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ISSN 2282-1694
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Numero 3 / 2024

Saggi

Carlo Borzaga attraverso quattro decenni

Giulia Galera, Gianfranco Marocchi

Introduzione

In questo contributo si prova a delineare la traiettoria di sviluppo del pensiero di Carlo Borzaga nei quasi quarant’anni di attività scientifica che lo ha visto protagonista a livello italiano e internazionale, dagli esordi, alla metà degli anni Ottanta del secolo scorso, sino alla sua morte, il 3 marzo 2024.

Il materiale che Borzaga ha prodotto in questi anni è infatti molto eterogeneo: saggi teorici, ricerche empiriche, interventi pubblici, interviste, articoli su media generalisti, ecc. Si tratta del lascito di uno studioso rigoroso che è stato al tempo stesso militante e che nella sua carriera non è rifuggito dal confrontarsi con questioni anche contingenti del dibattito pubblico. E che non si è mai sottratto ad occasioni di confronto, partecipando ad incontri di diversissima natura, dai convegni di alto livello fino agli incontri con piccoli gruppi di volontari e promotori di nuove iniziative di impresa sociale. La sfida è quindi quella di riuscire, nella varietà di questi materiali, a ricostruire il filo rosso intorno al quale si snoda il suo pensiero.

La questione successiva riguarda l’impatto del suo pensiero nel dibattito culturale e sullo sviluppo dell’impresa sociale. Se si esaminano le principali riflessioni di Borzaga, quale valutazione si può dare del grado in cui esse sono state in grado di orientare il dibattito scientifico e la cultura e l’azione dei practitioner e decisori politici? Quali idee sono entrate a far parte del modo di pensare comune e condiviso di chi si occupa a diverso titolo di impresa sociale, tanto che oggi sono utilizzate in modo naturale anche da chi non ha conosciuto direttamente l’opera di Borzaga? Quali, invece, sono state osteggiate e oggi godono di minore considerazione? Quali, anche tra quelle meno note potrebbero stimolare nuove analisi da parte della nuova generazione di ricercatori, impegnati nello studio l’impresa sociale?

A queste domande si tenterà di dare risposta – il più possibile nei termini rigorosi che Carlo non avrebbe esitato ad esigere –combinando l’ammirazione e il rispetto, dovuti ad un grande maestro, con una visione realistica, oggettiva, e dinamica del suo oggetto di studio, che non ha mai smesso di beneficiare delle più recenti analisi, teoriche e empiriche. Cercheremo di ricostruire il suo pensiero, centrale e vincente in una fase, senza tacere, tra le altre cose, le circostanze che lo hanno portato - soprattutto in Italia - a doversi difendere rispetto al rischio di marginalizzazione in tempi più recenti. Pertanto, l’analisi di pensiero di Carlo Borzaga dovrà procedere di pari passo con un’analisi dell’evoluzione del contesto culturale in cui lui ha operato, a livello italiano e internazionale; e la misura in cui – quantomeno nel prossimo futuro e al di là della vicinanza personale – quanto lui ha scritto costituirà (o meno) un effettivo punto di riferimento per ricercatori e imprenditori sociali dipende appunto in misura significativa da come tale clima evolverà ulteriormente negli anni a venire.

Le fasi del pensiero di Carlo Borzaga

Prima di addentrarsi nelle specifiche idee di Carlo Borzaga è utile uno sguardo complessivo alla sua produzione intellettuale, pur nella consapevolezza che la vastità dei materiali da lui prodotti difficilmente può essere racchiusa in pochi passaggi schematici. In prima approssimazione, si possono individuare nella successiva tabella i passaggi fondamentali del pensiero di Borzaga.

Periodo

Contesto

Idee

Opere*

Metà anni Ottanta, primi anni Novanta

Nascono e si sviluppano dal basso nuove imprese inusuali che si costituiscono in forma cooperativa, vengono approvate normative di riconoscimento della cooperazione sociale e del volontariato

Individuare, dare evidenza, descrivere e quantificare il fenomeno emergente della cooperazione sociale

  • Prime ricerche empiriche (dal 1986)
  • Rivista Impresa Sociale (1990)
  • Primo rapporto sulla cooperazione sociale (1994)

Metà anni Novanta

Affermazione della cooperazione sociale in Italia

La governance multistakeholder come specificità dell’impresa sociale. Ricerche empiriche su specifici aspetti (es. lavoratori) che sviluppano tale intuizione

  • L’impresa sociale una chance per l’Europa (1995)
  • Borzaga e Mittone, 1997, The multistakeholder Versus the Nonprofit Organisation
  • Borzaga, 2000, Capitale umano e qualità del lavoro nel settore dei servizi sociali.

Metà anni Novanta, inizio anni duemila

Impresa sociale come fenomeno europeo, con l’esperienza italiana considerata tra i maggiori punti di riferimento e di ispirazione per altri paesi europei e non solo

Definizione di impresa sociale a livello europeo.

Perfezionamento della teoria multistakeholder, inserita in un quadro di riferimento istituzionalista.

  • Borzaga e Defourny, 2001, L’impresa sociale in una prospettiva europea
  • Borzaga e Bacchiega, 2001, L’impresa sociale come struttura di incentivo: un’analisi economica

Anni Dieci

Prevalenza dell’ideologia di mercato, teorizzazione dell’irrilevanza delle forme giuridiche e dell’ibridazione tra profit e non profit

Ricerche empiriche per documentare l’effettiva rilevanza della cooperazione.

Contrasto dell’ideologia di mercato

  • Borzaga e Tortia, 2017, La cooperazione come meccanismo di coordinamento
  • Borzaga, 2018, Cooperative da riscoprire

Anni Venti

Nuovi equilibri tra Stato, mercato e Terzo settore

Ripresa, riorganizzazione e raffinamento delle ipotesi teoriche istituzionaliste

  • Borzaga e Sacconi, 2022, intervista doppia a Impresa Sociale
  • Borzaga a Galera 2023, La rivoluzione dell’impresa sociale
  • Borzaga 2024, Non ho mai smesso di ragionare

* Citate in forma completa nel corso del testo e in bibliografia.

Nelle prossime pagine, si proverà quindi a descrivere sinteticamente i principali punti del pensiero di Borzaga in ciascuna di queste fasi, proponendo al termine di ciascun paragrafo una valutazione dell’impatto che esso ha avuto.

Metà anni Ottanta, primi anni Novanta – Individuare, dare evidenza, descrivere, quantificare il fenomeno emergente della cooperazione sociale

Nel corso degli anni Ottanta del secolo scorso Borzaga era all’inizio della sua carriera accademica e, dal 1978 – ventottenne – presidente della cooperativa Villa Sant’Ignazio, cui rimase a lungo legato. In quella fase non immagina che queste due direttrici della sua esperienza biografica potessero congiungersi in modo virtuoso (“… mi dividevo tra Università e cooperazione. Quando mi misi a studiare le cooperative sociali l’ho fatto come hobby, fuori dall’Università perché non c’era attenzione nel mondo accademico per questi temi”, come si legge in Non ho mai smesso di ragionare). Poi, nel corso degli anni Ottanta – e complice anche l’incontro decisivo con Felice Scalvini – cambia tutto. Cambia prima il contesto sociale, dove le iniziative imprenditoriali con lo “scopo di perseguire l’interesse generale della comunità” crescono esponenzialmente e iniziano a suscitare l’interesse, se non dell’accademia, di una parte del mondo culturale particolarmente attento a questi temi: sono gli anni dei seminari della Fondazione Zancan in cui si incontrano i protagonisti del volontariato e della nascente impresa sociale, cogliendone i punti di contatto; sono gli anni in cui vengono proposte le prime concettualizzazioni di “terzo sistema” e “privato sociale” per racchiudere in una cornice unificante le iniziative che si stavano sviluppando e in cui – dal 1986/1987 - si inizia ad utilizzare, da parte di Felice Scalvini, il termine “impresa sociale”. E, non ultimo, è il periodo in cui si discute su come inquadrare il fenomeno entro una cornice normativa: la prima proposta di legge nazionale è del 1981, ma in particolare dopo il 1987 le proposte normative in merito diventano particolarmente numerose (vedi la ricostruzione su Impresa Sociale) e sono approvate le prime leggi regionali sulla cooperazione sociale, che anticipano di qualche anno la 381/1991; la prima di queste, quella trentina del 1987, ha sicuramente tra i suoi ispiratori Carlo Borzaga[1]. È in questo clima culturale che Carlo Borzaga realizza le prime ricerche empiriche sulle cooperative sociali e sul volontariato – fenomeni che avevano in quella fase, almeno nelle esperienze cui Borzaga era più vicino, confini più sottili – in cui quindi per primo documenta con analisi e numeri un fenomeno emergente, iniziando a proporre categorie concettuali per inquadrarlo. Le pubblicazioni sono molte, in parte disperse nel mondo evanescente della letteratura grigia, in parte pubblicate su canali ufficiali; per fare alcuni esempi, nel 1987 pubblica all’interno di un volume dedicato alla cooperazione italiana, il saggio La cooperazione di solidarietà sociale in Italia: prime riflessioni su un settore emergente[2], nello stesso anno, insieme a Stefano Lepri esplora nel saggio Nuove forme di cooperazione: l’esperienza delle cooperative di solidarietà sociale[3] il ruolo delle nascenti forme di cooperazione nell’ambito dei servizi sanitari, l’anno successivo, sempre insieme a Stefano Lepri, con Oltre a Stato e Mercato: il Terzo sistema[4] prova ad inserire la cooperazione di solidarietà sociale entro un insieme più ampio di organizzazioni diverse da quelle pubbliche e dalle istituzioni di mercato e pubblica su Sociologia del Lavoro La cooperazione di solidarietà sociale: primi risultati di una ricerca in corso[5]. I testi pubblicati in quella fase sono molto più numerosi, ma già da queste citazioni emergono aspetti di grande interesse rispetto al contributo intellettuale di Carlo Borzaga.

