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ISSN 2282-1694
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Numero 3 / 2023

Saggi

Co-programmazione e autonomia regolamentare dei Comuni. Riflessioni alla luce di alcune recenti esperienze toscane

Giammaria Gotti


Abstract: Il presente contributo[1] si propone di studiare il ruolo dei Comuni nel recepimento, nell’ambito della propria autonomia regolamentare, dell’istituto della co-programmazione di cui all’art. 55 del Codice del Terzo settore (CTS). Si intende quindi verificare la “tenuta” concreta dell’istituto, specialmente alla luce delle più recenti esperienze sviluppatesi sul territorio. La scelta è stata quella di delimitare precisamente il perimetro territoriale dell’indagine, concentrando l’attenzione sulla Regione Toscana, da tempo “terra d’avanguardia” sul tema dei rapporti tra pubblica amministrazione e Terzo settore.

1. Partecipazione e attività programmatoria degli enti locali

Secondo la definizione che ne dà il Codice del Terzo settore, la co-programmazione consiste nella “individuazione, da parte della pubblica amministrazione procedente, dei bisogni da soddisfare, degli interventi a tal fine necessari, delle modalità di realizzazione degli stessi e delle risorse disponibili” e costituisce una delle forme (insieme alla co-progettazione e all’accreditamento) attraverso cui si realizza quel “coinvolgimento attivo degli enti del Terzo settore” che le pubbliche amministrazioni devono assicurare “nell’esercizio delle proprie funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale degli interventi e dei servizi nei settori di attività di cui all’articolo 5” del CTS. Come si può notare, detto coinvolgimento attivo deve essere assicurato nell’esercizio delle funzioni di programmazione (oltre che di organizzazione[2]) di interventi e servizi.

La funzione programmatoria della P.A. - che può essere definita come l’attività amministrativa diretta ad individuare le specifiche azioni da realizzare per raggiungere obiettivi prefigurati e risultati attesi[3] - è stata nel tempo profondamente influenzata dal progressivo affermarsi di due principi: quello di partecipazione e quello di sussidiarietà. La previsione di un dovere per Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni di favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini nel perseguimento dell’interesse generale (art. 118, quarto comma, Cost.) va infatti ad affiancarsi all’obbligo posto in capo alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli di cui all’art. 3, secondo comma, della Costituzione al fine di garantire l’effettiva partecipazione di tutti all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese, rendendo ancora più esplicito che tra le responsabilità dei pubblici poteri vi è quella di creare le “pre-condizioni dell’esercizio da parte di privati di attività idonee a realizzare interessi generali”, liberando le loro “potenzialità partecipative”[4]. L’esito più evidente del menzionato percorso di influenza può essere considerato senz’altro quella importante aggiunta, operata dal legislatore del 2017, del suffisso co- alla parola programmazione.

Il livello nel quale si è registrata un’ampia diffusione e sperimentazione di esperienze partecipative nell’ambito dell’attività programmatoria della P.A. è stato senza dubbio quello dei Comuni[5]. Numerose sono infatti oggi le disposizioni, anche costituzionali, in cui si può rinvenire il fondamento normativo della partecipazione a livello locale (artt. 6 e 8 TUEL[6]; art. 4, comma 4, l. 131 del 2003, in attuazione dell’art. 117, sesto comma, Cost.[7]).

Fu per la prima volta la legge 8 giugno 1990, n. 142 (recante Ordinamento delle autonomie locali) a disporre che “i Comuni valorizzano le libere forme associative e promuovono organismi di partecipazione dei cittadini all’amministrazione locale” [8]. Un ruolo di particolare rilievo venne poi riconosciuto dalla legge n. 328 del 2000 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali), che aveva previsto che gli enti locali “provvedono, nell’àmbito delle rispettive competenze, alla programmazione degli interventi e delle risorse del sistema integrato di interventi e servizi sociali” secondo i princìpi, tra l’altro, “di concertazione e cooperazione tra i diversi livelli istituzionali, tra questi ed i soggetti di cui all’articolo 1, comma 4”[9]. In particolare, l’art. 3 di tale legge immaginava una cd. programmazione negoziata, frutto di concertazione e cooperazione tra i diversi livelli istituzionali e i soggetti del cd. privato sociale[10].

È da tale disposizione che si sono sviluppate le oramai collaudate esperienze – con specifico riguardo ai servizi sociali – della pianificazione sociale di zona, variamente denominata, regolata e declinata a livello territoriale. Per fare un esempio, la LR Toscana n. 41 del 2005 (Sistema integrato di interventi e servizi per la tutela dei diritti di cittadinanza sociale) prevede all’art. 17, co. 1, che “nel rispetto del principio della sussidiarietà, la Regione e gli enti locali riconoscono la rilevanza sociale dell’attività svolta dai soggetti del terzo settore e, nell’ambito delle risorse disponibili, promuovono azioni per il loro sostegno e qualificazione”. Lo stesso articolo, al co. 2, definisce i “soggetti del terzo settore” ai fini della presente legge[11], stabilendo poi, al co. 3, che tali soggetti “concorrono, secondo quanto previsto dagli articoli 28[12] e [29], ai processi di programmazione regionale e locale. Tali soggetti, ciascuno secondo le proprie specificità, partecipano altresì alla progettazione, attuazione ed erogazione degli interventi e dei servizi del sistema integrato ai sensi di quanto previsto dalla normativa vigente”. In particolare, l’art. 29 disciplina il Piano di inclusione zonale (PIZ) che, tra l’altro, si occupa di determinare, con riferimento alla funzione fondamentale in ambito sociale dei comuni e in conformità con le disposizioni del piano sanitario e sociale integrato regionale, le attività da perseguire tramite le reti di servizi e di welfare territoriale e gli obiettivi di servizio, ai fini di migliorare e consolidare le politiche sociali.

Ai descritti procedimenti, che riguardano in maniera specifica il settore degli interventi e servizi sociali, si affianca il più generale impianto della programmazione delle autonomie locali[13], sia nella fase di costruzione delle politiche territoriali che nella fase di implementazione delle stesse (spec. artt. 46 e 170 del TUEL[14]). Il ciclo di programmazione degli enti locali è caratterizzato, essenzialmente, da due importanti documenti: le Linee programmatiche di mandato (art. 46, comma 3, TUEL), presentate dal Sindaco ed approvate dal Consiglio comunale ad avvio del mandato, nel quale sono individuati le azioni e i progetti da realizzare nel corso del mandato stesso; il Documento Unico di Programmazione - D.U.P. (art. 170 TUEL), presentato dalla Giunta comunale ed approvato dal Consiglio comunale, che rappresenta l’atto amministrativo presupposto ed indispensabile per l’approvazione del bilancio di previsione e si compone di una sezione strategica (Se.S.), contenente gli indirizzi e gli obiettivi strategici del mandato e di una sezione operativa (Se.O.).

È questo, dunque, il contesto entro il quale si inserisce l’istituto della co-programmazione ex art. 55 CTS che, non a caso, precisa che i procedimenti codicistici di amministrazione condivisa debbano essere realizzati “nel rispetto delle norme che disciplinano specifici procedimenti ed in particolare di quelle relative alla programmazione sociale di zona”. Il rapporto tra il nuovo istituto previsto dal CTS e gli altri istituti programmatori sopra esaminati, tuttavia, non è stato del tutto chiarito dalla nuova disciplina statale, lasciando quindi soprattutto agli enti locali il compito di chiarirlo e precisarlo, nell’ambito della propria autonomia regolamentare. È anche questo il senso del richiamo, da parte dell’art. 55 CTS, tra i principi a cui deve ispirarsi il coinvolgimento attivo degli ETS da parte delle PP.AA., della “autonomia organizzativa e regolamentare” degli enti locali.

