettivo”. Un aspetto che potrebbe sembrare scontato avendo come riferimento l’esperienza italiana, ma che non lo è affatto se si guarda ad una parte della letteratura di origine anglosassone, dove trova ampio spazio il mito dell’imprenditore individuale, in linea con quanto sostenuto da alcune fondazioni filantropiche. Ebbene, Spear sottolinea come l’osservazione della realtà dimostri tuttavia il contrario: i modelli collettivi di imprenditoria sociale non solo sono più diffusi di quanto comunemente inteso, ma stanno anche influenzando gli studi convenzionali sull’imprenditorialità.

È quindi particolarmente importante soffermarsi sull’impatto che gli studi sulle imprese collettive possono avere sia sulla capacità di comprendere il valore aggiunto dell’economia sociale, quale universo composto da organizzazioni collettive senza scopo di lucro, di natura imprenditoriale e non, sia nel loro agire sono mosse da principi quali la reciprocità e la democrazia, sia sulla stessa teoria dell’impresa. Gli studi di Carlo Borzaga e dei colleghi citati nell’articolo hanno avuto il merito di mettere in discussione il paradigma della massimizzazione del profitto, tipico del modello di impresa neoclassica, dimostrando come tra i fattori trainanti dell’imprenditorialità vi siano anche le motivazioni di natura intrinseca e sociale e come motivazioni diverse possano portare a risultati organizzativi di diversa natura.

Il monito di Spear è che il processo imprenditoriale che porta alla nascita di nuove cooperative e dell’impresa sociale sia a tutt’oggi un ambito di ricerca da esplorare. Di qui il suggerimento - per le nuove generazioni di ricercatori - di focalizzarsi anche sui legami sussistenti tra movimenti sociali e impresa sociale e sul ruolo rivestito dalla religione nel sostenere lo sviluppo dell’impresa sociale.

 


 

Come nasce l’imprenditorialità cooperativa

Roger Spear, CRU, Open University, Regno Unito; e Centro per l’imprenditoria sociale, Università di Roskilde.

È stato per me un onore e un piacere lavorare con Carlo per molti anni nel Consiglio di amministrazione di EMES, la rete europea di ricerca sull’impresa sociale e sull’economia sociale, e in altri progetti correlati, principalmente in Europa, ma anche nei Paesi dell’est Europa. Carlo ha contribuito enormemente alla ricerca sulle cooperative in molti modi. In relazione al tema dell’imprenditorialità, il suo contributo è stato principalmente a livello macro, concentrandosi sulle dinamiche alla base dell’emergere delle cooperative sociali e, più in generale, dell’impresa sociale a livello globale (ad esempio Borzaga et al, 2015). Ma il suo è stato anche un importante contributo teorico, alla teoria dell’impresa, criticando i modelli neoclassici di massimizzazione del profitto e sostenendo, invece, sulla base di un ampio lavoro empirico, che le preferenze intrinseche e sociali sono anche motori dell’imprenditorialità, portando a risultati organizzativi diversi. Il presente documento integra alcuni di questi lavori a livello meso e micro.

 

Il documento si basa su una review della letteratura a livello internazionale sui processi imprenditoriali che portano alla creazione di nuove cooperative e imprese sociali. La review, che guarda anche alla letteratura sull’imprenditoria sociale, si basa anche su una serie di casi di studio.

La crescita degli studi sull’imprenditorialità è andata di pari passo con quella degli studi sulle piccole e medie imprese (PMI), a partire dagli anni Ottanta. Sebbene si riconosca l’esistenza di forti analogie tra i due settori (cooperative e PMI), il presente documento si concentra sulle forme istituzionali associate all’economia sociale: le cooperative (con modelli simili per le mutue e le organizzazioni non profit). Tuttavia, è importante riconoscere alcune affinità e attingere quindi anche alla letteratura sull’imprenditorialità delle PMI. Il documento contribuisce a una maggiore comprensione dell’economia sociale (cooperative, mutue e organizzazioni volontarie o non-profit), che rappresenta una parte importante delle economie sia dei paesi con economie avanzate (Ciriec, 2000), sia di molti Paesi a più basso reddito, con oltre 700 milioni di cooperatori esistenti in tutto il mondo.

