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ISSN 2282-1694
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Numero 2 / 2025

Ricerca

Giovani generazioni ed economia sociale: I risultati di un’analisi esplorativa realizzata in Toscana

Mattia Ferraris, Giulia Galera, Elia Lattari, Mirella Maturo

Introduzione

Sempre più spesso ci si interroga sul rapporto tra persone giovani ed economia sociale; i dati riportano la poca presenza di giovani under 35 nei Consigli di amministrazioni delle cooperative sociali e delle imprese sociali ed evidenziano il loro marginale protagonismo in un settore che storicamente aveva saputo attrarre talenti qualificati. La Toscana, oggetto dell’indagine empirica qui presentata, non sfugge a questa tendenza.

Mentre negli anni scorsi le organizzazioni dell’economia sociale contavano sulla significativa presenza di giovani che sceglievano un lavoro che tenesse insieme “attivismo, volontariato” e “competenze sociali e professionali”, oggi si registra una crescente distanza dovuta a fattori quali, solo per fare alcuni esempi, le basse retribuzioni, l’eccessiva burocratizzazione post-riforma del Terzo Settore, e ad atteggiamenti autoreferenziali delle organizzazioni consolidate.

In questo articolo sono esposti i risultati di una ricerca che mette a confronto le sensibilità di diverse generazioni, ciascuna delle quali si caratterizza per un diverso approccio ai temi proposti: ad esempio, mentre operatori e operatrici sociali e rappresentanti istituzionali interpretano l’assistenza sociale come un settore urgente su cui intervenire attraverso paradigmi di welfare tradizionale, gli under 35 adottano visioni orientate verso un concetto di “comunità di cura” con asset come la prossimità come metodo di rilevazione dei bisogni collettivi, lo spazio pubblico come luogo di accesso alla cura (biblioteche, gli ambulatori,  parchi ), la condivisione di risorse di una comunità e il coinvolgimento dei cittadini e delle cittadine in azioni di welfare collaborativo. Sui temi ambientali emerge una dicotomia tra approcci conservativo-paesaggistici dei gruppi “senior” del settore cooperativo e istituzionale e l’attivismo concreto sul clima delle persone giovani che preferiscono informalità e reti non organizzate.

I giovani prediligono inoltre modalità partecipative orizzontali e digitalizzate versus modelli istituzionalizzati tradizionali dei senior. L’analisi dei fattori che facilitano lo sviluppo di iniziative imprenditoriali, i più giovani evidenziano, insieme alla necessità di accedere a risorse materiali e finanziarie per “intraprendere” nell’economia sociale e allo sviluppo di competenze manageriali specializzate, anche il rafforzamento di competenze di ascolto territoriale e di facilitazione di processi comunitari.

Le giovani generazioni si caratterizzano per il pieno riconoscimento culturale dell’economia sociale quale motore di trasformazione sociale, ma d’altra parte conoscono poco la sua storia. Si delinea così un circolo vizioso: la scarsa conoscenza dell’economia sociale da parte delle persone giovani si combina con il loro marginale protagonismo nel settore, dovuto molto spesso all’autoreferenzialità alimentandosi reciprocamente. Nonostante le nuove generazioni condividano pienamente i valori fondanti dell’economia sociale, giustizia sociale, tutela dei diritti, sostenibilità ambientale, non riescono a riconoscerla come lo strumento organizzativo più idoneo a realizzare i propri desideri di cambiamento. Di conseguenza, orientano le proprie energie verso forme di attivismo informale o verso imprese a vocazione sociale che operano al di fuori del perimetro tradizionale dell’economia sociale, perdendo così l’opportunità di beneficiare della solidità e dell’esperienza accumulate dalle organizzazioni esistenti.

La ricerca, quindi, ha rappresentato un punto di inizio per comprendere queste dinamiche ed elaborare strategie efficaci di coinvolgimento giovanile e di accompagnamento alla sostenibilità futura dell’economia sociale Toscana e per disegnare IkigaiSocialHub, un percorso di accelerazione imprenditoriale sorto per iniziativa della Fondazione Monte dei Paschi di Siena.

L’articolo riassume i risultati di una recente ricerca volta a indagare il legame sussistente tra attivismo giovanile ed economia sociale in Toscana con particolare attenzione alle province di Siena e Arezzo. L’analisi riassunta nel presente articolo è stata realizzata nel 2024 da alcuni ricercatori e ricercatrici di Euricse. La ricerca è parte integrante di “IKIGAI Social Hub", un progetto ideato, promosso e finanziato dalla Fondazione MPS in collaborazione con Pluriversum ed Euricse. Rivolgendosi a persone e gruppi motivati a sviluppare idee in grado di rispondere a bisogni collettivi e risolvere sfide di carattere sociale, economico, ambientale e culturale, IKIGAI Social Hub mira a supportare iniziative imprenditoriali nell’ambito dell’economia sociale.


KIGAI SOCIAL HUB

IKIGAI Social Hub è un’iniziativa di accelerazione imprenditoriale promossa dalla Fondazione Monte dei Paschi di Siena, in collaborazione con Euricse e il Centro Studi Pluriversum, con l’obiettivo di sostenere lo sviluppo di progetti innovativi nell’ambito dell’economia sociale. È supportata anche da Fondazione NOI.

Obiettivi del programma

  • ·         Supportare giovani imprenditori, startup, associazioni e cooperative sociali nella trasformazione di idee in imprese sostenibili.
  • ·         Affrontare sfide sociali, economiche, ambientali e culturali, con particolare attenzione al territorio toscano, ma aperto anche ad altre realtà.

Struttura del percorso. Il programma si articola in due fasi principali:

  • ·         Formazione e accompagnamento: workshop e laboratori per trasformare idee in progetti concreti.
  • ·         Accelerazione: mentoring personalizzato, accesso a spazi di coworking a Siena e supporto economico fino a 6.000 euro per ciascun progetto selezionato.

FASE 1: Da buona idea a buona impresa - Formazione e accompagnamento

  • ·         Workshop di selezione con 19 team partecipanti
  • ·         12 team selezionati per il percorso formativo e di accompagnamento
  • ·         2 formazioni in presenza
  • ·         6 formazioni online
  • ·         Incontri di accompagnamento personalizzato

FASE 2: Accelerazione di start up dell’economia sociale

  • ·         70 candidature raccolte
  • ·         Selection Day con 21 realtà selezionate
  • ·         Bootcamp di apertura con le 8 start up ammesse all’accelerazione
  • ·         Percorso di accelerazione articolato in:
  • ·         7 sprint di 3 settimane ognuno (con planning iniziale e demoday e workshop finali)
  • ·         Accompagnamento personalizzato attivando la rete di mentor
  • ·         Bootcamp finale

Perché scegliere il perimetro dell’economia sociale

L’idea di concentrarsi sull’economia sociale e non sul terzo settore a cui, nella prospettiva comune nel nostro Paese, è stata finora posta maggiore attenzione, prende le mosse da alcune considerazioni. In primo luogo, vi è l’intento del gruppo di lavoro di allinearsi con l’approccio che è stato fatto proprio dalla Commissione Europea attraverso il Piano di Azione dell’Economia Sociale, licenziato nel novembre del 2021. In secondo luogo, la scelta di focalizzarsi sull’economia sociale deriva dall’intento di cogliere le potenzialità inespresse dell’ampio spettro di organizzazioni che sono espressione della capacità della società civile di auto-organizzarsi e che vedono coinvolte persone giovani come protagoniste. Tra queste rientrano ad esempio le cooperative di comunità, a oggi non automaticamente incluse nel perimetro del terzo settore se non acquisiscono la qualifica di impresa sociale. Si tratta, quindi, di un universo di organizzazioni guidate da soggetti diversi dagli investitori che affondando le radici nella tradizione del mutuo aiuto e che ha subito negli anni profonde trasformazioni, in risposta ad una serie di cambiamenti di contesto e trasformazioni demografiche e sociali.