Il presente contributo si propone allora di studiare il ruolo dei Comuni nel recepimento, nell’ambito della propria autonomia regolamentare, dell’istituto della co-programmazione di cui all’art. 55 del Codice del Terzo settore (CTS). Si intende pertanto verificare la “tenuta” concreta dell’istituto, specialmente alla luce delle più recenti esperienze sviluppatesi sul territorio. La scelta è stata quella di delimitare precisamente il perimetro territoriale dell’indagine, concentrando l’attenzione sulla Regione Toscana, da tempo “terra d’avanguardia” sul tema dei rapporti tra pubblica amministrazione e Terzo settore, come ben dimostrato dal fatto che tale Regione è stata la prima (e una delle poche) ad adottare una legge sulla promozione e il sostegno degli enti del Terzo settore (L.R. n. 65/2020).

2. Co-programmazione e Comuni

Il secondo comma dell’art. 55 disciplina l’istituto della co-programmazione, prevedendo che essa “è finalizzata all’individuazione, da parte della pubblica amministrazione procedente, dei bisogni da soddisfare, degli interventi a tal fine necessari, delle modalità di realizzazione degli stessi e delle risorse disponibili”. Come si accennava, la disciplina dettata dall’art. 55 CTS rimane alquanto generica sotto alcuni profili, per esempio su quale debba essere lo svolgimento in concreto del “coinvolgimento attivo” o su quali siano i criteri per l’individuazione, da parte della pubblica amministrazione, dei soggetti con cui svolgere attività di co-programmazione. La norma si limita infatti a prevedere che le forme di co-programmazione attraverso cui assicurare il coinvolgimento attivo degli enti del Terzo settore siano poste in essere “nel rispetto dei principi della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché delle norme che disciplinano specifici procedimenti ed in particolare di quelle relative alla programmazione sociale di zona”.

La genericità della disciplina dettata dall’art. 55 CTS lascia quindi un’ampia discrezionalità alle pubbliche amministrazioni[15], consentendo anzitutto l’intervento delle fonti locali in funzione integrativa. Come è stato osservato in dottrina, gli enti locali hanno sviluppato una “significativa capacità di disciplinare, con proprio regolamento, alcuni istituti innovativi”, così che “non sembrano esservi ostacoli a che la fonte comunale dia attuazione, nell’ambito della propria competenza, all’art. 55 del Codice in tema di coinvolgimento degli ETS attraverso forme di co-programmazione e co-progettazione, specialmente laddove il legislatore statale e quello regionale omettano di dettare una disciplina più completa ed organica, giocando, in tal senso, ancora una volta, ruolo di “volano” dell’innovazione”[16].

Sono quindi anzitutto i regolamenti degli enti locali – che, come noto, hanno oggi copertura a livello costituzionale (art. 117, sesto comma, Cost.) – a poter disciplinare e sperimentare forme innovative di collaborazione[17]. Lo chiarisce lo stesso art. 55 CTS, richiamando espressamente i principi della “autonomia organizzativa e regolamentare” locale[18].

Con le parole di Gori, “questa matrice dal basso rappresenta il ‘cuore’ giuridico e politico del cambiamento di paradigma in attuazione dell’art. 118 u.c. Cost: una innovazione creata principalmente nei laboratori periferici dei Comuni”[19]. Inoltre, i Comuni non solo rientrano certamente tra le amministrazioni pubbliche alle quali si riferiscono le norme del CTS sulla amministrazione condivisa, ma costituiscono “i primi e i più immediati interlocutori” degli ETS[20]. Il contesto locale rimane quindi un punto di sguardo privilegiato[21]. Come di recente si è detto, “saremmo di fronte alla rivincita dei territori fisici e delle loro rispettive comunità”[22], secondo “un paradigma dell’autonomia tutt’altro che banale, sostenuto da una potente narrazione sulle magnifiche e progressive sorti del policentrismo della “società aperta” e, sul piano strettamente giuridico, sull’ascesa del principio di sussidiarietà al cielo dei principi fondamentali della Costituzione”[23].

Gli spazi di sperimentazione nel nuovo Codice dei contratti pubblici

Occorre ricordare a questo punto dell’indagine un recente intervento normativo del legislatore nazionale, che ha interessato direttamente la materia che ci occupa. Si tratta del nuovo Codice dei contratti pubblici, in particolare l’art. 6 del d.lgs. n. 36/2023, in base al quale “in attuazione dei principi di solidarietà sociale e di sussidiarietà orizzontale, la pubblica amministrazione può apprestare, in relazione ad attività a spiccata valenza sociale, modelli organizzativi di amministrazione condivisa, privi di rapporti sinallagmatici, fondati sulla condivisione della funzione amministrativa con gli enti del Terzo settore di cui al codice del Terzo settore di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, sempre che gli stessi contribuiscano al perseguimento delle finalità sociali in condizioni di pari trattamento, in modo effettivo e trasparente e in base al principio del risultato. Non rientrano nel campo di applicazione del presente codice gli istituti disciplinati dal Titolo VII del codice del Terzo settore, di cui al decreto legislativo n. 117 del 2017”.

Dalla lettura della norma, si comprende come il legislatore abbia voluto definire un ambito di rapporti collaborativi fra PA e Terzo settore più ampio rispetto a quella fino ad oggi disciplinato dal Codice del Terzo settore. Come è stato osservato, si potrebbe dire che “il legislatore si sia mosso secondo una prospettiva a cerchi concentrici[24]. C’è anzitutto un cerchio più largo – quello dell’amministrazione condivisa “in senso ampio”, definita nel primo periodo della norma –, in base al quale la pubblica amministrazione e gli enti del Terzo settore possono apprestare modelli organizzativi di amministrazione condivisa, le cui caratteristiche siano rispondenti ai requisiti stabiliti dall’art. 6 citato. Dentro questo cerchio più ampio, poi, vi è il sottoinsieme costituito dagli istituti della co-programmazione, della co-progettazione e dell’accreditamento di cui al CTS. In altre parole, l’amministrazione condivisa non sembra più esaurirsi negli istituti disciplinati dal CTS. Le pubbliche amministrazioni possono invece promuovere esperienze e modelli ulteriori di amministrazione condivisa, purché rispondano ai requisiti fissati dall’art. 6 del nuovo Codice dei contratti.

Nell’attesa di verificare come le amministrazioni daranno attuazione a tale nuova, innovativa disposizione, non v’è dubbio che possano essere anzitutto gli enti locali, nell’ambito della propria autonomia regolamentare, a sperimentare queste nuove forme ed esperienze di condivisione della funzione amministrativa.

La co-programmazione alla prova del territorio

Un recente studio[25], che ha tentato di raccogliere tutti gli avvisi di co-programmazione e co-progettazione sinora pubblicati dalle pubbliche amministrazioni, ha dimostrato che “dal dataset emerge che, quanto al tipo di procedimenti attivati, gli avvisi censiti fanno riferimento nella stragrande maggioranza dei casi (il 92,7% del totale) a procedimenti di co-progettazione. Al contrario, i procedimenti di co-programmazione … rimangono al di sotto del 10% e si concentrano quasi intera- mente nel 2021 e nel 2022”[26]. Inoltre, a conferma anche di quanto rilevato sopra, si sottolinea che “in circa il 70% degli avvisi inclusi nel dataset, l’amministrazione procedente è il Comune”[27].

Anche alla luce di tali dati, si cercherà ora di tracciare alcune linee di tendenza dell’applicazione concreta della co-programmazione, verificando se e come l’istituto in discorso sia stato recepito dai Comuni. Una simile indagine è particolarmente utile se si vuole comprendere non solo se e come la co-programmazione sia stata accolta a livello locale, ma anche la configurazione che questa potrebbe assumere di qui ai prossimi anni. Come si diceva, infatti, è proprio dentro i laboratori periferici dei Comuni che è possibile misurare con maggior precisione la riuscita delle nuove pratiche di amministrazione condivisa.

Delimitazione dell’indagine. La Regione Toscana come “terra d’avanguardia” dell’amministrazione condivisa

Come si anticipava, la scelta è stata quella di delimitare l’analisi dal punto di vista geografico, in modo tale da meglio concentrarsi su una specifica esperienza regionale e individuare così con maggiore precisione aspetti di successo e punti critici di una prima applicazione dell’istituto sul territorio. Si è scelto quindi di concentrare l’attenzione sulla Regione Toscana, da sempre considerata una “terra d’avanguardia” per la promozione e il sostegno del Terzo settore e per lo sviluppo di pratiche collaborative tra pubblico e privato sociale[28].