In questo saggio si esamineranno in primo luogo i processi che portano alla nascita di nuove cooperative, individuando punti di contatto e aspetti distintivi rispetto ai processi di creazione di imprese tradizionali. Successivamente, si esaminerà lo sviluppo cooperativo con la lente della dicotomia tra “individuale” e “collettivo”. Date queste premesse, nell’ultima parte si discuterà delle forme di sostegno alla formazione dell’imprenditorialità cooperativa, nelle sue diverse forme: da parte di soggetti esterni, oppure da soggetti espressione del movimento cooperativo nelle sue varie forme. Attraverso questo percorso si intende evidenziare, in sede conclusiva, come la creazione e lo sviluppo della cooperazione, anche se presenta alcuni aspetti sovrapponibili alle azioni generali di sostegno all’imprenditorialità, deve misurarsi con le peculiarità che caratterizzano la cooperazione, messaggio che sicuramente fa tesoro della lezione di Carlo Borzaga rispetto alla ricchezza della biodiversità imprenditoriale e della necessità che le politiche che si basino sulle specificità di ciascun tipo di impresa.

I processi che portano alla nascita di nuove cooperative

Nonostante la rilevanza complessiva del fenomeno, le ricerche sui processi imprenditoriali che portano alla nascita delle cooperative, sono scarsi. Questo studio si propone di compiere alcuni piccoli passi per rimediare a questa situazione, con la speranza che le riflessioni qui condivise possano informare anche la ricerca sull’imprenditorialità tradizionale.

La lezione delle pratiche

Le prime riflessioni, basate su testimonianze aneddotiche e sulla letteratura, evidenziano alcuni tratti peculiari che distinguono il percorso di sviluppo delle cooperative da quello delle imprese convenzionali. Ad esempio, Cecop (1978), la Federazione europea delle cooperative sociali e di lavoratori, ha individuato cinque diversi tipi di percorsi per la creazione di una cooperativa, tra cui l’acquisizione da parte dei lavoratori e lo spinoff. Anche le istituzioni hanno svolto un ruolo centrale nel processo imprenditoriale di sviluppo delle cooperative (Cornforth et al., 1988), come dimostra il caso della Caja Laboral Popular nei Paesi Baschi, che ha per molti anni sostenuto lo sviluppo di nuove cooperative. Analogamente, in Italia la crescita delle cooperative sociali non sarebbe stata possibile senza i consorzi o i consorzi di cooperative locali nella prima fase del loro sviluppo (si veda Spear, Leonetti & Thomas, 1994 per una prima analisi del potenziale britannico delle cooperative sociali). Ci sono altri esempi particolarmente interessanti anche nel Regno Unito e in Svezia, dove le agenzie di sviluppo cooperativo sono state fondamentali nel sostenere la creazione di un gran numero di cooperative di lavoratori.

La maggior parte degli studi sui processi di creazione di nuove imprese trascura tuttavia un aspetto chiave, che cresce di rilevanza nelle imprese cooperative e sociali: ovvero il fatto che nascano spesso grazie alla sponsorizzazione o al sostegno di alcuni soggetti chiave. Le ricerche sull’imprenditorialità (ad esempio gli studi del Global Entrepreneurship Monitor - GEM) hanno individuato una serie di modelli di processi imprenditoriali sponsorizzati/supportati. E il medesimo approccio è stato applicato anche all’imprenditorialità sociale, si veda ad esempio: Schøtt et al. (2009).

Alla stessa stregua, spicca il sostegno fornito dal movimento cooperativo, come ad esempio quello da parte delle banche cooperative (Mondragon), delle agenzie di sviluppo (LKO in Svezia, CDA nel Regno Unito), dei consorzi/gruppi e delle federazioni di cooperative, nonché degli istituti educativi e formativi specializzati nella cooperazione e impresa sociale (Saiolan, Mondragon e Università di Tampere). Vi sono poi due temi che sono stati poco studiati: i legami tra movimenti sociali e impresa sociale (ad esempio Smith et al. (2014); Akemu et al. (2016)) e il ruolo di organizzazioni ecclesiastiche o a matrice religiosa nello sviluppo dell’impresa sociale, particolarmente significativo in alcuni contesti nazionali (Spear, 2010).