Il primo è l’attaccamento ai numeri. Da queste ricerche, che fotografano la cooperazione di solidarietà sociale tra il 1984 e il 1986, sino ai più recenti Cooperative da riscoprire. Dieci tesi controcorrente[6] del 2018 e Inserimento lavorativo e contratti di rete[7] del 2023 le argomentazioni proposte si basano su una quantità significativa di dati: analisi di bilanci, interviste, questionari, osservazione sul campo sono gli strumenti che contribuiranno in modo decisivo a comprendere le effettive caratteristiche della cooperazione sociale – quante persone vi lavorano, quante vi operano volontariamente, quali dimensioni economiche, ecc. - , in un momento in cui nessuno aveva ancora provato a tracciare una descrizione empirica, concreta e fondata, di un fenomeno nascente, partendo dalla sua attenta osservazione.

Il secondo è la capacità di creare un gruppo di lavoro inusuale intorno a sé, composto da studiosi e operatori impegnati in prima linea sul campo. Escono contributi co-firmati con Stefano Lepri, con Felice Scalvini e altri, dando origine al gruppo di lavoro che darà vita nel 1990 a Impresa Sociale. Il Numero 0 di Impresa Sociale[8], diretto da Scalvini e uscito nel 1990 contiene contributi di Borzaga, Gui, Preite, Tavazza e Lepri: è grazie al confronto tra questi e altri studiosi che il dibattito sull’impresa sociale decolla. È invece del 1994 il Primo Rapporto sulla cooperazione sociale[9], curato insieme a Stefano Lepri e Felice Scalvini.

In pochi anni un fenomeno emergente diventa terreno di confronto e un nuovo filone di ricerca tra gli studiosi italiani e non solo, prendendo le mosse dal tentativo di individuare, entro un sistema di pensiero ancora orientato dall’opposizione novecentesca tra Stato e Mercato, lo spazio per soggetti “terzi”- il “terzo sistema”, il “terzo settore”, il “privato sociale” - non riconducibili né all’economia capitalistica, né all’azione dei poteri pubblici; e questo significa che, da quel momento in poi, Carlo Borzaga riunirà in modo organico le sue diverse passioni: quella dello studio e quella dell’essere personalmente impegnato nella costruzione di un movimento che muoveva i primi passi e del quale diventa per lungo tempo il pensatore di riferimento, riunendo intorno a sé sia colleghi, sia sempre più numerosi giovani ricercatori che contribuiranno a sviluppare il complesso delle idee e delle conoscenze che alimenterà l’affermazione dell’impresa sociale quale nuovo soggetto istituzionale con alcune sue caratteristiche proprie.

Sono questi gli anni in cui il termine di impresa sociale iniziò a essere usato anche negli Stati Uniti (Dees 1998) per indicare tuttavia la tendenza di una parte del settore non profit a finanziare la propria attività non solo con le donazioni, ma anche attraverso la vendita di servizi o la gestione di attività collaterali, distinte da quelle istituzionali, che generassero reddito da impiegare a sostegno dell’attività istituzionale. A differenza del contesto italiano ed europeo, non vi era tuttavia alcuna intenzione di riconoscere a queste iniziative una propria identità, anche giuridica, diversa da quella tradizionale o di regolamentare questa evoluzione.

Rispetto a questa fase, è importante ricordare che Borzaga, oltre a dare evidenza ad un filone nascente, è il primo che prova a proporne anche un’interpretazione per ordinarne la complessità. Questa esigenza oggi è in buona parte stata assorbita dalla sviluppo della normativa di settore e all’osservatore attuale viene abbastanza facile classificare le imprese sociali ricalcando le definizioni normative: cooperative sociali di servizi alla persona (tipo A), di inserimento lavorativo (tipo B) o ad oggetto plurimo (in cui sono compresenti attività di servizi alla persona e di inserimento lavorativo), oltre ai consorzi di cooperative sociali; e, poi, ancora, altri soggetti diversi dalle cooperative sociali, con varie forme giuridiche, cui è riconosciuta la qualifica di impresa sociale o che per varie ragioni non ne hanno fatto richiesta pur presentandone tutte le caratteristiche. E, al di fuori di questo perimetro, enti di Terzo settore con carattere non imprenditoriale, come le associazioni di volontariato o di promozione sociale.

Questo modo di inquadrare l’ampio mondo dei “soggetti non pubblici di interesse generale con forma imprenditoriale”, che oggi appare naturale, era invece del tutto magmatico nella fase in cui Carlo Borzaga realizzava le sue prime ricerche; di qui il suo tentativo di individuare un criterio ordinatore, riproposto nella maggior parte dei contenuti prima citati, secondo cui erano presenti:

  • cooperative di solidarietà sociale, evoluzione di iniziative solidaristiche prima condotte a titolo di volontariato e in forme assai poco strutturate, ai limiti dell’informalità, poi evolute in forma di impresa cooperativa che ampliava il concetto di mutualità della cooperazione tradizionale alla comunità in cui operava e in particolare a persone che si proponeva di beneficiare; questo gruppo comprende tanto le cooperative che realizzano servizi sociali, quanto quelle che realizzano attività utili a inserire al lavoro persone svantaggiate. Si tratta del filone cui, personalmente, Carlo Borzaga sentiva di appartenere e che di fatto corrisponde al suo percorso biografico[10];
  • cooperative di produzione e lavoro integrate, frutto principalmente della de-istituzionalizzazione psichiatrica, una delle grandi storie di cambiamento del nostro paese, frutto dell’opera di Franco Basaglia che portò ad una critica radicale dei trattamenti disumanizzanti e segreganti degli ospedali psichiatrici e a cooperative di lavoro, spesso costituite con il supporto delle direzioni degli ospedali psichiatrici, che offrivano occupazione – ed emancipazione, e autonomia - agli ex degenti;
  • cooperative di servizi sociali o “di lavoro sociale” (sono utilizzati da Borzaga entrambi i termini), frutto di esperienze di auto occupazione nell’ambito dei servizi sociali, spesso di cooperative con una assai significativa componente femminile, che, nella maggior parte dei casi in sinergia con iniziative di formazione e riqualificazione e con il sostegno sindacale e di alcune amministrazioni locali, davano vita a imprese poi considerate come partner nel ridisegno del welfare di quegli anni.

Questa proposta ha avuto, a dire la verità, un impatto culturale immediato piuttosto scarso, sorpassata dal dibattito che portò pochi anni più tardi all’approvazione della 381/1991 e che si trova riassunto nel numero di Impresa Sociale 4/2021 dedicato al trentennale della legge (e aperto da un editoriale di Carlo Borzaga e da un articolo dello stesso Borzaga co-firmato con Alberto Ianes). Ebbe una qualche influenza nella redazione della legge 24/1988 del Trentino-Alto Adige (si veda qui l’articolo 2 e seguenti della legge), ma risultò successivamente troppo orientato alla comprensione delle origine e della mission, in un momento in cui risultava invece contrale per il movimento cooperativo trovare un punto di incontro unificante sul terreno pragmatico, come di fatto avvenne con la 381/1991. Anche tra gli studiosi questa proposta ebbe un impatto contenuto e, malgrado Borzaga l’avesse inserita nella maggior parte dei suoi scritti, venne già all’inizio degli anni Novanta lasciata da parte dallo stesso autore, almeno in quella forma; ma, a ben vedere, almeno in parte riproposta in modo diverso e più efficace.

E partendo dall’osservazione delle prime esperienze pratiche, che dalla fine degli anni Settanta iniziarono a prendere forma, e dall’analisi delle motivazioni dei fondatori di queste iniziative e delle caratteristiche dei servizi offerti, Borzaga passò successivamente all’elaborazione teorica.

Metà anni Novanta: la governance multistakeholder

La prima metà degli anni Novanta è il periodo a cui risalgono alcune delle elaborazioni più significative di Carlo Borzaga. In particolare, è il momento in cui Borzaga individua la sostanza delle cooperative sociali nell’essere organizzazioni con una governance inclusiva, orientata ad aggregare portatori di interesse con bisogni diversi (governance multistakeholder). La tesi, nella sostanza è questa: mentre le imprese for profit sono governate dagli azionisti, mentre le cooperative tradizionali sono governate da una specifica tipologia di portatori di interesse (i lavoratori nelle cooperative di produzione lavoro, i consumatori nelle cooperative di consumo, ecc.), le cooperative sociali si caratterizzano appunto per un originale modello di governo che tende per sua natura a coinvolgere una pluralità di portatori di interesse che con l’’impresa intrattengono una diversa relazione (governance multistakeholder). Di conseguenza, convivono nelle basi sociali e nei Consigli di amministrazione una pluralità di stakeholder: i lavoratori, gli eventuali finanziatori, i destinatari degli interventi o i loro familiari o i volontari, visti come soggetti che, privi di interesse negli esiti economici, operano al fine di tutelare le condizioni delle persone a vantaggio delle quali la cooperativa agisce.