Già nel 2018, infatti, la Regione Toscana, con la LR 31 ottobre 2018 n. 58 (Norme per la cooperazione sociale in Toscana) aveva recepito l’istituto codicistico in esame. All’art. 14, la legge statuisce un impegno della Regione a favorire il coinvolgimento degli ETS anche attraverso lo strumento della co-programmazione. Si stabilisce poi che, attraverso quest’ultima, “oltre a quanto previsto dall’art. 55, comma 2, del d.lgs. 117/2017, vengono rilevati i bisogni della comunità di riferimento, le possibili azioni, risorse, tempi e modalità di coinvolgimento delle cooperative sociali e degli altri enti del terzo settore”. Inoltre, “la co-programmazione della Regione” deve avvenire “secondo quanto previsto dall’articolo 2”, nel rispetto cioè dei preesistenti strumenti di programmazione regionale. Questi sono gli strumenti di programmazione di cui alla legge regionale 7 gennaio 2015, n. 1 (Disposizioni in materia di programmazione economica e finanziaria regionale e relative procedure contabili)[29], che definiscono le modalità della partecipazione delle cooperative sociali al perseguimento delle finalità di sviluppo della Regione; le già citate forme previste dagli artt. 26 e 27 della LR n. 41/2005 e quelle di cui all’art. 15 della LR 24 febbraio 2005, n. 40 (Disciplina del sistema sanitario regionale)[30]. Infine, si stabilisce che “gli enti locali, singoli o associati, e le aziende pubbliche di servizi alla persona possono disciplinare il procedimento di co-programmazione nel rispetto del principio di autonomia organizzativa e regolamentare e garantendo il rispetto dei principi di trasparenza, pubblicità, concorrenza e giusto procedimento”.

La scelta del 2018 è stata poi riproposta - estesa a tutti gli ETS ai sensi dell’art. 4 CTS, a tutte le pubbliche amministrazioni della Regione e a tutte le attività di interesse generale ai sensi dell’art. 5 CTS - dalla LR 22 luglio 2020 n. 65 (Norme di sostegno e promozione degli enti del Terzo settore toscano), la prima legge regionale italiana dedicata, dopo l’approvazione del CTS, in maniera generale al Terzo settore. L’art. 3 della legge impone alla Regione e ai suoi enti dipendenti, alle aziende e agli enti del servizio sanitario regionale e, nel rispetto della loro autonomia regolamentare, agli enti locali singoli o associati, di assicurare, “nell’esercizio delle proprie funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale”, il coinvolgimento attivo degli enti del Terzo settore, anche attraverso forme di co-programmazione.

Con riferimento specifico alla co-programmazione (art. 9), la legge anzitutto fa “salve le discipline regionali di settore in materia di programmazione e di pianificazione e l’autonomia regolamentare degli enti locali”. Con una scelta di grande rilievo, la legge stabilisce poi che le amministrazioni assicurano il coinvolgimento degli enti del Terzo settore anche mediante l’attivazione di procedimenti di co-programmazione, in relazione alle attività di interesse generale, “motivando le esigenze che eventualmente impediscono l’attivazione di tale istituto”. L’attivazione della co-programmazione, dunque, si configura come una attività obbligatoria di coinvolgimento attivo, la cui impossibilità o inopportunità deve essere motivata dall’amministrazione[31]. Tuttavia, si stabilisce che il “coinvolgimento attivo” avvenga anche attraverso la co-programmazione. Di conseguenza, quest’ultima è solo una delle possibili modalità, ma non l’unica: il soddisfacimento dell’attività programmatoria potrebbe avvenire, infatti, attraverso quelle altre forme espressamente fatte salve dalla legge. Come il CTS, anche la LR Toscana non chiarisce del tutto il rapporto tra la co-programmazione e gli altri istituti programmatori, lasciando all’interprete e alle singole pubbliche amministrazioni il compito di identificare con maggiore precisione il perimetro applicativo del nuovo istituto. In ogni caso, si prevede che attraverso il procedimento di co-programmazione le pubbliche amministrazioni “acquisiscono gli interessi ed i bisogni rappresentati dagli enti del Terzo settore e dalle altre amministrazioni, elaborano il quadro dei bisogni e dell’offerta sociale, assumono eventuali determinazioni conseguenti nelle materie di propria competenza”.

Infine, il successivo art. 10 stabilisce un quadro di principi essenziali in tema di co-programmazione. Principi che gli enti locali, qualora scelgano di attivare i procedimenti di co-programmazione, devono recepire nell’ambito della propria autonomia regolamentare[32]. L’effetto del procedimento in discorso, in ogni caso, dovrebbe essere la modifica o l’integrazione degli strumenti di pianificazione e gli atti di programmazione, previsti dalla disciplina di settore[33].

Il recepimento dei principi in materia di co-programmazione nell’ambito dell’autonomia regolamentare degli enti locali toscani

Come si è poco sopra rilevato, l’art. 10 della LR 65/2020 stabilisce che “gli enti locali, qualora scelgano di attivare i procedimenti di co-programmazione di cui alla presente legge, danno attuazione ai principi di cui al comma 1 nell’ambito della propria autonomia regolamentare”.

Può quindi essere opportuno cercare di vedere se e come questa disposizione sia stata recepita a livello locale. Dal punto di vista metodologico, la scelta è stata quella di muoversi attraverso un’analisi degli atti amministrativi generali, in particolare i regolamenti ex art. 117, co. 6, Cost. o i già citati documenti di programmazione strategico-gestionale (cd. Documento Unico di Programmazione - DUP) ex art. 170 TUEL dei comuni capoluogo di provincia della Toscana. Il riferimento al DUP è particolarmente significativo, in quanto è il principale strumento per la guida strategica e operativa di un comune, e rappresenta il presupposto necessario di tutti gli altri strumenti di programmazione.

Quanto al Comune di Firenze, nel DUP 2022-2024[34], si cita la co-programmazione una solta volta, nell’ambito dell’obiettivo strategico 13.3 (“Realizzare la grande Firenze metropolitana più vicina ai cittadini valorizzando il ruolo dei Quartieri”), ove il Comune si impegna a coinvolgere sistematicamente i “quartieri” sulle questioni inerenti i singoli territori attraverso “tavoli periodici di co-programmazione e co-progettazione” su tematiche riguardanti opere e servizi, individuando e definendo gli strumenti e le procedure obbligatorie da implementare per rafforzare i poteri consultivi e propositivi previsti[35]. Tra i regolamenti, manca un atto che sistematizzi in maniera organica gli istituti di amministrazione condivisa a livello comunale. Si può citare il Regolamento sulla collaborazione tra cittadine, cittadini e amministrazione per la cura, la gestione condivisa e la ri-generazione dei beni comuni urbani, approvato nel 2017[36], nell’ambito del quale si prevede l’istituzione, “al fine di garantire la relazione con le cittadine e i cittadini attivi” di un Ufficio per l’amministrazione condivisa, che provvede direttamente all’attivazione degli uffici interessati e che si avvale della collaborazione di un “tavolo” composto dai soggetti coinvolti e dai rappresentanti del/dei Quartieri territorialmente interessati. Dall’esame degli atti generali del Comune, non sembra quindi sia stato ancora pienamente recepito nell’ambito della propria autonomia regolamentare il nuovo modello prefigurato dal CTS e dalla LR Toscana 65/2020.

