Sostienici! Rivista-Impresa-Sociale-Logo-Mini
Fondata da CGM / Edita e realizzata da Iris Network
ISSN 2282-1694
impresa-sociale-3-2024-la-storia-al-servizio-dell-economista

Numero 3 / 2024

Saggi

La storia al servizio dell’economista

Alberto Ianes

Carlo Borzaga non era uno storico. Anzi, nei momenti conviviali si prendeva gioco degli storici (e di me, in particolare), sostenendo – simpaticamente – che la storia economica era una disciplina in via di estinzione, messa ai margini dai (e nei) Dipartimenti di economia: una disciplina, insomma, che non dava possibilità di collocarsi (la qual cosa era, per altro, vera). Se poi gli si faceva notare che gli studenti avevano apprezzato le lezioni di storia (di storia del Terzo settore e della cooperazione sociale, s’intende), egli minimizzava, liquidando il discorso con un: «la storia piace sempre!».

A quel punto, lo sguardo filtrato dagli occhiali si posava sui suoi occhi azzurri e sul suo sorriso malizioso. E si capiva che la storia gli interessava; e gli interessava, eccome. Ovviamente, non la storia per la storia. Ma la storia come disciplina che gli avrebbe fornito un’ulteriore chiave di lettura capace di arricchire le conoscenze sul Terzo settore, la cooperazione sociale e l’impresa sociale. Che, in fondo, sono i temi cui ha dedicato una vita: per lui, ben più che un oggetto di studio; una passione, autentica, per cui si è speso, mettendoci anima e corpo.

In questo articolo andrò a riannodare i fili di un ragionamento, alla ricerca del contributo di Carlo Borzaga alla storia del Terzo settore e della cooperazione sociale. Un contributo, il suo, non dà storico, né dà storico-economico che utilizza gli utensili propri della storiografia, bensì da economista che ha scritto anche di storia. Ometterò, per pudore, di rifarmi ai lavori che abbiamo firmato assieme, e mi avvarrò di altri suoi contributi, pubblicati o inediti, di relazioni scritte o di appunti di relazioni, in cui egli fa esplicito riferimento alla storia.

Punto di partenza è capire quanto, per Carlo Borzaga, fosse importante la storia del non-profit e della cooperazione sociale. E qui emerge, forte, la sua indole di ricercatore serio e rigoroso, ma anche di pensatore che non si sente parte terza rispetto a un fenomeno: perciò, per lui, è importante ricostruire il passato, ma non per un interesse culturale e astratto, ma soprattutto per ottenere indicazioni precise, consapevolezza su come governare l’azione e orientare il futuro. Insomma, «non la storia per la storia, ma la storia per l’azione», come egli afferma in occasione di un seminario a Bergamo, nell’ottobre 2006[1]. Ricostruire la storia del non-profit italiano, e in particolare della cooperazione sociale, secondo Carlo Borzaga, è dunque fondamentale per «mettere in luce l’originalità e le caratteristiche fondative» del Terzo settore e dell’impresa sociale, «al fine di aiutare i [volontari e i] cooperatori sociali a riacquistare consapevolezza di sé stessi e adeguare a questa la loro azione quotidiana»[2]. C’è sempre una motivazione “politica” nel suo scavo nel passato, quasi un uso strumentale (ma a fin di bene) della storia, “utilizzata” per migliorare la comprensione di un fenomeno affinché esso possa crescere, prendere vigore e rinforzarsi, per perseguire il bene comune.

La storia come strumento di conoscenza, dunque, ma anche di guida per l’azione.