Questa tesi, nata dalla capacità di tradurre l’osservazione di una delle effettive peculiarità delle nuove cooperative – la presenza di più stakeholder – entro uno schema che ne spiegava la rilevanza alla luce della teoria economica, si rivela la chiave giusta per argomentare e proporre con forza tra gli studiosi il rilievo delle imprese sociali in un contesto nazionale e internazionale, prendendo le mosse dal contestuale percorso di aggiustamento della forma cooperativa e dall’evoluzione in senso imprenditoriale della forma associativa. Entrambi questi percorsi evolutivi in risposta ad una serie di bisogni scoperti.

Anche se la tesi era già stata accennata in altre sedi, il momento decisivo è la presentazione a Bruxelles nella primavera 1995 del volume L’impresa sociale, una chance per l’Europa, un piccolo capolavoro di letteratura grigia fortunatamente salvato dall’oblio grazie all’opera di digitalizzazione offerta sul numero 1/2022 di Impresa Sociale. Di questo volume si dirà più diffusamente anche nel prossimo capitolo, dedicato alla definizione di impresa sociale a livello europeo; ma per quanto di maggiore interesse in questa sede, si tratta del primo luogo dove viene la teoria multistakeholder viene enunciata come peculiare e caratterizzante le esperienze europee di impresa sociale. Borzaga, riprendendo e sviluppando in modo originale in particolare l’approccio di Avner Ben-Ner[11], evidenzia la presenza di una “definizione europea di impresa sociale” centrata in quella prima fase sulla dalla partecipazione del destinatario degli interventi o di soggetti che perseguono il suo benessere all’impresa e alla sua gestione (pag. 15), cui è attribuita almeno altrettanta rilevanza che al vincolo alla non distribuzione degli utili tipico delle teorie anglosassoni sulle organizzazioni non profit[12]; come si vedrà, nella fase successiva i due criteri saranno poi destinati ad affiancarsi nella definizione europea di impresa sociale.

In sostanza, argomenta Borzaga, il fatto che le imprese sociali europee abbiano adottato principalmente (e soprattutto adattato, modificandola in senso multistakeholder con l’art. 2 della legge 381/1991[13]) la formula cooperativa o associativa, basandosi su aspetti partecipativi, va a definire l’impresa sociale originale, caratterizzata appunto da una particolare soluzione di governance in cui interessi diversi si compongono e trovano sintesi. In questa prima fase, la limitazione alla distribuzione degli utili – che pure, si vedrà nel prossimo paragrafo, sarà ripresa nella definizione europea di impresa sociale – assume un valore secondario, in quanto la garanzia dell’orientamento all’interesse dei destinatari doveva essere in primis garantita dalla loro presenza nella governance dell’impresa.

Due anni più tardi Borzaga argomenta e sviluppa queste tesi in un saggio[14], scritto insieme a Luigi Mittone ed esposto in consessi scientifici internazionali (a Bristol e a Mexico City nel 1996 e poi a Trento 1997) dove si argomento appunto la maggiore pregnanza nel contesto europeo del concetto di organizzazione multistakeholder rispetto alla stretta osservanza del vincolo alla distribuzione degli utili, che contraddistingue propriamente le fondazioni. Sono passati meno di dieci anni dalle prime ricerche e non solo, per opera di Carlo Borzaga, l’esperienza italiana viene conosciuta e adottata come riferimento nel contesto europeo, ma, a partire dalla pratica, sono state create le premesse per lo sviluppo anche di nuove basi teoriche, che sono state recepite e poi rilanciate nel mondo scientifico a livello internazionale.

A ben vedere, comunque, le “cooperative di solidarietà sociale” della classificazione proposta nel precedente paragrafo, di fatto si caratterizzavano proprio per la loro inclinazione ad aggregare nella base sociale lavoratori, volontari, utenti, a differenza delle “cooperative di servizi sociali” che nascono invece su iniziativa di operatori sociali. Ma mentre la prima formulazione ebbe poco impatto sul mondo scientifico, questa seconda, più radicata nella teoria economica, più semplice e immediata, diventò un punto di riferimento ancora ampiamente utilizzato dagli studiosi.

La sua intuizione circa il superamento dell’interesse dei soci, tipico delle cooperative tradizionali, da parte di organizzazioni multistakeholder orientate a promuovere i bisogni della comunità o di categorie deboli, ebbe un impatto dirompente sia tra gli studiosi che si occupavano di cooperazione, sia tra i ricercatori che stavano iniziando a studiare le imprese sociali, prendendo le mosse dall’evoluzione dei sistemi di welfare e dai limiti del mercato del lavoro. Ebbe nondimeno un impatto altissimo anche tra gli economisti che si accingevano a mettere in discussione il concetto di impresa affermatosi nella letteratura economica dominante, in base al quale l’impresa sarebbe esclusivamente capitalistica (e la cooperativa rappresenterebbe una specie di “incidente”).

Sempre in quegli anni, l’interesse di Carlo Borzaga per le imprese non capitalistiche lo portò a ricoprire il ruolo di managing editor della rivista “Economic Analysis. A journal of Enterprises and Particpation”, che era focalizzata su quattro ambiti: partecipazione dei lavoratori, organizzazioni nonprofit e imprese sociali, distretti industriali e economie in transizione.

L’attività empirica degli anni successivi sottoporrà ripetutamente a verifica empirica l’ipotesi fondamentale che deriva dalla teoria sopra enunciata e cioè che le cooperative sociali con governance multistakeholder ottengano performance superiori e sarà accolta da numerosi studiosi che la utilizzeranno come punto di partenza per le proprie analisi empiriche[15]. Tuttavia, se negli anni Novanta Borzaga metteva in luce la natura multistakeholder delle imprese sociali, mettendo l’importanza del vincolo alla distribuzione degli utili in secondo piano, successivamente si soffermò e sottolineo l’interazione tra i due meccanismi, entrambi orientati - integrandosi a vicenda - a rafforzare la dimensione inclusiva dell’impresa sociale.

La definizione europea di impresa sociale

Il terzo capitolo di questa vicenda appare essere la logica continuazione del precedente. La ricerca sopra citata (Borzaga 1995) ha rappresentato in realtà il primo passo di uno sforzo di ricerca più ampio ha portato alla costituzione della rete europea di ricerca sul tema dell’impresa sociale EMES , animata da Carlo Borzaga e Jacques Defourny che curano la pubblicazione nel 2001 del volume The Emergence of Social Enterprise[16], tradotto sempre nel 2001 in italiano e liberamente disponibile per il download con il titolo L’impresa sociale in prospettiva europea[17]. Si tratta di un volume fondamentale per chi si occupa di questi temi, un vero spartiacque che contribuisce in modo decisivo a creare un concetto condiviso di impresa sociale tra studiosi di diversi paesi, dando vita così ad un programma di ricerca ancora oggi vivo e attuale.

Il contributo di maggior rilievo, inaugurato in tale volume e poi approfondito in successivi contributi, consiste nell’individuazione di caratteristiche utili a definire un perimetro condiviso dell’impresa sociale in un panorama in cui le esperienze di organizzazioni imprenditoriali non pubbliche di interesse generale si stavano diffondendo in modo significativo in Europa, innestandosi su quadri giuridici e su tradizioni nazionali tra loro molto diverse. La definizione EMES - che corrisponde ad un idealtipo - riesce a proporre una soluzione al tempo stesso adeguatamente inclusiva di questa complessità, ma anche in grado di far emergere la specificità di questi nuovi fenomeni. Per essere inclusa all’interno del perimetro delle imprese sociali, un’organizzazione deve essere contraddistinta da tre dimensioni, la cui rilevanza può cambiare nel tempo e nello spazio, a seconda del contesto di azione e dalla fase di sviluppo dell’impresa.

Nel tempo la definizione proposta da EMES è stata meglio precisata. Nella sua versione più recente, il concetto di impresa sociale si articola lungo tre dimensioni, tra loro collegate: economico-imprenditoriale, sociale e di governance.

La prima dimensione si riferisce alle caratteristiche che connotano qualsiasi iniziativa imprenditoriale: la produzione di beni e/o servizi in forma continuativa e professionale e, quindi, la produzione di valore; un elevato grado di autonomia sia nella costituzione che nella gestione; l’assunzione da parte dei fondatori e dei soci del rischio di impresa; la remunerazione di almeno una parte dei fattori di produzione (soprattutto il lavoro) e l’ottenimento di una parte significativa di risorse dalla vendita dei servizi o dei beni prodotti.

La seconda dimensione, quella sociale, indica l’obiettivo che i titolari si impegnano a perseguire e a chi è finalizzata l’attività dell’impresa: essa non è però solo dichiarata negli statuti, ma si concretizza nel tipo di beni e servizi prodotti o nell’esito finale del processo produttivo, che devono essere riconosciuti come meritori o di interesse generale.

La terza dimensione fa riferimento alla governance. Essa presuppone che l’impresa sociale sia gestita da una pluralità di portatori di interesse, tra cui volontari, lavoratori, utenti, donatori, finanziatori ed eventualmente altre organizzazioni, e che gli organi di governo e con poteri decisionali debbano essere aperti alla loro partecipazione. Inoltre, per garantire che l’impresa non assuma a proprio obiettivo la ricerca del profitto a favore dei titolari e che l’interesse generale sopravviva nel tempo, quest’ultima dimensione prevede che l’impresa sociale osservi il vincolo di non distribuzione o di distribuzione limitata degli utili correnti e di totale non distribuibilità del patrimonio. L’indistribuibilità del patrimonio è concepita per definizione come lo strumento che è in grado di salvaguardare la dimensione inclusiva nel tempo, essendo volto a garantire la sopravvivenza degli obiettivi di interesse generale oltre l’orizzonte temporale di coinvolgimento dei soci nell’impresa.

