Questo contributo si rivolge a chi è impegnato nel promuovere, ideare e governare percorsi partecipativi nell’ambito dei processi previsti dai procedimenti di coprogrammazione e coprogettazione. Verranno trattate in modo concreto questioni metodologiche relative alla partecipazione: spunti per assicurare la facilitazione nelle varie fasi di sviluppo; opportunità di disporre di format per attivare, rendere piacevole, interessante e fruttuosa la partecipazione; indicazioni per curare le scritture operative che sostengono e fanno avanzare il confronto tra gli attori coinvolti. Se la costruzione del bene comune è la finalità che orienta i processi partecipativi, allora è necessario identificare forme e pratiche concrete per rendere effettiva la partecipazione della comunità. Il design della partecipazione richiede l’allestimento di contesti accessibili, accoglienti. I processi di coprogrammazione e di coprogettazione richiedono attori competenti, consapevoli e responsabili, da un lato di individuare e di servirsi di approcci e tecniche appropriate e dall’altro di considerare criticamente le metodologie per adattarle e migliorarle.
La partecipazione è un elemento costitutivo di tutte le forme di collaborazione che implementano il principio di sussidiarietà orizzontale e in particolare degli istituti di coprogrammazione e di coprogettazione regolati dalle Linee guida 72/2021. Per realizzare procedimenti di coprogrammazione e di coprogettazione occorre pertanto disporre di un quadro metodologico di riferimento che alimenti i processi partecipativi. Così come sono necessarie le scelte politiche e culturali in favore della collaborazione tra Pubblica Amministrazione e Enti di Terzo Settore, le conoscenze del quadro normativo e delle disposizioni regolative, le propensioni delle organizzazioni pubbliche e del privato sociale a ri-strutturarsi per agire relazioni collaborative, allo stesso modo è essenziale chiarire e padroneggiare le questioni della facilitazione dei processi di partecipazione (attivazione, coinvolgimento, accompagnamento), dei format partecipativi, della scrittura come tecnologia connettiva, dell’accessibilità e dell’accoglienza.
Sul piano teorico si rintracciano con facilità le buone ragioni e i concreti vantaggi dei processi collaborativi, ma - come sottolinea Fazzi (2021 e 2023a) - sul piano della realtà empirica tutto appare più complicato: tra gli elementi che determinano questa complessità vanno sicuramente annoverate le difficoltà a disporre di modalità operative efficaci per chiamare in causa gli stakeholder, per dare voce ai diversi punti di vista, per rappresentare i diversi interessi, per favorire co-elaborazione, per determinare accordi condivisi. Per praticare la collaborazione occorre dotarsi di competenze e strumenti per gestire processi partecipativi che consentano sia di co-definire i traguardi e le trasformazioni significative per la comunità, sia di mettere a punto e di concordare le modalità operative per conseguire i risultati attesi (Tommasoli, 2001). Si tratta di determinare un incontro virtuoso e produttivo tra i saperi espressi dai soggetti legittimati a prendere decisioni (politici e amministratori, tecnici a diverso titolo coinvolti) e i saperi espressi dai soggetti interessati dalle decisioni e titolati ad esprimere le istanze dell’interesse generale.
Nelle arene della collaborazione (i tavoli, le sessioni, i workshop, gli hackathon, i percorsi) - attraverso la partecipazione - si creano condizioni favorevoli di lavoro, si apre a nuovi protagonisti, si attivano condizioni per prendere parola e elaborare insieme. Grazie alla cura della partecipazione si legge con maggior chiarezza lo stato e l’evoluzione dei contesti, si formulano ipotesi e proposte di cambiamento, si considerano gli interessi in gioco con l’obiettivo di individuare soluzioni più rispondenti, si riducono frammentazioni e dispersività, si fa guadagnare legittimità e credito alle scelte prefigurate e agli accordi concordati.
Nella prospettiva della partecipazione, gli attori locali sono concepiti come soggetti propositivi, capaci di tematizzare e affrontare questioni complesse, divisive, apparentemente senza soluzioni.
Decisori e stakeholder valorizzano le attività territoriali, mettono a sistema i patrimoni di esperienze, immaginando e proponendo soluzioni evolutive. Gli attori locali sono in grado di entrare in contatto e di confrontarsi con rappresentazioni portatrici di sollecitazioni, con attori capaci di ascolto, di condividere esperienze e di apprendere reciprocamente (Bigi et al., 2016).
La partecipazione può declinarsi in molteplici processi sociali collaborativi che hanno ricadute sulla convivenza e sull’interesse collettivo e che riguardano spesso la presa di decisioni:
Le forme di partecipazione, gli approcci e le modalità pratiche, le tecniche e gli strumenti impiegati possono mutare, ma resta essenziale riconoscere la dimensione partecipativa come connaturata alle diverse forme di collaborazione.
In questo articolo rivolgiamo l’attenzione in particolare ai procedimenti di coprogrammazione e coprogettazione regolati dalle Linee guida 72/2021, focalizzando la rilevanza dei processi partecipativi per il loro efficace funzionamento.
Coprogrammazione e coprogettazione sono due procedimenti amministrativi, basati sulla partecipazione, che si realizzano attraverso la collaborazione tra Pubblica Amministrazione ed Enti del Terzo Settore in attuazione del principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale.
Come sintetizzato nella seguente tabella, i due procedimenti sono caratterizzati da finalità, risultati e azioni conseguenti differenti, ma da una struttura simile e dalle medesime fasi e modalità di realizzazione. Attraverso la rappresentazione fornita dalla tabella, inoltre, si rende disponibile la matrice operativa per implementare i due istituti: da un lato viene messo in evidenza come la partecipazione caratterizzi le diverse fasi amministrative, dall’altro vengono indicati gli snodi che richiedono la cura delle attività di coinvolgimento e partecipazione.