Approcci alla creazione di imprenditorialità cooperativa

In seno all’economia sociale, due sono gli approcci maggiormente diffusi: uno “dall’alto verso il basso”, che potrebbe essere definito di “social corporate venturing”, che legge i processi di creazione dei soggetti dell’economia sociale a partire dall’opera di finanziamento da parte di soggetti finanziari socialmente orientati; l’altro, “ “dal basso verso l’alto”“, considera la creazione di soggetti cooperativi come frutto del protagonismo della società civile; è questo, in particolare l’approccio che anche Carlo Borzaga ha adottato, contrapponendolo principalmente, con riferimento al contesto italiano, alle teorie che interpretavano la forma più diffusa di impresa sociale, le cooperative sociali, come prodotto dell’esternalizzazione delle pubblica amministrazioni. In ogni caso è opportuno notare che i due approcci non siano, a ben vedere, alternativi, dal momento che è ragionevole ritenere che, di fronte a specifiche sfide, i due percorsi, dall’alto e dal basso, si incrocino attraverso processi di negoziazione. ’“”“”’’

 

Come si può constatare, il tema della creazione di imprenditorialità cooperativa e sociale è questione complessa. In questo contributo si mira a costruire un quadro sui percorsi di sviluppo imprenditoriale delle cooperative; attinge anche alla letteratura convenzionale sull’imprenditorialità, per fornire un ampio quadro concettuale che includa i processi diretti di sostegno/sponsorizzazione organizzata e possa contribuire a informare le politiche.

Un ampio quadro di riferimento per studiare lo sviluppo di una popolazione di organizzazioni (come una cooperativa o un settore NfP) è quello indicato da Badelt (1997), che si basa sull’esame della domanda, dell’offerta e dei fattori istituzionali che influenzano lo sviluppo di nuove cooperative. Attenzione è rivolta quindi alla domanda dei consumatori e di altri soggetti, le cui scelte sono talvolta indotte da aspetti valoriali; all’offerta degli imprenditori cooperativi e ai fattori istituzionali (legislazione, fattori fiscali, visibilità e legittimità della particolare forma istituzionale e ruolo degli agenti che mediano la scelta della forma istituzionale). Quest’ultimo contesto istituzionale è descritto come l’ecosistema in seno al quale le cooperative operano. La nostra ricerca si concentra principalmente sul lato dell’offerta e sugli elementi di contesto.

Modelli individuali e collettivi di imprenditorialità cooperativa

La ricerca sui processi di sviluppo imprenditoriale nelle cooperative non è molto sviluppata. Vi è tuttavia una caratteristica distintiva dell’imprenditorialità cooperativa che la differenzia dall’imprenditorialità tradizionale. Gran parte del discorso sull’imprenditorialità sociale, ma anche sull’impresa sociale, è dominato, per effetto della generalizzazione dei modelli tipici dello sviluppo nell’imprenditorialità ordinaria – soprattutto con riferimento al mito delle imprese tecnologiche - dal modello dell’”eroe imprenditore”: la persona, dotata di visione, capace di intravvedere uno spazio di sviluppo che altri non vedono e di creare dal nulla nuove imprese di grande successo, ripercorrendo la storia di tante tra le più note multinazionali operanti in ambito informatico. Nicholls (2010) ricorda come questo paradigma sia fortemente sostenuto da alcune fondazioni filantropiche, che immaginano processi simili per la creazione di nuove imprese sociali. Tuttavia, esistono altri modelli di imprenditorialità sociale, più collettivi e organizzati, che sono piuttosto diffusi nel settore (Spear (2006); Spear e Hulgard, 2006; Spear, 2019; Montgomery et al, 2012). Il crescente interesse e il riconoscimento che i modelli collettivi di imprenditorialità sono più diffusi di quanto comunemente inteso sta influenzando gli studi convenzionali sull’imprenditorialità. Ciò porta a sfidare sempre di più il dominio del mito dell’imprenditore eroe.

