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ISSN 2282-1694
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Numero 3 / 2023

Saggi

La legislazione regionale del Terzo settore. Una panoramica.

Luca Gori


Introduzione

La prospettiva del diritto regionale, nello studio del diritto del Terzo settore, è coeva all’approvazione delle prime leggi delle Regioni che – ancora prima della legge quadro sul volontariato (n. 266/1991) – disciplinavano lo svolgimento in forma associata di attività solidaristiche[1]. Ridotta all’essenziale, la domanda giuridica che si è costantemente posta è l’individuazione di un punto di bilanciamento fra due esigenze di rango costituzionale. Da un lato, infatti, vi è l’esigenza di una (pur minima) disciplina unitaria a livello nazionale di queste manifestazioni del pluralismo sociale con finalità solidaristica, principalmente allo scopo di consentire l’instaurazione e lo sviluppo, in condizioni di parità di trattamento, di rapporti con la pubblica amministrazione e la definizione di un quadro di misure promozionali. Dall’altro, invece, vi è la rilevante esigenza, anch’essa di rango costituzionale, che ciascuna Regione possa definire, in autonomia, proprie politiche promozionali di talune manifestazioni di quel pluralismo sociale, così da dare corpo a politiche regionali fondate sull’attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale. Questo bilanciamento ha avuto alterne vicende e, generalmente, l’esito non è stato considerato pienamente soddisfacente, con accelerazioni centralistiche e tendenze centrifughe a fasi alterne.

L’approvazione del Codice del Terzo settore (d.lgs. n. 117/2017) e del d.lgs. n. 112/2017 (impresa sociale) ha assecondato (almeno apparentemente) una logica unitaria, facendo rientrare nella competenza legislativa statale la disciplina della definizione della qualifica di «ente del Terzo settore», un gruppo significativo di misure di promozione e l’impianto del sistema pubblicistico di controllo. In realtà, subito dopo l’approvazione della riforma (che ha determinato l’abrogazione della disciplina legislativa precedente), si è attivato un dibattito assai significativo sugli spazi che il legislatore statale avrebbe lasciato alle Regioni, espressamente o implicitamente. Anticipando le conclusioni cui si intende pervenire in questo contributo, l’impressione è che, in realtà, la riforma del Terzo settore abbia attratto nella disciplina statale la parte della normativa concernente la definizione dei requisiti soggettivi per accedere alla qualifica di ETS (ente del Terzo settore), le forme di registrazione e di controllo e un quadro di misure di promozione stabilizzate a livello nazionale. Le Regioni, invece, mantengono un loro spazio di intervento sia sulle politiche regionali di promozione ad integrazione di quelle statali (quindi, assicurando il rispetto integrale di quest’ultime), sia sulla possibile definizione di altre qualifiche che – non interferendo con quelle statali – possono diventare a loro volta destinatarie di misure promozionali. Il ruolo regionale, così, si rimodella: da soggetti chiamati all’attuazione delle misure statali, secondo lo schema pre-riforma (legge statale di principio, legge regionale di attuazione), a soggetti chiamati ad integrare, nella strategia promozionale statale, una propria strategia promozionale.

Attualmente, le leggi regionali approvate sono quattro: L.R. Toscana n. 65/2020, Norme di sostegno e promozione degli enti del Terzo settore toscano, che fa seguito all’aggiornamento della legislazione regionale in tema di cooperazione sociale (L.R. n. 58/2018, Norme per la cooperazione sociale in Toscana)[2]; L.R. Molise n. 21/2022, Disciplina del terzo settore; L.R. Umbria n. 2/2023, Disposizioni in materia di amministrazione condivisa; L.R. Emilia-Romagna n. 3/2023, Norme per la promozione ed il sostegno del terzo settore, dell'amministrazione condivisa e della cittadinanza attiva. Il dibattito è aperto in diverse altre Regioni. La Regione Toscana ha adottato altresì una legge regionale per la disciplina dell’istituzione dell’ufficio regionale del RUNTS (L.R. Toscana n. 53/2021), che in questa sede non rileva.