Questa definizione individua un idealtipo organizzativo a cui le imprese sociali reali spesso non si adattano in modo perfetto, ma verso cui dovrebbero tendere. Attraverso questo esercizio è però possibile individuare in modo chiaro le caratteristiche che un’impresa dovrebbe possedere per definirsi sociale e che la rendono strutturalmente diversa da tutte le altre forme imprenditoriali, incluse quelle attente anche ai risvolti sociali della propria attività. Le imprese così definite sono il risultato di diverse tendenze. In alcuni casi derivano da un’evoluzione in seno ad organizzazioni a carattere sociale già esistenti, in senso più imprenditoriale nel caso delle associazioni e in senso più solidaristico nel caso delle cooperative. In altri casi sono derivate dallo sviluppo di organizzazioni del tutto nuove, nate in risposta a nuovi bisogni.

L’impatto di questa definizione è stato molto alto; al di là dell’attuale confronto in corso rispetto ai diversi concetti utili ad inquadrare l’insieme dei soggetti non pubblici di interesse generale[18], ricercatori e studiosi che in questi vent’anni in Europa parlano di impresa sociali ancora oggi si riferiscono prevalentemente a questa definizione, cui contribuirono in primis Borzaga e Defourny.

Sebbene questa definizione raccolga il dibattito teorico sino ad allora sviluppato e rappresenta un punto di sintesi tra gli studiosi di cooperazione, attenti agli aspetti partecipativi, e quelli impegnati nello studio del nonprofit tradizionale, essa ha un carattere eminentemente empirico; è pensata, cioè, per disporre di elementi utili nella pratica a individuare oltre l’eterogeneità delle situazioni nazionali quali soggetti siano da considerarsi imprese sociali e quali no. D’altra parte, il volume del 2001 raccoglie, tra i vari saggi, anche uno dei contributi di maggior rilievo teorico di Borzaga, L’impresa sociale come struttura di incentivo: un’analisi economica[19], scritto insieme ad Alberto Bacchiega, in cui inserisce l’intuizione rispetto al ruolo della governance multistakeholder viene inserito in un quadro teorico istituzionalista. Il saggio esamina le principali teorie che hanno provato ad indagare i fondamenti dell’esistenza di organizzazioni non profit, ne evidenzia le parzialità e prova a collocarle in un quadro teorico più ampio, analizzando come ciascun l’assetto di governance possa risultare più vantaggioso a partire dalla finalità che l’organizzazione persegue e dai fallimenti cui è esposta. L’impresa sociale con struttura multistakeholder è presentata come l’opzione preferibile laddove “portatori di interesse diversi possono influenzare in modo significativo gli esiti dell’attività dell’organizzazione, ma sono uniti dalla volontà di perseguire un obiettivo comune”.

Probabilmente i primi anni Duemila rappresentano il momento in cui il pensiero di Carlo Borzaga consegue i maggiori riconoscimenti a livello italiano: la definizione EMES è il punto di riferimento, in grado di originare un vasto programma di ricerca empirica che si espande su diversi terreni. Sono quelli gli anni in cui è avviata e realizzata un’ampi ampia ricerca sui lavoratori nelle imprese sociali, coerente con l’idea di verificare in che modo le specificità istituzionali prima richiamate contribuissero a definire benessere e soddisfazione degli operatori[20]. Sono gli anni in cui IRIS network, la rete di ricercatori italiani sul tema dell’impresa sociale guidata da Carlo Borzaga inaugura (2003) il Workshop che costituirà per vent’anni uno spazio di confronto tra ricercatori e imprese sociali, il colloquio scientifico che dal 2007 in avanti riunirà gli studiosi che in quella sede confrontano i rispettivi spunti di ricerca. Nel 2006 viene pubblicato il volume L’economia della solidarietà[21], scritto insieme ad Alberto Ianes, che ricostruisce l’evoluzione dei sistemi di welfare e delle diverse anime del terzo settore in Italia, tra cui in primis la cooperazione sociale.

Sono anche gli anni in cui pubblica (2009) insieme a Flaviano Zandonai L’impresa sociale in Italia. Economia e istituzioni dei beni comuni[22], il primo rapporto organico sull’impresa sociale (l’ultimo per ora pubblicato, curato da Borzaga insieme a Marco Musella, è del 2021[23]). Sono, infine, gli anni in cui prima ISSAN (l’Istituto Studi Sviluppo Aziende Non profit (ISSAN) dell’Università di Trento sorto a metà degli anni Novanta) e poi, dal 2008, Euricse rappresentano i maggiori luoghi di elaborazione sul tema dell’impresa sociale, dando inoltre vita alle iniziative di formazione dei nuovi quadri e dirigenti del Terzo settore con quello che dal 2006 è conosciuto come Master GIS.

Qualcosa è cambiato

Il primo decennio del nuovo secolo si chiude con alcuni eventi che – nel bene e nel male – porterebbero a immaginare un ancor più esteso riconoscimento del lavoro di Carlo Borzaga e del gruppo che lavora insieme a lui.

Da un punto di vista culturale, l’attribuzione nel 2009 del premio Nobel per l’economia a Elinor Ostrom rappresenta il più alto riconoscimento alla tesi che questioni diverse possano essere affrontate con meccanismi istituzionali diversi e che il mercato e lo Stato non siano le uniche alternative da prendere in considerazione. Il fatto che la gestione di beni e risorse comuni – quelli che in Italia sono denominati usi civici, come foreste, pascoli, canali di irrigazione – sia stata regolata per secoli con successo da istituzioni collaborative evidenzia come vi siano spazi di lavoro di grande rilievo per istituzioni con caratteristiche peculiari come quelle che identificano le imprese sociali.

Da un punto di vista economico, la crisi del 2008 chiude – drammaticamente – la fase in cui l’impresa for profit poteva essere considerata come l’istituzione in grado di rispondere in modo efficiente ed efficace alla generalità dei problemi sociali e la successiva crisi del debito sovrano 2011 denuncia parallelamente i limiti della risposta pubblica. Tutte circostanze che dovrebbero portare a guardare con interesse a forme diverse sia dallo Stato che dal mercato e a valorizzarle per le loro specificità.

E, in effetti, vi sono, sul fronte politico, alcuni segnali di una possibile evoluzione nel senso di un maggiore riconoscimento dell’economia sociale. A partire dal 2009, infatti, le istituzioni comunitarie, in un’Europa messa a dura prova dalla crisi economica, iniziano a guardare con sempre più interesse alle imprese non capitalistiche e in particolare alle imprese sociali – talvolta con una confusa sovrapposizione semantica[24] tra “impresa sociale” e “innovazione sociale”, giungendo nel 2011 al primo documento strutturato, la Social Business Initiative (SBI) che prevede l’adozione di una serie di politiche di sostegno. La SBI si rifà ad una definizione, che riprende il concetto di impresa sociale elaborato dalla rete EMES, che era stato nel frattempo fatto proprio - sebbene con alcune differenze che riflettono le specifictà nazionali - dal legislatore di numerosi paesi membri dell’Unione Europea.

Si tratta di un importante riconoscimento del contributo intellettuale di Carlo Borzaga e della rete EMES a livello europeo. Sempre negli stessi anni, in occasione della proclamazione dell’anno delle Nazioni Unite dedicato alla cooperazione nel 2012, Carlo Borzaga è il promotore insieme ad Euricse di un importante convegno internazionale “Promuovere la conoscenza delle cooperative per un mondo migliore”, organizzato congiuntamente da Euricse e dall’International Co-operative Alliance (ICA -Alleanza Cooperativa

Internazionale) a Venezia. I risultati del Convegno, che aggrega i principali studiosi e studiose della cooperazione di tutto il mondo, tra cui Hansmann, Ben-Ner, Birchall, McPherson, Hagedorn, i coniugi Zamagni, Defourny, Jones, Muenkner, Pérotin, Mori e Kalmi, sono riassunti in un documento tradotto in ben 10 lingue (https://euricse.eu/it/publications/il-contributo-delle-cooperative-per-un-mondo-migliore/) sul contributo delle cooperative.

Se a livello internazionale, in un clima generale di crescente confusione e banalizzazione del concetto di impresa sociale, a partire dal 2001 il riconoscimento del lavoro di Carlo Borzaga è indubbiamente cresciuto progressivamente grazie a varie collaborazione con organizzazioni internazionali come OCSE, UNDP, ILO e la Commissione Europea, lo stesso non può dirsi per l’Italia, dove a dispetto di una evoluzione normativa più coerente e completa rispetto a quella di altri paesi europei, cui hanno indubbiamente contribuito le riflessioni di Borzaga, le fondamenta del suo pensiero sono costantemente messe in discussione da un clima culturale intriso da interpretazioni spesso contraddittorie.