Quanto al Comune di Pisa, nel DUP 2022-2024 si cita la co-programmazione nell’ambito della Missione 6 - Politiche giovanili, sport e tempo libero, ove il Comune si impegna a creare un “tavolo di co-progettazione e co-programmazione” con il CUS di Pisa e con l’Università e Usid per coinvolgere gli studenti pisani, fuori sede con e senza disabilità. Pochi i riferimenti nel DUP 2023-2025[37]. Anche a Pisa, con deliberazione del Consiglio Comunale n. 36 del 14 settembre 2017, modificata nel 2021, è stato approvato un Regolamento sulla collaborazione tra le cittadine e i cittadini attivi e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani di Pisa. Quanto al Comune di Lucca, nel DUP 2023-2025 vi sono alcuni importanti riferimenti alla co-progettazione e al terzo settore[38], mentre risultano assenti richiami espliciti all’istituto della co-programmazione. Anche a Lucca è presente il Regolamento sulla gestione condivisa dei beni comuni, approvato nel 2017. Interessante il Regolamento generale per la concessione di contributi e benefici economici a persone ed enti pubblici e privati del 2019[39], che si dichiara espressamente ispirato al principio di sussidiarietà orizzontale, di cui all’art. 118, comma 4, Costituzione. Quanto al Comune di Massa, nel 2019 sono stati approvati il regolamento per la cura condivisa dei beni comuni e un regolamento che istituisce la “Consulta Comunale sulla Disabilità”, senza però che in entrambi si faccia un riferimento espresso agli istituti di cui al CTS. Anche a Pisa, Lucca e Massa, quindi, mancano regolamenti volti a recepire in maniera organica i principi statali e regionali sull’amministrazione condivisa.

Quanto al Comune di Pistoia, nel DUP 2022-2024, il Terzo settore viene citato solo nell’ambito dell’obiettivo strategico 18, ove è previsto l’impegno ad “effettuare un report organico degli spazi comunali liberi a disposizione e delle richieste da parte delle Associazioni del Terzo Settore di luoghi da usare per la propria attività”. Anche a Pistoia, nel 2016 è stato adottato il regolamento della partecipazione attiva per la collaborazione dei cittadini alla cura dei beni comuni. Quanto al Comune di Grosseto, pochi o assenti i riferimenti nel DUP 2023-2025[40]. Anche a Grosseto è stato adottato un regolamento sulla gestione dei beni comuni, nel 2015[41], oltre ad un regolamento “per la concessione di benefici economici” del 2021[42], che tra le altre cose prevede che l’Amministrazione Comunale possa sostenere le iniziative e le attività di Enti ed associazioni pubbliche e private che operino senza fini di lucro nel settore sociale. Nessun riferimento, tuttavia, ai nuovi istituti dell’amministrazione condivisa. Quanto al Comune di Siena, si segnala anche qui la presenza del Regolamento sulla gestione dei beni comuni[43]. Piuttosto scarsi i riferimenti nel DUP 2022-2024 e negli altri regolamenti comunali. Quanto al Comune di Arezzo, scarsi i riferimenti nel DUP 2023-2025 (ove si legge solo l’obiettivo di “potenziare gli investimenti economici nel terzo settore”) e negli altri regolamenti comunali.

Quanto al Comune di Prato, nel DUP 2023-2025 si possono trovare riferimenti importanti anche agli istituti della co-programmazione e della co-progettazione. Si legge che “si continuerà nell’azione di sostegno alle fasce deboli della città e quelle a rischio con politiche integrate, … anche promuovendo tavoli di concertazione con le realtà associative e del terzo settore, in modo da far convergere tutta la città, nella sua componente pubblica e privata, verso l’obiettivo comune di dare risposte concrete a tutti”. Vi è poi l’impegno di “promuovere azioni di cittadinanza attiva attraverso patti di collaborazione e gestioni condivise fra il Comune e l’associazionismo, il terzo settore, le organizzazioni di vicinato per dare nuova vita a spazi non valorizzati, strutture dimesse, luoghi degradati” e di “sviluppare le relazioni con i soggetti portatori di interesse e la rete del Terzo settore (Associazionismo, Cooperative Sociali e Imprese Sociali) anche al fine di promuovere la co- programmazione e la co-progettazione degli interventi con riferimento anche alla progettazione e gestione di interventi per sostenere le famiglie nell’attuale crisi pandemica”. Da segnalare, tra i regolamenti, il Regolamento sulle modalità di iscrizione e di gestione del registro regionale delle associazioni di promozione sociale del 2017, comunque non aggiornato al CTS; il Regolamento per la concessione di patrocini, contributi e agevolazioni del 2016, in attuazione dell’art. 12 della l. 241/1990, modificato da ultimo nel 2023; il regolamento sulla gestione condivisa dei beni comuni del 2017. Infine, si segnala un Regolamento sulla partecipazione[44], da ultimo modificato nel 2022, che tra l’altro prevede l’istituzione di Consulte con un funzionamento su base tematica e composte dalle associazioni operanti nel Comune e previamente iscritte ad un Albo comunale, che vengono interpellate dall’Amministrazione Comunale, tramite i propri organi, mediante la richiesta di espressione di pareri, specie quando si tratti di compiere scelte rilevanti su temi di interesse generale e relativi alla programmazione amministrativa.

Quanto al Comune di Livorno, assume grande rilievo il Regolamento relativo ai rapporti con le associazioni ed altri soggetti del terzo settore del 2017 che, tra l’altro, detta regole generali sulla concessione di contributi al privato sociale da parte del Comune. Nel 2022, in attuazione di questo Regolamento, è stato pubblicato un bando per l’erogazione di contributi. Tra i requisiti qualitativi in possesso degli enti del Terzo settore che il Comune valuterà ai fini dell’erogazione, figura anche “coinvolgimento attivo nelle forme di co-programmazione e/o co-progettazione poste in essere con gli enti pubblici del territorio”[45]. Inoltre, particolarmente importante anche il DUP 2023-2025 del Comune, dove il ruolo del terzo settore e dell’amministrazione condivisa sono particolarmente valorizzati. In particolare, un intero capitolo è dedicato a “Definire nuove strategie di integrazione tra Comune e Terzo Settore per promuovere una comunità solidale e responsabile”. Si legge che l’Amministrazione intende “promuovere un maggior coinvolgimento del Terzo Settore in tutte le fasi di intervento: dall’analisi dei fabbisogni alla valutazione dei risultati”. In questo senso, “oltre ad accrescere il numero delle opportunità di collaborazione”, il Comune dichiara espressamente che “si rende necessario definire e disciplinare nuove modalità operative con particolare riferimento alla stesura di un Regolamento comunale per la co-programmazione e la co-progettazione ai sensi della LR 65/2020”. Questa attività sarà svolta in un percorso di condivisione con la Consulta delle Associazioni, in seno alla quale saranno consolidati i gruppi di lavoro già avviati e ne potranno essere istituiti di nuovi sulla base dei bisogni rilevati. Infine, l’Amministrazione intende sottoporre al Consiglio Comunale una proposta di revisione del Regolamento relativo ai rapporti con le associazioni e gli altri soggetti del Terzo Settore, per adeguarlo alle novità introdotte dal d.lgs. 117/2017.

Dalla nostra indagine emerge sì un panorama variegato - con alcune eccezioni particolarmente virtuose (Livorno soprattutto) – ma si possono comunque individuare alcuni punti fermi: i)  nessuno tra i comuni capoluogo ha adottato un regolamento generale sull’amministrazione condivisa, in attuazione di quanto previsto dall’art. 10 LR 65/2020; solo il Comune di Livorno si è impegnato ad adottarlo nei prossimi anni; ii) tutti i comuni esaminati hanno adottato un regolamento sulla gestione condivisa dei beni comuni, il quale (anche se a titolo formale può includere momenti di consultazione su temi programmatori) è adottato non tanto per “programmare”, ma per “operare”, essendo il regolamento (a differenza della coprogettazione, in assenza di una normativa nazionale di riferimento) il prerequisito per stipulare patti; i regolamenti sui servizi sociali o in tema di disabilità – laddove presenti – sono invece tutti antecedenti al 2017 o comunque non aggiornati ai nuovi istituti codicistici; lo stesso vale, laddove presenti, per i regolamenti sui rapporti con l’associazionismo locale, per la concessioni di contributi ex art. 12 l. 241/1990 o quelli sulla partecipazione; iii) solo in alcuni Comuni, gli istituti della co-programmazione e della co-progettazione e, più in generale, il ruolo del Terzo settore trovano un posto nell’ambito della pianificazione strategica comunale; gli esempi più virtuosi sono sicuramente Livorno e Prato, ove il ruolo del Terzo settore sembra davvero riuscire a trascendere il settore dei servizi sociali e ad abbracciare numerosi ambiti di attività di interesse generale; in alcuni casi (Firenze, Pisa, Lucca e Pistoia) i riferimenti sono limitati o comunque specifici per un singolo obiettivo operativo; in altri casi (Grosseto, Arezzo, Siena e Massa), infine, un riferimento è quasi o del tutto assente.