L’attenzione all’aspetto collettivo è una caratteristica precipua dell’approccio EMES nella sua caratterizzazione idealtipica dell’impresa sociale, definita come: “un’iniziativa lanciata da un gruppo di cittadini: le imprese sociali sono il risultato di dinamiche collettive che coinvolgono persone appartenenti a una comunità o a un gruppo che condivide un certo bisogno o obiettivo e devono garantire la sopravvivenza di entrambi nel tempo”.

Montgomery, Dacin e Dacin (2012) definiscono l’imprenditorialità sociale collettiva (CSE) “come una collaborazione tra attori simili e diversi allo scopo di applicare i principi aziendali alla soluzione di problemi sociali” (p. 376). Questa definizione, tuttavia, riflette la tendenza a enfatizzare l’applicazione di principi aziendali, piuttosto che l’adozione di una visione più ampia, incentrata sull’innovazione sociale che implichi l’avvio di un processo di cambiamento organizzativo e sociale, nonché l’adozione di pratiche, norme e regolamenti, e la sperimentazione di nuovi prodotti/servizi.

Un’altra visione utile è quella proposta da Cook e Burress (2009), i quali si concentrano sulla collaborazione, sulle coalizioni di stakeholder e sulle reti. Secondo il loro approccio, il tipo di bene generato e la proprietà collettiva dei beni, sono le due caratteristiche precipue dell’azione imprenditoriale cooperativa.

I primi lavori che hanno sviluppato un quadro concettuale sull’imprenditorialità collettiva, a cui si fa riferimento in questo articolo, comprendono due studi; il primo (Spear, 2006) ha indagato una serie di casi di studio di cooperative e imprese di proprietà dei dipendenti nel Regno Unito, operanti in diversi settori; il secondo (Spear & Hulgard, 2006) si concentra su casi di studio di imprese sociali di inserimento lavorativo attive in diversi paesi europei.

Il primo studio ha riguardato organizzazioni cooperative costituite negli ultimi 3-20 anni in Gran Bretagna, un lasso di tempo sia sufficiente ad indagare la rilevanza di alcuni fattori, sia in grado di permettere agli intervistati di ricordare ciò che hanno vissuto in prima persona.

Il secondo studio, sulle imprese sociali europee di inserimento lavorativo (WISE), ha riguardato un settore in cui il supporto pubblico ha svolto un ruolo importante. L’analisi comparata ha permesso di analizzare i risultati raggiunti nel Regno Unito in un’ottica comparata.

I temi oggetto di analisi hanno riguardato: la genesi delle organizzazioni, le motivazioni degli imprenditori, i modelli di imprenditorialità sviluppati, il sostegno esterno ricevuto, il capitale sociale generato e i risultati raggiunti. Emerge a questo proposito la rilevanza del capitale sociale, quale risorsa chiave dell’economia sociale. È stato indagato nondimeno il ruolo delle strutture di supporto formali e informali nel processo imprenditoriale (anche includendo la possibilità che il processo imprenditoriale possa essere distribuito al di fuori dei confini della nuova impresa cooperativa, ad esempio includendo attori e agenzie del settore pubblico o altri attori dell’economia sociale). Attenzione è stata inoltre rivolta agli approcci all’apprendimento (cfr. Jakobsen, 1996) e alla gestione della conoscenza per comprendere come sono state acquisite le competenze e il know-how necessari e come possono, pertanto, spiegarsi le differenze tra casi di successo e casi di fallimento.

In entrambi gli studi emerge il contrasto tra una visione individualistica “eroica” dell’imprenditorialità, considerata il modello tipico e più visibile, e la natura collettiva dell’imprenditorialità nelle cooperative e nelle imprese sociali.

Una prospettiva simile a quelle seguita da Spear e Hulgard nel secondo studio è quella proposta da Haugh (2007), che ha studiato le imprese a carattere comunitario e ha sviluppato un modello di sviluppo a stadi dell’imprenditorialità (riconoscimento dell’opportunità, sfruttamento, ecc. così come sollecitato in un articolo di Gartner nel 1989), ponendo l’accento sulla mobilitazione degli stakeholder e sulle reti di sostegno formali/informali.