Il metodo di ricerca

La ricerca, da intendersi quindi quale step preliminare, funzionale alla realizzazione del progetto IKIGAI Social Hub, si è articolata in un’analisi quanti-qualitativa e in una ricerca sul campo. La disanima della letteratura di interesse corredata da un’analisi dei dati statistici e amministrativi disponibili ha permesso di fotografare l’universo dell’economia sociale toscano, con particolare riguardo al settore cooperativo e all’impresa sociale, da un punto di vista sia qualitativo che dimensionale[1]. Attenzione è stata nondimeno rivolta alla composizione dei Consigli di amministrazione, in particolare delle cooperative e delle imprese sociali, al fine di stimare il grado di coinvolgimento delle giovani generazioni negli organi di governo di queste organizzazioni. La ricerca empirica ha previsto in primo luogo una mappatura dei principali attori dell’economia sociale in Toscana; quindi, sono stati formati organizzati tre focus group: uno partecipato da giovani imprenditori sociali, uno da imprenditori sociali di età maggiore, uno di rappresentanti istituzionali, con l’intento di far emergere le sensibilità e le peculiarità espresse dai più giovani rispetto a quelle degli altri due gruppi.

Ne è uscito un arcipelago di organizzazioni estremamente dinamico che si è storicamente alimentato – e continua a essere alimentato – da iniziative di cittadinanza attiva. Se in alcuni casi queste iniziative decidono di formalizzarsi per garantire un’offerta stabile e continuativa di beni e servizi di interesse collettivo, in altre sembrano propendere per un intervento informale. Tuttavia, sembra prevalere una marcata divisione tra le iniziative che si auto-qualificano come “attiviste” e vedono spesso protagoniste le giovani generazioni e le iniziative strutturate di economia sociale, talvolta ritenute poco attrattive dai giovani, altre volte scarsamente propense a coinvolgere le persone giovani.

La prima parte dell’articolo propone una disamina della letteratura di riferimento e riporta i risultati di maggior rilievo emersi dall’analisi quantitativa; la seconda parte si sofferma su quanto emerso dall’analisi empirica, con particolare attenzione alle prospettive future dell’economia sociale e agli aspetti di forza e alle criticità che, a detta dei e delle partecipanti, ne dovrebbero influenzare lo sviluppo. Nella terza parte gli autori e le autrici propongono alcuni spunti di riflessione sulle strategie da adottare per valorizzare appieno il contributo dell’economia sociale.

L’analisi preliminare del contesto

L’analisi della letteratura

La prima parte della ricerca si è concentrata sulla letteratura pubblicata entro cinque anni, e quindi dal 2019 al 2024, che avesse a oggetto l’economia sociale in Toscana.

La letteratura esistente riflette sia la prevalenza di quadri concettuali di riferimento diversi dall’economia sociale (ad esempio terzo settore, impresa sociale e settore nonprofit), sia la forte divisione sussistente tra le diverse famiglie dell’economia sociale, in primis tra cooperazione da un lato e mondo del volontariato dall’altro, che stentano a percepirsi come parte dello stesso sistema. I principali studi condotti fino a oggi riflettono questa segmentazione interna all’economia sociale e tendendo a focalizzarsi su alcune forme specifiche. Sebbene numerosi studi sottolineino lo scarso coinvolgimento di persone giovani, emerge nondimeno una scarsa attenzione da parte degli studi a oggi realizzati all’economia sociale da una “prospettiva giovanile”, che rifletta il punto di vista delle persone under 35.

Un primo filone di pubblicazioni descrive alcune esperienze specifiche e circoscritte che operano nell’ambito dell’economia sociale (Moruzzo et al., 2020; Lencioni et al., 2022; Silva, 2022; Generazione T e Fondazione MPS, 2023). Tali pubblicazioni risultano essere, nella maggior parte dei casi, testi divulgativi rispetto alle realtà prese in considerazione più che delle vere e proprie analisi empiriche dei fenomeni in oggetto.

Il filone di letteratura più ampio sul tema dell’economia sociale in Toscana risulta essere quello relativo alle pubblicazioni curate dal Centro Servizi Volontariato Toscana (Cesvot). Al suo interno prevalgono articoli che propongono una descrizione quantitativa della diffusione e delle caratteristiche delle organizzazioni di Terzo Settore. Più in particolare, in tali studi, si fa riferimento alle cooperative sociali (Maggi e Salvini, 2022), alle organizzazioni di volontariato e all’ambito del volontariato in genere (Psaroudakis e Salvini, 2021; Salvini, 2023), alle associazioni di promozione sociale (Salvini e Psaroudakis, 2019) e a come e quanto le organizzazioni sin qui elencate siano investite dai processi di innovazione digitale (Trapani, 2022).

Più vicino al tema in oggetto del presente rapporto è invece il lavoro di Buoncompagni et al. (2023), anche pubblicato dal Cesvot. Esso volge, infatti, lo sguardo alle e agli adolescenti (studenti delle scuole superiori) della provincia di Firenze. In particolare, si indaga quale sia il grado di conoscenza dell’ambito del volontariato e la disponibilità da parte di queste persone a impegnarvisi. Il quadro che ne risulta mostra una diffusa esperienza, diretta o indiretta, del volontariato tra le persone giovani. Queste si avvicinano al settore in modo casuale e informale, poiché le attività di volontariato svolgono un momento prevalente di socializzazione. Più raramente si ha invece esperienza del volontariato formalizzato. Si segnala, inoltre, una maggior inclinazione a fare esperienza di volontariato al di fuori dei grandi centri urbani, poiché risulta più facile entrarne in contatto.

Realizzato in collaborazione con il Cesvot, ma pubblicato dall’Osservatorio Sociale Regionale (OSR), è invece il Quarto rapporto sul Terzo Settore in Toscana (Osservatorio Sociale Regionale, 2021). Esso si configura come una descrizione quantitativa della diffusione e di alcune caratteristiche degli enti del Terzo Settore; il rapporto sottolinea l’incidenza numerica del Terzo Settore toscano, in aumento nel tempo e superiore alla media italiana, mettendo tuttavia in luce un processo di invecchiamento dei volontari toscani.

Si segnala, infine, lo studio realizzato da Prandi (2022) e pubblicato dal Fondosviluppo (Confcooperative), in cui si descrive, anche in questo caso in modo quantitativo, quale sia la distribuzione sul territorio e quali siano le principali caratteristiche delle cooperative toscane. Nel documento si mostra come la maggior parte delle cooperative abbiano sede in provincia di Firenze e come vi sia stata una diminuzione quantitativa delle cooperative in tutte le province toscane. Riguardo alle caratteristiche demografiche dei soci, il documento riporta una prevalenza di soci maschi nelle cooperative, sebbene vi sia una grande variabilità per tipologia cooperativa, e -anche in questo caso- sottolinea una scarsa presenza giovanile.