Infine, merita di essere segnalata una corposa ricerca, dal titolo Co-progettare la Co programmazione e la Co-progettazione: una ricognizione nel territorio toscano, condotta nel 2022 da Rete UP Umanapersone, Legacoop sociali Dipartimento area welfare della Regione Toscana e Confcooperative- Federsolidarietà Toscana, i cui esiti sono stati di recente pubblicati su questa Rivista[46]. Partendo dall’analisi delle tendenze emergenti dagli avvisi di bandi raccolti, la ricerca ha strutturato un percorso di indagine attraverso un questionario semi strutturato e auto somministrato ai rappresentanti di otto enti partecipanti (per lo più cooperative sociali), al fine di valutare lo stato dell’arte dell’attuazione e del recepimento degli istituti dell’amministrazione condivisa da parte degli ETS e delle PP.AA. in Toscana. La ricerca, pur non restituendo un quadro completo, ha il merito di segnalare alcune linee di tendenze e alcune criticità, specialmente dal punto di vista degli ETS coinvolti. Un punto importante che emerge dalla ricerca è proprio il problema del coordinamento “di sistema” della co-programmazione con gli altri istituti programmatori. In particolare, si rileva che “il deficit di chiarezza sullo statuto procedimentale della co-programmazione deriva … da una sua difficile collocazione ed integrazione nel quadro degli strumenti programmatori, non solo generali, ma anche specifici per il settore sociosanitario. La necessità avvertita, sicuramente dagli operatori economici ma presumibilmente da tutti gli stakeholder coinvolti, è quindi quella di raggiungere una coerenza di sistema. A livello locale, questa esigenza è percepita soprattutto sotto il profilo della strategia e della visione che gli enti pubblici dovrebbero avere per definire sostanza e forma degli interventi da attuare”[47]. Da qui tutta l’importanza di avere, a livello locale, un regolamento che possa regolare, chiarire o precisare i rapporti con i diversi strumenti programmatori locali.

Verso i regolamenti per la co-programmazione ai sensi della LR 65/2020

Il quadro sopra descritto mostra che i Comuni hanno ancora una certa difficoltà a recepire pienamente il modello di amministrazione condivisa, così come configurato dal CTS e dalla LR 65/2020, nell’ambito della propria autonomia regolamentare. Se infatti sono ormai parecchi gli avvisi di co-programmazione pubblicati dagli enti locali, gli atti amministrativi generali dei Comuni faticano ancora a recepire in maniera sistematica i principi dettati dalla LR 65/2020 e a declinarli in appositi regolamenti. In particolare, una piena attuazione di quanto previsto dall’art. 10, co. 2, della stessa LR richiederebbe, con tutta probabilità, l’emanazione di una sorta di regolamento generale sull’amministrazione condivisa (sul modello del già sperimentato – e accolto dalla totalità dei grandi comuni esaminati sopra – regolamento sulla gestione condivisa dei beni comuni). È chiaro che l’assenza di regolamenti non esclude che i Comuni promuovano comunque percorsi di co-programmazione (anche se pochi lo fanno) e di co-progettazione (e invece lo fanno in molti); così come il fatto che vi siano regolamenti o altri atti che fanno riferimento all’amministrazione condivisa non significa che essa sia poi realmente praticata. In ogni caso, la scelta di un Comune di dare traduzione regolamentare alle previsioni del Codice – anche se poco ci può dire della loro effettiva traduzione a livello di concrete pratiche amministrative – apparirebbe comunque come una chiara indicazione politica che difficilmente potrebbe essere ignorata in sede amministrativa.

Se, come si è visto, i grandi comuni sopra esaminati hanno finora rinunciato ad emanare un regolamento generale di attuazione dell’art. 10, co. 2 (solo il Comune di Livorno si è espressamente impegnato a farlo nei prossimi due anni), in Toscana la strada è stata aperta dal piccolo Comune di Cascina[48], in Provincia di Pisa. Si tratta del Regolamento comunale per la disciplina della amministrazione condivisa fra amministrazione comunale e gli enti del terzo settore, una delle primissime esperienze in ambito regionale, approvato nell’agosto del 2022[49]. Peraltro, ciò dimostra che molto spesso sono proprio i piccoli Comuni a poter giocare quell’importante ruolo di “volano” dell’innovazione a cui sopra si accennava.

Detto Regolamento definisce la co-programmazione come “modalità ordinaria di valorizzazione attiva degli ETS nella costruzione e condivisione della programmazione pubblica, relativa alle attività di interesse generale individuate ai sensi dell’art. 5 CTS” (art. 7.1). La costruzione della programmazione pubblica, nelle materie di cui all’art. 5 CTS, è quindi ordinariamente svolta attraverso la co-programmazione, che assicura il coinvolgimento degli ETS. Si prevede, inoltre, che “il Comune promuove la più ampia partecipazione al percorso di programmazione, coinvolgendo, tutti gli ETS operanti sul territorio” (art. 7.2). La disposizione è particolarmente significativa, in quanto mira a coinvolgere nel percorso di programmazione condivisa tutti gli ETS del territorio. Inoltre, rispetto a quanto previsto dall’art. 10 della LR 65/2020, si aggiunge che durante il procedimento di co-programmazione “sono altresì condivise valutazioni sui bisogni della popolazione e del territorio, sul grado di soddisfazione dei servizi e degli interventi, sul miglioramento possibile, sull’opportunità di innovare la progettazione degli stessi” (art. 7.3). Si stabilisce, infine, che “l’esito della valutazione, nel rispetto delle prerogative degli enti locali e della disciplina in materia di conflitti di interesse, consiste nella programmazione partecipata dei servizi ed interventi” (art. 7.4) e che “la programmazione può essere aggiornata annualmente su proposta della Giunta Comunale in relazione a nuove esigenze o all’esito delle esperienze di collaborazione” (art. 7.5)[50].

L’importanza di un simile Regolamento, volto a recepire i principi generali di cui all’art. 55 CTS e di quelli più dettagliati della LR 65/2020, è non solo quella di fungere da guida più precisa per l’amministrazione comunale nei procedimenti di amministrazione condivisa, ma soprattutto quella di inserire sistematicamente gli istituti nell’ambito dell’organizzazione amministrativa comunale, regolando così i rapporti con i preesistenti istituti programmatori (DUP, linee programmatiche del Sindaco). Attraverso questo Regolamento, quindi, l’amministrazione comunale si dota di una sorta di statuto generale della partecipazione alle attività di programmazione, regolando il delicato rapporto del momento politico della programmazione con quello più amministrativo.

Peraltro, è da segnalare che anche il Comune di Brescia, nel novembre 2022, ha adottato un regolamento simile, denominato Regolamento per la disciplina dei rapporti col terzo settore. Per quanto più interessa ai nostri fini, con riferimento alla co-programmazione, il Regolamento bresciano prevede espressamente che questa debba “raccordarsi con il documento recante le linee programmatiche del Sindaco, previsto dalla vigente disciplina, relative alle azioni ed ai progetti di intervento e di servizi da realizzarsi nel corso del mandato” e “con il Documento Unico di Programmazione (DUP), ed in particolare con la relativa sezione strategica, che ha orizzonte temporale pari a quello del mandato amministrativo”. Inoltre, si prevede che il Comune possa “tener conto, per quanto di propria competenza, degli esiti delle procedure di co-programmazione, espletate in applicazione del presente Regolamento, nell’ambito della pianificazione sociale di zona” (art. 5). In questo modo, viene disciplinata molto puntualmente la relazione tra i diversi strumenti programmatori comunali.