I risultati raggiunti non escludono la possibilità che individui chiave possano essere imprenditori, o addirittura svolgere ruoli di primo piano in un processo collettivo di imprenditorialità, ma ampliano il quadro di riferimento guardando ai processi collettivi e, al loro interno, ai ruoli ricoperti dai singoli. In quest’ottica, il ruolo delle organizzazioni è quello di creare spazi ove l’imprenditorialità possa essere sostenuta. Queste considerazioni inducono una serie di riflessioni sulle politiche di promozione dell’imprenditorialità e, in generale, della cultura d’impresa (Keat e Abercrombie, 1990).

Diaz-Foncea e Marcuello (2011) ampliano la discussione sull’imprenditorialità collettiva, facendo riferimento a diverse tradizioni nella letteratura sull’imprenditorialità, tra cui l’imprenditorialità di gruppo (con ciò intendendo l’impresa a gestione familiare) e l’imprenditorialità collettiva.

Il loro contributo sta anche nell’aver messo in luce (si veda la Figura 5) che le nuove cooperative non si formano solo ex novo, ma anche a seguito della trasformazione di strutture esistenti - pubbliche/private. Il riferimento è alla trasformazione di aziende in crisi, ad esempio in imprese recuperate. Si tratta di una tendenza abbastanza consolidata (in Spagna, ad esempio, con le Sociedades Anonimas Laborales, in Italia grazie alla legge Marcora (si veda ad esempio, Lomuscio, 2023; in Argentina con le empresas recuperadas (Vieta, 2021), Lomuscio, 2023). Vale la pena ricordare che alcuni processi trasformativi in cooperativa derivano dalla riconfigurazione dei servizi del settore pubblico. Le nuove imprese, in particolare nel Regno Unito, sono qualificabili come imprese sociali.

Dalla considerazione congiunta dell’origine (ex novo o a seguito di trasformazione) e del tipo di soggetto che guida la creazione di impresa (un singolo leader o un gruppo) origina la seguente classificazione:

Relativamente agli aspetti che interessano maggiormente il presente contributo, emerge come, relativamente alle imprese sociali, emerga uno spazio significativo per le forme di imprenditorialità collettiva, aspetto di cui è necessario tenere conto nel mettere a punto strategie di sostegno coerenti con le caratteristiche specifiche delle cooperative, secondo la lezione di Carlo Borzaga.

Il sostegno istituzionale alla formazione di imprenditorialità cooperativa

Definiamo qui “sostenitori” le persone o gli enti (eventualmente frutto dello stesso movimento cooperativo) che operano al fine di favorire la nascita e lo sviluppo di nuove imprese cooperative. I sostenitori possono essere impegnati direttamente nel processo di sviluppo imprenditoriale sia a titolo individuale che attraverso reti o altre organizzazioni; possono seguire traiettorie diverse e talvolta continuano ricoprire ruoli importanti nelle nascenti imprese sociale, dopo la loro fondazione.

Nelle imprese convenzionali, le forme di supporto dell’imprenditorialità, come il corporate venturing e l’intrapreneurship, e il modello di spin-off sono tipicamente associati a forme di sostegno esterno, tra cui i business angels, i venture capitalist e le organizzazioni di sviluppo di vario tipo, comprese le università con i parchi scientifici/tecnologici. Esistono iniziative analoghe anche nell’economia sociale, come ad esempio il social venturing e il philanthropic venturing.

In questa sezione saranno discusse alcune delle più diffuse forme e politiche di supporto alle imprese sociali: il supporto proveniente da soggetti esterni e il supporto dato da reti cui il soggetto da supportare partecipa.