L’analisi dei dati: economia sociale e protagonismo giovanile

Guardando ai dati complessivi relativi all’economia sociale, in Italia nel 2021[2] si annoveravano 395.653 organizzazioni che contavano 1,50 milioni di persone occupate (di cui 1,48 dipendenti) e più di 4,6 milioni di persone volontarie.

Di queste organizzazioni, 28.892 avevano sede nella regione Toscana, rappresentando il 7,3% del totale delle organizzazioni operanti sul territorio nazionale. Il ruolo delle organizzazioni dell’economia sociale risulta particolarmente significativo nel territorio regionale toscano, ricomprendendo 97 mila persone occupate (pari al 8,7% del numero complessivo di addetti per il 2021) e oltre 418 mila persone volontarie per il solo 2021.

In linea con quanto emerge a livello nazionale, la forma giuridica maggiormente diffusa nel territorio regionale è quella dell’associazione (81,3%), mentre la forma giuridica che presenta il numero maggiore di lavoratori dipendenti è quella cooperativa tradizionale (44,2%), seguita dalla cooperativa sociale (33,2%). In base alla distribuzione provinciale del sistema cooperativo, le province che presentano la percentuale maggiore di cooperative sono la provincia di Firenze (22,7%), la provincia di Lucca (13,6%) e la provincia di Arezzo (9,6%). Invece, se riportiamo il numero di cooperative alla popolazione residente, osserviamo risultati differenti: le province in cui si registra il numero maggiore di cooperative sono quelle di Grosseto e Lucca (8,4 ogni 10mila abitanti) e quelle di Siena e Prato (7,8 ogni 10 mila abitanti). Il territorio senese ospita in valore assoluto 203 cooperative, pari al 8,6%, mentre l’intero territorio della toscana sud-est (comprendenti le provincie di Siena, Grosseto e Arezzo) ne presenta 610, pari al 26% dell’intero panorama cooperativo toscano, registrando una media di 7,5 cooperative ogni 10mila abitanti.

Effettuando un’analisi dettagliata a livello comunale[3], mettendo in risalto una differenza tra comuni definiti interni[4] e non, si delinea una tendenza interessante. Il sistema cooperativo risulta maggiormente diffuso nelle aree interne, confermando il ruolo fondamentale svolto dalla cooperazione nel territorio toscano e nel suo sistema economico e sociale.

Nell’intero territorio toscano si contano 541 cooperative sociali, di cui la maggioranza (304 pari al 56,2%) è rappresentata dalle cooperative di tipo A (servizi in ambito sociosanitario e educativo), seguita da quelle di tipo B (operano nell’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati; 145 pari al 26,8%), le cooperative sociali plurime (che svolgono sia servizi di tipo A che B; 71 pari a 13,1%) e infine dai consorzi di cooperative sociali (21 pari al 3,9%).

Con l’implementazione del Registro Unico del Terzo Settore (RUNTS), ciascun soggetto che assume la qualifica di impresa sociale è oggi iscritto nell’apposita sezione delle imprese sociali; attualmente[5], il registro per il solo territorio Toscano contiene iscritte 918 forme giuridiche con la qualifica di impresa sociale. La maggior parte dei soggetti che presentano la qualifica di impresa sociale sono cooperative (di cui: l’80,5% cooperative sociali, che la acquisiscono di diritto, 5,4% cooperative non sociali e un ulteriore 0,3% consorzi di cooperative), a seguire 12,2% società a responsabilità limitata, 0,9% fondazioni e 0,2% società per azioni.

La maggior parte (31,4%) delle imprese con la qualifica di impresa sociale ha sede legale nella provincia di Firenze, seguita dalle province di Lucca (11,7%) e Pisa (8,6%). Concentrandoci sulla macroarea della toscana sud-est, si osserva come essa presenti nel complesso il 21,1% delle imprese sociali (137) con la provincia senese che presenta 52 imprese sociali (equivalenti a poco meno del 38% delle imprese sociali operanti nella macroarea territoriale e al 8% regionale).

Per quanto concerne le cooperative di comunità, nel territorio toscano se ne contano 48[6], di cui 9 hanno sede nella provincia di Lucca, 8 nelle province di Siena e di Massa-Carrara, 7 nella provincia di Grosseto, 5 nel capoluogo fiorentino, 3 nelle province di Pistoia e Arezzo (6,3%) e infine 1 cooperativa nelle province di Prato, Livorno, Pisa e Pistoia (Burini e Sforzi, 2020).

Un elemento interessante riguarda il luogo di attività delle cooperative di comunità toscane: il 59% opera in aree periferiche, il 18,4% in aree intermedie, il 10,2% nelle zone di Polo, il 6,1% nelle aree della cintura, il 4,1% nelle zone del Polo intercomunale e il 3,0% nelle aree ultraperiferiche[7].

Se l’analisi quantitativa conferma la rilevanza dell’economia sociale e in particolare della cooperazione da un punto di vista occupazionale e quale strumento di sviluppo territoriale nelle aree periferiche e interne, da un’analisi delle composizioni dei Consigli di amministrazione traspare tuttavia la scarsa presenza di persone giovani negli organi di governo di queste imprese. A questo proposito sono stati analizzati i CdA di 2.034 cooperative[8], andando a verificare la percentuale di persone con età inferiore ai 35 anni coinvolte. Si osserva come la maggior parte delle cooperative in Toscana (80,1%) non presenti under 35 all’interno dei CdA. Sono parimenti poche le cooperative che presentano almeno il 50% del proprio Consiglio formato da persone giovani (Fig. 1).

Figura 1 - Distribuzione cooperative per membri under 35 CdA (valori percentuali). Anno 2024.

Fonte: elaborazione Euricse su dati MISE - Albo delle cooperative e Aida-Bureau Van Dijk.

Alla stessa stregua, andando ad analizzare la distribuzione percentuale del numero di persone under 35 partecipanti ai Consigli di amministrazione delle imprese sociali toscane, si evince come la maggioranza non presenti under 35 nei propri Consigli di amministrazione (77,5%).

Figura 2 - Distribuzione percentuale dei giovani under 35 nelle imprese sociali. Anno 2024.

Fonte: elaborazione Euricse su dati MISE - Albo delle cooperative, Registro Unico Enti del Terzo Settore e Aida-Bureau Van Dijk.

L’immagine che le statistiche restituiscono è quindi quella di una presenza limitata delle persone giovani negli gli organi di governo delle organizzazioni dell’economia sociale toscana, trasversale a tutti i settori e a tutte le province. Di qui la necessità di andare ad indagare maggiormente in profondità le dinamiche di sviluppo dell’economia sociale toscana, prendendo le mosse dai punti di vista dei diversi attori: le persone giovani attive, gli e le operatrici del settore e i e le rappresentanti delle istituzioni del territorio.

L’analisi empirica

L’analisi empirica si è articolata in focus group e interviste realizzate con un campione composto da 50 persone residenti o domiciliate nella regione Toscana, appartenenti a 44 organizzazioni ed enti diversi.