Con riferimento alla co-programmazione, l’esperienza di Brescia è però del tutto peculiare nel panorama nazionale anche per un altro motivo. Per quanto riguarda nello specifico le politiche sociali, è istituito dal 2016 il Consiglio di Indirizzo del Welfare (CIW), quale sede permanente della Città di Brescia ai fini dello svolgimento dell’attività di co-programmazione nell’ambito delle politiche di welfare. Al Consiglio è affidato il compito di “stimolare, raccogliere tramite specifici incontri di confronto, la progettualità di tutti gli attori del welfare in una visione condivisa che valorizzi tutte le risorse umane, organizzative, finanziarie e strumentali presenti sul territorio” e costituisce “tavolo di co-programmazione e di partecipazione civile dei diversi portatori di interesse sul tema sociale della città … con lo scopo di condividere informazioni, esigenze, istanze utili ad orientare, attraverso il dibattito pubblico ed il libero confronto di idee e proposte, le scelte e le azioni volte a realizzare un sistema di welfare sempre più adeguato” (art. 1, co. 2 e 3 del Regolamento). In virtù della sua natura permanente, dunque, l’esperienza bresciana costituisce un esempio di attuazione virtuosa della previsione del CTS anche oltre il dettato normativo, che immagina appunto un procedimento di co-programmazione piuttosto che una sede permanente entro la quale esso deve svolgersi. Una co-programmazione, dunque, non confinata in atti episodici e dinamiche contingenti, ma strutturata in forme di interlocuzione permanente.

Il fatto che a Brescia sia stata prevista una “sede permanente” di co-programmazione sembra proprio dimostrare la volontà e la determinazione dell’amministrazione comunale di non guardare alla co-programmazione solo come un procedimento isolato da attivare in caso di necessità, ma come uno strumento indispensabile per la programmazione sociale della città che consente la duratura e ininterrotta partecipazione del terzo settore alle scelte anche politiche in materia sociale. In questo si apprezza tutta l’importanza dell’esperienza bresciana, che si colloca davvero molto bene “a metà strada” tra l’istituto (più di stampo amministrativistico) della co-programmazione e quello (più politico) della democrazia partecipativa[51].

Considerazioni conclusive.

Un aspetto di grande rilievo che emerge dall’analisi sopra condotta è senz’altro quello del rapporto della co-programmazione con gli altri istituti programmatori locali previsti dalla normativa nazionale e regionale. Un rapporto che, come abbiamo cercato di dimostrare, potrebbe essere precisato, nell’assenza di univoche indicazioni nel CTS e nelle leggi regionali, proprio dai regolamenti comunali. Il richiamo dell’art. 55 del CTS alla “autonomia regolamentare” dei Comuni può infatti costituire la via per realizzare un solido corpus normativo e amministrativo della disciplina della partecipazione degli enti del Terzo settore alla vita pubblica locale, e questo sia in chiave di “sussidiarietà decisionale” – nell’elaborazione delle politiche pubbliche, in una logica di democrazia partecipativa – sia di “sussidiarietà azionale” – in una logica di amministrazione condivisa – [52], chiarendo le modalità di coinvolgimento degli enti del Terzo settore nelle scelte strategiche dell’ente locale territoriale e in tutte le fasi di programmazione previste dalla normativa. Le PP.AA. e gli ETS dovrebbero quindi rendersi conto, come affermato da Gori[53], che la valorizzazione dell’amministrazione condivisa è la “cartina di tornasole di una trasformazione dell’amministrazione, in grado di propagarsi sino a lambire tratti essenziali della forma di stato, disegnando un nuovo scenario di democrazia”, e che soprattutto realizza “una diversa dislocazione del potere politico” e una “trasformazione della partecipazione dei cittadini all’esercizio delle funzioni pubbliche, al di là delle forma più consolidate”. È in questo quadro di dislocazione del potere politico e al contempo di trasformazione dell’amministrazione che va ad inserirsi l’istituto codicistico della co-programmazione, invitando tutti i soggetti pubblici a riorganizzare le proprie funzioni programmatorie alla luce di questo nuovo, mutato, contesto.

Un’altra delle grandi sfide che emerge è poi sicuramente quella del recepimento dei principi sull’amministrazione condivisa nell’ambito dell’autonomia regolamentare degli enti locali. Tale recepimento contribuirebbe, a nostro parere, a indirizzare gli enti locali in almeno due, importanti, direzioni.

La prima, è quella di configurare la co-programmazione non solo come un procedimento, ma come un vero e proprio sistema per lo svolgimento dell’attività programmatoria, valorizzandone quindi la natura circolare. È un punto molto bene messo in evidenza dalle citate Linee guida sul rapporto tra pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo settore (DM 71/2021), seppure solo con riferimento alla successiva co-progettazione. In tale documento, si legge infatti che essa dovrebbe avere natura “circolare”, ovverosia “dovrebbe essere riattivata – nei termini e con le modalità disciplinati da ogni singolo avviso, anche in relazione alla peculiarità dell’oggetto del procedimento – allorquando si manifesti la necessità o, anche, l’opportunità di rivedere o implementare l’assetto raggiunto con la co- progettazione”.

La seconda direzione è quella di un progressivo superamento del difetto di riconoscimento da parte delle istituzioni della capacità del Terzo settore di contribuire a orientare le scelte politiche (ovviamente negli specifici campi di applicazione). Per molto tempo è rimasta ben salda nelle pubbliche amministrazioni la visione del Terzo settore come mero erogatore di servizi. Questa visione, dovuta ad una rappresentazione se non distorta quanto meno non adeguata del Terzo settore, ha generato uno scarso coinvolgimento di quest’ultimo nei luoghi deputati al dialogo e al confronto politico. La co-programmazione invita a ripensare questa visione: gli ETS non possono più essere considerati meri erogatori di servizi, ma sono soggetti che partecipano a pieno a titolo alla programmazione di quegli interventi, collaborando insieme ai soggetti pubblici nella “individuazione dei bisogni da soddisfare, degli interventi a tal fine necessari, delle modalità di realizzazione degli stessi e delle risorse disponibili”. Un radicale mutamento di paradigma che gli enti locali non possono ignorare.

DOI 10.7425/IS.2023.03.05

 

 

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Vesan P. – Razetti F. – Papa M., L’amministrazione condivisa e l’”effetto di sistema”: prime valutazioni in Impresa Sociale 2/2023.

 

[1] Il presente scritto costituisce una rielaborazione del paper presentato dall’Autore al XVII Colloquio scientifico sull’impresa sociale, tenutosi presso l’Università degli studi di Perugia il 9-10 giugno 2023.

[2] Per un approfondito esame sulla funzione di organizzazione della pubblica amministrazione, v. ad es. G. Paleologo, Organizzazione amministrativa, in Enciclopedia del diritto, XXXI, 1981, che peraltro rileva come “Dei vari possibili significati dell'espressione organizzazione amministrativa [sembra] giusto prescegliere, come più proprio, quello attinente al disegno ed alle caratteristiche delle figure soggettive di diritto pubblico e della struttura interna di esse, al regime d’incardinazione in tali strutture di agenti che prestano loro azione e volontà ed a quello dei rapporti fra tali agenti e gli enti d’appartenenza”, con l’esclusione di altri possibili contenuti del termine, come le “scelte dei vari tipi di possibili provvedimenti; in particolare, caratteristiche degli atti di piano, programma e direttiva”.

[3] Sulla funzione di programmazione della P.A., si v. ex multis G. Amato, La programmazione come metodo dell’azione regionale, in Riv. trim. dir. pubbl., 1971, p. 413; M. Nigro, Studi sulla funzione organizzatrice della pubblica amministrazione, Milano, Giuffrè, 1966; M. D’Orsogna, Programmazione strategica e attività decisionale della pubblica amministrazione, Torino, Giappichelli, 2001.

[4] G. Arena - G. Cotturri, Introduzione. Il “valore aggiunto” della cittadinanza attiva, in Id. (a cura di), Il valore aggiunto. Come la sussidiarietà può salvare l’Italia, Carocci, Roma, 2010, p. 14.

[5] Si v. sul punto P. Consorti – L. Gori – E. Rossi, Diritto del Terzo settore, II edizione, il Mulino, 2021, p. 35.

[6] In particolare, l’art. 8, co. 1: “I comuni, anche su base di quartiere o di frazione, valorizzano le libere forme associative e promuovono organismi di partecipazione popolare all'amministrazione locale”.