Supporto esterno e capitale sociale

La politica per le piccole imprese in molti Paesi si basa sul riconoscimento dell’importanza delle infrastrutture di supporto (ad esempio, Van de Ven, 1993). Allo stesso modo, è chiaro come i fattori contestuali e istituzionali siano più rilevanti nel sostenere la creazione di imprese cooperative e sociali, rispetto alle PMI tradizionali. La maggior parte delle organizzazioni indagate dai due studi sopra richiamati ha beneficiato di un sostegno significativo da parte di stakeholder esterni come le CDA (Co-op Development Agencies), gli enti pubblici, le organizzazioni di volontariato e le strutture federali, che sono stati importanti catalizzatori delle attività imprenditoriali. In effetti, anche diversi studi e recenti analisi di policy, tra cui quello coordinato da Borzaga per la Commissione Europea (Mapping social enterprises and their ecosytems in Europe, 2020) sottolineano la necessità di sviluppare un ecosistema abilitante per l’economia cooperativa e sociale (si veda appunto Borzaga et al (2020). Per un eccellente esempio di sviluppo di un quadro nazionale utile a supportare lo sviluppo cooperativo in Canada, si veda ad esempio Duguid et al, (2015).

I casi mostrano l’esistenza di diversi modelli di sviluppo imprenditoriale, con, in molti casi, gruppi o organizzazioni esterne che svolgono ruoli chiave. In questa forma di supporto, il processo di sviluppo può essere rappresentato da cerchi di imprenditorialità, laddove gli imprenditori sono collocati all’interno dell’organizzazione e giocano un ruolo centrale e il gruppo più ampio di stakeholder di supporto è collocato all’esterno, svolgendo talvolta un ruolo altrettanto importante (come sostenuto anche da Haugh (2007)).

Imprenditorialità in rete

In altri casi, invece, a supportare la nascita e lo sviluppo di un’impresa cooperativa non è una struttura esterna, ma la partecipazione della nascente cooperativa ad una rete di imprese, che in alcuni casi può dare vita a strutture che hanno il compito specifico di supportare la nascita e lo sviluppo di nuove cooperative.

2.a Reti cooperative a sostegno dell’imprenditorialità cooperativa

Un esempio di rete che offre sostegno alla nuova cooperazione è l’UK Co-operative Enterprise Hub che fornisce consulenza, formazione e finanziamenti gratuiti alle cooperative nuove ed esistenti. Lo fa attraverso una rete di agenzie di sviluppo cooperativo e dei loro consulenti; in un certo senso, attraverso il suo sito web, fornisce una rete virtuale che collega le agenzie di sviluppo preesistenti. È una società interamente controllata (con il nome registrato di Co-operative Action Ltd) dalla più grande cooperativa di consumatori del Regno Unito (The Co-operative Group) con un finanziamento di 7,5 milioni di sterline in tre anni. Tra questi, 1 milione di sterline per iniziative di energia rinnovabile su base comunitaria, una partnership con il Co-operative Loan Fund (istituito nel 2002 e finanziato da diverse grandi cooperative di consumatori, che fornisce prestiti tra le 5.000 e le 75.000 sterline a cooperative già avviate o consolidate) per l’emissione di azioni comunitarie e attività a sostegno delle cooperative giovanili. Istituito nel 2009, ha fornito formazione e assistenza a 521 iniziative per la creazione di nuove cooperative e a 165 cooperative già costituite. Nel 2011, 686 cooperative (più di 1.000 alla fine del 2012) hanno ricevuto consulenza gratuita, anche se il livello di supporto è relativamente limitato - una media di 3,4 giorni per ogni cooperativa. Tuttavia, è stata assistita un’ampia gamma di cooperative, tra cui pub di proprietà della comunità, cooperative di assistenza sociale, cooperative di supporto alle biblioteche, cooperative di ciclisti e motociclisti e iniziative di commercio equo e solidale all’estero. Simili hub imprenditoriali esistono anche in altri Paesi.

2.b Organismi federali e regionali a sostegno dell’imprenditoria cooperativa

Le strutture federali sono piuttosto comuni nell’economia cooperativa, dove spesso svolgono un ruolo economico e politico. Ad esempio, Co-operatives UK, l’organismo federale per tutte le cooperative del Regno Unito, fornisce assistenza su questioni legali e di governance. Nel 2012 Cooperatives UK ha assistito 300 cooperative e mutue. Di recente hanno iniziato a fornire anche un servizio di assistenza online alle nuove cooperative, in collaborazione con NESTA e One Click Orgs. Inoltre, dispone di alcuni programmi di sostegno specifici volti a sostenere ad esempio le cooperative energetiche, le “community food enterprises”, 240 delle quali hanno migliorato la loro governance e le loro operazioni attraverso “Making Local Food Work Partnership”, ovvero partenariati volti a sostenere cibo locale.