Da un lato vi sono circostanze che parrebbero aprire anche in Italia prospettive coerenti con il lavoro di Borzaga: il grande – e per certi versi inatteso - successo nel 2011 del referendum sull’acqua evidenzia l’urgenza di superare l’idea che solo il mercato costituisca una risposta adeguata. E ancora, con un salto avanti di tre anni, è del 2014 l’annuncio del Governo Renzi di voler avviare un percorso teso alla riforma del Terzo settore, annunciato dall’allora Presidente del Consiglio con un discorso introdotto dall’affermazione che “lo chiamano terzo settore, ma in realtà è il primo…”. Insomma, circostanze su piani diversi, che ragionevolmente avrebbero dovuto portare a valorizzare e sviluppare il filone di riflessioni sviluppato nei quindici anni precedenti da Carlo Borzaga.

Lo sviluppo degli eventi segue però in realtà un andamento diverso.

Non è questa la sede per esaminare a fondo il pensiero che si diffuse in quegli anni e le sue motivazioni e ci si limiterà quindi ad evidenziare alcuni aspetti che si pongono in relazione – o per meglio dire, in contrasto – con le analisi proposte da Carlo Borzaga. Rispetto alle imprese sociali, infatti, l’enfasi sul loro possibile ruolo si colloca sempre più chiaramente in un quadro che:

  • presuppone (da un punto di vista di analisi fattuale) e auspica una sempre maggiore convergenza tra impresa for profit e impresa sociale. In sostanza, viene affermato, le imprese for profit stanno guardando con sempre maggiore attenzione alla responsabilità sociale del proprio operato e all’impatto generato dal proprio agire imprenditoriale, assumendo di conseguenza caratteristiche più sociali; al contempo, le imprese sociali, considerate generalmente poco inclini all’azione imprenditoriale, sottocapitalizzate e poco attrattive per gli investitori, poco manageriali, poco professionali, un po’ approssimative nell’organizzazione, economicamente fragili, sono chiamate a guarda senza pregiudizi ai modelli più dinamici ed efficienti dell’impresa for profit, assumendone il più possibile le caratteristiche;
  • in altre parole, invece di considerare le specificità istituzionali dei diversi soggetti, da preservare e valorizzare, essendo ciascuno di essi vocato in ragione delle sue caratteristiche a specifici compiti, l’esito è quello di una convergenza su un modello (“ibrido”, rappresentato ad esempio dalle società benefit o dalle B-Corp) da cui si attende una capacità di contemperare finalità sociali e aspettative di profitto e di assicurare, in luogo dell’approssimazione attribuita alle imprese sociali, l’efficienza e la managerialità delle imprese for profit;
  • sfumando le specificità di ciascuna forma di impresa e in omaggio ad una supposta “laicità” circa le forme giuridiche, si giunge ad affermare l’indifferenza della natura dell’organizzazione e la necessità di considerare, quale termine per valutare la “socialità” di un’impresa, l’impatto sociale generato[25], da misurarsi attraverso apposite metriche[26].
  • ritenendo che la struttura non lucrativa delle imprese sociali scoraggi gli investitori e che dunque le imprese sociali risultino sottocapitalizzate, si auspica un maggior ruolo di soggetti finanziari in qualche modo attenti, oltre che al ritorno economico, all’impatto sociale generato e misurabile. Questo aspetto viene notevolmente enfatizzato, giungendo spesso a identificare le politiche per lo sviluppo dell’imprenditorialità sociale con il supporto a soggetti finanziari sensibili all’impatto sociale. La finanza è inoltre considerata come soggetto chiave nell’ambito di un auspicata riorganizzazione del welfare attraverso il sistema dei social impact bonds[27]. Pare invece del tutto assente una riflessione che faccia leva sulle specificità istituzionali delle imprese sociali per rispondere ai propri bisogni finanziari[28].

Anche la terminologia si adegua a questo nuovo clima culturale. Al di fuori degli addetti ai lavori può apparire quasi un dettaglio insignificante, ma la diffusione del termine “imprenditorialità sociale” in luogo di “impresa sociale” ha in realtà un risvolto significativo: il riferimento non è ad una forma organizzativa con specifiche caratteristiche istituzionali, ma ad un non meglio precisato orientamento dell’individuo, che si presuppone come collocabile in contesti organizzativi diversi, e quindi neutro rispetto alle forme di impresa.

Anche da un punto di vista delle politiche di sostegno all’imprenditorialità sociale (appunto!) si assiste ad un’evoluzione discutibile. Ispirati dal mito della Silicon Valley, non si punta al rafforzamento e allo sviluppo delle imprese sociali che da decenni stavano operando nel paese – considerate, al contrario, soggetti troppo tradizionali - ma su ipotetici individui con idee innovative che necessitano di risorse di partenza e di un taluni servizi quali incubatori o acceleratori di impresa per dare vita al loro “business sociale”. E dunque, mentre le imprese sociali venivano trascurate dalle politiche e trattate alla stregua di qualsiasi altro soggetto di impresa[29], si sostenevano investimenti nelle “startup innovative”, peraltro con esiti, a ben vedere, piuttosto miseri[30].

La situazione che si viene a creare è, quindi, per certi versi paradossale: nel momento in cui si erano creati i presupposti per dare atto della fecondità delle intuizioni di Carlo Borzaga, il vento culturale soffia in direzioni diverse, opposte: in luogo della considerazione delle specificità istituzionali di ciascun soggetto, in luogo della valorizzazione della biodiversità imprenditoriale, si assiste ad una spinta prepotente verso una “ibridazione tra profit e non profit”, dove di fatto l’aspettativa prevalente è quella dell’adozione, da parte delle imprese sociali di caratteristiche di managerialità sul modello delle imprese for profit. In pochi anni, di fronte a questa ondata culturale, le posizioni sostenute da Carlo Borzaga sono rappresentate nella scomoda posizione di retaggi di un passato da superare per abbracciare un avvenire più dinamico e smart.

Qualcosa di simile accade anche sul fronte delle politiche pubbliche dove, a partire dal rilancio mediatico dei fatti di cronaca connessi all’inchiesta “Mafia capitale” si avvia, in particolare da parte dell’allora potentissimo ANAC, una campagna tesa a rinvenire nelle relazioni tra enti pubblici e terzo settore degli spazi diffusi di clientelismo e malaffare; e la soluzione a questi fenomeni viene individuata nella considerazione dei soggetti di terzo settore e in particolare delle imprese sociali in modo del tutto analogo alle imprese for profit, da sottoporre quindi alle regole della competizione di mercato[31]; ancora una volta, quindi, escludendo programmaticamente il tema al centro della riflessione di Borzaga, costituito dalla necessità di considerare e valorizzare le specificità istituzionali di ciascun soggetto.

 

La produzione intellettuale di Carlo Borzaga negli anni Dieci si colloca appunto nel contesto sopra descritto: un contesto contraddittorio, in cui a dispetto del riconoscimento a livello internazionale grazie anche ad una serie di lavori di ricerca su ampia scala (tra cui il Mapping), la posizione di Borzaga tende ad essere marginalizzata nel dibattito culturale italiano.

In primo luogo, in una pluralità di interventi pubblici[32] e poi in modo più sistematico nel volume Cooperative da riscoprire. Dieci tesi controcorrente[33], Borzaga si confronta, dati alla mano con l’idea che le cooperative siano “piccole, … desuete. Lontane rispetto alle istanze di una digitalizzazione ampiamente invocata, … sottocapitalizzate. Meno efficienti delle imprese di capitali. Dipendenti dall’attenzione quasi assistenzialista che muove la mano pubblica. Favorite, privilegiate. Persino false”. Di fronte a questa narrazione Borzaga evidenzia come la debolezza della cooperazione sia un luogo comune (e non disinteressato) privo di fondamenti empirici e come i dati anzi documentino come le cooperative - e in particolare le cooperative sociali - abbiano mostrato una resilienza assai superiore al resto delle imprese nella lunga fase di crisi che ha attraversato l’economia italiana dal 2008 alla metà degli anni Dieci, crescendo, sia in termini economici sia occupazionali, in modo abbastanza costante sia quando il resto del sistema produttivo entrava in recessione, sia durante i momenti di ripresa (così smentendo anche la tradizionale mera interpretazione anticiclica dell’economia cooperativa); Borzaga documenta inoltre che la patrimonializzazione di queste imprese, così come l’esposizione finanziaria, denotano una situazione di equilibrio; riprende i dati sulla forza lavoro del decennio precedente, evidenziando che la qualificazione appare del tutto comparabile a quella di altre imprese; evidenzia, ancora, come le cooperative, oltre a resistere nelle fasi difficili, investano cifre significative che denotano strategie positive di rilancio. Insomma, sostiene Borzaga numeri alla mano, l’impalcatura narrativa che fa perno sulla debolezza e fragilità delle imprese sociali appare, oltre che infondata, alquanto sospetta, soprattutto se si considera come essa sia promossa da soggetti della finanza tra i maggiori responsabili della crisi economica e che ora ripropongono le stesse ricette rispetto alla parte del sistema produttivo che era riuscito a resistervi.