Vi sono poi i confini della storia. E qui il tema si fa delicato: fin dove retrodatare l’analisi storica per garantire un’adeguata comprensione dell’evoluzione del Terzo settore in rapporto a tutto ciò che vi sta attorno, pubblico e privato for profit? Su questo, Carlo Borzaga sembra avere le idee chiare: le riferisce in occasione di un convegno organizzato dal sindacato Cisl nel marzo 2007. È necessaria un’analisi storica di «lungo periodo», afferma, per «vedere quale fosse la situazione prima della formazione dei sistemi pubblici di welfare (welfare state)». Ma è pure importante un’analisi di «breve periodo». Perché è necessario indagare «le origini (economiche, sociali e culturali) delle nuove forme di non-profit che si sono venute sviluppando in questi ultimi trent’anni; soprattutto di quella più innovativa: la cooperazione sociale»[3]. In questo senso – insiste Borzaga – «per comprendere questa improvvisa riemersione del Terzo settore italiano non basta […] analizzarne l’evoluzione recente. È indispensabile ripercorrerne la storia e approfondirne i rapporti tra Terzo settore e politiche pubbliche di welfare, collegando il tutto con i movimenti sociali che hanno interessato l’Italia tra gli anni ’60 e gli anni ‘80».

È inseguendo questo proposito che egli pubblica From Suffocation to Re-emergence: The Evolution of th Italian Third Sector (Borzaga, 2004), un saggio in cui la tensione tra l’analisi di lungo e di breve periodo si tiene insieme, permettendogli di tratteggiare una linea interpretativa che riprenderà e svilupperà anche in seguito. Un filo interpretativo che si comprende a partire dal titolo di questo scritto: dal “soffocamento alla riemersione”, appunto. Un titolo evocativo e chiarificatore, al tempo stesso, che dà l’idea di quale sia stata, secondo Borzaga, la parabola evolutiva del Terzo settore in Italia.

Un Terzo settore che era presente e vivo sul finire dell’Ottocento e al quale veniva affidata tanta parte delle attività di protezione sociale, a completamento del ruolo – preponderante, fondamentale – della famiglia. «Gran parte delle attività di protezione sociale esterne al nucleo familiare – afferma Borzaga (2004: traduzione mia) – erano svolte da organizzazioni private not-for-profit, spesso dotate di patrimoni considerevoli e finanziate sia da privati cittadini che dagli enti locali». «Tra queste le più importanti erano – riferisce l’autore – le Opere Pie (Charities), le Società di Mutuo Soccorso, le cooperative, le Casse di Risparmio e i Monti di Pegno (Saving Banks)».

Culminata la fase della crescita, inizia il momento dell’indebolimento del Terzo settore, considerato che l’assistenza, la sanità e la previdenza diventeranno sempre più dominio del pubblico e dello Stato centrale. È ciò che Borzaga (2004) definisce con il concetto di “soffocamento”. Un processo che inizia – a suo dire – con la legge Crispi del 1890 e che trasforma «le Opere Pie da istituzioni private autonome in Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza».

Dice l’autore, in occasione del convegno Cisl del 2007: «il passaggio dal non-profit al pubblico e al for-profit non è avvenuto in modo naturale (cioè non è avvenuto man mano che le soluzioni alternative al non-profit si dimostravano più efficienti o più efficaci), ma grazie a veri e propri interventi “repressivi” che si sono succeduti nel tempo: legge Crispi e interventi successivi; fascismo (codice civile); costruzione del sistema di mercato e di welfare pubblico negli anni del dopoguerra fino al 1975/78».

È un momento di svolta, quello della legge Crispi, su cui egli insiste molto; e in più occasioni. Ed è forse l’unico punto interpretativo che non ci ha visti perfettamente allineati: lui convinto si trattasse di un intervento repressivo, di soffocamento appunto, ed io altrettanto persuaso che fosse una misura necessaria per mettere ordine al ginepraio, all’incapacità di queste organizzazioni di garantire interventi diffusi ed equi; misure, insomma, per dare la stura ai primi vagiti di una legislazione sociale in grado di ampliare le maglie dei tutelati e degli inclusi (almeno, a livello teorico).

Gli interventi repressivi, invece, vi sono stati, eccome; ma in seguito: con il fascismo e con le misure coercitive e di controllo volute dal regime. Per questa ragione – e qui concordo pienamente con quanto egli afferma – «il ridimensionamento del ruolo delle organizzazioni di Terzo Settore fu accelerato dall’impostazione centralistica ed autoritaria impressa dal fascismo anche alla politica sociale». Perciò, lo «stretto controllo sociale e la ricerca del consenso al regime indussero un controllo ancora più marcato, perché centralizzato e politico, delle Ipab, ed un uso politico delle risorse. Secondo la logica fascista, infatti, non solo la società civile non doveva collaborare alla realizzazione delle politiche sociali, ma doveva essere lo stesso partito fascista a farsi direttamente carico dell’assistenza» (Borzaga, 2004).