Coprogrammazione e coprogettazione presentano diverse caratteristiche in comune: si tratta di procedimenti amministrativi promossi da Pubbliche Amministrazioni (a loro spetta la cura dell’interesse pubblico) eventualmente anche a partire da un’istanza degli Enti del Terzo Settore (a loro viene riconosciuta la cura dell'interesse generale) - che mirano a sviluppare “una o più attività di interesse generale anche connesse tra loro” (Codice del Terzo Settore, art. 5)..
Vale la pena sottolineare altri due aspetti che i due tipi di procedimenti hanno in comune.
Il primo concerne le fasi del procedimento, che di seguito riprendiamo in sintesi e che sono anloghe:
Il secondo elemento comune ai processi di coprogrammazione o di coprogettazione è relativo alle caratteristiche dell'avviso pubblico che deve evidenziare:
Nella tabella sotto riportata abbiamo invece evidenziato gli elementi specifici che distinguono i due processi collaborativi.
Elementi specifici |
Coprogrammazione |
Coprogettazione |
Definizione |
“La co-programmazione è finalizzata all’individuazione, da parte della pubblica amministrazione procedente, dei bisogni da soddisfare, degli interventi a tal fine necessari, delle modalità di realizzazione degli stessi e delle risorse disponibili” (Codice del Terzo Settore, art. 55). |
“La co-progettazione è finalizzata alla definizione ed eventualmente alla realizzazione di specifici progetti di servizio o di intervento finalizzati a soddisfare bisogni definiti, alla luce degli strumenti di programmazione” (Codice del Terzo Settore, art. 55). |
Finalità |
Arricchire la lettura dei bisogni della comunità di riferimento e focalizzare le possibili azioni conseguenti Definire quale tipo di interventi conseguentemente è opportuno realizzare e con quali orientamenti generali Creare le condizioni per coprogettare interventi successivi Integrare risorse diverse, pubbliche e private, qualificando la spesa. Far crescere fiducia e capitale sociale nella comunità |
Auspicabilmente a partire dall’attività di coprogrammazione, sulla base di progetti di massima le cui caratteristiche generali sono definite dalla Pubblica Amministrazione: co-costruire un progetto specifico di servizio o di intervento mettere reciprocamente a disposizione risorse funzionali alla realizzazione del progetto sottoscrivere convenzioni di partenariato tra Pubblica Amministrazione e gli Enti di Terzo Settore, singoli o associati, per l’attivazione del rapporto di collaborazione relativo al progetto specifico approvato dalla Pubblica Amministrazione |
Risultato |
Documenti di programmazione delle politiche pubbliche, piani locali e programmi di azione condivisi e realizzabili, capaci di integrare interessi diversi |
Progetti specifici di servizio o di intervento diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale basati sul rapporto di collaborazione tra Pubblicazione Amministrazione e Enti di Terzo Settore |
Azione conseguenti |
La Pubblica Amministrazione, nella sua autonomia: acquisisce, bilancia e sintetizza i diversi interessi e punti di vista emersi nel corso dell’attività istruttoria formalizza le decisioni assunte attraverso un provvedimento amministrativo aggiorna strumenti e atti di programmazione generali e di pianificazione settoriale
|
Dall’attività istruttoria generalmente scaturisce una proposta progettuale condivisa (anche se è giuridicamente possibile la formulazione di più proposte progettuali in competizione fra loro). |
Con riferimento ai processi di partecipazione - insiti come abbiamo detto nei due procedimenti di collaborazione - e ai metodi per facilitarli vanno fatte tre sottolineature:
Va infine notato che gli Enti di Terzo Settore sono chiamati a partecipare ai procedimenti di coprogrammazione e di coprogettazione in qualità di organizzazioni che hanno finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che promuovono e svolgono attività di interesse generale e si presuppone quindi che partecipino ai tavoli non per salvaguardare posizionamenti o vantaggi commerciali, ma per farsi interpreti, dal proprio punto di vista, di esigenze a carattere generale.
Alla luce di queste osservazioni, è evidente come gli approcci, le modalità pratiche, le tecniche e gli strumenti della partecipazione abbiano una doppia funzione: facilitare il confronto e la costruzione di proposte funzionali e condivise, e consentire prese di parole e ascolto effettivi. Le sessioni di confronto e di lavoro devono svolgersi su un piano collaborativo e non competitivo e gli approcci di metodo devono garantire accesso, inclusione e collegialità.
Sia le Linee guida ministeriali 72/2021, sia le esperienze di coprogrammazione e di coprogettazione evidenziano la varietà delle applicazioni degli istituti di collaborazione e la complessità nell’innescare processi partecipativi (Fazzi 2023a e 2023b). Un aspetto che accomuna le esperienze di successo riguarda la disponibilità di know-how per innescare, guidare e far avanzare percorsi partecipati di programmazione e di progettazione. Si tratta di competenze operative che consentono di minimizzare i rischi segnalati da De Ambrogio e Marocchi (2023) a proposito di percorsi organizzati e condotti con modalità non adeguate. In particolare, si tratta di evitare che interessi di parte vengano difesi/perseguiti attraverso retoriche partecipative, utilizzate per indurre consenso e non per ricercarlo attraverso il confronto. Nel cambio di paradigma offerto dai nuovi istituti, non mancano dunque le criticità:
Si tratta di criticità che non solo hanno effetto sui processi coprogrammazione e coprogettazione, ma anche sulla loro realizzazione partecipata. Se, infatti, a seguito dei procedimenti di coprogrammazione e di coprogettazione, la prospettiva è quella dell’amministrazione condivisa (Marocchi, 2023), cioè della co-realizzazione di attività e servizi di interesse pubblico, si tratta di estendere e applicare anche ai processi di co-gestione e di co-produzione metodologie e modalità partecipative. Per questo, la tensione partecipativa, il disegno delle regole e delle modalità di partecipazione resta una questione aperta, essenziale e non eludibile anche nei processi di cogestione e di coproduzione. La partecipazione mette a disposizione approcci e strumenti per collaborare, e costituisce una risorsa nelle attività di realizzazione esecutiva e nei processi di monitoraggio, verifica e valutazione. Gli accordi di collaborazione implicano che vengano assunte decisioni condivise anche sulle modalità di controllo delle attività, di rendiconto dei risultati attesi e degli impatti ricercati.