Parallelamente e per gli stessi motivi, Carlo Borzaga è tra coloro che entrano a pieno titolo (e con alcuni contributi originali) nell’ampio dibattito sul tema dell’amministrazione condivisa scaturito a seguito dell’approvazione del Codice del Terzo settore e segnatamente degli istituti di coprogrammazione e coprogettazione contenuti all’art. 55. A fronte di resistenze sul fronte amministrativo (il parere 2052/2018 del Consiglio di Stato) e del relativo disimpegno di una parte del mondo dell’impresa sociale su questi temi, Borzaga rilancia con forza l’idea che non sia ragionevole per le pubbliche amministrazioni definire modelli di relazione analoghi con soggetti (imprese for profit e Enti di Terzo settore) tra loro diversi per natura e mission. Di nuovo, evidenzia Borzaga, si sta 1) assolutizzando un meccanismo di coordinamento – quello di mercato – utile in certi frangenti e tra determinati soggetti e non ottimale in altri casi e 2) si sta ignorando la natura dei soggetti, che hanno mission, strutture di governance tra loro differenti. Carlo Borzaga, al contrario, interviene con forza nel sostegno degli strumenti di amministrazione condivisa introdotti dall’art. 55 del Codice del Terzo settore: su Welfare Oggi[34] propone argomentazioni originali basate sulla teoria economica a dimostrazione che l’utilizzo di meccanismi di mercato genera nel welfare esiti indesiderabili; dopo il parere 2052 del Consiglio di Stato è, insieme a Gregorio Arena e Felice Scalvini, tra i promotori del “Club dell’art. 55” che firma un argomentato appello[35] che invita il Consiglio di Stato a rivedere le sue posizioni e successivamente pubblica un nuovo articolo su Welforum significativamente titolato L’art. 55: come liberare il Terzo settore e i servizi sociali dalla schiavitù della concorrenza[36]. La logica che spinge Borzaga ad assumere queste posizioni è coerente con quanto sino ad ora espresso: esistono soggetti di impresa di natura differente, ciascuno dei quali gode di vantaggi competitivi in determinate condizioni; le politiche devono dunque adottare meccanismi istituzionali appropriati a ciascun soggetto, incoraggiandone le differenze, invece che spingere all’omologazione; ma questa logica, benché argomentata e supportata da dati, fatica moltissimo a entrare nel dibattito mainstreaming, dove la fascinazione per le tesi dell’ibridazione rimangono ampiamente prevalenti.

Non ultimo, Borzaga negli anni Dieci precisa e sviluppa l’approccio istituzionalista sul quale nel corso del tempo ha fondato la sua teoria dell’impresa sociale; pubblica insieme ad Ermanno Tortia nel 2017 Co-operation as Co-ordination Mechanism: A New Approach to the Economics of Co-operative Enterprises, ampiamente commentato in questo numero di Impresa Sociale da Benedetto Gui. Il saggio, inserito nel volume The Oxford Handbook of Mutual, Co-Operative, and Co-Owned Business, in cui offre un quadro sistematico dei meccanismi di coordinamento – lo scambio tra equivalenti, la gerarchia e la cooperazione – evidenziando i casi in cui quest’ultimo presenta dei vantaggi competitivi.

Chi prenda in mano le pubblicazioni di quegli anni non può che constatare la radicale distanza nel nostro paese tra le posizioni espresse da Carlo Borzaga e da una cerchia di altri studiosi e dalla maggior parte degli autori. Mentre Borzaga scrive di biodiversità imprenditoriale e di specificità dei meccanismi istituzionali di coordinamento, altri parlano di ibridazione e di convergenza tra profit e non profit; mentre Borzaga sottolinea la vitalità del mondo cooperativo, altri lo considerano irrimediabilmente superato. Borzaga rimane estraneo dal vortice di entusiasmo per la finanza di impatto, l’impatto sociale misurabile, le startup innovative, considerando questi e altri concetti come un cedimento a mode scientificamente vacue. Borzaga esprime spesso, nel corso del decennio, la delusione verso politiche che, basandosi su una supposta neutralità dell’attore pubblico, rinunciano a delineare interventi che tengano conto delle specificità istituzionali di ciascun soggetto; denuncia la confusione di chi mette sullo stesso piano imprese sociali, società benefit, b-corp e non fa sconti alle imprese sociali, che invece di valorizzare la propria natura, inseguono tali mode effimere. E il fatto, da parte di Borzaga, di marcare nel dibattito pubblico queste distanze, unito ad un carattere non privo di spigolosità, porta in quella fase ad un isolamento personale e scientifico a livello italiano.

Gli anni Venti

È difficile comprendere appieno gli anni Venti, sarà compito degli storici valutare compiutamente il convulso periodo che stiamo vivendo e le svolte che porta con sé. Una pandemia che ci fa sentire tutti più vulnerabili, il ritorno della guerra in un’Europa scossa da Brexit, ondata sovranista e nuovi equilibri interni, la (probabile) fine della globalizzazione sono tra i mutamenti di contesto in cui si assiste ad un – temporaneo o definitivo, è difficile dirlo – accantonamento della religione del mercato che aveva dominato il trentennio precedente e ad una aspettativa di nuovo allargamento dei poteri pubblici per affrontare le grandi sfide poste dagli impegnative scenari prima tratteggiati; si tratta pertanto di capire se ciò sia destinato a risolversi nella novecentesca alternanza di momenti di preminenza tra Stato e mercato, o se il ridefinirsi di nuovi equilibri apra uno spazio per una maggiore considerazione delle forze della società civile[37].

Quello che è certo, rispetto al tema qui trattato, è che l’ondata mercatista dei decenni precedenti sembra segnare una battuta d’arresto e con essa l’idea che l’unico destino possibile per l’impresa sociale fosse l’adozione di modelli manageriali tratti dalle imprese for profit; e questo attenua notevolmente, rispetto al dibattito sull’impresa sociale, l’isolamento il filone istituzionalista si era trovano negli anni Dieci. Dal punto di vista delle politiche, la storica sentenza della Corte costituzionale 131/2020, oltre a rilanciare l’utilizzo degli strumenti di amministrazione condivisa dell’art. 55 – come si è visto sopra, una battaglia cui Carlo Borzaga prese parte con originalità e decisione – ridisegna in modo decisivo la collocazione del Terzo settore (compresa l’impresa sociale) come soggetto che, in coerenza con la Costituzione, è chiamato a svolgere una funzione di interesse generale in virtù delle sue specifiche caratteristiche.

E, in effetti, in questo diverso contesto, il pensiero di Borzaga esce dall’angolo in cui si era trovato nel decennio precedente e si rilancia con nuovi contenuti; ma, allo stesso tempo, il 2021 è l’anno in cui a Borzaga viene diagnosticata la SLA, che ben presto limiterà drasticamente la sua possibilità di movimento e di parola – ma non di scrittura – e che lo accompagnerà negli ultimi tre anni della sua vita.

In ogni caso, nel 2020 Borzaga cura insieme a Marco Musella il IV Rapporto sull’impresa sociale in Italia[38] (uscito poi nel 2021) dove, oltre ad un aggiornamento sui dati generali sull’impresa sociale (sia ex lege che de facto) compare una delle prime analisi, curata da Giulia Tallarini, circa il ruolo dell’impresa sociale nell’Italia scossa dal Covid. In sostanza, il rapporto documenta da una parte la rilevanza dei numeri dell’impresa sociale, dall’altra la sua capacità di contribuire in modo decisivo alla resilienza del paese nell’emergenza sanitaria[39].

È del 2022 una perla rara, imperdibile per gli studiosi dell’impresa sociale, che insieme ai già citati saggi scritti con Mittone nel 1997, con Bacchiega nel 2001 e a La rivoluzione dell’impresa sociale scritto nel 2023 con Galera, costituisce forse il punto più alto di riflessione teorica sull’impresa sociale sviluppata da Borzaga: una intervista in cui Borzaga si confronta con Lorenzo Sacconi[40], in cui i due studiosi hanno l’occasione di ripercorrere e sistematizzare il proprio pensiero – in molti aspetti convergente, ma con talune differenze significative – sui fondamenti e sulle caratteristiche distintive dell’impresa sociale.

Il 2023 è poi l’anno in cui Borzaga dà esito ad alcune collaborazioni storiche, con la pubblicazione di diversi volumi, frutto delle collaborazioni con Giulia Galera[41], Cristiano Gori e Francesca Paini[42], Luca Fazzi[43] e con il figlio Matteo[44]. Sempre nel 2023 raccoglie i suoi scritti dell’ultimo decennio – interviste, articoli, appunti, interventi pubblici, ecc. – che saranno poi pubblicati postumi in Non ho mai smesso di ragionare[45], mentre un ulteriore volume è oggi in corso di pubblicazione. Questi libri, e in particolare La rivoluzione dell’impresa sociale e Non ho mai smesso di ragionare, costituiscono una sorta di testamento intellettuale, in cui Borzaga sistematizza il proprio pensiero.

Infine

Da un punto di vista personale, la fase finale della vicenda umana di Carlo Borzaga si caratterizza per la ricostruzione di alcuni dei legami che si erano deteriorati negli anni Dieci e per la scelta di sviluppare, con diversi interventi pubblici, riflessioni a partire dalla sua condizione di malattia, raccolte anche in Non ho mai smesso di ragionare.

Dal punto di vista del pensiero scientifico, è forte e urgente in Borzaga il bisogno di riordinare e sistematizzare il suo pensiero nella cornice istituzionalista che diventa sempre più nitida nel corso degli anni. Non a caso, nelle ultime opere, preferisce riferirsi all’economia sociale quale universo più ampio entro il quale si è sviluppata l’impresa sociale grazie soprattutto all’evoluzione della forma cooperativa, ritenendo che la cornice di governance assicurata da quest’ultima sia comunque distintiva e vada per questo valorizzata.

