Tra le molteplici sfide che il mondo del terzo settore in Italia affronta in questi ultimi anni c’è quella del ricambio generazionale, ma più ancora della presenza dei giovani sia dentro i percorsi professionali del lavoro sociale, sia nei ruoli di responsabilità all’interno delle organizzazioni. Si tratta di un tema che ha bisogno di essere compreso, analizzato all’interno di un più ampio sguardo che, ancor prima, si concentra sui temi 1) del lavoro e 2) dei giovani a prescindere dalla eventuale scelta di operare e investire il proprio percorso e le proprie energie professionali dentro il terzo settore.
C’è, quindi, un “prima” da osservare che riguarda il binomio giovani-lavoro e accanto a questo c’è poi da affiancarci, per avere un quadro il più possibile esaustivo, il tema rientrante nell’altro binomio giovani-impegno sociale. Dentro questa cornice significativa e significante rientra la fotografia che ritrai i giovani e l’impresa sociale. Al centro delle argomentazioni proposte in questo articolo si propone perciò un doppio affondo, il primo che porta alcune considerazioni su come i giovani, in questo momento, affrontano il tema lavoro e, il secondo che analizza la situazione dei giovani rispetto all’impegno sociale. Entrambe queste due istantanee rappresentano elementi in grado di condizionare, oggi più di sempre, le traiettorie dei giovani sul perché e poi sul come lavorare all’interno della dimensione dell’impresa sociale.
“Appunti verso una rigenerazione di significati tra giovani, lavoro e impegno sociale” è un contributo alla riflessione, in questa fase storica, su come i tre elementi considerati - giovani, lavoro e impegno sociale – reagiscono nel momento in cui si prova a tenerli insieme.
L’utilizzo della parola appunti nel titolo è proprio in questo senso. I ragionamenti presenti si fermano all’oggi, ma il tema e la relazione tra i tre sostantivi (giovani, lavoro, impegno sociale) è in movimento, per cui in questo momento è utile appuntare delle riflessioni che però tra un po’ di tempo probabilmente avranno bisogno di nuovi aggiornamenti, così da fotografare nuovi passaggi.
È, questa, una premessa necessaria per evitare che le istantanee che si provano a fotografare non siano percepite come una dimensione acquisita, come un traguardo raggiunto ma invece, come correttamente devono essere intese, come un fenomeno dinamico che oggi ci racconta tendenze destinate a mutare nel corso, forse anche nel breve, ma senz’altro del medio periodo.
Mutazioni che si trovano tra l’altro in un tempo inesorabilmente impoverito in termini di numeri di presenza giovanile. L’Italia infatti “si confronta con una sfida demografica di vasta portata, evidenziata da un calo significativo nella sua popolazione giovane. Negli ultimi due decenni, abbiamo assistito a una riduzione di quasi 3,5 milioni di giovani under 35, con un tasso di decremento di circa il 21%. Questo fenomeno ha colpito particolarmente il segmento femminile, con una diminuzione di quasi il 23% contro il quasi 20% maschile. Un confronto che a livello europeo pone l’Italia in una posizione allarmante: siamo gli ultimi per incidenza di giovani, ben sotto la media dell’Unione Europea”.[1]
Le tematiche affrontate in questo capitolo sono divise in due contenitori. Sono quindi avviate da uno sguardo sulla percezione e sulle scelte attuali dei giovani nei confronti del lavoro per poi analizzare lo stato dell’arte su rapporto giovani e impegno sociale.
Per i giovani il lavoro sta assumendo un ruolo e una posizione diversa da quella che il mondo adulto sta ancora praticando e che è consolidato nelle forme, nelle logiche e nei contenuti dentro le strutture e i sistemi di sostegno al lavoro. La trasformazione delle aspettative lavorative dei giovani non è solo un fenomeno generazionale, ma rappresenta un vero e proprio cambiamento culturale. Le nuove generazioni stanno ridefinendo il concetto stesso di lavoro e lo fanno attraverso alcune scelte e atteggiamenti che, in dimensione non esaustiva, si riportano qui di seguito attraverso l’osservazione di alcune recenti ricerche e rapporti nazionali e internazionali.
Il primo punto che appare essere di particolare interesse è quello delle cessazioni dei contratti stabili dei giovani 21-29 anni, prendendo in considerazione le motivazioni dell’interruzione del rapporto lavorativo. Nel Rapporto Eures, Giovani 2024: Il bilancio di una generazione si legge che “delle 496,8 mila cessazioni di rapporti di lavoro stabile di under30enni… ben il 77,1% è stato determinato dalle dimissioni volontarie del lavoratore, mentre circa una su 5 è stata causata da licenziamento (di natura economica o disciplinare)”[2]. Dunque, i rapporti di lavoro cessano, nella grande maggioranza dei casi, per scelta dei giovani stessi.