Anche per prevenire questi rischi e più in generale per favorire una partecipazione efficace nei processi collaborativi, nei paragrafi che seguono consideriamo alcune questioni fondamentali che chi promuove e partecipa processi di collaborazione deve affrontare:
L’attività di facilitazione mira a promuovere incontri accessibili e accoglienti, che siano anche produttivi e non dispersivi, trasformativi ma realizzabili: in una frase, momenti di incontro fruttuosi. Questo comporta presenze attive capaci di ascoltarsi e in grado di dialogare, coinvolgimenti intenzionati a formulare e concordare decisioni valorizzanti e trasparenti. Questo spesso richiede un accompagnamento dei processi partecipativi. Affinché si sviluppino relazioni costruttive, i soggetti e i gruppi vengono sollecitati ad assumersi un ruolo attivo. In questo sottoparagrafo prestiamo attenzione alle attività e alle accortezze nell’accompagnare attività di partecipazione affinché siano inclusive e sostenibili. I fattori che caratterizzano la partecipazione in quanto processo sono molti - l’intensità, l’ampiezza del coinvolgimento, il grado di collaborazione, la capacità di esprimere orientamenti, fornire indirizzi o produrre decisioni - e possono variare notevolmente determinando forme di coinvolgimento differenti. Proprio per questo sono essenziali un lavoro di regia a più mani e la cura dei microprocessi di preparazione, di conduzione e di restituzione (Civilleri e Gabellini, 2023).
La facilitazione prende avvio da un atteggiamento di ascolto, praticato dal/la singolo/a professionista o dal gruppo impegnato ad accompagnare il percorso e proposto ai referenti dei committenti con i quali in genere si forma uno staff di accompagnamento. Si tratta di riconsiderare sia le attese degli interlocutori coinvolti, sia le informazioni sul contesto, sia le notizie che si possono reperire sui soggetti che si intendono coinvolgere. L’analisi delle domande e l’esame di richieste (esplicite e implicite) dei promotori, dei partecipanti e di eventuali altri interlocutori significativi formulano in maniera esplicita o immettono nel campo relazionale della partecipazione con modalità da decodificare. Se chi facilita non ricerca e non promuove un esame delle aspettative e dei risultati attesi per chi viene coinvolto in itinerari di programmazione o progettazione condivisa, i cicli di incontri e gli specifici momenti di lavoro collettivi mancano di una cornice di senso che aiuti stabilire attività e tecniche di facilitazione rispondenti alle finalità di ingaggio.
L’architettura del processo di coinvolgimento sarà dunque l’esito di un lavoro di lettura e ricomposizione di attese e prefigurazioni dei soggetti interpellati, di raccolta di informazioni su vincoli e potenzialità del contesto, di risorse attivabili e traguardi di interesse per chi interviene nei processi.
Grazie al lavoro del gruppo di facilitazione viene tracciato il disegno della partecipazione e viene predisposto il piano di coinvolgimento generale e dei singoli incontri. Vengono individuati gli oggetti di lavoro per ciascun incontro, la scaletta delle attività e le tecniche che verranno utilizzate. Una preoccupazione presente nelle fasi iniziali è che qualcosa potrebbe non funzionare, qualcosa potrebbe sfuggire. Con questo leggero stato di allerta si procede nella predisposizione delle convocazioni, alla verifica degli spazi che verranno usati, alla rassegna degli strumenti utili. Gli obiettivi che improntano la fase di allestimento riguardano il mettere a disposizione strumenti per facilitare l’espressione di punti di vista, le esperienze di cui sono portatori i soggetti che partecipano, la competenza per ragionare, collaborare e operare in modo efficace. Nel corso dei momenti di facilitazione la cura è volta a far sì che:
Per realizzare attività (momenti di lavoro, seminari, laboratori, cicli di incontri formativi, percorsi di consulenza) partecipate è necessario rappresentarsi e intraprendere un preliminare lavoro di regia a più mani. Si tratta di un lavoro di preparazione, condotto dal ristretto gruppo operativo. Una o due persone che hanno – o si assumono – il compito di preparare condizioni di lavoro accoglienti, che pensano al luogo, agli inviti e ai promemoria, ai materiali, a preparare, come vedremo un piano di lavoro. A volte di questa avanguardia operativa fanno parte i formatori o i consulenti chiamati a facilitare o a condurre il momento di lavoro. Un lavoro di preparazione non necessariamente in presenza, non necessariamente ordinato, fatto di contatti telefonici, di mail, di documenti condivisi per considerare gli aspetti che seguono:
Chi facilita - singolo o collettivo di figure professionali - si impegna a promuovere contesto e condizioni di ingaggio. Animare, ingaggiare, coinvolgere, attivare sono attività che aprono a diverse questioni che ci riproponiamo di approfondire in un successivo contributo. Crediamo però che valga la pena almeno accennarle per contribuire al dibattito. Se la facilitazione non è solo gestione dei tavoli di lavoro e degli incontri, ma appunto la cura e l’accompagnamento del disegno del processo nel suo complesso, un aspetto sensibile riguarda la posizione di chi (persona o équipe di lavoro) è chiamato a facilitare. In che modo, quindi, garantire che l’ingaggio professionale - di norma pagato dalla Pubblica Amministrazione - venga messo al servizio del processo partecipativo e non di interessi parziali? La cura dell’accesso all’informazione per tutti i soggetti coinvolti, gli accordi collaborativi che impegnano i partecipanti al percorso, la ricerca di soluzioni compositive di interessi divergenti, richiedono una capacità di mantenere un ruolo terzo, esplicitamente super partes, capace di facilitare l’emersione di posizioni differenti senza alimentare conflitti paralizzanti. Un secondo aspetto critico riguarda la distinzione dell’azione di facilitazione dall’indirizzo che il soggetto committente imprime al percorso partecipato. Anche in questo caso, nella chiarezza e nella trasparenza del compito affidato, e nel dialogo continuo tra committenza e soggetto chiamato a facilitare, si ritrovano due aspetti che contribuiscono all’indipendenza del ruolo di chi interviene per accompagnare, supportare il dialogo, incoraggiare il confronto costruttivo. Un secondo aspetto, dalla connotazione più propriamente metodologica, merita di essere accennato. Le indicazioni che vengono presentate in questo contributo riguardano i processi di partecipazione in generale e i procedimenti previsti dall’art. 55 del Codice del Terzo Settore. Il lavoro di ricerca e di puntualizzazione meriterebbe di essere indirizzato a chiarire aspetti specifici che riguardano e differenziano i processi collaborativi da altri tracciati partecipativi che si sviluppano in altri contesti di ricerca-intervento, di governance, di consultazione. Tra i diversi aspetti che potrebbero essere approfonditi vi sono le modalità di coinvolgimento (aperto o rivolto a specifici interlocutori del Terzo Settore), la gestione della fase di preparazione preliminare e la conduzione del percorso di confronto vero e proprio (che può prevedere un tracciato definito di incontri, da svolgersi in un tempo dato). Si tratta di riprendere questi e altri aspetti decisamente operativi, vagliare le soluzioni adottate e considerare gli effetti che le diverse scelte pratiche determinano. In questo senso, anche in tema di facilitazione, i campi di approfondimento e di ricerca - a partire dalle esperienze - restano aperti e da sondare.