Il modello bipolare Stato-mercato, che ha preso il sopravvento tra i primi Novecento e gli anni ’70 del secolo scorso, ha finito per marginalizzare le espressioni della società civile, per metterle in soffitta, nonostante l’apertura di credito presente nella Costituzione Repubblicana del 1948.

Dice Carlo Borzaga: per le organizzazioni senza scopo di lucro, la Costituzione prevede «libertà di azione, soprattutto nelle attività sociali, secondo un modello in cui pubblico e privato si complementano e si completano». Di certo, un buon proposito, quello contenuto in Costituzione. Ma, appunto, “solo” un proposito: destinato, perciò, a rimanere lettera morta, almeno sino agli anni Settanta e oltre. Rileva, ancora, l’autore: «anche dopo il 1948, quindi, […] le organizzazioni di Terzo Settore sono state ulteriormente ridimensionate e confinate a svolgere soprattutto un ruolo di collegamento tra i partiti e le loro aree di influenza».

La svolta si ha – ne è convinto Borzaga, e noi con lui – negli anni Settanta, quando, per un verso, il modello di welfare risente dei primi segni di crisi e, per altro verso, la società e la politica sono scosse dalla contestazione studentesca e dal movimento sindacale. La cornice della crisi, la stagflazione e la società che cambia generano disoccupazione ed evidenziano problemi nuovi (le povertà post-materialistiche), mentre l’ente pubblico sbilanciato sulla monetizzazione del bisogno (la pensione come panacea di ogni male) va in crisi. Qui s’innesta la società virtuosa: alcuni attivisti del ’68 «si orientano verso un impegno sociale diretto» e sulla loro strada incontrano in posizione dialogica «quella parte della Chiesa Cattolica che si proponeva di realizzare concretamente il messaggio di promozione umana sviluppato dal Concilio Vaticano II».

È in questo contesto che il Terzo settore conosce una «riemersione» e una virata: da discendente, la parabola si fa ascendente. «Alcuni gruppi di persone – dice Carlo Borzaga – cominciano a provare a superare il gap tra la domanda e l’offerta di sevizi sociali, realizzando nuove tipologie organizzative e produttive. È dall’azione di questi gruppi che prende avvio il rilancio di un ruolo autonomo della società civile e del Terzo Settore in Italia» (Borzaga, 2004).

La ricostruzione dei fatti gli permette di elaborare una linea interpretativa circa l’emergere del nuovo Terzo settore: letto e osservato come «fenomeno originale, non indotto da altri soggetti, frutto del percorso autonomo fatto da gruppi di cittadini che consapevolmente si sono fatti carico di dar risposta ai bisogni delle loro comunità che né Stato né mercato erano in grado di soddisfare per incapacità di cogliere i bisogni e organizzare le risposte»[4]. Un nuovo non-profit, quindi, liberamente scelto dai privati, «avvenuto come risposta spontanea dalla società civile ai bisogni insoddisfatti». Sono stati questi gruppi spontanei – ricorda –, che: «- hanno individuato i bisogni a cui dare risposta; - si sono trovati da soli (almeno all’inizio) le risorse (soprattutto di volontariato); - hanno inventato- adattato le forme giuridiche». Per questo, «non si può parlare di privatizzazione – insisteva, con riferimento al Terzo settore in Italia –. Un fenomeno, questo, che si è manifestato altrove, «avvenuto in altri paesi (vedi Inghilterra) e rappresenta una via alternativa: quella centrata su un ulteriore ampliamento del mercato»[5].