Un altro esempio è l’organismo federale di controllo tedesco: Levin (2011) ha studiato come questo organismo federale abbia contribuito ad aumentare il numero di nuove cooperative in Germania, in risposta al declino a cui si era assistito a partire dagli anni ‘50 - in parte dovuto a fusioni, ma anche alla mancanza di creazione di nuove cooperative nei settori tradizionali, forse a causa della saturazione o concentrazione. La Federazione nazionale DGRV e le sue sei organizzazioni regionali di revisione cooperativa (CAO) si sono assunte la responsabilità di affrontare questo problema. Il ruolo principale delle CAO è quello di condurre revisioni contabili, ma forniscono anche servizi commerciali aggiuntivi (su tasse, questioni legali, marketing), nonché formazione e sviluppo delle risorse umane. L’assunzione di un ruolo più ampio di supporto/consulenza alle imprese potrebbe essere vista come uno sviluppo naturale. Tuttavia, è importante sottolineare alcuni ostacoli dovuti ai costi, all’atteggiamento conservatore, alla mancanza di interesse per le cooperative di piccola scala, ecc. Grazie allo sviluppo di una strategia, il numero di cooperative costituite è aumentato in maniera significativa. Lo sviluppo delle CAO è stato completato da una riforma legislativa nel 2006 che ha ridotto le barriere amministrative e finanziarie per l’avvio di piccole cooperative.

Un altro modello di sostegno all’imprenditorialità nel Regno Unito è quello di Co-operative Futures. È stata fondata nel 1999 dalla Oxford Swindon and Gloucester Co-operative, una società di consumatori regionale, con forti valori sociali. A seguito della fusione con la West Midlands Co-operative Society per formare la Mid-Counties Co-operatives Ltd, ora fa parte di quest’ultima cooperativa regionale di consumatori. L’associazione conta 50 cooperative e fornisce consulenza e sostegno soprattutto alle cooperative in fase di start up. Inoltre, finanzia organizzazioni che sostengono lo sviluppo delle imprese cooperative, tra cui la Plunkett Foundation e la Black Country Reinvestment Society. Nel 2012 sono stati investiti circa 2,8 milioni di sterline in vari progetti comunitari. In alcuni casi, la sponsorizzazione regionale ha portato ad una specializzazione progressiva: La Mid Counties Co-operative si è ad esempio specializzata nel settore dell’assistenza all’infanzia nel 2002 e gestisce ora 49 asili nido in tutto il Regno Unito. Ha anche un’attività di fornitura di energia per il gas e l’elettricità.

2.c Organismi cooperativi secondari a sostegno dell’imprenditorialità cooperativa

In alcuni casi il supporto di rete può avvenire attraverso specifici enti costituiti nell’ambito di aggregazioni cooperative. Il Co-operative College del Regno Unito, un ente di beneficenza il cui Consiglio di amministrazione è nominato dall’organismo federale Co-operatives UK, che fornisce anche un certo sostegno finanziario insieme ad alcuni fondi della grande società di consumo nazionale (The Co-operative Group), ha istituito più di 400 scuole cooperative gestite da genitori, insegnanti, personale e altre parti interessate della comunità (alla fine del 2012). Le organizzazioni cooperative di formazione/educazione svolgono spesso un ruolo chiave nel patrocinare/sostenere l’imprenditorialità cooperativa. Un esempio è quello del Politecnico di Mondragon che, dopo la crisi economica degli anni Ottanta decise di agire direttamente per affrontare il problema della disoccupazione giovanile. Una prima iniziativa, ACEMEX (Attività Imprenditoriali Sperimentali), portò alla costituzione di Saiolan, nel 1985, all’interno della scuola politecnica di Mondragon, con l’obiettivo di creare occupazione attraverso una formazione personalizzata per la creazione di imprese. Si tratta di una forma di incubatore che fornisce un supporto a tutto tondo, dalla valutazione iniziale dell’idea imprenditoriale, attraverso la formazione e il coaching, lo studio e l’apprendimento diretto e il sostegno finanziario.