Ma quali sono le cause? Sa un lato appare “possibile che le trasformazioni dei processi produttivi, innanzitutto la digitalizzazione, abbiano consentito di declinare l’attività lavorativa in modo più flessibile, incrementando così il desiderio di abbandonare occupazioni più tradizionali”, dall’altro lato si nota che, “in luogo della stabilità lavorativa, eserciti una potente attrattiva la ricerca di un’occupazione capace di generare soddisfazione a livello personale, nonché la ricerca di una quotidianità non totalmente dedicata all’impegno lavorativo”[3].
Ma cosa cercano, dunque, i giovani nel lavoro? Sicuramente non un semplice impiego.
Un aspetto qualificante è quello dell’assenza di discriminazioni. Come evidenzia l’Employer Brand Research 2024 di Randstad - indagine internazionale che ha coinvolto 32 Paesi con 173.000 rispondenti e oltre 6000 aziende a livello globale - l’equità è tra i driver principali nella scelta del datore di lavoro per i giovani tra i 18 e i 24 anni. Un indicatore, questo, sostanzialmente ignorato dalle altre generazioni. In sostanza, i giovani valutano l’ambiente di lavoro rispetto alle sue caratteristiche di uguaglianza e il rispetto delle diversità, al fatto che ogni individuo possa sentirsi valorizzato e supportato.
Sempre nella stessa indagine si elencano i principali motivi alla base della scelta della tipologia del lavoro:
Un altro sguardo sul tema giovani e lavoro ce lo offre anche il Censis. Nel Rapporto 2024 per Confartigianato, gli under 35 non hanno dubbi: “a un impiego tradizionale, ripetitivo e imprigionato in gerarchie, preferiscono un lavoro libero e creativo. È questa la percezione del lavoro da parte delle nuove generazioni, le quali mostrano sempre più interesse a occupazioni con orari flessibili, creative e con opportunità di apprendimento”[5]. Stando a quanto emerge da questa indagine condotta a livello nazionale:
Un ultimo sguardo utile a comporre questa postura dei giovani nei confronti del lavoro lo propone Legacoop-area studi.
Nel rapporto uscito nell’aprile del 2024 “Giovani e lavoro” curato da Ipsos si dice che:
Questa panoramica sull’atteggiamento, i desideri, e gli approcci dei giovani al lavoro raccontati attraverso alcuni recenti dati e indagini ci restituisce un quadro in grado di incorniciare il tema del rapporto tra giovani e lavoro come diverso - ma potremmo dire anche distante - dal modello che si era affermato fino a non molti anni fa. E questa evoluzione interroga tutte le organizzazioni, anche quelle no profit, anche le imprese sociali. Siamo di fronte a un modello di richiesta di un lavoro dentro esperienze flessibili, più lente, meno emergenziali, con tempi liberati e con chiari elementi di necessità di senso da poter apprezzare e comprendere. Si scorge un cambio di paradigma radicale, un richiamo intenso alla ricerca di tutto ciò che dà significato e senso profondo e autentico alla propria vita, a quei luoghi, contesti e relazioni capaci di avvicinare la persona alla propria vocazione, quella vera, quella che appartiene all’anima, quella che ti fa sentire con chiarezza nello stomaco che la tua vita e la tua nascita hanno un senso.
E se il rapporto con il lavoro è mutato, non diversa è la situazione se osserviamo il tema partecipativo e di impegno sociale dei giovani.
Questa riflessione parte dalle definizioni “tradizionali” di una parola bella quanto consumata, la partecipazione, ma se ne distacca subito a favore invece di uno sguardo all’impegno sociale dei giovani che ad oggi potremmo ancora ritenere inedito, non affermato, senz’altro poco compreso. “Si vuol marcare infatti una distanza, perché è vero che l’impegno politico delle nuove generazioni si è configurato nell’ultimo ventennio come sempre più scarso, intermittente e superficiale. Un trend che già non pochi anni fa faceva già etichettare i giovani come generazione invisibile (Diamanti 1999) o figlia del disincanto (Bontempi, Pocaterra 2007), caratterizzata dall’eclissi della politica ed un progressivo riflusso nel privato (Ricolfi 2002)[7]”.