Questo contributo non intende illustrare o commentare i singoli interventi normativi. L’obiettivo è, invece, quello di inquadrare il tema del dibattito costituzionale del riparto di competenze legislative fra Stato e Regioni e provare a definire una classificazione dei diversi approcci tenuti dai legislatori regionali. Passando poi al piano dei contenuti, risulta di interesse comprendere in che misura la definizione recata dal legislatore statale di Terzo settore sia stata accolta, in quale modo siano stati coinvolti degli enti locali e, infine, la strategia promozionale perseguita da ciascuna Regione in tema di amministrazione condivisa. In conclusione, si svolgerà qualche osservazione sulla rilevanza di questa legislazione regionale nel dibattito sulla disciplina giuridica del Terzo settore.

La competenza legislativa regionale in tema di «terzo settore»

Dopo la riforma del Terzo settore, l’inquadramento del riparto di competenze legislative fra Stato e Regioni è avvenuto con la sentenza n. 185 del 2018, vero e proprio leading-case. In una linea di continuità con la giurisprudenza precedente alla riforma del Titolo V, la Corte costituzionale ha ribadito che il Terzo settore è costituito dal «complesso dei soggetti di diritto privato che esercitano, in via esclusiva o principale, una o più attività d’interesse generale per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi, in attuazione del principio di sussidiarietà». La pronuncia conferma che «siffatte attività, con specifico riferimento al volontariato – prima ancora che venisse enunciato nella Costituzione il principio di sussidiarietà, ora inscritto nell’art. 118 Cost. – erano state già ricondotte da questa Corte all’ambito delle libertà sociali garantite dall’art. 2 Cost., in quanto poste in essere da soggetti privati che operano per scopi di utilità collettiva e di solidarietà sociale (sentenze n. 500 del 1993n. 355n. 202 e n. 75 del 1992). Si tratta di attività assai eterogenee e, pertanto, risulta evidente che il Terzo settore, come già il volontariato, non possa essere configurato quale “materia” in senso stretto. La relativa disciplina, quindi, sfugge a una rigida classificazione, poiché le attività in questione sono destinate a svolgersi nei più diversi ambiti materiali, sia di competenza dello Stato, sia di competenza regionale». Non esiste, quindi, un ambito materiale «terzo settore», ma in ciascuna materia, fra quelle richiamate nell’art. 117, secondo, terzo e quarto comma Cost., esiste «un modo di essere della persona nell'ambito dei rapporti sociali o, detto altrimenti, un paradigma dell'azione sociale riferibile a singoli individui o ad associazioni di più individui. In quanto tale, esso sfugge a qualsiasi rigida classificazione di competenza, nel senso che può trovare spazio e si può realizzare all'interno di qualsiasi campo materiale della vita comunitaria, tanto se riservato ai poteri di regolazione e di disposizione dello Stato, quanto se assegnato alle attribuzioni delle regioni o delle province autonome (o degli enti locali)» (C.cost. n. 75 del 1992).

Dunque, si deve partire da questa constatazione giuridico-costituzionale: il Terzo settore è, in realtà, un fascio di ambiti materiali ciascuno dei quali appartiene alla competenza legislativa dello Stato o delle Regioni (secondo quanto previsto dall’art. 117 Cost.). Ciò appare tanto più importante – sia detto per incidens – nella prospettiva dell’attuazione dell’art. 116, terzo comma, Cost. (c.d. regionalismo differenziato): infatti, porzioni di disciplina attualmente nella competenza legislativa concorrente fra Stato e Regione potrebbero essere oggetto di attribuzione alle Regioni nell’ambito delle ulteriori forme e condizioni di autonomia, creando così una differenziazione a livello regionale[3].

L’attuazione di questo principio costituzionale è, tuttavia, assai complesso.

Allo Stato spetta la principale competenza legislativa esclusiva in materia di ordinamento civile, preordinata a «garantire l’uniformità di trattamento sull’intero territorio nazionale, in ossequio al principio costituzionale di eguaglianza ()» (C. cost. n. 185 del 2018[4]), oltreché di assicurare l’«essenziale e irrinunciabile autonomia» che deve caratterizzare i soggetti del Terzo settore» (C. cost. n. 75 del 1992). Rientra in questo ambito definire i connotati giuridici essenziali, da assicurare sul piano nazionale, di questo «schema generale di azione nella vita di relazione, basato sui valori costituzionali primari della libertà individuale e della solidarietà sociale», dettando «le condizioni necessarie affinché sia garantito uno svolgimento dello stesso il più possibile uniforme su tutto il territorio nazionale (…)».Vi è ricompresa pure la «connotazione essenziale delle attività e delle organizzazioni» di questo insieme di soggetti giuridici dotati di caratteri specifici (C. cost. n. 131 del 2020[5]), la «definizione del tipo di rapporti che devono intercorrere tra le varie istanze del potere pubblico e le organizzazioni dei volontari» e, infine, la «determinazione delle relative modalità dell'azione amministrativa» (C. cost. n. 75 del 1992). Spetta allo Stato, inoltre, definire finalità e modalità dei sistemi di controllo sull’effettivo possesso dei requisiti dettati dal legislatore (sempre argomentando a partire da C. cost. n. 131 del 2020 e dalla centralità assunta dalla garanzia dell’effettivo possesso dei requisiti da parte degli enti del Terzo settore[6]).