Rispetto all’impatto del suo pensiero nel medio periodo, una valutazione compiuta sarà possibile solo in anni futuri, anche se qualche suggestione è forse già da oggi possibile. Da una parte, è indubbio che taluni elementi del pensiero di Borzaga siano entrati a far parte della cultura consolidata di chi si interessa di impresa sociale. Il concetto di governance multistakeholder è, almeno in temini generali, compreso e condiviso, anche se solo parzialmente nei fatti praticato dalle imprese sociali. Probabilmente il filo rosso più profondo in cui tale concetto si inserisce, sconta il fatto di riferirsi ad un quadro teorico di riferimento istituzionalista – non a caso, negli ultimi tempi, era presente in evidenza nella sua abitazione La grande trasformazione di Karl Polany – che sino ad ora si è trovato in una posizione nettamente minoritaria rispetto alla teoria economica neoclassica. Una minoranza magari apprezzata e citata, ma alla prova dei fatti alla fine messa in secondo piano dagli approcci economici prevalenti. Per questo motivo, l’aspetto più profondo del suo pensiero, il fatto di considerare le specificità istituzionali di ciascuna forma di impresa e i meccanismi di coordinamento che li governano e di fondare su ciò i passaggi successivi – dalle strategie del movimento cooperativo alle politiche pubbliche – faticherà non poco ad essere compreso appieno e soprattutto ad essere nei fatti accolto. D’altra parte, in campo scientifico, l’attenuarsi del monopolio ideologico mercatista apre degli spazi per una rivalutazione del suo pensiero, già avviata nell’ultimo periodo della sua vita.

Conclusioni

Il presente contributo ha tentato di mettere in luce la ricchezza e l’attualità del contributo scientifico di Carlo Borzaga, senza omettere le difficoltà che, soprattutto in una certa fase storica, egli ha dovuto affrontare nel nostro paese. L’originalità del pensiero di Carlo Borzaga sta nell’aver saputo mettere in relazione ambiti di ricerca che abbracciano la teoria dell’impresa, gli studi cooperativi, fino alle analisi del settore nonprofit, passando dalle ricerche sulle trasformazioni dei sistemi di welfare e del mercato del lavoro. Ambiti che fino agli anni Ottanta raramente dialogavano tra di loro. Le ragioni, ben descritte da Carlo Borzaga nei suoi lavori, erano diverse. Poiché l’impresa, nella sua concezione tradizionale, aveva finalità rigorosamente lucrative, speculative ed egoistiche, solidarietà e impresa erano due culture inconciliabili. Al tempo stesso, era convinzione diffusa che i servizi sociali (in senso lato) dovessero necessariamente essere prodotti da soggetti pubblici. Infine, le cooperative erano considerate dagli studiosi del tempo delle eccezioni o, al più, delle organizzazioni transitorie destinate a scomparire a seguito della piena affermazione del mercato.

La capacità di Carlo Borzaga di creare ponti tra ambiti di studio e approcci disciplinari diversi, così come tra comunità di pratiche e studiosi, sfidando le chiavi di letture dominanti dell’economia neoclassica e degli studiosi di welfare, è stata fondamentale nel modellare un inedito tema di ricerca che, in ultima analisi, ambisce a capire come rispondere alle plurime sfide del nostro tempo, ridurre le profonde disuguaglianze tra gruppi sociali e includere chi è maggiormente ai margini della vita pubblica, promuovendo maggiore giustizia sociale. Quello dell’impresa sociale è a tutt’oggi un tema di ricerca di frontiera, ancora in gran parte da esplorare, che non può essere correttamente interpretato e spiegato ricorrendo semplicemente ad un approccio monodisciplinare, né tantomeno senza avere una profonda conoscenza delle esperienze concrete di impresa sociale. Esperienze che Carlo Borzaga conosceva bene, non solo perché le aveva osservate e analizzate in qualità di ricercatore, ma perché fu tra i pionieri di alcune di quelle iniziative.

Grazie alla sua spiccata capacità di intuizione e al suo autentico interesse per l’oggetto del suo studio - aspetto non scontato nel mondo della ricerca contemporanea - Carlo Borzaga ha contribuito a modellare un nuovo ambito di studio che negli anni ha attratto un numero crescente di ricercatori in tutto il mondo e ha stimolato il lavoro di numerosi operatori del settore e decisori politici, sia in Italia sia a livello europeo, che sono stati chiamati a riconoscere e regolamentare queste nuove forme di impresa. Ed è probabile che, nella misura in cui vi saranno studiosi che continueranno a interrogarsi su questo ambito di studio ancora in divenire, ricco di domande di ricerca che attendono risposta, gli scritti di Borzaga rappresenteranno un punto di riferimento Di qui l’importanza della ricerca e del lavoro di rete a livello italiano e internazionale tra studiosi che si occupano di temi affini, ma anche tra mondo della ricerca e comunità dei practitioner, per meglio comprendere a quali condizioni e in che misura l’impresa sociale potrà essere in grado di dare risposte a un corollario di bisogni sempre più fluidi e interconnessi, facendo affidamento sulla partecipazione e il coinvolgimento della comunità.

È al tempo stesso verosimile che il mondo dei practitioner continuerà a leggere con interesse gli scritti di Carlo Borzaga solo se saprà riconoscere il ruolo specifico dell’impresa sociale come soggetto istituzionale con alcune sue caratteristiche peculiari entro un contesto imprenditoriale plurale, popolato da imprese con caratteristiche diverse. L’interpretazione e approfondita conoscenza della genesi e dell’evoluzione dell’impresa sociale, così come rigorosamente ricostruita da Carlo dalle origini fino al suo consolidamento, è a questo proposito cruciale per valorizzarne il potere trasformativo entro una visione di pianificazione comunitaria. E questo in uno scenario in continua evoluzione in cui gli strumenti di governance e i modelli di management aperti alla partecipazione di diversi portatori di interesse, promossi dalle imprese sociali, non devono essere visti come un modus operandi obsoleto, o come una fonte di inefficienza da superare copiando maldestramente e a sproposito le strategie adottate dalle imprese tradizionali, ma come una delle risposte possibili ai tanti bisogni scoperti in territori messi a dura prova da una policrisi destinata ad aggravarsi, che affligge sia il tessuto sociale e economico, sia l’ambiente che ci ospita.

 

DOI: 10.7425/IS.2024.03.01

 

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[1] Rispetto alla storia che ha portato all’affermazione della cooperazione sociale, lo stesso Borzaga pubblicherà alcuni anni più tardi insieme ad Alberto Ianes un volume per Donzelli. Borzaga C. e Ianes A., (2006), L’economia della solidarietà, Storia e prospettive della cooperazione sociale, Donzelli, Roma. Il tema sarà poi ripreso, in occasione del trentennale della 381/1991, in Borzaga C., (2021), A trent’anni dalla 381, in Impresa Sociale 4/2021 e in Borzaga C., Ianes A., (2021), La cooperazione sociale e il volontariato organizzato. Un tornante della storia, in Impresa Sociale 4/2021.

[2] Borzaga C. (1987), La cooperazione di solidarietà sociale in Italia: prime riflessioni su un settore emergente, in Carbonaro A., Gherardi S. (a cura di), I nuovi scenari della cooperazione in Italia: problemi di efficacia, efficienza e legittimazione sociale, Franco Angeli, Milano.

[3] Borzaga C., Lepri S. (1987), Nuove forme di cooperazione: l’esperienza delle cooperative di solidarietà socialeRivista della Cooperazione, 30/1987.

[4] Borzaga C., Lepri S. (1988), Oltre a Stato e Mercato: il Terzo sistema, Servizi Sociali, 1, Fondazione Emanuela Zancan.

[5] Borzaga C. (1988), La cooperazione di solidarietà sociale: prime riflessioni su un settore emergente, Sociologia del Lavoro, 29.

[6] Borzaga C. (A cura di), 2018, Cooperative da riscoprire, Donzelli, Roma.

[7] Borzaga C, Borzaga M. (a cura di), (2023), Inserimento lavorativo e contratti di rete, Il Mulino, Bologna.

[8] Sul sito di Impresa Sociale sono liberamente disponibili tutti i numeri della prima serie della rivista, la “Serie rossa” che copre gli anni dal 1990 al 1998.

[9] Borzaga C., Lepri S., Scalvini F., Primo rapporto sulla cooperazione sociale, Edizioni CGM, Milano.

[10] Per l’esperienza di Carlo Borzaga come presidente dal 1978 al 1989 della cooperativa sociale Villa Sant’Ignazio, si rimanda a Borzaga (2024), pag. 137 e seguenti.

[11] Secondo Ben-Ner il rationale delle organizzazioni non profit stava nell’abbattimento dei costi di transazione attraverso l’integrazione tra produttore e destinatario laddove si trattasse di produrre beni caratterizzati da alta asimmetria informativa; si tratta di una proposta diversa alla stessa questione – la tutela del destinatario in caso di alta asimmetria informativa - cui Hansmann rispondeva evidenziando il ruolo dei limiti alla distribuzione degli utili, che avrebbe disincentivato comportamenti opportunistici dei manager. Sicuramente la spiegazione di stampo istituzionalista di Ben-Ner si prestava in misura assai maggiore il pensiero che Carlo Borzaga andava sviluppando. Va comunque ricordato che Borzaga ricordava con un certo orgoglio la conversazione avuta con Hansmann, in cui riuscì a convincere l’interlocutore delle proprie testi “Ricordo che ebbi una lunga chiacchierata con Hansmann in cui gli spiegai come erano normate le cooperative in generale, e quelle sociali, in Italia, al termine della quale concluse: «ma queste sono imprese non profit a tutti gli effetti» e incluse poi questa precisazione in una nota del libro sulla proprietà dell’impresa (The Ownership of the Enterprise)” (Borzaga 2024).