Ma è anche e soprattutto vero che queste osservazioni sono corrette se rimaniamo dentro un concetto di partecipazione connesso ad una infrastruttura (forme organizzate, processi decisionali strutturati, procedimenti che consento il riconoscimento da parte della pubblica amministrazione) che gli è stata consegnata, ma che di fatto non funziona più, non convince più, non è più sentita. È come se fossimo davanti a due percorsi paralleli che non si incontrano più, o molto poco.
Con queste affermazioni non si pretende di descrivere in modo esaustivo l’atteggiamento dei giovani nei confronti della partecipazione e dell’impegno sociale, ma solo di evidenziare alcune tendenze compatibili con i dati disponibili. Si tratta di respirare le tendenze e i flussi che si possono percepire, nella consapevolezza che nulla è definito per sempre. Ma, d’altra parte, ogni analisi non può che raccontare un momento specifico, uno scatto del qui e ora, rendendo d’altra parte il lettore consapevole del fatto che un prossimo sguardo porterà nuove sollecitazioni e nuove visioni. Questo vale in generale in ogni dimensione studiata, ma ancor di più quando il tema sono i giovani e l’impegno.
Gli ultimi rapporti pubblicati sulla condizione dei giovani in relazione alla partecipazione politica ed elettorale rilevano una consistente quota di sfiducia e disaffezione, frutto di un diffuso sentimento di frustrazione delle aspettative:
L’istituto Toniolo, nell’ultima indagine sulla partecipazione e i giovani realizzata nel 2023-24, evidenzia come, esprimendosi sul fatto che la politica italiana offra o meno reale spazio di partecipazione, oltre il 60% dei giovani intervistati risponde che “attualmente non ci sono opportunità per i più giovani di partecipare e agire in ambito politico”. Solo il 32,5% dei rispondenti ritiene che alcuni partiti o movimenti offrano tali spazi e una esigua minoranza (pari al 5,2%) risponde in maniera affermativa.
Nel Rapporto Bes-Istat 2023 si conferma la crescita della partecipazione sociale in particolare tra i giovani di 14-24 anni con una variazione di +11% dal 2021 al 2022 (cfr. S.C.U). L’Italia è al 125° posto globale su partecipazione politica e civica (Global Youth Index). Concentrandoci su un aspetto specifico, apprendiamo inoltre che in Italia manifestazioni, sit-in, flash mob hanno coinvolto una componente rilevante della popolazione giovanile ed è da segnalare anche il dato sulle petizioni, che grazie alla fruizione delle piattaforme online, hanno coinvolto il 31% dei cittadini, con una partecipazione quasi doppia, del 61%, tra i giovani compresi dai 18 ai 29 anni (Rapporto LaPolis Università di Urbino). Quello che i dati dicono (Openpolis 2023, Toniolo 2024) evidenziano e che non è diminuita la domanda di partecipazione e tantomeno la voglia di protagonismo. C’è, in particolare, un forte desiderio di esserci dove le cose accadono, dove ci sono questioni considerate centrali per il proprio tempo; ma questo si attua con forme di partecipazione che non collimano con quelle tradizionali e consolidate. Questo non significa che tali forme siano sbagliate o “vecchie”, ma ne rivela la fatica e evidenzia come essere vadano, ri-stimolate e re-interpretate. Le forme di partecipazione giovanile non collimano spesso con quelle tradizionali perché l’esigenza nuova e forte è muoversi dal “già visto” per andare in forme inedite, magari leggere ma non deboli, per ritrovare fiducia nei processi relazionali collaborativi.
La sfiducia è senz’altro il centro del tema che lega la partecipazione ai giovani (ma che lega in generale la partecipazione a qualsiasi categoria generazionale). I motivi della caduta di fiducia[9] sono da rinvenire, ancor prima che sulle fragilità di aspetti specifici e pur molto rilevanti, come le opportunità occupazionali, l’offerta di servizi di welfare ecc., su una crisi molto più profonda, che è precedente a tali questioni e che è più complessiva. È una sfiducia, quella di oggi, che investe in generale il sistema economico e sociale.
Nel campo dell’impegno e della disponibilità all’impegno i giovani oggi trovano motivazione e agiscono:
Le nuove dimensioni del lavoro, fluido, immateriale e non retribuito, libero-professionale e invasivo rispetto alle 24 ore quotidiane, non potranno più costituire la base della partecipazione individuale all’ordine sociale come è stato nel progetto moderno. Il lavoro non è registrato e retribuito con continuità e non vi è la distinzione tra tempo di lavoro retribuito e tempo liberato sulla quale si basavano le forme moderne della partecipazione alla vita democratica.