[7] Le disposizioni citate costituiscono il fondamento della potestà regolamentare degli enti locali. Sono, infatti, soprattutto i regolamenti locali a prevedere e disciplinare i diversi istituti di partecipazione previsti.

[8] Successivamente, l’art. 2 della legge 3 agosto 1999, n. 265 introdusse nell’art. 2 della legge 142 cit. un’importante disposizione, in base alla quale “i comuni e le province svolgono le loro funzioni anche attraverso attività che possono essere adeguatamente esercitate dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali”. A tal proposito si era osservato che “il legislatore ha evidentemente voluto in tal modo fare assumere alla partecipazione una valenza anche "surrogatoria" dell’azione dell’ente locale, sullo sfondo (almeno così parrebbe) di un’accezione estensiva del principio di sussidiarietà”: così E. De Marco, Comune (voce), in Enc. Dir., Aggiornamento IV, 2000, p. 275.

[9] Organismi non lucrativi di utilità sociale, organismi della cooperazione, associazioni e enti di promozione sociale, fondazioni e enti di patronato, organizzazioni di volontariato, enti riconosciuti delle confessioni religiose.

[10] La previsione non è andata esente da critiche, incentrate specialmente sul carattere settoriale delle forme di partecipazione previste (riservate quindi al settore delle politiche sociali) e sulla insufficiente garanzia della partecipazione del TS alla definizione delle politiche pubbliche. In particolare, si sottolineava il rischio che una simile partecipazione si prestasse facilmente a strumentalizzazioni finalizzate all’accaparramento del consenso, piuttosto che essere diretta a garantire un coinvolgimento effettivo nell’elaborazione di quelle politiche. Sul punto criticamente E. Rossi – P. Addis – F. Biondi Dal Monte – E. Stradella – E. Vivaldi, Identità e rappresentanza del Terzo settore, in S. Zamagni (a cura di), Libro bianco sul Terzo settore, Bologna, 2011, pp. 124 ss.

[11] Le organizzazioni di volontariato; le associazioni e gli enti di promozione sociale; le cooperative sociali; le fondazioni; gli enti di patronato; gli enti ausiliari di cui alla legge regionale 11 agosto 1993, n. 54 (Istituzione dell'albo regionale degli enti ausiliari che gestiscono sedi operative per la riabilitazione e il reinserimento dei soggetti tossicodipendenti. Criteri e procedure per l'iscrizione); gli enti riconosciuti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese; gli altri soggetti privati non a scopo di lucro.

[12] In particolare, l’art. 28 istituisce presso la Giunta regionale la commissione regionale per le politiche sociali, “composta da rappresentanti delle organizzazioni sindacali, delle categorie economiche, delle associazioni di rappresentanza e tutela degli utenti, delle organizzazioni del terzo settore, degli iscritti agli ordini e alle associazioni professionali”, che esercita “funzioni consultive e propositive per la Regione nelle materie di cui alla presente legge e promuove iniziative di conoscenza dei fenomeni sociali di interesse regionale”.

[13] Un approfondito esame degli istituti programmatori delle autonomie locali, e del loro rapporto con il “nuovo” istituto della co-programmazione ex art. 55 CTS, si può trovate in A. Bongini – P. I. Di Rago – S. Semeraro – U. Zandrini, La co-programmazione ex art. 55. Connessione e coordinamento con gli istituti programmatori delle autonomie locali, in Rivista Impresa Sociale, n. 2/2021.

[14] A cui peraltro si potrebbero aggiungere gli artt. 147 e ss. TUEL sui controlli interni, l’art. 169 TUEL sul Piano esecutivo di gestione, e ancora l’art. 10 d.lgs. 150/2009 (Attuazione della Legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni), sul Piano della performance.

[15] Come messo in rilievo da L. Gori, Terzo settore e Costituzione, Giappichelli, Torino, 2022, p. 214: “non può essere sottovalutata la circostanza che l’art. 55, commi 1 e 2, CTS, in realtà, rappresenti una sorta di “scheletro normativo” che ciascuna pubblica amministrazione procedente, nei limiti dei propri poteri e attribuzioni, è chiamata ad integrare definendo proprie modalità, procedimenti ed effetti”. Lo stesso A. prosegue osservando che, se si ragionasse diversamente, “risulterebbe assai difficile immaginare una sorta di procedimento del tutto astratto rispetto al contesto territoriale, slegato dall’attività di interesse generale che ne è oggetto e dai nessi che si intendono creare fra tale co-programmazione e le successive fasi di co-progettazione”, e che quindi “pare ammissibile, in linea generale, che Regioni ed enti locali … possano dettare proprie norme al fine di integrare quanto previsto dal legislatore all’art. 55 CTS”.

[16] Ivi, p. 321.

[17] L. Gori, Il sistema delle fonti nel diritto del Terzo settore, in Osservatorio sulle fonti, n. 1/2018, p. 47, secondo cui l’ambito naturale delle fonti locali è rappresentato proprio dalla “promozione delle attività e delle finalità del TS, riconoscendo per prime – come fonti dotate di maggiore prossimità rispetto ai fenomeni sociali – nuove istanze che chiedono di essere qualificate, disciplinate e promosse”.

[18] Come rilevato da A. Bongini – P. I. Di Rago – S. Semeraro – U. Zandrini, La co-programmazione ex art. 55, cit., p. 51: “tale principio costituisce lo snodo della costruzione del procedimento di co-programmazione perché attribuisce all’Ente Locale la potestà di intervenire a regolamentare la disciplina della co-programmazione territoriale, negli ambiti previsti dall’articolo 5 e per le loro competenze amministrative”

[19] L. Gori, La riforma del Terzo settore e gli spazi di autonomia regionale, in Politiche sociali, n. 2/2019, pp. 326-327.

[20] G. Leondini, Riforma del Terzo settore e autonomie locali, Giappichelli, Torino, 2019, p. 151.

[21] Sul tema, si v. recentemente l’approfondita analisi di A. Arcuri, La dimensione territoriale dell’amministrazione condivisa: i casi del Comune di Bologna e della Regione Toscana, in Istituzioni del federalismo, n. 3/2022.

[22] I. Massa Pinto, Territorio e potere, in Enc. Dir., I Tematici, V – Potere e costituzione, 2023, p. 1224.

[23] A. Cantaro, I modelli: autonomia e autodeterminazione nelle vicende del costituzionalismo, in Rivista AIC, n. 3/2019, p. 19.

[24] Così L. Gori, Come il Codice dei contratti pubblici riconosce il rapporto con il Terzo settore, in Cantiereterzosettore.it, 16 maggio 2023, a cui si rinvia per un puntuale commento su tutti gli aspetti rilevanti considerati dalla norma.

[25] P. Vesan – F. Razetti – M. Papa, L’amministrazione condivisa e l’”effetto di sistema”: prime valutazioni, in questa Rivista, 2/2023, che restituisce i risultati preliminari di un progetto di ricerca in corso di realizzazione da parte di ricercatori dell’Università della Valle d’Aosta e di uno studio realizzato in collaborazione con il Forum Nazionale del Terzo Settore, ha condotto un’ampia indagine ricostruendo un ampio repertorio di avvisi di co-programmazione e co-progettazione sinora pubblicati.

[26] Ivi, p. 90.

[27] Ivi, p. 91.

[28] Da segnalare che di recente anche le Regioni Emilia-Romagna (LR 13 aprile 2023, n. 3, Norme per la promozione ed il sostegno del Terzo settore, dell'amministrazione condivisa e della cittadinanza attiva), Umbria (LR 6 marzo 2023, n. 2, Disposizioni in materia di amministrazione condivisa) e Molise (LR 7 ottobre 2022, n. 21, Disciplina del terzo settore) hanno seguito l’esempio toscano (LR 22 luglio 2020, n. 65, Norme di sostegno e promozione degli enti del Terzo settore toscano) e sono intervenute a disciplinare con legge la materia in maniera più o meno organica. Per un commento, si rinvia a L. Gori, Amministrazione condivisa, anche la Regione Umbria approva una legge per favorirla, in Cantiereterzosettore.it, 16 marzo 2023.