La logica di questi strumenti è stata quella di sottoporre le medesime questioni a tre sottogruppi, il primo composto da persone giovani imprenditori sociali e giovani attiviste, il secondo gruppo composto da cooperatori e cooperatrici ed operatori ed operatrici del sistema cooperativo toscano e il terzo gruppo composto da rappresentanti delle istituzioni culturali, sociali ed economiche del territorio. Sono quindi state confrontate le sensibilità dei tre diversi gruppi rispetto a taluni temi – in particolare chiedendo di esprimersi in che misura essi siano propensi ad investire le proprie energie per determinare cambiamento sociale in specifici ambiti di azione - evidenziando convergenze e differenze. Gli ambiti di azione analizzati sono l’assistenza sociale, l’ambiente e la sostenibilità, 3) lo sviluppo economico e la coesione sociale, 4) la promozione dei diritti e la lotta contro le disuguaglianze, 5) le attività educative per minori e famiglie 6) la salute e il benessere e 7) le attività ricreative. Si è poi affrontato con i tre gruppi il tema degli elementi che possono facilitare o ostacolare lo sviluppo dell’economia sociale. I focus group sono poi stati integrati da alcune interviste a testimoni privilegiati. Nei focus group sono stati utilizzati strumenti partecipativi (Canvas individuali, brainstorming strutturati, esercizi di futuro) per indagare i fattori abilitanti e ostacolanti la crescita di iniziative di economia sociale.

I e le partecipanti sono stati selezionati dallo staff di IKIGAI Social Hub, composto dai dirigenti della Fondazione Monte dei Paschi di Siena e dai team di Pluriversum e di Euricse. L’intento è stato quello di costituire un gruppo il più possibile rappresentativo delle diverse realtà dell’ecosistema dell’economia sociale toscana, che tenesse conto delle forme giuridiche, dei settori di attività e delle principali istituzioni pubbliche e private con cui l’economia sociale si confronta stabilmente. Ciò detto, sono stati inoltre coinvolti i rappresentanti di diversi gruppi giovanili, in rappresentanza sia dell’attivismo giovanile locale, sia delle iniziative di impresa sociale promosse dagli under 35.

Figura 3 - Mappatura degli stakeholder attivati nei focus group.

Elaborazione Euricse

I focus group hanno permesso di integrare quanto emerso dall’analisi quantitativa e dall’analisi della letteratura, fornendo i punti di vista dei gruppi target consultati rispetto agli scenari di evoluzione dell’economia sociale in Toscana e ai fattori abilitanti e ostacolanti, che ne dovrebbero a loro avviso facilitare ovvero ostacolare lo sviluppo.

Le interviste e i focus group realizzati evidenziano la prevalenza di alcune aree di interesse, dove i e le partecipanti sembrano essere più propensi a investire tempo ed energie per promuovere cambiamenti sociali. Di seguito una breve analisi in base alle osservazioni e ai dati raccolti.

Il settore dell’“assistenza sociale” è quello dove i punti di vista e le sensibilità dei gruppi partecipanti ai focus group risultano maggiormente disallineati. Per la maggioranza degli operatori sociali e dei rappresentanti dell’economia sociale consultati quello dell’assistenza sociale è il settore che presenta le maggiori potenzialità e andrebbe consolidato con l’offerta di nuovi servizi di assistenza sociale, principalmente in risposta all’invecchiamento progressivo della popolazione e all’incremento dei pazienti cronici affetti da varie patologie, con particolare riguardo all’assistenza domiciliare. Un punto di vista simile è condiviso dai rappresentanti istituzionali, i quali sottolineano la rilevanza dell’assistenza sociale come settore chiave di intervento, interpretata per lo più come ambito di welfare tradizionale, dove l’impresa sociale ha indubbiamente svolto un ruolo fondamentale nel dare risposta a bisogni scoperti, ma ha finito per ricoprire, in alcuni casi, un ruolo subalterno di prestatore di servizi per conto dell’ente pubblico. Il punto di vista del focus group che ha visto coinvolte persone under 35 è invece diverso. Dal loro punto di vista, è prioritario avere come target di riferimento la comunità nel suo complesso, mirando a promuovere il bene comune, prediligendo quindi un approccio olistico e avendo come riferimento un welfare plurale, che si compone oltre che di servizi di assistenza a favore della comunità anche di servizi e interventi volti più in generale a migliorare il benessere. Nel focus group che ha visto protagonisti gli under 35, alcuni partecipanti si sono espressamente riferiti alla “comunità di cura”, riportata anche nel Manifesto della Cura (The Care Collective, 2021), dove si sottolineano gli elementi fondamentali per rimettere la cura al centro dell’agenda politica e sociale. Tra questi, il mutuo soccorso di prossimità, lo spazio pubblico, la condivisione di risorse e di “cose” e il coinvolgimento attivo della comunità, inteso come processo di partecipazione cooperativo di creazione di comunità, elementi essenziali che contribuiscono a “infrastrutturare la condivisione di una dimensione di cura di una comunità”.

Come detto in premessa, la dicotomia emersa sui temi dell’assistenza sociale rivela non solo una differenza di priorità tra i due gruppi, ma una vera e propria frattura paradigmatica: mentre la generazione dei “senior” interpreta l’assistenza sociale come risposta ai bisogni emergenti attraverso servizi strutturati, gli under 35 la concepiscono come catalizzatore di trasformazione sociale attraverso la costruzione di comunità felici. Questo concetto è collegato al riferimento degli under 35 alla “comunità di cura” che non è casuale: rappresenta il tentativo di superare la logica assistenzialista tradizionale per abbracciare un modello di welfare partecipativo che fa della prossimità e della condivisione i pilastri dell’intervento sociale.

Il tema “Ambiente e sostenibilità” è riconosciuto come rilevante dai partecipanti di tutti e tre i focus group, ma con alcune differenze. Il gruppo dei rappresentanti istituzionali e dei cooperatori sociali sottolinea la necessità di valorizzare e tutelare il paesaggio in generale; il gruppo composto da persone under 35 sembra invece più orientato a proporre interventi concreti. I giovani pongono molta attenzione ai temi ambientali, come si evince anche dalle molte iniziative promosse da persone under 35 che vedono come tema trainante l’ambiente. Queste iniziative sono per lo più orientate a contrastare il cambiamento climatico e la crisi ambientale, vissuti come una minaccia tangibile al loro futuro e a quello delle generazioni successive. Questa consapevolezza alimenta una spinta verso forme di attivismo, non semplicemente orientate a sensibilizzare la popolazione, ma volte a mettere in atto azioni concrete di riduzione degli sprechi e di promozione di uno stile di vita più sostenibile, come la diminuzione delle emissioni di gas serra, l’abbandono dei combustibili fossili e la promozione di energie rinnovabili.

Anche il tema “sviluppo economico e coesione sociale”, inteso in termini di attività produttive legate al turismo, agricoltura e artigianato per lo sviluppo locale, è riconosciuto dagli under 35 coinvolti nel focus group come un ambito importante di intervento. Essi intravedono nell’economia sociale lo strumento attraverso cui poter realizzare le suddette attività nell’ottica di promuovere una maggiore inclusione sociale e giustizia economica. Diversamente, gli altri due focus group guardano alla promozione delle attività in cui si articola il tema sviluppo economico e coesione sociale fondamentale in senso strumentale, al fine di disincentivare i giovani ad abbandonare le aree più interne della Toscana e/o valorizzare il patrimonio culturale locale. Anche in questo caso l’ipotesi della premessa è la forte divergenza sulle questioni ambientali che evidenzia come le nuove generazioni percepiscono l’urgenza climatica, preferendo un’azione diretta, informale rispetto ai canali tradizionali percepiti lenti e burocratizzati.