Il tempo non retribuito infatti era “reso libero” (permesso, garantito) dal tempo lavorativo retribuito; su questo concetto poggiava l’invito al volontariato o l’adesione ad un partito, ad esempio. Oggi il “tempo della propria collocazione nel mondo” occupa quasi tutte le attività e le relazioni dei giovani precari, senza che essi traccino una linea di demarcazione netta tra lavoro, auto-formazione, relazioni personali, ecc.
Le nuove forme di partecipazione giovanile includono modelli di partecipazione non convenzionale e basate sul coinvolgimento civico: “Diversi studi rilevano legami diretti e positivi tra impegno civico e partecipazione politica, mostrando come le analisi della partecipazione politica che non considerino questa dimensione siano parziali (Almond, Verba 1963; Putnam, 2000)[10]”. Sebbene sia dimostrato che l’impegno civico promuova la partecipazione politica, la direzione della relazione è ancora da verificare empiricamente.
Facendo un tentativo di codificare forme tradizionali e nuove forme di partecipazione dentro una organizzazione:
Si assiste a una partecipazione spesso di “transito”, ovvero mossa da elementi di emotività specifica legata a un fatto e che ha dei tempi di attivazione molto rapidi, ma che ha anche momenti di flessione, interruzione o chiusura (altrettanto rapidi).
Se la partecipazione di passaggio, di transito come l’abbiamo chiamata, è un tratto peculiare dell’oggi partecipativo dei giovani, un ulteriore e ultimo aspetto nell’indagare trend, tendenze e novità in corso vi è anche quella della partecipazione “in potenza”. Sul tema è interessante la ricerca (in modalità CATI nel periodo 30 giugno – 8 luglio 2022 su un campione casuale di cittadini toscani tra i 18 e i 70 anni non attivi in organizzazioni del terzo settore), curata dal Professor e sociologo Andrea Salvini dell’Università di Pisa e promossa dal Cesvot e Regione Toscana, dedicata al segmento, finora pochissimo analizzato, dei volontari potenziali.
La ricerca ci consegna questi dati interessanti: la quota di “volontari potenziali” è pari al 20,8% ma solo il 7,1% si dichiara disponibile “senza condizioni” e dunque “pronta” – se adeguatamente “intercettata” – a operare all’interno di un Ente di Terzo settore”. Il passaggio da uno status di “volontari in potenza” ad uno di “volontari effettivi” necessita, infatti, di un percorso di riflessione e di verifica, da parte dei cittadini, delle concrete circostanze favorevoli che conducono a fare una scelta così importante, che modifica in modo significativo gli assetti della propria vita quotidiana. Dice la ricerca: “Molti dei volontari potenziali che abbiamo identificato sono destinati a restare tali, per ragioni che in parte riguardano il proprio contesto di vita, in parte la capacità delle organizzazioni di accogliere al proprio interno i nuovi volontari, valorizzandone le caratteristiche personali, assecondandone le esigenze di compatibilità con altri aspetti che sono altrettanto rilevanti, come la famiglia, il lavoro, lo studio”. Questo avviene, è bene precisarlo, nonostante l’idea di fare volontariato, ci dice l’indagine, continui a trovare la sua espressione più frequente all’interno di una dimensione associata e organizzata: “Il numero di persone che svolge attività di volontariato in altre forme, prevalentemente non organizzate in ETS, ammonta al 5,9% dei rispondenti, una quota di cui non conosciamo la dinamica nel tempo, in assenza di rilevazioni pregresse. Se consideriamo che quasi il 37% dei rispondenti, posti di fronte all’ipotesi di un loro futuro impegno volontario, dichiarano di preferire una modalità non strutturata di coinvolgimento, possiamo cautamente immaginare che quel 5,9% sia destinato a consolidarsi e ad accrescersi nei tempi futuri. In altri termini, in proiezione futura è possibile ipotizzare che il volontariato nelle organizzazioni costituisca ancora una opzione rilevante per i cittadini, ma che, nel contempo, possa parallelamente accrescersi un fenomeno di graduale de- strutturazione dell’impegno volontario, in modalità relativamente nuove, come per esempio il coinvolgimento in reti di cittadini non formalizzate, ma comunque effettive sul piano delle attività verso il territorio e rilevanti sul piano della soddisfazione soggettiva[11]”.