Come si può vedere – ed è un risultato che la ricerca sugli assetti del regionalismo italiano ha raggiunto da tempo – la dialettica fra Stato e Regioni non si articola, semplicemente, nel “ritaglio” di singole competenze, bensì è impostata sull’esigenza costituzionale di attribuire la tutela di interessi unitari alla competenza legislativa dello Stato[7], lasciando alle Regioni la possibilità di integrare la disciplina statale con proprie misure di promozione del Terzo settore che si devono collocare, tuttavia, all’interno del quadro giuridico statale. Infatti, ove non sussistano esigenze riconosciute come unitarie, può svilupparsi una disciplina regionale di tipo integrativo, riferita agli aspetti non fondamentali[8], che completi il disegno ordinamentale definito dal legislatore statale senza tuttavia alterarne, direttamente o indirettamente, l’equilibrio complessivo definito[9].

Per le Regioni a statuto speciale, si può ritenere che la riforma del Terzo settore, nel suo complesso, si configuri come una riforma economico-sociale, da cui trarre norme fondamentali in grado di limitare la potestà legislativa primaria (C. cost. n. 1033 del 1988). L’art. 100 del d.lgs. n. 117 del 2017 prevede che le disposizioni siano «applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle Province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione, anche con riferimento alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3».

In verità, la competenza legislativa statale par excellence (ordinamento civile), si associa ad altri titoli competenziali statali che, almeno ultimamente, sono venuti problematicamente in rilievo. In primo luogo, lo Stato può vantare un significativo titolo di competenza nella materia di potestà legislativa esclusiva della tutela della concorrenza (art. 117, secondo comma, lett. e) Cost., come riconosciuto in C. cost. n. 255 del 2020), materia tipicamente trasversale[10]. In particolare, lo Stato è chiamato a definire il punto di bilanciamento – per sua natura cangiante, in relazione alle diverse esigenze in campo – fra una serie di diversi interessi e valori costituzionali (in primis, il principio di solidarietà), nonché le norme provenienti dal diritto dell’Unione europea (rilevanti ai sensi dell’art. 117, primo comma, Cost.), il principio di sussidiarietà orizzontale (art. 118, u.c. Cost.) e la necessità di assicurare la tutela della concorrenza fra i diversi soggetti operanti nel e per il mercato (art. 117, secondo comma, lett. e) Cost.)[11]. Attualmente, il punto di equilibrio è dato dal combinato disposto dell’art. 55 del Codice del Terzo settore (c.d. amministrazione condivisa) e dell’art. 6 del Codice dei contratti pubblici, che costituisce il punto di riferimento della legislazione regionale. Anche in questo caso, la dialettica che si instaura è fondata sulla dinamica interesse unitario/possibilità di differenziazione territoriale, non già su una aprioristica appartenenza di una materia ad uno o ad altro ambito. Si può così comprendere come tutte le Regioni che hanno legiferato in materia di Terzo settore abbiano inserito, all’interno di quel modello unitario definito dal legislatore statale, propri elementi distintivi nel procedimento di c.d. amministrazione condivisa.

Ma lo Stato esercita anche una competenza rilevante sul design complessivo delle forme di sostegno fiscale. Infatti, il legislatore statale è intervenuto per dettare una nuova disciplina tributaria (nell’ambito della competenza legislativa esclusiva dell’art. 117, comma secondo, lett. e)), fermo restando la possibilità per le Regioni di intervenire sui tributi propri e sui tributi, istituiti dalla legge dello Stato, ma il cui gettito sia attribuito alle Regioni e rispetto ai quali quest’ultime abbiano competenza di carattere meramente attuativo, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 119 Cost.[12]. La recente legge n. 23/2023, Delega al Governo per la riforma fiscale, contiene nuovi principi e criteri direttivi per la revisione ed il riordino (ulteriore) della disciplina fiscale del Terzo settore (con ciò lasciando intendere, forse, un ulteriore slittamento dell’attuazione del Codice del Terzo settore nella sua parte fiscale).