[29] In particolare, il Programma regionale di sviluppo (PRS), il Documento di economia e finanza regionale (DEFR), gli altri strumenti della programmazione regionale di settore e di programmazione finanziaria.

[30] “La Regione, le aziende unità sanitarie locali e le società della salute promuovono e assicurano la partecipazione degli utenti, delle organizzazioni sindacali, delle organizzazioni di volontariato, delle associazioni di tutela e di promozione sociale, della cooperazione sociale e degli altri soggetti del terzo settore al processo di programmazione socio-sanitaria in ambito regionale e locale e valorizzano il contributo degli operatori, delle associazioni professionali e delle società scientifiche accreditate attraverso adeguate modalità di consultazione”.

[31] L. Gori, Terzo settore e Costituzione, cit., 329.

[32] In particolare, merita di essere ricordato che, fra i principi di cui all’art. 10, la legge permette che l’amministrazione procedente preveda la partecipazione “di ulteriori soggetti, diversi dagli enti del Terzo settore, purché il relativo apporto sia direttamente connesso ed essenziale con le finalità e l’oggetto” della co-programmazione. Una previsione che ha la finalità di permettere l’allargamento del novero dei soggetti coinvolti, al fine di raccogliere il maggior numero possibile di informazioni e contributi. Secondo L. Gori, Terzo settore e Costituzione, cit., p. 330, “non parrebbe verificarsi, in questo caso, una ipotesi di omologazione censurata dalla sentenza C. cost. n. 131 del 2020. Non viene in rilievo, infatti, a questo proposito, il problema dell’eventuale gestione di specifici interventi o servizi, bensì solo di accrescere il quadro conoscitivo e programmatorio della P.A.”.

[33] Può essere utile, infine, segnalare che la co-programmazione ex art. 55 CTS e artt. 9 e 10 LR 65/2020 è espressamente menzionata e disciplinata anche in una legge regionale toscana di settore, recante disciplina delle rievocazioni storiche regionali (LR 3 agosto 2021, n. 27).

[34] Si ricordi che l’art. 151 del TUEL stabilisce che “Gli enti locali ispirano la propria gestione al principio della programmazione” e che l’art. 170 TUEL, fra l’altro, recita che “Il Documento unico di programmazione ha carattere generale e costituisce la guida strategica ed operativa dell’ente”, precisando altresì che “Il Documento unico di programmazione costituisce atto presupposto indispensabile per l’approvazione del bilancio di previsione”.

[35] Nel DUP 2023-2025, si aggiunge l’obiettivo specifico “Promuovere la cittadinanza attiva a livello locale e rafforzare il rapporto con le associazioni del territorio attraverso iniziative partecipate guidate e coordinate dai Quartieri; valorizzare gli strumenti per la collaborazione tra cittadine, cittadini e amministrazione per la cura, la gestione condivisa e la ri-generazione dei beni comuni urbani, realizzando patti di collaborazione come ulteriore strumento di gestione del patrimonio immobiliare pubblico”.

[36] Da quanto risulta sul sito del Comune: https://www.comune.fi.it/pagina/amministrazione-trasparente-disposizioni-generali/atti-generali

[37] https://www.comune.pisa.it/sites/default/files/2022-12/DUP%202023-2025.pdf

[38] Nell’ambito degli interventi per soggetti a rischio di esclusione sociale, in particolare per la progettazione e gestione delle linee di finanziamento PNRR 1.2 “Percorsi di autonomia per persone con disabilità”, 1.3.1 “Housing temporaneo”, 1.3.2 “Stazione di posta”; nell’ambito del P.5 Formazione e lavoro. Sviluppo economico e attività produttive, ove si afferma che “l’Amministrazione intende promuovere azioni volte a favorire il coordinamento tre le forze sociali, i centri per l'impiego, gli imprenditori ed il Terzo settore al fine di individuare aree di lavoro a valore aggiunto per la Città che possano costituire occasione d'impiego in particolare per i giovani, le donne, i disoccupati”; nell’ambito del T.1.6 Valorizzazione del patrimonio immobiliare dell’Ente, ove l’impegno è “individuare nuove soluzioni per migliorare la locazione/concessione a canone di immobili non utilizzati per fini istituzionali nonché l'assegnazione dei beni ad enti del terzo settore per uso sociale e culturale”.

[39] Il Comune, in attuazione dei propri programmi, sostiene, mediante la concessione di benefici economici e non, l’attività dei soggetti che operano nelle seguenti aree o settori: a) sociale e sanitario; b) culturale; c) educativo e ricerca; d) sportivo; e) turistico; f) ambientale; g) turistico e sviluppo economico; h) ricreativo. La concessione di contributi avviene mediante avvisi o bandi pubblici periodici ed a seguito di oggettiva valutazione comparativa delle richieste, sulla base dei criteri e dei punteggi predeterminati. Tali avvisi o bandi sono, di norma, preceduti da appositi atti di programmazione operativa dell’Organo di governo competente.

[40] https://new.comune.grosseto.it/web/wp-content/uploads/ammtraspnew/2022/08/DUP2023_25.pdf

[41] https://new.comune.grosseto.it/web/wp-content/uploads/regolamenti/GROSSETO_RegolamentoBeniComuni_2015-1.pdf

[42] https://new.comune.grosseto.it/web/wp-content/uploads/regolamenti/regolamento_benefici_economici_2021-1.pdf

[43] https://www.comune.siena.it/sites/default/files/2022-01/Regolamento%20sulla%20collaborazione%20tra%20cittadini%20e%20amministrazione%20per%20la%20cura%20e%20la%20rigenerazione%20dei%20beni%20comuni%20urbani.pdf

[44] https://governo.comune.prato.it/it/statuto-e-regolamenti/archivio16_7_67_60_6.html

[45] https://www.comune.livorno.it/sites/default/files/index/amm_trasparente/bando_ordinario_2022_pubb.pdf

[46] G. Vignani, Co-progettare la Co-programmazione e la Co-progettazione: una ricognizione nel territorio toscano, in Rivista Impresa sociale, n. 1/2023.

[47] Ivi, p. 90.

[48] http://web.comune.cascina.pi.it/trasparenza/images/stories/Regolamenti/Reg._Terzo_settore_CC_56_2022.pdf

[49] https://www.santannapisa.it/it/news/comune-di-cascina-e-scuola-superiore-santanna-insieme-il-terzo-settore-approvato-il Il regolamento si compone sostanzialmente di tre parti: la prima contiene le disposizioni di carattere generale e individua le finalità del regolamento stesso, delineando l’ambito oggettivo e soggettivo di applicazione; la seconda riguarda la disciplina relativa alle modalità di attivazione del procedimento di co-programmazione; la terza quella relativa alla co-progettazione.

[50] Il successivo art. 8 chiarisce poi le due modalità di attivazione del procedimento: 1) mediante un avviso, pubblicato a seguito di specifico atto a firma del Dirigente del competente settore, nel quale si rende nota la volontà di procedere alla specifica co-programmazione; 2) mediante un avviso, finalizzato all’istituzione di un Elenco generale di ETS, periodicamente aggiornato, ai fini della successiva attivazione dei partenariati previsti nella programmazione di cui al precedente art. 7.

[51] Sull’esperienza del CIW, sia consentito rinviare nel dettaglio a G. Gotti, Sperimentando la co-programmazione a livello locale. L’esperienza bresciana del Consiglio di indirizzo del welfare della città, in Rivista Impresa sociale, n. 4/2022.

[52] Sono espressioni di L. Azzena, Vecchi e nuovi paradigmi per le politiche pubbliche in tempi di crisi. La doppia faccia della sussidiarietà orizzontale, Il Mulino, Bologna, 2015, che mette in evidenzia una “sussidiarietà decisionale”, che consiste nella partecipazione della società di intervenire sulle decisioni dei pubblici poteri, ed una “sussidiarietà azionale”, che vede invece la società civile coinvolta nell’azione amministrativa.

[53] L. Gori, Terzo settore e Costituzione, cit., p. 345.

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