A corredo e quasi come appendice a questo paragrafo due considerazioni, brevi e incomplete, ma importanti perché caratterizzanti delle tendenze in atto, la prima relativa alle organizzazioni e alla loro tendenza a strutturarsi e consolidarsi, la seconda sulla dimensione e la partecipazione attivata con le forme “pigre” della partecipazione online. Si tratta di due tasselli che non completano la visione della partecipazione legata al mondo giovanile, ma sicuramente però accendono una attenzione da mettere in campo. Come a dire: attenzione alla modalità con cui si chiede di partecipare in una organizzazione, perché può non corrispondere al volere dei giovani.
Il primo tassello riguarda la relazione tra consistenza delle organizzazioni e presenza dei giovani. Sulla base di studi condotti da più Università e in contesti diversi, si può affermare che più le organizzazioni sono grandi e anche gerarchicamente, più diminuisce il numero di giovani che decide di parteciparci. Eppure, altre fonti ci informano che i giovani continuano a donare gratuitamente il loro tempo e le loro competenze (Arduini, 2021)[12]. Spesso però lo fanno fuori dalle forme organizzate tradizionali, a titolo individuale, costituendo nuovi sodalizi o aderendo a realtà organizzate che offrono loro spazi e opportunità, operando in nicchie di attività solidali più innovative, talvolta marginali. Inevitabilmente, i giovani oggi esprimono la loro solidarietà secondo modalità diverse da quelle delle generazioni che li hanno preceduti: con discontinuità, fondendo divertimento e impegno, agendo talvolta in modo strumentale, dimostrandosi refrattari alle forme assembleari, ecc.
Il secondo riguarda le forme di partecipazione on line in un’ottica di rischio sostituzione partecipazione attiva, in presenza. L’Istituto Toniolo, nella già citata indagine su partecipazione e giovani svolta nel 2023-24 evidenzia che “nel corso degli ultimi anni, le forme dell’agire politico dei giovani sono cambiate. Le giovani generazioni si sono in parte allontanate dalle forme tradizionali di partecipazione verso una serie di azioni destrutturate, informali e orizzontali, questo verosimilmente non solo per mancanza di spazio da parte della politica, ma anche per l’esigenza di sperimentare propri spazi e modalità. … In particolare, le nuove generazioni sono sempre più coinvolte in nuove forme di impegno politico nella sfera virtuale. Alla luce di tale cambiamento per comprendere le forme della partecipazione delle giovani generazioni è necessario andare oltre una concezione restrittiva di quest’ultima al fine di includere quelle attività che mirano ad affrontare problemi collettivi, che sono rivolte alla sfera pubblica e che sono messe in atto con espliciti obiettivi politici. La presente indagine ha rilevato informazioni non solo sulle forme di partecipazione politica “classiche” (manifestazioni, boicottaggio ecc.) ma anche su quelle più recenti, quali il mailbombing, l’uso delle foto profilo per veicolare un messaggio politico fino a seguire attivisti/influencer su questioni di interesse politico o pubblico[13]”.
Può essere osservato che non è chiaro come tali considerazioni possano condurre il Terzo settore ad un esito operativo; se ciò è almeno in parte vero, nondimeno i ragionamenti qui proposti possono essere utili. Come in ogni processo che poi, se mette radici si riproduce e si radica, dobbiamo passare dalla presa di coscienza, prima ancora che da quali e quanti strumenti mettere in campo. Se si comprende il senso di queste traiettorie del mondo giovanile, gran parte della strada è compiuta. Bisogna però, in partenza, essere consapevoli dei messaggi che ci arrivano direttamente dall’“origine”, ovvero dai giovani.
Dopo aver tentato di delineare un quadro - senz’altro non esaustivo, ma che apre a alcune riflessioni e considerazioni - in merito ai giovani, il lavoro e l’impegno sociale, questa ultima parte esamina tre dimensioni che possono rappresentare rinnovati campi di connessione tra giovani e organizzazioni (tra giovani e impresa sociale) e più in generale tra giovani, lavoro e partecipazione.
I giovani, a prescindere da fatiche e difficoltà strutturali (sociali, economiche, formative, civiche) che crescono nel nostro Paese, si stanno muovendo. Almeno certi giovani. Ma con quale atteggiamento relazionale? C’è una ricerca di nuovi modi per ritrovare moventi comuni e desideri comuni. Non ci sono formule, ma c’è una ricerca sparsa, disordinata, eppure al tempo stesso molto più presente di quanto si veda a un superficiale sguardo. E un reinventarsi o pensarsi per ricostituirsi che ha a che fare con processi dove la densità relazionale e il territorio sono il legante costituente.