Grande spazio sta assumendo – a distanza di più di venti anni dall’approvazione del nuovo Titolo V della Costituzione – la prospettiva relativa all’attuazione della competenza legislativa statale esclusiva in tema di livelli essenziali delle prestazioni concernenti di diritti civili e sociali di cui all’art. 117, comma secondo, lett. m) Cost.[13]. In termini generali, viene in gioco il profilo relativo alla garanzia dei diritti sociali e, in special modo, alla modalità tramite la quale i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali – una volta definiti (ed è in corso un complesso procedimento di prima definizione complessiva da parte del Governo e del Parlamento, con singolari procedimenti legislativi ed amministrativi “incrociati”[14]) – possano essere assicurati. Se si considera l’intero impianto della riforma, la determinazione dell’ampiezza degli ambiti delle attività di interesse generale e la varietà delle forme di rapporto fra Terzo settore e pubblica amministrazione indicano il tasso di attuazione del principio di sussidiarietà, in alternativa rispetto all’intervento pubblico diretto ed esclusivo[15]. Un atteggiamento restrittivo del legislatore (ispirato, ad esempio, all’esigenza di una tutela della concorrenza intesa in senso stretto) lascia intendere, in linea generale, l’affidamento di responsabilità direttamente alla pubblica amministrazione (con una erosione del terzo settore a vantaggio del primo), o il ricorso a forme di competizione nel mercato (con una parificazione del secondo e del terzo settore).

Dentro questo schema così sommariamente delimitato (competenza legislativa statale in tema di ordinamento civile, interrelata con quella in materia di tutela della concorrenza, livelli essenziali delle prestazioni, sistema tributario, ecc.), le Regioni sono chiamate ad intervenire su diversi fronti: da un lato, le misure promozionali definite dallo Stato, in sede di Codice del Terzo settore o in altra sede, che esigono una attuazione (anche) da parte delle Regioni[16] (incluse le già richiamate misure di favore a carattere fiscale[17] e le misure di finanziamento pubblico diretto degli enti[18]); dall’altro, invece, le misure che ciascuna Regione, nell’ambito della propria competenza legislativa può predisporre, entro taluni limiti.

Nell’ambito dello sviluppo di quest’ultime politiche, occorre però considerare i principi delineati dalla Corte costituzionale.

La categoria normativa «ente del Terzo settore» non è modificabile – in allargamento o restringimento – da parte del legislatore regionale, neppure implicitamente (cioè estendendo misure riservate agli enti di Terzo settore al di fuori di tale perimetro) o indirettamente (C. cost. n. 131/2020)[19]. Le Regioni, nell’ambito della loro competenza legislativa, possono definire, in attuazione dell’art. 118, u.c. Cost., proprie forme di promozione di determinati enti collettivi o qualificare determinate attività come “di interesse generale”, anche non coincidenti con la definizione stabilita dal legislatore statale, ma ciò non può interferire con il nomen ed il regime giuridico nazionale di ente del Terzo settore[20]. Si tratta di quello che la Corte chiama il divieto di «omologazione tra un soggetto estraneo al Terzo settore e quelli che vi rientrano» (così, sempre, C. cost. 131/2020). Qualora siano istituite nuove categorie di enti destinatari di una disciplina promozionale regionale, quest’ultima, però, deve poggiare su basi diverse da quella accordata agli ETS e non costituire un’estensione sic et simpliciter delle misure promozionali già previste. In tal caso, si verserebbe in una ipotesi di violazione della competenza statale in tema di ordinamento civile (il Codice del Terzo settore rappresenta così un parametro interposto[21]).