Perché è importante ragionare di format nel campo delle attività che promuovono partecipazione?
In prima approssimazione si potrebbe dire che il format è reso evidente dal programma dell’evento partecipativo (laboratorio, workshop, ecc.) o dalla scaletta dell’incontro, della sessione di lavoro, della videocall a cui prendiamo parte, che stiamo progettando o preparando, o che stiamo realizzando. Disporre di format significa avere schemi di azioni articolati già collaudati in grado di produrre effetti partecipativi apprezzabili. Non basta infatti radunare in uno spazio molte persone, presentare loro informazioni, chiedere di esprimere i loro punti di vista perché si possa affermare di aver realizzato un processo partecipativo. Come apprendiamo dai campi dell’architettura e dell’urbanistica, disporre di moduli (e di moduli composti da moduli) consente di progettare interventi in grado di produrre i risultati ricercati (Alexander et al. 1970).
Non è possibile in questa sede approfondire in modo compiuto i singoli format, ma va comunque considerato che ciascuno di essi ha caratteristiche specifiche e che la scelta del format da utilizzare (o di una sua versione personalizzata) non è un processo automatico e scontato – non vi è un format valido per tutte le situazioni – ma va inserito nel più ampio sforzo di disegnare il processo partecipativo nel suo complesso. Ciò premesso, citare alcuni format può aiutarci a collocare le riflessioni del presente paragrafo:
Questi e altri format meriterebbero una descrizione dei congegni partecipativi sui quali si fondano per ulteriormente articolare le riflessioni che seguono.
Per cercare di esplicitare cosa sia un format di partecipazione possiamo provare a servirci di una metafora: il format assomiglia a una ricetta, dove non conta solo la lista degli ingredienti (le cose da fare) ma anche l’ordine e le modalità in cui vengono combinati. Fuori di similitudine, quando ragioniamo di format non ci riferiamo solo all’elenco delle cose da fare, ma alla struttura che articola le parti (intenzioni, contenuti, regia di conduzione) e alle regole che consentono di mettere in relazione, di far interagire, le parti stesse. Un format è una ricetta corredata da indicazioni di sviluppo e di collegamento fra le parti. Si potrebbe anche dire che un format è un metamodello (un gioco, con le sue regole e le molteplici varianti).
Il format è un formato dinamico, un sistema di regole ma anche di varianti. Quando si prova a scomporlo si possono cogliere le intricate interazioni che lo rendono specifico, e in genere un format non facile da scomporre. Il format è un sistema complesso, ammette varianti, ma c’è un nucleo (un meccanismo) che tende a permanere nelle variazioni. Un esempio può aiutare a chiarire. OPERA è un format che prevede cinque passaggi che vanno dalla formulazione di Opinioni personali, al confronto per sviluppare Pensieri in coppia o in piccolo gruppo, ad un momento di Esposizione delle idee emerse dalla riflessione e dal confronto, ad un passaggio che consente di attribuire Rilevanza alle idee espresse, per finire con un momento di Aggregazione e rielaborazione collettiva dei contributi espressi. Questo format può prevedere varianti per rendere più intenso uno o l’altro passaggio, ma lo sviluppo che va dalla formulazione di pensieri individuali fino alla scrittura collettiva è un elemento specifico che - se soppresso - muta la dinamica del format.
Il format è una configurazione generativa. Rispetto alla partecipazione è una configurazione stabile che può essere ripetuta, una matrice base, che contiene gli elementi salienti e le istruzioni per collegarli fra loro, per questo facilita le variazioni. Il format è un modo per collegare struttura e processo.
Per fornire indicazioni pratiche ci rifacciamo ai suggerimenti formulati da Fiacco (2013) a proposito dei format televisivi. L’accostamento tra format televisivi e partecipativi merita spiegazione. Come per i programmi televisivi, anche i processi partecipativi hanno l’esigenza di catturare l’attenzione e tenere vivo il coinvolgimento e, come per la televisione, anche nei momenti partecipativi vi è una dimensione connessa alla rappresentazione: sia i programmi televisivi, sia le attività partecipative mettono in scena rappresentazioni che vogliono far pensare, far interagire, far emozionare, far decidere. La dimensione della teatralizzazione è ancora più evidente se si osserva la dimensione rituale di momenti, fasi, attività, processi partecipativi: c’è informazione, c’è azione, c’è esposizione, c’è produzione di senso. Da questo punto di vista possiamo avvicinare i format ai riti, come suggeriscono Pils e Trocchianesi (2017).