2.d Azioni di supporto da parte di altri organismi dell’economia sociale

Gli enti finanziari dell’economia cooperativa e sociale hanno svolto un ruolo importante nel sostenere l’imprenditoria cooperativa. La Caja Laboral Popular (Mondragon) è un esempio spesso citato, così come i fondi comuni di investimento in Italia legati alle diverse centrali cooperative, che derivano i propri fondi dalla quota del 3% degli utili che tutte le cooperative devono versare per legge. In Belgio: Crédal, una cooperativa di 2.000 soci, gestisce un fondo di 25 milioni di euro in Vallonia e a Bruxelles ed eroga 1.000 prestiti all’anno, di diversi tipi - 80% economia sociale e 20% microfinanza”. Rif. Rete dell’imprenditoria sociale, 2015

Un altro tipo di soggetti che in alcune occasioni ha supportato lo sviluppo cooperativo è il sindacato. Si è spesso discusso se e in che misura il modello sindacale di democrazia industriale e il suo sistema di contrattazione collettiva si sposino con il modello cooperativo. Ci sono casi in cui è prevalsa la collaborazione, ad esempio in Galles dove nel 1995 l’ultima miniera di carbone è stata salvata e trasformata in un’azienda di proprietà dei lavoratori grazie al sostegno della National Union of Mineworkers. Conosciuta come Tower Collieries, questa organizzazione ha prodotto antracite di alta qualità per altri 15 anni; all’epoca era la più grande azienda di proprietà dei lavoratori del Regno Unito. Una delle organizzazioni che ne sostennero lo sviluppo fu il Wales Co-op Centre (oggi noto come Cwmpas), nato nel 1982 dopo una visita a Mondragon del Wales TUC (Trade Union Congress), che rappresenta i sindacati del Galles. Il Centro ha poi sviluppato le cooperative di credito e le imprese sociali e comunitarie in Galles.

I sindacati locali sono stati anche i principali sostenitori della nascita di oltre 20 aziende di autobus di proprietà dei dipendenti che sono state costituire negli anni ‘80 dopo la privatizzazione delle aziende municipali (Spear, 1999). Durante gli anni della concorrenza più spinta, dovettero tuttavia soccombere, vittime dei processi di concentrazione - fusioni e acquisizioni - e della loro capacità di reperire finanziamenti esterni.

2.e Imprenditorialità in rete (anche attraverso i movimenti sociali)

Le reti locali e regionali sono state una caratteristica dello sviluppo cooperativo in molti Paesi. I “grupos” di Mondragon sono stati una parte fondamentale del loro successo, consentendo la ristrutturazione economica tra le cooperative associate (scambi di lavoratori, ecc.). (anche con l’economia sociale in senso lato)

Conclusioni

Sono molti i temi che emergono da questa review dell’imprenditorialità cooperativa. 

In primo luogo, l’analisi mette in luce l’esistenza di un’ampia gamma di modelli di imprenditorialità contraddistinti da dinamiche collettive. Un altro tema importante è il coinvolgimento di soggetti esterni, come sostenitori dell’imprenditorialità cooperativa. Ne deriva un’ampia gamma di modelli. Tra questi: gli stakeholder della comunità, le cooperative, i consorzi, le federazioni e altri organismi specializzati all’interno del settore cooperativo e dell’economia sociale; nonché diverse forme di reti, tra cui quelle legate ai movimenti sociali (vecchi e nuovi). Le forme di supporto possono essere molto diverse, da quelle economiche a quelle basate sulla formazione delle competenze, sulle reti imprenditorali, ecc.; forse la propsettiva più corretta è quella dell’”ecosistema”, inteso come l’intera gamma delle azioni di supporto che un quadro idoneo allo sviluppo imprenditoriale richiede.

 

DOI: 10.7425/IS.2024.03.06

 

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