In secondo luogo, occorre evidenziare che tramite misure promozionali le Regioni non possono modificare, neppure indirettamente, l’impianto civilistico definito dal legislatore statale in tema di enti del Terzo settore. Le Regioni non solo incontrano il vincolo del rispetto della potestà legislativa statale in tema di ordinamento civile, bensì pure debbono attenersi ad un criterio di ragionevolezza nel delimitare estensione soggettiva e contenuto oggettivo delle misure promozionali, autonomamente definite: occorre, infatti, rinvenire una «ragionevole motivazione» alla base della previsione di un requisito che venga richiesto ai fini della fruizione di una certa misura di promozione, risultando diversamente una scelta discriminatoria rispetto alla categoria normativa unitaria degli enti del Terzo settore (in particolare, C. cost. n. 277 del 2020). Ciò è avvenuto nel caso in cui il legislatore regionale abbia comunque pienamente rispettato il dettato del legislatore statale quanto alla definizione (sul piano dell’ordinamento civile), ma abbia introdotto requisiti aggiuntivi rispetto a quelli previsti dal legislatore nazionale per l’operatività degli ETS in taluni ambiti di attività di interesse generale, oppure abbia ristretto il rapporto con la P.A. o abbia limitato l’erogazione di finanziamento solo ad alcune tipologie di enti del Terzo settore[22] o alla costituzione in una determinata forma giuridica (ad es., associazione)[23]. In linea generale, quindi, si può ritenere che viga una regola generale di equiparazione di tutti i soggetti del Terzo settore (salvo le specifiche previsioni del legislatore statale), a meno che ragionevoli giustificazioni non sostengano la scelta del legislatore[24].

I differenti approcci del legislatore regionale. Un tentativo di classificazione.

Provando a “leggere” in sistema i diversi interventi legislativi regionali, ad oggi approvati, si possono utilizzare diverse chiavi.

In primo luogo, quella cronologica. Dopo la riforma del Terzo settore, la Regione Toscana è stata la prima Regione che, nel 2020, ha adottato una disciplina normativa di attuazione ed integrazione della disciplina nazionale, con una finalità evidente di reazione veloce rispetto a certe rigidità interpretative soprattutto in tema di amministrazione condivisa (seguita, con una legge sostanzialmente identica nei contenuti, dalla Regione Molise). Per la verità – come si è detto – già nel 2018 era intervenuta una legge regionale di modifica della materia della cooperazione sociale (legge n. 85/2018). Le leggi successive (Emilia-Romagna e Umbria, nel 2023) hanno contenuti più ampi rispetto a quella Toscana, mettendo a sistema – per così dire – la carica innovativa che la legge toscana e, successivamente, la riforma del Codice dei contratti pubblici ed il D.M. 72/2021 hanno recato. Si può quindi notare una positiva stratificazione fra le diverse leggi regionali, ciascuna delle quali è riuscita, almeno per il momento, a portare ad un successivo e significativo grado di sviluppo le novità consolidate nel paradigma normativo nazionale e regionale.

Una seconda chiave di lettura è visuale. La legge regionale umbra si focalizza sull’aspetto del rapporto fra P.A. a Terzo settore, assumendo come angolo prospettico la migliore definizione dei procedimenti di amministrazione condivisa. Le altre leggi regionali della Toscana, del Molise e dell’Emilia-Romagna assumono, invece, una prospettiva più ampia di attuazione del Codice del Terzo settore nell’ordinamento regionale. Si può pertanto distinguere fra leggi regionali sul Terzo settore e leggi regionali sull’amministrazione condivisa.

Peraltro, questa considerazione apre ad un ulteriore aspetto da valutare. La legislazione regionale italiana necessita di una significativa manutenzione a seguito dell’approvazione del Codice del Terzo settore[25]. Infatti, quest’ultimo, avendo introdotto una nuova definizione della qualifica di ente del Terzo settore (e delle singole qualifiche), nonché un nuovo assetto del sistema di registrazione e di controllo e di promozione, determina l’esigenza dell’aggiornamento delle misure previste dalla legislazione regionale di settore (ad es., in campo sociosanitario, culturale, ecc.). Si potrebbe verificare, infatti, che la legislazione regionale precedente alla riforma presenti dei profili di incompatibilità rispetto al nuovo quadro normativo (ad es., si pensi alla limitazione alle sole organizzazioni di volontariato di determinate convenzioni, oggi disciplinate dall’art. 56 CTS unitariamente per ODV e APS), ponendo la questione se si sia determinata una loro incostituzionalità in via sopravvenuta (con possibile contenzioso).