Tre caratteristiche ci consentono di identificare un format che illustriamo mutuando i suggerimenti da Fiacco (2013). L’originalità sottolinea caratteristiche e dettagli differenzianti, attività che provocano effetti specifici (espressione di idee, scambi di punti di vista, forme di collaborazione a duo, a tre o più persone, ecc.) combinazioni di attività secondo sequenze, tecniche di facilitazione, tempi volti a produrre un effetto complessivo sia emotivo, sia elaborativo, sia relazionale. La replicabilità si riferisce alla possibilità di riproporre il format nel medesimo contesto senza che la capacità di promuovere coinvolgimento e l’attivazione venga compromessa. Chi promuove e chi facilita percorsi di partecipazione spesso è preoccupato che un determinato format non venga utilizzato più volte per non annoiare, stancare o dare l’impressione di scarsa creatività: si tratta di una preoccupazione legittima, ma un format efficace non teme la riproposizione (ovviamente senza esagerare) perché il suo meccanismo attivante sarà in grado di catturare l’attenzione e mobilitare l’impegno. L’esportabilità è il terzo criterio identificativo di un format; a differenza della replicabilità intesa come riproduzione nel medesimo contesto, con l’esportabilità si intende sottolineare la possibilità di proporre lo schema per animare la partecipazione in contesti differenti. Il concept di fondo deve funzionare per ragioni intrinseche, deve cioè toccare corde emotive ed esplicitare il senso senza che siano necessarie particolari esplicitazioni.
I format sono unità dinamiche nel campo della formazione e dell’intrattenimento, settori in cui vengono registrati, tutelati come proprietà e hanno un valore commerciale (Fiacco 2013, Taggi, 2011). Anche nei contesti partecipativi è necessario interrogarsi sui format e formalizzare il know-how partecipativo per sapere come fare le cose in modo da essere sufficientemente confidenti che produrranno i risultati attesi, che le attività di preparazione e di conduzione saranno regolate e che non vi saranno dispersioni di energie e tempo. Per questo gli open format partecipativi efficaci hanno valore, possono venire riutilizzati. Si potrebbe affermare che i format efficaci - dei quali siano rilasciate le specifiche di applicazione e descritti i meccanismi di funzionamento - possono venire considerati un bene comune immateriale, formati open source che possono circolare, venire sviluppati e migliorati.
I format partecipativi sono un campo di sviluppo che merita di essere studiato e considerato. Sappiamo molto delle ragioni normative e pratiche che ci spingono a promuovere la partecipazione per disegnare programmi, definire progetti, realizzare interventi, azioni e servizi. Forse il campo delle forme pratiche di attivazione, ingaggio, coinvolgimento, impegno partecipativo è da esplorare ulteriormente sia per identificare format efficaci da riprodurre, adattare, far evolvere, sia per studiare i processi partecipativi nelle loro dinamiche realizzative. Per questo, prendendo in prestito il suggerimento di Taggi (2011) i format della partecipazione andrebbero descritti, e andrebbero messi in luce spunti, variabili, potenzialità, sorprese alla ricerca del modello nascosto e dell’efficacia operativa. Disporre di un repertorio di format per la partecipazione estende le possibilità applicative riducendo al contempo i costi di ideazione, potendosi avvalere di moduli adattabili. Disporre di repertori di format consente di uscire dalla idealizzazione semplicistica con la quale si guarda alle attività di partecipazione per entrare in contatto con moduli, trame, configurazioni e configurazioni operative che dispongono e connettono azioni e tecniche affinché si determini un contesto di partecipazione attiva.
Ogni percorso di coprogrammazione o di coprogettazione si apre con un avviso scritto e ogni percorso si chiude con una scrittura, un documento che è prodotto delle fasi di condivisione (elaborazione di un documento istruttorio di sintesi), ne manifesta l’esito ed è strumento per ulteriori sviluppi. Ma la scrittura non è mero strumento. E non è neppure corretto parlare di una sola scrittura: le scritture che attivano, accompagnano, orientano e comunicano la partecipazione sono molteplici. Ricorrono e si intrecciano momenti e forme di scrittura, che determinano spazio e forma dell’emergere di pensieri e accelerano il prodursi di contributi e la costruzione di conoscenze condivise. Le forme stesse di scrittura sono spazi di collaborazione (Brien D.L. e Brady T., 2003) e scrivere è un modo per organizzare pensieri, relazioni e azioni: ogni progetto esiste non solo come racconto ma soprattutto nella sua forma scritta. Ciò che si vuole sottolineare qui non sono tanto gli aspetti per organizzare la scrittura, ma evidenziare come i momenti e le pratiche di scrittura costituiscono dimensioni strutturanti i processi partecipati di programmazione e di progettazione. Scrivere è certamente far emergere saperi e generare nuove idee, dar forma e strutturare organizzare e raccontare, presentare comunicare, coinvolgere… In questo senso la scrittura è una tecnologia sociale, una modalità codificata per manipolare intenzionalmente l’ambiente per conseguire risultati concreti (Goody, 2002), collocando le questioni secondo l’ordine e del prima e del dopo; attribuendo rilevanza o marginalità; articolando e dando/facendo spazio ai pensieri; promuovendo confronti, contrapposizioni e polarità; formulando nessi, relazioni e causalità; mettendo in sequenza e strutturando (nell’indice e nel testo) le questioni, titolandole, sintetizzandole, approfondendole, non solo produce testi ma produce nel farsi - e come effetto - contesti relazionali. L’intero impianto dei processi di coprogrammazione e di coprogettazione è legittimato da atti scritti, tenuto insieme e reso operativo da scambi di scritture (lettere, e-mail, messaggi), modificato da documenti temporanei fatti circolare o condivisi, visibilizzato da inviti, promemoria, post, vincolato da scritture contabili, portato a compimento mediante report conclusivi. Proviamo dunque a passare in rassegna alcune forme di scrittura considerando i loro effetti organizzativi nell’ambito dei processi di ideazione e design collaborativi per come ci è occorso di osservarli, senza pretesa di esaustività, con l’intento di evidenziare come la cura delle molteplici scritture contribuisce a rendere le dinamiche di partecipazione e gli esiti di collaborazione più o meno efficaci. I percorsi di coprogrammazione e di coprogettazione non si sviluppano esclusivamente in presenza, ma si dispiegano in momenti diversi, di compresenza, di lavoro interno alle organizzazioni di provenienza, in attività in piccoli gruppi e in produzioni individuali, attività che si svolgono in presenza, online, nei tempi che intervallano gli incontri plenari (a volte considerati i soli momenti che richiedono accompagnamento e supporti). L’importanza di questi spazi riflessivi viene potenziata anche grazie alla cura dei processi di scrittura e alla circolazione dei documenti prodotti. E le scritture che vengono attivate sono molteplici, sia in termini di specificità (e conseguente tecnicalità richiesta) sia in termini di effetti ricercati (e conseguente rilevanza nel fluidificare i processi partecipativi. Richiamiamo di seguito alcune funzioni della scrittura nei processi di accompagnamento e facilitazione.