Si trovano cantieri aperti, riconoscibili ad esempio in molte rigenerazioni di luoghi[14], dove accanto all’utilizzo di uno spazio c’è anche un rappresentare un modo diverso di vivere e di concepire la vita delle nostre comunità. Ma non sono gli unici casi, basti pensare per esempio a tutti i casi di attivazione giovanile che avvengono in occasione di eventi tragici o comunque critici nel nostro Paese[15], dove la presenza dentro, nel mezzo mentre le cose accadono, braccia accanto a braccia, ha nella presenza giovanile il massimo in termini numerici non percentuali ma assoluti. In questi casi, infatti, i numeri di cittadine e cittadini che decidono di partecipare attivamente attraverso forme diverse di aiuto si ribaltano: i giovani presenti raggiungono spesso il 70% e solo quindi il 30% riguarda il resto delle generazioni. Dati di grande rilievo, pensando che in termini assoluti i giovani non raggiungono in Italia il 20% della popolazione.
Sono segnali, sono tratti, che chiamano alla capacità di leggere e interpretare le tendenze in atto. Importanti, per chi prova a leggere di quale partecipazione oggi si parla pensando ai giovani. E sono segnali, questi come altri - pensiamo ancora all’aumento di giovani che partecipano ai patti di collaborazione che nascono nei comuni che hanno formalizzato il regolamento dei beni comuni - che desiderano riaffermare con forza il valore e la necessità, anche produttiva, oltre che sociale e educativa della prossimità.
Il contesto locale rappresenta quindi un’importante arena per l’azione politica delle giovani generazioni e per chi lavora a fianco, con e per i giovani diventa un percorso sfidante e interessantissimo.
C’è un concetto di resistenza che si riaffaccia con forza nelle forme di partecipazione giovanile, siano esse più evidenti e penetranti, come appunto nel caso della rigenerazione di luoghi in forme di vere e proprie accademie di comunità, cioè dove ci si allena a fare comunità, o siano esse più leggere e apparentemente meno performanti, pensiamo ai tantissimi giovani che oggi decidono di restare o di ritornare in aree compromesse o complicate provando a inventarsi un futuro collegato alla comunità.
Comunque sia, questo reinventarsi dentro i contesti e grazie a quei contesti assomiglia molto al concetto di “resistenza” e molto meno a quello di “resilienza” su cui si è molto, troppo, insistito negli ultimi anni. Resistenza e resilienza non possono considerarsi sinonimi, perché non alludono ai medesimi ordini discorsivi, sistemi concettuali, pratiche e posture. La resistenza ha una dimensione anche politica, costruendosi sulla dimensione doppia che porta avanti contemporaneamente il progetto individuale e la prospettiva di cambiamento sociale. La nozione di resilienza tende, al contrario, a depoliticizzare le cause, concentrandosi piuttosto sugli effetti e sui comportamenti (Olsson 2015)[16]. In un tempo in cui tutto pare essere globale e globalizzante, se si riescono a leggere questi atteggiamenti basati viceversa sulla vicinanza, sulla relazione che ha bisogno di annullare le distanze e se si legge in questo che più che mossi dal bisogno il passo è dato dal desiderio per un futuro diverso e più umanamente adeguato pare che davvero la sfida delle microcomunità come cantieri per abilitare nuove forme di partecipazione sia un bel terreno di elaborazione ma anche di incontro tra giovani e tra chi di loro si occupa e con loro cammina.
“Nel corso degli ultimi anni, le forme dell’agire politico dei giovani sono cambiate. Le giovani generazioni si sono in parte allontanate dalle forme tradizionali di partecipazione verso una serie di azioni destrutturate, informali e orizzontali, questo verosimilmente non solo per mancanza di spazio da parte della politica, ma anche per l’esigenza di sperimentare propri spazi e modalità di partecipazione[17]”.
La conferma data dall’Istituto Toniolo, le fotografie prodotte dai nuovi riflettori che Istat ha messo a regime sul mondo della partecipazione giovanile, le conferme dalle ultime ricerche a livello nazionale di alcune fondazioni filantropiche spingono a dire che un dato oggi può essere ritenuto acquisito, ovvero quello che ci dice che la forma della partecipazione ha strade anche diverse dalle tradizionali e molto legate alla temporaneità.
L’impegno temporaneo nei processi di partecipazione, nell’attivismo quanto nel volontariato è un dato di fatto.
E se questo modello - poco sistematizzabile, perché legato molto al cosa succede e come succede - supera la diffidenza delle nostre organizzazioni e del nostro generale modo di intendere la classica partecipazione, si aprono possibilità enormi[18].