Appare così molto interessante leggere, in prima battuta, le disposizioni finali e transitorie recate dalle diverse leggi regionali, che individuano significativamente il campo d’azione della nuova legislazione regionale[26], e, secondariamente, evidenziare quali nuove norme settoriali siano state introdotte all’interno dei diversi corpus normativi. È, infatti, indubbio che gran parte degli ambiti di attività di interesse generale di cui all’art. 5 CTS e all’art. 2 del d.lgs. n. 112/2017 ricadano nella competenza legislativa concorrente o residuale regionale: pertanto, in tali ambiti, sarà necessario che la Regione intervenga in adeguamento al paradigma statale di riferimento, al fine di evitare anacronismi, suscettibili però di riflettersi sul piano della legittimità della legislazione regionale e degli atti amministrativi conseguenti. In questo senso, appare preferibile indicare la via di un adeguamento complessivo dell’ordinamento regionale, al fine di evitare il perpetuarsi o il ricrearsi di un nuovo groviglio di leggi regionali (pericolo sempre in agguato)[27].

Un altro criterio di lettura può essere costituito dalla valutazione sulla natura prevalentemente attuativa (rispetto al Codice del Terzo settore) della legge regionale, o sulla sua spinta maggiormente integrativo/innovativa rispetto alla disciplina nazionale. In generale, si può affermare che la legislazione regionale si collochi entro il solco dell’attuazione della legislazione nazionale, ma con almeno due elementi notevoli meritevoli di precisazione. In primo luogo, l’attenzione dedicata all’istituzione di organismi di rappresentanza e di partecipazione territoriale (L.R. Toscana n. 65/2020, Capo II, Raccordo fra Regione ed enti del Terzo settore; L.R. n. 21/2022 Molise. Capo II, Raccordo fra Regione ed enti del Terzo settore; L.R. 3/2023 Emilia-Romagna, Titolo II, Rappresentanza e partecipazione degli enti del Terzo settore[28]), che danno plasticamente l’idea della complessità del Terzo settore regionale, il quale coinvolge le fondazioni di origine bancaria, i centri servizio per il volontariato (CSV), le articolazioni regionali delle reti associative, il settore sportivo-dilettantistico ecc. Secondariamente, appare molto rilevante la più precisa declinazione del procedimento di amministrazione condivisa, in grado di esprimere elementi aggiuntivi importanti rispetto all’art. 55 CTS ed al D.M. n. 72/2021: basterà, in questa sede (si riprenderà più avanti il tema), ricordare la disciplina dell’iniziativa del Terzo settore per l’attivazione dei procedimenti di amministrazione condivisa, il possibile coinvolgimento dei enti diversi da quelli del Terzo settore, la valutazione di impatto sociale, ecc. In altri termini, non si tratta di una legislazione regionale fotocopia che mira semplicemente a dare un fondamento di legittimità all’azione amministrativa di Regione ed enti locali, bensì a connotare l’organizzazione regionale, in chiave di interpretazione del principio di sussidiarietà.

La perimetrazione del «terzo settore».

Uno degli elementi che colpisce maggiormente della legislazione regionale sul Terzo settore è costituito dalla tensione esistente fra la definizione legale statale di ente del Terzo settore (contenuta all’art. 4 CTS) ed il perimetro che le leggi regionali delimitano. Da questo punto di vista, si può registrare l’esigenza di perseguire un allargamento della platea dei soggetti, evitando al contempo il rischio di incorrere in quel divieto di omologazione che la Corte costituzionale ha individuato come regola nel rapporto fra legislazione statale e legislazione regionale.