Scrivere per invitare. Vale la pena avviare la rassegna delle funzioni della scrittura nel campo della partecipazione partendo dalla funzione anticipatrice e attrattiva che la scrittura può giocare: le locandine che lanciano e illustrano il percorso partecipativo, le mail che invitano più e più volte a partecipare, le cartoline digitali che promuovono e ricordano l’incontro per un momento di confronto sono scritture che intendono attirare l’attenzione. Nel veicolare la proposta di un ingaggio viene reso esplicito il senso che il processo partecipativo intende mettere in campo: aprire spazi di incontro e di dialogo su temi e questioni rilevanti per la comunità e per chi decide contribuire alla progettazione. La funzione attrattiva delle scritture che mirano a incuriosire e ad invitare motiva la cura che va riservata alle scritture di coinvolgimento affinché insieme all’informazione sui contenuti siano in grado di motivare all’impegno richiesto dalla partecipazione.
Scrivere per mantenersi agganciati. Un’altra forma di coinvolgimento che la scrittura può svolgere è collegare e tenere connessi i soggetti impegnati nei percorsi di partecipazione. Col dipanarsi delle fasi di confronto progettuale si fa essenziale sostenere le persone coinvolte affinché l’esperienza non attraversi fasi demotivanti. Grazie alle scritture di raccordo, di promemoria, di riaggancio, di ripresa e rilancio dei temi, viceversa una comunità di persone in dialogo può perdere il filo del discorso. Anche le sintesi degli incontri che raccolgono quanto espresso, trattato e convenuto costituiscono scritture connettive che sostengono l’attenzione di chi è coinvolto. Si tratta di distillati utili anche a riportare nei contesti di appartenenza quanto viene via via discusso e sviluppato. La scrittura aiuta a non perdere il filo del discorso, a rendere via via accessibili le elaborazioni che i processi partecipativi producono. Accedere e poter consultare i verbali degli incontri è un modo per facilitare l’ingresso in momenti diversi di chi desidera inserirsi nel tracciato partecipativo.
Scrivere per informare e raccontare in progress. La scrittura consente di raccontare e condividere: le sintesi e i report delle singole sessioni di lavoro, corredati da qualche foto scattata nel corso degli incontri, diventano una base per documentare il procedere dei lavori, i temi affrontati, i pensieri che scaturiscono dal confronto guidato che la comunità di pratica attiva. Le scritture di sintesi che vengono via via prodotte possono validamente essere utilizzate per raccontare il processo partecipato che la comunità di pratica realizza, sia attraverso i media, sia attraverso i social. Il report di una sessione di lavoro può essere condiviso con altre persone della propria organizzazione o dei propri circuiti. Può diventare un post sul sito aziendale che aggiorna sul lavoro in corso. Selezionando le informazioni, si possono mettere a punto e pubblicare post sui social. Dalla sintesi degli interventi si possono prendere gli spunti per contributi più articolati, rielaborare slides e testi per momenti di formazione.
Scrivere per pensare insieme. Per condividere assunti, percezioni e idee, elaborare scenari e proposte collettive sono efficaci momenti di scrittura individuale, di gruppo e in plenaria. L’attività scrittoria è lo spazio che consente alle persone che prendono a processi partecipativi di formulare posizioni personali, chiarire punti di vista, ricercare interpretazioni convergenti o esplicitare punti di vista tra loro distanti. La scrittura è il medium che sostiene la ricerca elaborativa, l’espressione di rappresentazioni, il racconto di esperienze. Si tratta di una produzione di scritture effimere, transitorie, di appunti collettivi che orientano e sostengono il confronto, che includono voci diverse, non solo chi è più capace di argomentare, ma anche voci esordienti, in un processo che vaglia, negozia, riarticola, sintetizza. L’attività scrittoria a più mani manifesta il prodursi di un pensiero collettivo: l’impegno a non farsi sfuggire la varietà di apporti, la tensione a ricomporre può essere sostenuta da supporti semplici come fogli appesi, post-it, note su fogli mobili o facilitate da lavagne collaborative digitali che - da remoto o in presenza - facilitano l’apporto di contributi. La proposta metodologica che sorregge il processo di scrittura è la costruzione di conoscenze attraverso la condivisione di pratiche, e le tecniche per scrivere in gruppo mediano lo scambio di esperienze, intervengono per contenere prevaricazioni, per considerare interessi, per consentire la presa di parola.