Il gesto partecipativo che pare riduttivo o “un’altra cosa” perché non contiene in sé l’appartenenza duratura e non sposa una identità specifica è però un atto, un movimento che seppur nella sua forma anomala ha tutto il carico civico. Ma è dandogli dignità piena e piena legittimazione che questo potenziale civico si palesa e diventa effettivamente reale.
Se componessimo un disegno di ricerca sulla partecipazione in Italia capace di ricomprendere le fome di partecipazione giovanile qui descritte, otterremmo dati sulla partecipazione radicalmente diversi da quelli odierni, che spesso la descrivono in calo. E, soprattutto (e come sempre), dal momento in cui la sfida del valore dell’impegno temporaneo come gesto civico si palesasse e si legittimasse completamente, l’effetto moltiplicatore sarebbe, e auspichiamo sarà, alle porte.
Una delle dimensioni che in questi ultimi anni ha completamente rivoltato la direzione delle frecce “da...a”, cioè la direzione di chi dice qualcosa a qualcun altro, è stata la preoccupazione per il nostro pianeta.
Mai come in questi ultimi anni, infatti, la parte giovanile ha denunciato con forza e determinazione gli errori commessi dalle generazioni a loro precedenti. Mai come in questo tempo la voce dei giovani è stata, dopo molte resistenze del mondo adulto e dei sistemi organizzati anche istituzionali, considerata voce non solo autorevole, ma anche scientificamente significativa in tutto il pianeta.
Non rimanendo tra l’altro solo sui macro-temi, quello ambientale e quello sociale, la voce dei giovani si è sentita e si sente su livelli anche diversi che vanno dall’economia fino al campo generale della presa di coscienza delle ingiustizie e delle incongruenze sociali del sistema capitalistico.
Questo valore riconosciuto al mondo giovanile non ha solo una importanza epocale nei confronti della speranza di cambiamento, che già è una cosa enorme, ma è anche un ottimo e forse oggi raro dispositivo in grado di alimentare una dialettica sana e virtuosa tra generazioni diverse. È, questa, una forma di partecipazione giovanile che sta modificando o potrebbe modificare il livello di discussione tra persone di età diversa.
Questa sfida ha bisogno però di cura. Il rischio che troppo velocemente si voglia tornare a uno status quo da parte del mondo adulto è forte. Questa cura è però fortunatamente alimentabile se continuiamo ad avere una rigorosa capacità di leggere le azioni che avvengono. L’ondata di attenzione alla sostenibilità ambientale, per esempio, ha i suoi massimi risultati in termini di qualità, ma anche di durata nei processi attivati dai giovani. Dove, accanto alla scelta tecnica, vi è una forte scelta ideale che trasforma un atto pratico in un gesto partecipativo.
Cravera[19] individua tre caratteristiche dei sistemi complessi nei quali operiamo, che richiedono approcci e competenze in gran parte nuove rispetto a quelle con le quali ci troviamo attrezzati oggi. Sono sintetizzati qui di seguito:
Ora, l’approccio prevalente oggi non è per niente strutturato per rispondere alle caratteristiche dei sistemi complessi nei quali operiamo:
Se in tutto, o auspichiamo almeno in parte, questa istantanea proposta da Cravera è condivisa, ogni processo umano, e quindi anche la connessione tra giovani e impresa sociale, ha bisogno di stare dentro questa complessità. Sicuramente con competenze adeguate ma anche, e soprattutto, con dispositivi capaci di alimentare e facilitare questa fluidità e questa larghezza di visione. Nuove agorà di transito dove attraverso organizzazioni aperte, destrutturate - che non significa disorganizzate - si permetta il passaggio partecipativo dei giovani per un tempo anche limitato, ma intensamente vissuto e la costruzione di legami leggeri - che non significa deboli - dove la prossimità sia il centro generativo della costruzione di partecipazione. Nuove agorà di transito e legami leggeri sono senz’altro due orizzonti su cui accogliere, legittimare, abilitare e sviluppare un nuovo attivismo giovanile senza timore ne allontanamento di quella complessità in cui questo testo ha provato a stare e collocarsi.
DOI: 10.7425/IS.2025.02.02
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Fonti Web
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[1]Da Giovani 2024: Il bilancio di una generazione Rapporto Eures Ricerche Economiche e Sociali in collaborazione con il Consiglio Nazionale dei Giovani e l’Agenzia Italiana per la Gioventù - aprile 2024.