La “promozione e tutela dei diritti e della lotta contro le disuguaglianze” è un tema fortemente aggregante per le giovani generazioni e driver di molte iniziative nate dal basso in risposta a episodi di discriminazione e/o a politiche giudicate inique, che minano diritti fondamentali, come il lavoro e la casa. La tutela dei diritti è intesa in senso ampio ed è associata dalle persone intervistate non solo alla giustizia economica e sociale, ma anche all’uguaglianza di genere e ai diritti delle minoranze. Sembra tuttavia prevalere la tendenza dei giovani a battersi per il riconoscimento di diritti costituzionalmente riconosciuti (ad esempio, al lavoro, alla salute) a favore delle persone più fragili; diversamente dai temi ambientali, i giovani che si interessano di promozione e tutela dei diritti umani sembrano meno proiettati a disegnare risposte concrete, promuovendo un riconoscimento sostanziale dei diritti fondamentali attraverso, ad esempio, l’offerta di servizi e percorsi di inclusione.

Anche la “promozione di attività educative a favore di minori e famiglie” sembra suscitare l’interesse di tutti e tre i gruppi target. Tuttavia, mentre gli under 35 sottolineano l’esigenza di creare nuove alleanze educative ricorrendo a patti educativi territoriali che facciano affidamento su metodologie partecipative, i partecipanti agli altri due focus group sembrano propendere per un approccio più tradizionale, sottolineando l’importanza di rafforzare i servizi educativi esistenti e implementarne di nuovi.

Infine, anche lasalute e il benessere”, così come le “attività ricreative”, sono indicati come settori di interesse, sebbene siano considerati meno rilevanti rispetto a quelli già descritti. A questo proposito le persone giovani partecipanti al focus group sottolineano la necessità di migliorare il benessere psicofisico delle comunità e valorizzare il tempo libero come parte integrante della qualità della vita, senza distinguere però necessariamente tra chi è più privilegiato e chi vive ai margini della vita pubblica. Emerge in generale sia la carenza di informazioni da parte delle persone giovani sulle situazioni di disagio e marginalità, tra cui ad esempio quelle indotte da problemi di salute mentale, sia l’inclinazione ad assumere atteggiamenti non sempre attenti alle esigenze delle persone più fragili, portatrici di bisogni specifici.

In sintesi, si può dedurre che l’attivismo ambientale giovanile si caratterizza per un approccio sistemico che connette prossimità, sostenibilità ecologica e giustizia sociale, mentre le generazioni “senior” tendono a frammentare questi aspetti in settori specifici di intervento.

Lo sviluppo dell’economia sociale: fattori abilitanti e ostacolanti

L’analisi empirica ha permesso di mettere in luce alcuni fattori che influenzano l’evoluzione dell’economia sociale che vede protagonista le giovani generazioni nel nostro paese. Tra i fattori che ne favoriscono lo sviluppo sono ricompresi, a detta dei partecipanti ai focus group, la forte propensione dei giovani a impegnarsi per la collettività; l’accesso a risorse materiali, finanziarie e tecnologiche; la disponibilità di competenze specifiche; il pieno riconoscimento dell’economia sociale.

Nel grafico seguente abbiamo si mettono a confronto i fattori più importanti che contribuiscono a creare un sistema abilitante ovvero ostacolante allo sviluppo dell’economia sociale facendo affidamento sul coinvolgimento di persone giovani. Tra i fattori ostacolanti emergono l’eccesso di burocrazia e la lungaggine dei processi amministrativi, l’atteggiamento tendenzialmente autoreferenziale da parte delle organizzazioni dell’economia sociale, il problema delle basse retribuzioni nel settore e la predominanza di atteggiamenti individualisti.

Figura 4 - Fattori abilitanti e ostacolanti.

Dai focus group si evince una forte propensione delle persone giovani ad attivarsi in iniziative di interesse collettivo, propendendo tuttavia – rispetto alle forme di volontariato tradizionali – per modalità di coinvolgimento fluide e informali, dove i processi decisionali sono tendenzialmente orizzontali e il potere è distribuito tra le persone coinvolte. A questo proposito, la digitalizzazione è vista come una leva strategica in grado di incentivare una più diffusa partecipazione e superare vincoli o restrizioni normative. I partecipanti agli altri due focus group – istituzioni e imprenditori sociali – propendono, invece, per modelli di coinvolgimento maggiormente istituzionalizzati e vedono in generale con un certo scetticismo la digitalizzazione.

L’accesso alle risorse – materiali, finanziarie, tecnologiche e/o informative – è ritenuto un fattore imprescindibile di abilitazione alla nascita in particolare di nuove imprese sociali. Ciò detto, tutti e tre i focus group sembrano non essere pienamente informati sulle tipologie di risorse che sono necessarie per sostenere lo sviluppo dell’economia sociale. Alcuni partecipanti tendono a confondere la necessità di reperire risorse per coprire i costi di gestione ordinaria con la necessità di attrarre risorse per finanziare nuovi investimenti.

Tra i fattori abilitanti spicca la disponibilità di competenze specifiche, che combinino competenze manageriali specializzate sull’economia sociale con la capacità di ascoltare e interpretare i bisogni del territorio. Emerge nondimeno la necessità di acquisire competenze trasversali che siano in grado di leggere la complessità dei contesti in cui le organizzazioni dell’economia sociale si trovano ad operare, senza tuttavia trascurare aspetti gestionali, amministrativi e di comunicazione. A questo proposito, la tendenza a specializzarsi in ambiti specifici – professionalizzazione verticale – non è ritenuta necessariamente un valore aggiunto.

Il riconoscimento dell’economia sociale rimane in generale una sfida, legata principalmente alle specificità del nostro paese, dove il concetto di economia sociale continua a essere scarsamente utilizzato. Tuttavia, mentre i focus group composti da rappresentanti istituzionali e della cooperazione sembrano essere consapevoli dell’importanza di sostenerne il riconoscimento, una parte dei partecipanti al gruppo degli under 35 fatica a riconoscere il valore dell’economia sociale e, al suo interno, dell’impresa sociale, a causa di ostacoli di natura culturale legati a una scarsa conoscenza del percorso evolutivo delle sue componenti.

Alla stessa stregua, non è inusuale la riluttanza di molte iniziative giovanili, che ne soddisfano pienamente le caratteristiche e i valori, ad auto-riconoscersi nell’economia sociale. Emerge in generale la carenza di una cultura dell’economia sociale proiettata a metterne in luce il valore aggiunto nell’affrontare le molteplici sfide del nostro tempo. Di qui la scarsa consapevolezza di molte persone giovani circa le opportunità che l’economia sociale offrirebbe non solo nell’aiutare le comunità a trovare soluzioni concrete a problemi contingenti, ma anche in quanto importante motore di sviluppo economico e sociale e strumento adatto a creare nuova occupazione. Le persone giovani percepiscono la burocratizzazione – legata in particolare alla Riforma del Terzo Settore, che ha portato a un aumento degli adempimenti burocratici, tra cui nuove registrazioni, obblighi di rendicontazione più dettagliati e procedure di conformità più complesse – come un fattore ostacolante, che spingerebbe molte iniziative a non formalizzarsi e condiziona fortemente l’operatività delle piccole organizzazioni, finendo spesso per scoraggiarle dall’avviare nuove attività quando hanno scarsa familiarità con le procedure amministrative.