Scrivere per alimentare la riflessione. Per approfondire i temi, chi che prende parte a un procedimento di coprogrammazione o di coprogettazione accede alle scritture via via prodotte nel percorso e a documenti importati da altri contesti. Si tratta di rendere disponibili link, articoli, materiali per alimentare l’indagine, estendere la riflessione, ampliare il dialogo mettendo in circolo saggi o casi pratici stimolanti. Si tratta di testi che possono venire condivisi da chi partecipa o proposti a cura di chi facilita, ordinati per temi e resi accessibili mediante un archivio digitale. Per accompagnare lo sviluppo degli incontri i report prodotti possono costituire la base per articoli o post che documentano il processo di confronto e condividendolo pubblicamente. I processi di programmazione collettiva e di programmazione partecipata possono avvalersi (acquisendo o producendo direttamente) infografiche, mappe concettuali, canvas, tableau, decaloghi, manifesti che offrono letture complessive, inquadramenti di sintesi che esprimono orientamenti, ricapitolano apprendimenti, manifestano linee di indirizzo, formulano proposte per contribuire alla discussione.
Scrivere per documentare. Le scritture attestative danno atto, cioè rendono ufficiale l’esito di un comune lavoro elaborativo, trasformano le proposte di un itinerario di confronto in documenti ufficiali: per questo concordare i contenuti della sintesi conclusiva condivisa condividerla è importante per dare conto degli apporti collettivi e degli accordi esito dei tavoli di confronto. Di norma la stesura di un report segna la conclusione di un processo partecipativo, raccoglie contenuti salienti e li riordina per renderli di facile comprensione anche a chi non è stato direttamente coinvolto, riepiloga le proposte costruite attraverso l’apporto di chi ha preso parte al percorso. Si tratta di curare testi che documentino le elaborazioni prodotte attraverso la collaborazione, diano conto dei contributi e dell’investimento di energie, rendano disponibili contenuti riutilizzabili per assumere decisioni pubbliche e per alimentare successivi processi di ideazione di programmi e progetti di interesse collettivo.
Scrivere per riconsiderare e mettere in circolo apprendimenti. Attraverso i momenti di scrittura individuale e gruppo proposti nell’ambito di processi partecipati chi vi prende parte può sperimentare uno spazio per mettere in comune conoscenze, confrontare esperienze, sviluppare elaborazioni attivate da apprendimenti condivisi. Proprio da contributi presentati su specifici temi può scaturire la scrittura di articoli che rielaborano le riflessioni e le considerazioni che sono seguite. Si tratta di scritture che sviluppano conoscenze e apprendimenti emersi dal confronto tra i soggetti coinvolti, scritture che illustrano e discutono esperienze, che individuano elementi di evoluzione, che discutono in modo critico le pratiche.
La costruzione partecipata di programmi o di progetti operativi viene potenziata da scritture che anticipano, sostengono, orientano, visibilizzano, precisano l’impegno elaborativo. La scrittura è un acceleratore nella costruzione di pensieri e conoscenze condivise. In questo senso la scrittura è una tecnologia essenziale della partecipazione (Goody, 2002):
Alcune forme di scrittura che abbiamo indicato sono indispensabili, altre costituiscono un’opportunità per alimentare, strutturare e consolidare il lavoro di confronto tra i soggetti impegnati nei processi di ideazioni, programmazione e progettazione partecipata. Le diverse forme di scrittura e la scrittura condivisa sostengono il coinvolgimento degli attori grazie al loro valore attivante, informativo, ingaggiante e connettivo.
In che misura i processi partecipativi esplicitano le possibilità che intendono promuovere? In che misura la partecipazione che intende essere un processo aperto e inclusivo non finisce per essere un’attività che esclude o rigetta persone che non comprendono ciò che viene proposto, non sono nelle condizioni fisiche, intellettive, digitali, culturali, economiche per affacciarsi a processi partecipativi per come vengono proposti? Quale grado di accessibilità (by design e by default) hanno attività che intendono essere coinvolgenti e promuovere presenze attive e interventi propositivi? Come consentire e facilitare, ridurre, alterare, trasformare vincoli, minimizzando effetti ostacolanti, senza con ciò costruire categorie o imporre l’adesione a processi partecipati (Dokumaci, 2023)?
Quali soluzioni sono già state sperimentate e incorporate, e quali ancora non riusciamo ad immaginare perché non ci siamo posti il problema dell’accessibilità? Per evitare una inconsapevole riduzione degli spazi di partecipazione, quali funzionalità devono essere predisposte affinché la partecipazione proposta non porti con sé elementi di limitazione ostacolanti? Quali adattamenti e quali supporti assistivi è necessario predisporre e quale è il limite di sostenibilità?
Nell’ambito della Giornata della partecipazione 2022 promossa dalla Regione Emilia-Romagna, tenutasi il 30 settembre a Bologna, il tema delle accessibilità nei processi partecipativi è stato approfondito. Riprendendo qui le riflessioni emerse dal confronto - e senza l’obiettivo di mappare tutte le possibili condizioni ostacolanti esistenti nell’ambiente o soggettivamente affrontate dalle persone o dai gruppi - segnaliamo alcune attenzioni che possono contribuire a rendere più accessibili i processi partecipati.
gli inviti aperti devono essere strutturati per assicurare un’ampia partecipazione, indicando riferimenti e contatti per esigenze specifiche.
Seguendo le riflessioni di Dokumaci (2023) le caratteristiche che facilitano la partecipazione sono una anticipazione di ciò che si intende costruire. I processi di coprogrammazione e coprogettazione sono chiamati ad affrontare le questioni connesse alle accessibilità sia in termini di definizione di esigenze e azioni di sistema, sia in termini di interventi concreti e mirati, sia in termini di diffusione della cultura dell’apertura inclusiva. Le politiche per l’accessibilità possono venire considerate in quanto azioni volte a migliorare l’accessibilità e rendere più inclusivi gli spazi e i servizi del territorio, proponendo politiche e progetti orientati a rendere accessibili gli spazi pubblici, ripensando percorsi, barriere e facilitazioni per l’accesso. Ma insieme a focus mirati, l’accessibilità è prerequisito e prospettiva trasversale, da considerare nell’attivare processi partecipati. In questo contributo abbiamo considerato questioni e soluzioni con la consapevolezza che il dibattito è crescente, che osservazioni critiche ed esperienze non possono che migliorare la comprensione dei problemi e la varietà di repertori di azione, e che la costruzione di soluzioni mutuabili e adattabili costituisce un patrimonio da cui attingere.