[2] Da Giovani 2024: Il bilancio di una generazione Rapporto Eures Ricerche Economiche e Sociali in collaborazione con il Consiglio Nazionale dei Giovani e l’Agenzia Italiana per la Gioventù - aprile 2024. Tale analisi è ristretta alle sole forme lavorative stabili, poiché, prevedibilmente, la quota largamente preponderante delle cause che portano all’interruzione dei rapporti atipici è il raggiungimento del termine previsto dal contratto.
[3] Da Giovani 2024: Il bilancio di una generazione Rapporto Eures Ricerche Economiche e Sociali in collaborazione con il Consiglio Nazionale dei Giovani e l’Agenzia Italiana per la Gioventù - aprile 2024.
[4] Da Employer Brand Research 2024 di Randstad 2024 - indagine internazionale.
[5] Giovani e lavoro: nuovi valori e attrattività dell’artigianato 4° Radar artigiano Confartigianato-Censis Rapporto Finale Roma, 25 giugno 2024
[6] Da Rapporto “Giovani e lavoro” 2024 Legacoop Area Studi – Ipsos.
[7] Da Gozzo S.M. (2010), Le giovani generazioni e il declino della partecipazione, in “Società-Mutamento-Politica”, vol. 2, pp. 165-182.
[8] Asvis - Gruppo di Lavoro sull’obiettivo 16 d’intesa con il Gruppo di lavoro trasversale Organizzazioni giovanili.
[9] in Italia i tassi di sfiducia verso le istituzioni politiche sono al di sopra della media europea (Eurobarometro), così come quelli di disoccupazione giovanile (Eurostat).
[10]Da Gozzo S.M. (2010), Le giovani generazioni e il declino della partecipazione, in “Società – Mutamento - Politica”, vol. 2, pp. 165-182.
[11] Da La differenza dei potenziali – come cambia la propensione dei cittadini toscani al volontariato. Andrea Salvini dell’Università di Pisa e promossa dal Cesvot e Regione Toscana 2023
[12] Da Giovani e comunità locali - Rivista quadrimestrale 3/2021 Contributo di Paolo Tommasina “Giovani e volontariato. tendenze, prospettive future e ruolo degli enti del terzo settore” https://telecomunicazione/wp-content/uploads/2022/11/21_03-Tommasina
[13] Da “Giovani, democrazia e partecipazione politica Una ricerca dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo alla 50a Settimana Sociale dei Cattolici in Italia”. Nota a cura di: Alessandro Rosina, Andrea Bonanomi, Antonio Campati, Fabio Introini, Cristina Pasqualini, Veronica Riniolo. Coordinatore scientifico: Alessandro Rosina. Istituto Toniolo e Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo.
[14] Moltissimi esempi in Italia di rigenerazione di spazi abbandonati o da ripensare nelle città grandi, medie e piccole. Ma anche molti esempi di ricostruzione di vita economica e sociale in paesi o frazioni della vastissima area interna italiana.
[15] L’alluvione a Campi Bisenzio (FI) del 2023 è uno degli ultimi esempi. Oltre 1000 giovani ogni giorno si presentavano nella città toscana per aiutare a ripulire dal fango strade, piazze, case.
[16] Olsson L., Secerner A., Tenore H., Persona J. e O’Byrne D. (2015), Whisky resiliente is perlinguale to social science: Ereticale and empirica investigativo of the scientifica use of resiliente, Science Avance.
[17] Da “Giovani, democrazia e partecipazione politica Una ricerca dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo alla 50a Settimana Sociale dei Cattolici in Italia”. Nota a cura di: Alessandro Rosina, Andrea Bonanomi, Antonio Campati, Fabio Introini, Cristina Pasqualini, Veronica Riniolo. Coordinatore scientifico: Alessandro Rosina. Istituto Toniolo e Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo.
[18] Estratto da “servono azioni spot, intense ma limitate nel tempo” – Alessandro Rosina in una intervista sul quotidiano Repubblica gennaio 2024
[19] Alessandro Cravera è membro della Faculty dell’Executive MBA di ALTIS Università Cattolica e 24 Ore Business School. Il libro a cui si riferiscono i riferimenti riportati nel testo è “Allenarsi alla complessità: Schemi cognitivi per decidere e agire in un mondo non ordinato” Egea 2020
[20] Punti parzialmente ripresi da https://www.mappingchange.it/notizie/abitare-la-complessita-perche-abbiamo-bisogno-di-un-approccio-radicalmente-nuovo-alla-valutazione/
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