Le basse retribuzioni normalmente applicate dalle organizzazioni dell’economia sociale, ne riducono l’attrattività per i giovani, spesso in cerca di opportunità di lavoro in grado di garantire stabilità economica e una qualità della vita adeguata. Di fronte ad un mercato del lavoro competitivo, dove le professioni in altri settori offrono stipendi significativamente più alti, le persone giovani sono spesso poco motivate a intraprendere una carriera nell’economia sociale. Questo porta a una carenza di talenti e a una diminuzione della vitalità del settore. Non da ultimo, le basse retribuzioni mettono a rischio anche la sostenibilità delle organizzazioni stesse. Quando le retribuzioni non sono in grado di attrarre e mantenere personale competente, vi è infatti il rischio che anche la qualità dei servizi offerti si riduca in misura rilevante.

Le singole organizzazioni che appartengono all’economia sociale spesso tendono a non considerarsi come parte integrante di un più ampio ecosistema. Questo aumenta i rischi di autoreferenzialità, limitando le opportunità di collaborazione e di condivisione di progettualità. La mancanza di una visione unitaria dell’economia sociale come settore riduce la capacità di affrontare le sfide sociali in modo sistemico, aumentando la distanza tra il mondo del volontariato e dell’attivismo (incluso quello giovanile), da un lato, e quello del non profit imprenditoriale, dall’altro. Sebbene ci sia la consapevolezza da parte dei partecipanti ai target group delle istituzioni e della cooperazione delle conseguenze derivanti da un atteggiamento autoreferenziale, sembra prevalere la tendenza a chiudersi nel proprio mondo senza interagire con le altre componenti del settore. Di qui la riluttanza a dare spazio e fiducia anche alla creatività delle giovani generazioni che a loro volta, anche quando alla ricerca di un lavoro di senso, non sembrano considerare l’economia sociale tra i possibili sbocchi occupazionali. Alla stessa stregua, le giovani generazioni sembrano sottovalutare – o a non riconoscere come tale – il percorso di lotta storicamente intrapreso dalle entità appartenenti all’economia sociale per affermare, attraverso il lavoro e/o l’accesso a servizi precedentemente negati, i diritti di molte categorie a rischio di esclusione, tra cui, ad esempio, le persone affette da malattie psichiatriche, le persone senza fissa dimora o le persone con problemi di tossicodipendenza. Tra le ragioni, la prevalenza nell’immaginario collettivo di una narrazione molto critica nei confronti di alcune componenti dell’economia sociale, tra cui, ad esempio, la cooperazione sociale. Questa narrazione, spesso riproposta in più sedi, non è infondata; è spesso una delle conseguenze dell’integrazione della cooperazione sociale nel sistema di welfare e della predominanza di logiche di esternalizzazione all’insegna del massimo ribasso che hanno contribuito a degradare la qualità del lavoro e dei servizi. Tuttavia, questo processo involutivo, che riguarda comunque una sola componente della cooperazione sociale, sembra sovrastare l’evidenza del contributo che la cooperazione sociale apporta invece in termini di inclusione delle persone più fragili, copertura di bisogni insoddisfatti e di rafforzamento della coesione sociale attraverso l’offerta di servizi di interesse generale.

Dai tre focus group si evince nondimeno una scarsa propensione all’imprenditorialità che contraddistinguerebbe le giovani generazioni e ridurrebbe l’interesse a intraprendere nuove iniziative e/o a partecipare a iniziative sociali esistenti. Tra le ragioni, i partecipanti citano la paura di fallire e la percezione di una scarsa sicurezza economica a cui si aggiungono procedure di accesso alle esistenti linee di finanziamento giudicate complesse ed eccessivamente burocratiche.

Tra le condizioni di contesto che ostacolerebbero lo sviluppo dell’economia sociale, i partecipanti ai tre focus group citano, infine, uno spirito individualista imperante che porterebbe le singole organizzazioni a concentrarsi esclusivamente sui propri obiettivi e interessi, senza considerare i vantaggi e le potenzialità della collaborazione con conseguenze negative in termini non solo di duplicazione degli sforzi e dispersione delle risorse, ma anche di efficacia degli interventi realizzati. Queste condizioni scoraggerebbero le persone giovani, quando sono alla ricerca di modelli di partecipazione e lavoro basati sulla condivisione e collaborazione, dall’intraprendere non solo percorsi professionali, ma anche di volontariato nell’economia sociale.

    L’analisi dei fattori ostacolanti conferma quanto dichiarato in premessa, cioè che la preferenza giovanile per modalità partecipative orizzontali e digitalizzate non rappresenta solo una questione di metodo, ma riflette una concezione diversa del potere e della leadership: da verticale e centralizzata a diffusa, dinamica e collaborativa.

Aspetti di criticità e punti di forza

Tra i nodi di criticità va richiamata in primis la scarsa conoscenza – in particolare dei giovani – dell’economia sociale (cosa è, quali sono i suoi confini), da un lato, e il marginale protagonismo degli under 35 nell’economia sociale, dall’altro. Due aspetti che finiscono per innescare un circolo vizioso, alimentandosi negativamente a vicenda e contribuendo, in ultima analisi, ad allontanare anche i giovani maggiormente attivi dall’economia sociale, quale ambito privilegiato ove potrebbero invece investire le proprie energie e desideri di cambiamento. In seno all’economia sociale spicca, inoltre, la scarsa attrattività per le giovani generazioni dell’impresa sociale rispetto alle imprese a vocazione sociale, che sono collocate – come ben evidenziato nel paragrafo 2.3 – al di fuori del perimetro dell’economia sociale. Ad alimentare la scarsa attrattività dell’economia sociale, inclusa l’impresa sociale, contribuisce la scarsa conoscenza della sua storia, dalle prime esperienze cooperative sorte duecento anni orsono fino alle prime iniziative delle “cooperative di solidarietà sociale”, precursori delle cooperative sociali, riconosciute ex post dalla legge 381 del 1991. Le persone under 35 ignorano il carattere rivoluzionario di queste esperienze, nate per dare voce a gruppi fragili della popolazione e non sono pienamente consapevoli della forte dimensione valoriale e politica che ha connotato queste iniziative. C’è in generale poca consapevolezza di come il concetto di impresa sociale, coniato da alcuni ricercatori pionieri grazie all’attenta osservazione delle esperienze nate dal basso per dare risposta a bisogni scoperti (Borzaga e Defourny, 2001), abbia permesso di ribaltare alcuni assunti dell’economia classica e delle teorie tradizionali del welfare, contribuendo in ultima analisi a innovare lo stesso sistema di welfare, disegnando nuovi servizi e creando nuovi profili professionali (si pensi, ad esempio, ai servizi di assistenza per persone con problemi di dipendenza, ma anche a profili relativamente nuovi, come quello del job coach, del mentoring individuale o del mediatore culturale e linguistico).

I focus group e gli incontri realizzati con alcuni partecipanti mettono in luce l’insufficiente conoscenza, soprattutto da parte delle giovani generazioni, del potenziale dell’economia sociale e, in particolare, dell’impresa sociale che, in passato, anche grazie al contributo di molti giovani, ha innescato importanti processi trasformativi a livello sociale, scalando il proprio impatto anche attraverso forme aggregative di secondo livello. Di qui la necessità di impegnarsi per farne conoscere la storia e promuovere una cultura dell’economia sociale, che metta in luce il filo rosso che lega le esperienze dell’economia sociale del passato alle iniziative più recenti, promosse dai giovani, e ne metta in evidenza il potere trasformativo, in particolare dell’impresa sociale, grazie alla dimensione imprenditoriale specificamente finalizzata al perseguimento del bene comune.