Così diceva Carlo Borzaga, che non rinunciava all’invettiva contro chi non approfondisce e studia. E alimenta, anzi, idee infondate circa l’esistenza e la sussistenza del Terzo settore (e della cooperazione sociale). Come se questo fenomeno non avesse specificità e rilevanza economica autonome, bensì dipendesse da decisioni, mutate, dello Stato: un prodotto, insomma, frutto di decisioni calate dall’alto, come «esternalizzazioni, decentramento, privatizzazioni, mercati sociali»[6]. Niente di più falso, chiosa Borzaga.    

L’anello mancante, e finale, di questa ricostruzione storica, sta infine nell’imprenditorializzazione del sociale per dare continuità e stabilità alle iniziative dei volontari, i quali creano, non senza difficoltà e ostacoli, la cooperativa sociale, una “creatura” al cui sviluppo Borzaga riteneva – e a ragione – di aver contribuito. «Rispetto al volontariato organizzato – sostiene l’economista in occasione di un convegno di Cgm a Montecatini – fa un passo ulteriore: dimostra che la libertà d’azione nel sociale non è solo un diritto dei cittadini, ma può essere organizzata in modo imprenditoriale, contribuendo così non solo a proporre un nuovo modello di welfare (con una ridefinizione dei compiti tra pubblico e privato), ma anche a cambiare il concetto d’impresa: non più organizzazione che può o deve solo perseguire il profitto, ma come luogo che organizza uomini e valori su obiettivi sociali condivisi»[7].

E qui la profezia si realizza e si completa: la storia al servizio dell’economia e la ricostruzione dei fatti a servizio dell’economista. Il quale interpreta un nuovo modo di fare impresa, fondato non sul profitto ma sulla necessità di perseguire un obiettivo esplicitamente sociale.

Quello che è venuto dopo, l’allargamento degli ambiti di attività e l’ampliamento delle forme giuridiche – cioè l’impresa sociale –, è materia attuale che Carlo Borzaga conosceva bene, ma che ha poco a che fare con la storia.

 

 

 DOI: 10.7425/IS.2024.03.07

Bibliografia

Borzaga C., (2004), From Suffocation to Re-emergence: The Evolution of the Italian Third Sector, in A. Evers, J.L. Laville (a cura di), The Third Sector in Europe, Edward Elgar Publishing, Glos, pp. 45-62.

Borzaga C., (2005), Relazione alla Tavola Rotonda, Convention Cgm, Montecatini Terme, 29 aprile 2005.

Borzaga C., (2006), Relazione al Seminario Economia sociale per un welfare locale dei diritti, Bergamo, 26 ottobre 2006.

Borzaga C., (2007), Relazione al Seminario Cisl, Verona, 7 marzo 2007.


[1] C. Borzaga, Relazione al Seminario “Economia sociale per un welfare locale dei diritti”, Bergamo, 26 ottobre 2006, p. 2.

[2] C. Borzaga, Relazione al Seminario “Economia sociale per un welfare locale dei diritti”, Bergamo, 26 ottobre 2006, p. 2.

[3] C. Borzaga, Relazione al Seminario Cisl, Verona, 7 marzo 2007, p. 2.

[4] C. Borzaga, Relazione al Seminario “Economia sociale per un welfare locale dei diritti”, Bergamo, 26 ottobre 2006, p. 4.

[5] C. Borzaga, Relazione al Seminario Cisl, Verona, 7 marzo 2007, p. 4.

[6] C. Borzaga, Relazione alla Tavola Rotonda, Convention Cgm, Montecatini Terme, 29 aprile 2005.

[7] C. Borzaga, Relazione alla Tavola Rotonda, Convention Cgm, Montecatini Terme, 29 aprile 2005.

Sostieni Impresa Sociale

Impresa Sociale è una risorsa totalmente gratuita a disposizione di studiosi e imprenditori sociali. Tutti gli articoli sono pubblicati con licenza Creative Commons e sono quindi liberamente riproducibili e riutilizzabili. Impresa Sociale vive grazie all’impegno degli autori e di chi a vario titolo collabora con la rivista e sostiene i costi di redazione grazie ai contributi che riesce a raccogliere.

Se credi in questo progetto, se leggere i contenuti di questo sito ti è stato utile per il tuo lavoro o per la tua formazione, puoi contribuire all’esistenza di Impresa Sociale con una donazione.