[12] La tesi classica di Hansmann in proposito era che in ambiti di alta asimmetria informativa – lo studioso si riferiva principalmente agli intermediari filantropici, ai soggetti, cioè, cui si conferiscono donazioni – l’impossibilità che venissero distribuiti utili garantiva (o contribuiva a garantire) dal rischio che le risorse fossero impiegate per remunerare oltre misura fattori diversi da quelli per cui erano destinate. La tesi appare non così pregnante al lettore europeo, ma rappresentò negli anni Ottanta uno dei punti di partenza nella teoria sulle organizzazioni non profit.

[13] “Oltre ai soci previsti dalla normativa vigente, gli statuti delle cooperative sociali possono prevedere la presenza di soci volontari che prestino la loro attività gratuitamente”. Di fatto questo comma si prestò ad includere soggetti diversi nelle basi sociali – famigliari, utenti, volontari – configurando di fatto la cooperativa sociale come soggetto multistakeholder, con una significativa rottura dell’impostazione che si era consolidata rispetto alle forme cooperative nel nostro paese.

[14] Borzaga C., Mittone L. (1997), “The multistakeholder Versus the Nonprofit Organisation”, Department of Economics Working Papers, N. 9707, University of Trento.

[15] Tra i moltissimi esempi di altri autori che hanno accolto e utilizzato la teoria del modello di governance multistakeholder proposta da Borzaga, si segnala Sacchetti S., (2018) Perché le imprese sociali devono avere una governance inclusiva, in Impresa Sociale 11/2018 sul fronte degli sviluppi teorici e, sul fronte dell’analisi empirica, il lavoro della stessa Sacchetti sul caso del Consorzio InConcerto di Castelfranco Veneto: Sacchetti S., (2019), Dall’economia sociale all’economia socializzata. La governance cooperativa come sistema di condivisione del lavoro e della ricchezza sociale, in Impresa Sociale 14/2019.

[16] Borzaga C. e Defourny J. (eds.), (2001), The Emergence of Social Enterprise, Routledge, London.

[17] Borzaga C. e Defourny J. (a cura di), (2001), L’impresa sociale in una prospettiva europea, Edizioni 31, Lavis (TN).

[18] Per una disamina dei diversi concetti, si rimanda a Galera G. e Chiomento S, (2022), L’impresa sociale: dalla teoria alle policy, in Impresa Sociale 1/2022, in cui le autrici esaminano l’utilizzo da parte di ricercatori e policy maker dei termini impresa sociale, economia sociale, economia solidale, economia sociale e solidale, terzo settore.

[19] Borzaga C. e Bacchiega A., L’impresa sociale come struttura di incentivo: un’analisi economica, in Borzaga C. e Defourny J. (a cura di), (2001), L’impresa sociale in una prospettiva europea, Edizioni 31, Lavis (TN).

[20] Di questo programma di ricerca si parla nell’articolo pubblicato in questo numero di Impresa Sociale da Tortia, Depedri e Carpita. Il tema, che trova eco anche nel già citato saggio scritto nel 2001 con Bacchiega, originò il libro Borzaga C. (a cura di) (2000), Capitale umano e qualità del lavoro nel settore dei servizi sociali. Un’analisi comparata tra modelli di gestione, FIVOL, Roma; a tale volume seguirono numerose altre pubblicazioni da parte del gruppo di lavoro formatosi attorno a Carlo Borzaga e in particolare di Sara Depedri ed Ermanno Tortia.

[21] Borzaga C e Ianes A., (2006) L’economia della solidarietà. Storie e prospettive della cooperazione sociale, Donzelli, Roma

[22] Borzaga C. e Zandonai F., (2009) L'impresa sociale in Italia. Economia e istituzioni dei beni comuni, Donzelli, Roma.

[23] Borzaga C. e Musella M., (2021), L’impresa sociale in Italia. Identità, ruoli e resilienza, Iris Network, Trento. Il volume è liberamente scaricabile a questo indirizzo. I rapporti sull’impresa sociale di Iris Network sono elencati a questo indirizzo.

[24] Sul tema intervenne anche Carlo Borzaga: Borzaga C., (2013), Innovazione sociale e impresa sociale: un legame da sciogliere, in Impresa Sociale 1/2013.

[25] Non a caso, come spesso ha evidenziato Carlo Borzaga nei suoi scritti, la prima versione della riforma del Terzo settore, approvata in prima lettura dalla Camera dei deputati, a) considerava le imprese sociali in uno spazio intermedio tra il Terzo settore e le imprese for profit e b) le identificava sulla base dell’impatto sociale generato e non attraverso specificità istituzionali. Fu la seconda lettura nella Commissione del Senato, presieduta da Stefano Lepri, a modificare il testo nella forma oggi vigente.

[26] Rispetto al tema della valutazione e segnatamente della valutazione di impatto, si rimanda ad un ampio dossier della rivista Impresa Sociale liberamente disponibile all’indirizzo https://www.rivistaimpresasociale.it/dossier/valutazione-e-dintorni

[27] Sul tema e sulle critiche a questi meccanismi si rimanda a Bernardoni A. (2018), Social Impact Bond, payment by results e imprese sociali: un’analisi critica, in Impresa Sociale, 12/2018 e, con riferimento alla letteratura internazionale e, in specifico al caso inglese dove questi strumenti sono effettivamente stati sperimentati, a McHugh N., Sinclair S., Roy M., Huckfield L., Donaldson C. (2014), Social impact bond: un lupo travestito da agnello?, in Impresa Sociale 3/2014.

[28] Su questo tema si rimanda a Marocchi G., Il più grande crowdfunding d’Italia, pubblicato sul Forum di Impresa Sociale il 25 giugno 2021.

[29] Tra i tanti esempi di tale trascuratezza, si può citare Borzaga C., Marocchi G., (2022), L’inserimento lavorativo, malgrado le politiche, in Impresa Sociale 2/2022, in cui si evidenzia come, pur avendo il nostro paese promosso numerose e significative politiche per l’occupazione dei lavoratori svantaggiati, l’esperienza del soggetto di impresa – la cooperazione sociale di inserimento lavorativo – che per trent’anni era stato il principale attore di queste politiche non è stata valorizzata.

[30] Rispetto all’esito delle politiche verso le startup innovative a vocazione sociale e verso le startup innovative, si può consultare Laspia A., Vigliadoro D., Sansone G. e Landoni P. (2021), Startup innovative a vocazione sociale. Analisi e confronto con le altre startup innovative, in Impresa Sociale 3/2021: in sintesi, fatturati mediani di poche decine di migliaia di euro e zero lavoratori. Questo l’esito della politica di punta immaginata in quegli anni in coerenza con i presupposti (ideologici) che l’avevano ispirata. Sul tema si veda anche Salvatori G., (2019), Le startup salveranno il mondo?, in Impresa Sociale 13/2019.

[31] Su questo tema si rimanda a Marocchi G. (2020), La Sentenza 131 e il lungo cammino della collaborazione, in Impresa Sociale 3/2020.

[32] Si trova traccia di alcuni di questi in Borzaga C. (2024), Non ho mai smesso di ragionare, Vita Trentina, Trento.

[33] Borzaga C. (a cura di), (2018), Cooperative da riscoprire. Dieci tesi controcorrente, Donzelli, Roma.

[34] Borzaga C., (2018), Fin dove si può spingere la concorrenza senza causare danni invece che vantaggi?, in Welfare Oggi 2/2018.

[35] Il testo di tale appello è pubblicato su varie riviste di settore tra cui Welforum il 9 febbraio 2019, dove è liberamente scaricabile a questo indirizzo.

[36] Borzaga C., (2019), L’art.55: come liberare il Terzo settore e i servizi sociali dalla schiavitù della concorrenza, pubblicato online su Welforum il 23 settembre 2019.

[37] Sul tema si possono vedere in particolare i contributi di Gianluca Salvatori: Salvatori G., (2020), La dimensione politica dell'economia sociale, in Impresa Sociale 1/2020; Salvatori G., Sacchetti S., Amministrazione condivisa come nuova relazione tra il settore pubblico e l’economia sociale, in Impresa Sociale 4/2022.

[38] Borzaga C. e Musella M., (2021), L’Impresa Sociale in Italia. Identità, ruoli e resilienza. IV Rapporto Iris network, Iris Network, Trento.

[39] Oltre al già citato IV Rapporto sull’impresa sociale, si veda in proposito Borzaga C. e Tallarini G., (2021), Imprese sociali e Covid-19. Tra difficoltà e resilienza, in Impresa Sociale 1/2021.

[40] Borzaga C., Sacconi L., (2022), Discorsi sull’impresa sociale, in Impresa Sociale 4/2022.

[41] Borzaga C. e Galera G., (2023), La rivoluzione dell’impresa sociale. Per un rinnovato protagonismo della società civile, Feltrinelli, Milano.

[42] Borzaga C., Gori C., Paini F., (2023), Dare spazio. Terzo settore, politica e welfare, Donzelli, Roma.

[43] Borzaga C., Fazzi L., Rosignoli A., (2023), Guida pratica alla co-programmazione e co-progettazione. Strategie e strumenti per costruire agende collaborative, Erickson Edizioni, Trento.

[44] Borzaga C. e Borzaga M., (2023), Inserimento lavorativo e contratti di rete, Il Mulino, Bologna.

[45] Borzaga C., (2024), Non ho mai smesso di ragionare, Vita Trentina, Trento.

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