Come si evince dall’analisi quantitativa riguardante la presenza di persone giovani nei CdA delle cooperative e delle organizzazioni con la qualifica di impresa sociale, la disaffezione dei giovani nei confronti dell’economia sociale è strettamente connessa allo scarso protagonismo degli under 35 nell’economia sociale. Prevale, in sintesi, una netta divisione tra forme di attivismo ed economia sociale, laddove i giovani faticano a cogliere le potenzialità dell’economia sociale quale modello organizzativo particolarmente idoneo a realizzare i propri desideri. Ad alimentare pregiudizi nei confronti delle organizzazioni dell’economia sociale – e in particolare le imprese sociali – sono indubbiamente le basse remunerazioni praticate dalle organizzazioni appartenenti, che scoraggerebbero molti giovani dall’intraprendere una carriera in questo settore, come tra l’altro confermato dal calo delle iscrizioni ai corsi universitari e ai centri di formazione professionale (Pasquinelli, 2024). Emerge pertanto un contrasto tra quanto si evince dalle ricerche sulla cooperazione sociale realizzate agli esordi del suo sviluppo negli anni 2000, quando la stessa contava significativamente sulla presenza di giovani qualificati alla ricerca di lavoro (Borzaga et al, 2010) e la situazione corrente, in cui sono sotto gli occhi di tutti le crescenti difficoltà incontrate dalle cooperative sociali a trattenere vecchi e ad attrarre nuovi lavoratori, soprattutto giovani (Unioncamere, 2021; Borzaga e Galera, 2023).

Alla stessa stregua, colpisce il contrasto tra lo status quo, per l’appunto la scarsa presenza di giovani negli organi di governo dell’economia sociale e la maggiore attrattività delle imprese a vocazione sociale agli occhi delle giovani generazioni, da una parte, e le visioni di futuro tendenzialmente ottimistiche rispetto agli scenari di sviluppo dell’economia sociale, che i rappresentanti istituzionali e i rappresentanti dell’economia sociale esprimono, dall’altra.

Appare importante rilevare che il circolo vizioso “scarsa conoscenza dell’economia sociale/marginale protagonismo delle persone giovani / autoreferenzialità” si autoalimenta creando una spirale che allontana progressivamente le nuove generazioni dall’economia sociale tradizionale, spingendole verso forme alternative di attivismo sociale.

Emerge inoltre una certa confusione rispetto sia alle caratteristiche, sia alle risorse a cui le organizzazioni ricomprese nell’economia sociale fanno assegnamento. Un numero significativo di persone partecipanti ai focus group (tutti e tre i gruppi) sembra non essere pienamente consapevole del mix di risorse che permetterebbe alle imprese sociali di sviluppare un modello di gestione sostenibile da un punto di vista economico. Si tende a sottovalutare il valore del contributo del volontariato, ancora oggi fondamentale soprattutto nella fase di start up di molte nuove iniziative di impresa sociale, ma spesso visto come una prerogativa delle sole organizzazioni di volontariato; si sottostima inoltre la necessità di dover contare su ricavi di mercato (sia pubblici che privati) per poter coprire i propri costi di gestione e si tende a sovrastimare la rilevanza delle risorse cosiddette rimborsabili (apportate, ad esempio, da investitori privati e intermediari bancari), necessarie sostanzialmente per far fronte ad investimenti, ma spesso concepite come la panacea di tutte le debolezze delle imprese sociali.

In relazione a questi aspetti di criticità, è importante mettere in luce anche la forte consapevolezza dei partecipanti ai focus group circa la necessità di far fronte ad alcune sfide pressanti.

Vi è una diffusa consapevolezza – esplicita e/o implicita – della necessità non più procrastinabile di elaborare nuovi paradigmi e modelli di sviluppo che siano in grado di rispondere alle molteplici sfide che ci troviamo di fronte e al corollario sempre più diversificato di bisogni scoperti, il cui aumento in complessità è pienamente riconosciuto dalle persone partecipanti ai focus group. A questo proposito vi è una preoccupazione diffusa condivisa dai partecipanti ai focus group circa la prevalenza di forme di individualismo e/o logiche egoistiche – che si esprimono a livello individuale in comportamenti poco inclini alla cooperazione e/o nella predominanza del profitto nell’agire imprenditoriale di alcune imprese. Di qui la consapevolezza – esplicita e talvolta inespressa – del contributo fondamentale che organizzazioni come quelle rappresentate dall’economia sociale potrebbero apportare.

In secondo luogo, vi è in generale una forte e diffusa consapevolezza da parte dei tre target group della carenza di competenze, che è urgente colmare al fine di migliorare la performance dell’economia sociale (in termini di efficacia, ma anche efficienza) e valorizzarne il valore aggiunto. Tuttavia, non sempre pare esservi un’opinione convergente da parte dei partecipanti ai focus group sul tipo di competenze di cui l’economia sociale necessiterebbe per potersi sviluppare e consolidare. Vi è inoltre, in particolare da parte dei cooperatori e imprenditori sociali, il riconoscimento di un problema di autoreferenzialità che affligge l’economia sociale e che impedisce lo sviluppo di nuove alleanze tra le sue componenti, in primis le organizzazioni di natura imprenditoriale e quelle che appartengono al mondo del volontariato e dell’attivismo. Vi è al tempo stesso la piena consapevolezza da parte sia dei rappresentanti istituzionali, sia delle organizzazioni dell’economia sociale di quanto il problema delle basse remunerazioni sia all’origine della scarsa attrattività dell’economia sociale agli occhi delle nuove generazioni.

Quali strategie per valorizzare il contributo dell’economia sociale

L’analisi desk corredata dall’indagine empirica mette in luce le potenzialità di un incontro tra il mondo degli attivisti in cerca di nuove risposte, da un lato, e quello dell’economia sociale strutturata, dall’altro. Due mondi che sono al momento tendenzialmente distanti e che non sempre sono propensi a collaborare potrebbero insieme esprimere strategie innovative volte a promuovere una rinnovata giustizia sociale e ambientale. Per conciliare la spontaneità e la propensione all’innovazione che connota le iniziative promosse dai gruppi di attivisti, per definizione legati ai territori in cui operano, con la stabilità garantita dai modelli strutturati di intervento che le organizzazioni dell’economia sociale hanno saputo sperimentare e consolidare, è imprescindibile facilitare un maggiore coinvolgimento dei giovani nell’economia sociale, quali protagonisti e potenzialmente promotori di un rinnovato senso civico. Ciò in linea con le principali aspirazioni alla giustizia sociale, alla difesa dei diritti, dei beni comuni e, in generale, dell’ecologia degli under 35 coinvolti nei focus group, inclini a sostenere una società della cura, attenta tanto al benessere delle persone che vivono un territorio, quanto alla convivenza con la natura che li ospita. A questo proposito, andrebbero maggiormente valorizzati temi quali l’ambiente e la tutela dei diritti, che emergono come fortemente aggreganti per le giovani generazioni, sperimentando inedite modalità di collaborazione tra organizzazioni strutturate e gruppi informali, che si sono moltiplicati a seguito della pandemia. Questo presuppone un ripensamento delle classiche forme di impegno volontario che hanno contraddistinto la storia di una grossa componente del mondo associativo e anche della cooperazione sociale, coerentemente con modalità di engagement più fluide e meno strutturate, maggiormente congeniali alle esigenze delle giovani generazioni.