L’accoglienza (l’atto di ricevere prestando attenzione e dando riconoscimento) riguarda le modalità di gestione del momento dell’incontro con le persone conosciute o non conosciute, incontrate per la prima volta o incontrate più volte, in occasione di momenti di partecipazione. Spesso il primo contatto avviene con un’e-mail o con una telefonata (accoglienza digitale). La tecnologia digitale spesso media i primi contatti e contribuisce a modificare le pratiche di accoglienza, in forme non sempre evidenti ma non meno influenti. Attraverso un’e-mail ci si presenta, si presenta il programma di lavoro, si danno (e si raccolgono) informazioni, si offrono contenuti per inquadrare le attività, si danno indicazioni operative e logistiche. Come i primi contatti via e-mail stabiliscono il tono relazionale, allo stesso modo è essenziale l’accoglienza in presenza, rivolta alle persone attese ad un confronto pubblico o che hanno dato la disponibilità a partecipare ad un laboratorio. Chi fa gli onori di casa può stare sulla soglia, dà il benvenuto, saluta, si presenta, assicura una qualche forma di ricevimento formale e informale, contribuisce a creare un clima collaborativo. A volte sono le stesse figure di facilitazione che curano questo passaggio, altre volte chi ha promosso l’incontro. Ciò che conta è ricevere, accogliere, riconoscere, introdurre. In alcuni casi è importante - se le persone non si conoscono - facilitare una prima presentazione tra chi è già presente per favorire un clima disteso.
Anche proporre di indossare un cartellino con il proprio nome favorisce le interazioni, attenua le distanze e agevola gli scambi. In alternativa al cartello indossato o collocato sul tavolo è possibile utilizzare il nastro di carta per indicare il nome. Si tratta di una modalità meno formale e più consona a momenti di lavoro che vogliono passare subito al registro operativo proprio facendo leva su modalità e supporti minimali. Ciò permette di spingere verso il registro dell’informalità, di passare al tu, di venire chiamati e di chiamarsi reciprocamente per nome, adottando un accorgimento per facilitare l’avvicinamento fra le persone.
L’accoglienza segna il passaggio dall’essere fuori da un’operatività più o meno conosciuta, all’entrare in una sfera di azione nella quale è necessario capire come muoversi, cosa è possibile fare (o non fare), cosa viene richiesto di fare ed è dunque un primo momento di primo contatto relazionale, che determina un certo grado di sintonia con quanto seguirà. L’accoglienza orienta nel contesto partecipativo e potrebbe anche essere pensata come una forma reciproca di negoziazione dell’accesso al campo collaborativo dell’altro. L’accoglienza è dunque un momento cruciale di avvio (o di riavvio) di una relazione.
L’accoglienza è un momento distinto dall’avvio (l’apertura) del momento di lavoro, dell’incontro vero e proprio. L’accoglienza precede e accompagna alla partecipazione, si incarica di guidare da un “fuori” individuale a un “dentro” collettivo. Insieme all’accoglienza - ma non approfondiremo il tema - è necessario curare non solo il momento di chiusura di un incontro di partecipazione, ma anche il commiato, l’uscita, il distacco dall’attività di confronto e di condivisione, momento di passaggio relazionale che contribuisce a dare senso all’attività di partecipazione che si sta concludendo.
Box - La partecipazione è un processo apertoLa giornata della partecipazione 2023 promossa dalla Regione Emilia-Romagna (22 settembre) ha avuto come obiettivo l’aggiornamento della Carta della partecipazione, un documento open source costruito dieci anni fa da AIP2 - Associazione Italiana per la Partecipazione Pubblica e adottato dall’INU - Istituto Nazionale di Urbanistica, IAF (International Association of Facilitators) Italia, Cittadinanza Attiva, Italia Nostra, Associazione Nazionale Città Civili. L’aggiornamento è frutto di un percorso partecipato, sviluppato in più tappe, proposto alla comunità di pratica attivata nel 2018 dall’Area Partecipazione della Regione Emilia-Romagna. Il percorso ha coinvolto amministratori e amministratrici locali, a rappresentanti di enti di terzo settore, a figure professionali che operano nel campo della partecipazione, a cittadini e cittadine che hanno partecipato nei progetti realizzati grazie ai finanziamenti resi disponibili dalla legge regionale 15/2018. Riprendendo alcuni spunti che emergono dal percorso di aggiornamento della Carta della partecipazione, a conclusione del presente contributo, segnaliamo tre aspetti che ci sembrano arricchire le riflessioni sviluppate nei paragrafi precedenti. Il percorso di revisione della Carta promosso dalla Regione Emilia-Romagna: - in primo luogo, risponde a quanto previsto dalla legge regionale 15/2018 sulla partecipazione, che stabilisce di effettuare un monitoraggio e una valutazione partecipata annuale sulle pratiche realizzate grazie a progetti finanziati, per fornire nuovi input nella definizione degli indirizzi del bando dell’anno successivo; - in secondo luogo, sollecita una riflessione sulle coordinate per facilitare la partecipazione in modo che gli indirizzi operativi siano fatti oggetto di confronto e di messa a punto per attualizzarli; - in terzo luogo, grazie alla Carta della partecipazione, disponiamo di criteri-guida utili a orientare il design dei percorsi partecipativi, adattabili in diversi contesti. Ecco dunque - riformulati in forma sintetica - gli input-guida proposti dalla Carta della partecipazione, che riprendiamo qui per riepilogare le questioni affrontate nel presente contributo.
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DOI 10.7425/IS.2023.03.05
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