Nell’ottica di riscattare l’immagine dell’economia sociale, è parimenti fondamentale, da un lato, riconoscere alcune sue storture (presenti nelle diverse forme organizzative che la compongono, incluse le cooperative sociali), tra cui la perdita di contatti con la propria base sociale, sovente poco propensa a prendersi cura delle comunità nelle quali opera; dall’altro, è importante incoraggiare un ricambio generazionale in seno all’economia sociale, che possa garantirne la sopravvivenza futura, oltre l’orizzonte temporale di coinvolgimento degli attuali protagonisti, nonché un suo rinnovamento in linea con le molteplici sfide del nostro tempo. Spicca a questo riguardo la diversa interpretazione degli scenari di sviluppo futuro del nostro sistema di welfare, inteso in senso tradizionale e prettamente socioassistenziale dai gruppi target istituzionale e della cooperazione, a cui si contrappone viceversa una visione che va ben oltre i servizi di welfare tradizionale, agli occhi del gruppo target under 35, al fine di promuovere il benessere della collettività in senso lato.

Per valorizzarne il contributo, serve una maggiore consapevolezza delle caratteristiche intrinseche che contraddistinguono (o dovrebbero contraddistinguere) le organizzazioni dell’economia sociale e, in particolare, l’impresa sociale. Di qui la necessità di sviluppare modelli di business in grado di conciliare la sostenibilità economica con aspetti valoriali, facendo leva su un approccio partecipativo.

A questo scopo andrebbe innanzitutto riscoperta la storia dell’economia sociale, attualizzandone l’applicazione al contesto contemporaneo, e andrebbe chiarito con i suoi protagonisti quali sono – da un punto di vista istituzionale – le sue caratteristiche vis-à-vis le organizzazioni pubbliche e le imprese tradizionali, incluse quelle a vocazione sociale. Andrebbe a questo riguardo parimenti soppiantata la pratica alquanto diffusa di scimmiottare le imprese tradizionali a livello gestionale, adottando modalità di gestione tipiche delle imprese a scopo di lucro. Per sfruttare appieno il valore aggiunto dell’economia sociale, inteso quale capacità di intercettare nuovi bisogni e disegnare inedite strategie di intervento che poggiano sulla collaborazione tra più attori, servono al contrario pratiche di gestione coerenti con i valori e i principi dell’economia sociale e vanno sviluppati modelli e strumenti di management coerenti, che riconoscano appieno il valore della partecipazione e della dimensione collettiva. Di qui la necessità di sviluppare competenze manageriali e di gestione idonee, in grado di attingere alla pluralità di risorse su cui si regge l’impresa sociale (risorse monetarie, non monetarie, commerciali, non commerciali, rimborsabili e non rimborsabili), ivi inclusa la capacità di attivare e gestire team multidisciplinari.

Si rileva, inoltre, l’esigenza di sviluppare competenze di facilitazione di processi che aiutino i protagonisti dell’economia sociale a gestire situazioni complesse a livello di gestione interna, laddove è coinvolta una pluralità di portatori di interesse e, nei confronti dell’esterno, imparando a prevenire e gestire conflitti a livello locale, spesso inevitabili quando ci si deve confrontare con attori con interessi divergenti.

Una competenza distintiva che a detta di alcuni partecipanti ai tre focus group andrebbe sviluppata, in linea con ricerche recenti (Borzaga et al., 2023) è quella relativa alla costruzione di agende collaborative, ovvero linee di governo del welfare locale che poggino sulla collaborazione tra gli attori di un territorio nell’ottica di una funzionale condivisione delle risorse tangibili e intangibili disponibili.

Sicuramente una competenza da sviluppare è, infine, quella afferente alla comunicazione, per promuovere una narrazione dell’economia sociale che, facendo assegnamento sulla sua capacità di coinvolgere la comunità, sia capace di intercettare linguaggi, organizzazioni e persone e trasferirne i valori e la storia. Quindi, una narrazione che dovrebbe rifuggire l’idealizzazione del singolo imprenditore/imprenditrice, spesso visti come un/una eroe/eroina e fare al contrario affidamento sull’autentica partecipazione di diversi portatori di interesse, in rappresentanza dei pezzi di società che abitano un territorio.

Conclusioni

In conclusione, si può evidenziare come il coinvolgimento delle persone giovani nell’economia sociale in Toscana – e, più in generale, nel nostro paese - richieda un ripensamento sistemico che superi la logica di interventi puntuali.

I fattori abilitanti identificati dai giovani, dall’accesso facilitato alle risorse finanziarie allo sviluppo di competenze manageriali specializzate, fino al pieno riconoscimento culturale dell’economia sociale come motore di trasformazione, delineano la necessità di un ecosistema integrato di supporto e accompagnamento che deve necessariamente estendersi oltre le singole organizzazioni per abbracciare l’intero sistema regionale o nazionale.

La ricerca, configurandosi come punto di partenza per la comprensione delle dinamiche che spingono le persone giovani ad attivarsi, dimostra che le strategie di coinvolgimento giovanile non possono limitarsi a adattamenti marginali degli strumenti esistenti, ma devono articolarsi in approcci innovativi capaci di fare sintesi tra la solidità dell’esperienza delle organizzazioni dell’economia sociale e le nuove modalità operative, i nuovi linguaggi e le nuove tecnologie. È proprio da questa analisi svolta con Fondazione Monte dei Paschi di Siena e i suoi stakeholder privilegiati che hanno partecipato alla ricerca che sono state costruite le fasi successive del programma IKIGAI SOCIALHUB che si propone di tradurre operativamente i risultati della ricerca in strumenti concreti di accompagnamento e supporto alle nuove generazioni di imprenditori sociali. Solo attraverso questa sintesi tra ricerca, comprensione dei bisogni giovanili e interventi mirati sarà possibile invertire il circolo vizioso che oggi allontana i giovani dall’economia sociale, trasformandolo in un circolo virtuoso di rigenerazione, innovazione e sostenibilità futura.

DOI: 10.7425/IS.2025.02.08

 

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[1] Le fonti consultate includono il Registro Unico Enti del Terzo Settore (RUNTS), l’Albo delle cooperative MISE, Banche dati Aida-Bureau Van Dijk, il Censimento permanente Istat delle Istituzioni non profit, i registri Asia Imprese e Asia Occupazione, l’Albo Regionale toscano delle Cooperative Sociali.

[2] Ultimo anno di riferimento del Censimento delle istituzioni non profit in Italia.

[3] Per effettuare tale analisi sono state considerate le cooperative di cui si disponesse di bilanci presso la banca dati AIDA e che risultassero attive senza procedura concorsuale nel territorio toscano.

[4] Per una maggior completezza e chiarezza del significato di comune, si veda Le aree interne della Toscana individuazione e caratterizzazione, Gruppo di Lavoro IRPET.

[5] I dati di riferimento per le imprese sociali si riferiscono all’ultimo scarico effettuato in data 12 Aprile 2024.

[6] 48 cooperative di comunità senza alcuna tipologia di procedura in atto.

[7] Elaborazione Euricse su banche dati sviluppate per il progetto “Le imprese di comunità in Italia. Tratti distintivi e traiettorie di Sviluppo” (Sforzi et al, 2024).

[8] Per effettuare l’analisi sul CdA sono stati considerati tutti quelli di tutte le cooperative toscane che presentassero informazioni sulla loro composizione all’interno della banca dati Aida. Per 315 cooperative non erano presenti tali informazioni.

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