Tale tendenza emerge già dalla L.R. 65/2020 della Toscana (e nella identica legge molisana), che assume una sorta di prospettiva a cerchi concentrici. La legge regionale, dapprima, riconosce, promuove e sostiene l’iniziativa autonoma delle formazioni sociali che, nella comunità regionale, perseguono finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, senza fine di lucro, e svolgono attività di interesse generale ai sensi degli articoli 2, 3, 4, 18 e 118, comma quarto, della Costituzione (art. 1, c. 1), anche alla luce di quanto previsto dallo statuto regionale. In tale orizzonte, sono riconosciuti gli enti del Terzo settore – definiti sulla base del Codice del Terzo settore – che operano nell’ambito regionale: essi sono individuati, quindi, come un sottoinsieme di un ambito più ampio di formazioni sociali con le quali la Regione «favorisce le relazioni collaborative sulla base dei principi di sussidiarietà, corresponsabilità, nonché nel rispetto della reciproca autonomia». L’intera legge è, infatti, percorsa dalla necessità di creare una trama di relazioni anche con soggetti esterni al Terzo settore (così per come definito dal legislatore statale), al fine di assicurare comunque forme di raccordo nell’esercizio delle funzioni amministrative. Nella definizione dei soggetti destinatari della legge si identificano, così, accanto agli enti del Terzo settore (art. 4, cc. 1-3, significativamente rubricato come Enti del terzo settore e altri enti senza fine di lucro), le altre associazioni, fondazioni ed enti a carattere privato che, senza fine di lucro, svolgono attività di interesse generale e le associazioni e società sportive dilettantistiche, ancorché non iscritti al Registro unico nazionale del Terzo settore (art. 4, cc. 4-5). La legge, quindi, allarga lo spettro dei possibili destinatari, configurando una platea di soggetti più ampia rispetto a quella del Terzo settore giuridicamente inteso, ma al contempo intende evitare il rischio dell’omologazione, delimitando l’ambito di applicabilità degli istituti previsti dal Codice del Terzo settore esclusivamente agli enti in possesso della qualifica di ETS.

Questa tendenza è ancora più marcata nella L.R. 3/2023 dell’Emilia-Romagna. All’interno di una legge ampiamente discorsiva, l’art. 1, c.8 della legge contiene una definizione assai ampia: si legge, infatti, che «la Regione riconosce e promuove il ruolo attivo dei cittadini, singoli e associati in gruppi informali, associazioni, fondazioni, enti morali, filantropici e organizzazioni di volontariato (corsivo nostro), anche privi di personalità giuridica, non qualificati come Enti del Terzo settore ai sensi dell’ articolo 4 d.lgs. 117/2017, nonché tutte le altre forme di protagonismo civico, variamente denominate. Ne valorizza la partecipazione civica alle attività delle amministrazioni pubbliche, anche in applicazione della disciplina vigente in materia di partecipazione, di cui alla legge regionale 22 ottobre 2018, n. 15 (Legge sulla partecipazione all'elaborazione delle politiche pubbliche. Abrogazione della legge regionale 9 febbraio 2010, n. 3), e ne promuove il contributo diffuso, in quanto espressioni di cittadinanza attiva e responsabilità comunitaria, anche finalizzato alla cura dei beni comuni e, in generale, al conseguimento degli obiettivi dello sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 dell’ONU, nelle forme consentite dalla vigente normativa» (il successivo art. 6 conferma la medesima formulazione, disciplinando l’azione dei Comuni). La disposizione è stata oggetto di una significativa modifica, operata dalla L.R. n. 7/2023, che ha espunto il problematico riferimento a enti filantropici ed organizzazioni volontariato non del Terzo settore, poiché – così pare di poter interpretare il senso dell’intervento regionale – rischiava di creare effettivamente una confusione fra le qualifiche previste dal Codice del Terzo settore e la qualifica di ente filantropico ed organizzazione di volontariato non del Terzo settore.

Tali dati, se letti nel contesto della vicenda che ha originato la sentenza n. 131/2020 in Regione Umbria (estensione delle misure previste per gli ETS a soggetti che potrebbero non possedere tale qualifica, le c.d. cooperative di comunità), pone un tema rilevante, a giudizio di chi scrive. Al di là del delicato divieto di omologazione fra ETS e non ETS, il legislatore regionale esprime la tensione a disciplinare i rapporti con il pluralismo sociale regionale anche al di là degli enti del Terzo settore. Quest’ultimi rimangono sì i principali interlocutori – qualitativamente e quantitativamente – ma appare interessante notare che la legislazione regionale si fa carico di istituire categorie normative che, in qualche modo, superino il perimetro legale statale. Cosicché, nell’attuazione delle singole politiche, la Regione dispone sia della categoria degli ETS, sia di categorie ulteriori (ad es., in Toscana, «le associazioni, le fondazioni e gli altri enti a carattere privato che, senza fine di lucro, svolgono attività di interesse generale», art. 4, c.4). Ciò però porta a configurare l’intervento legislativo regionale – soprattutto nel caso dell’Emilia-Romagna – come norma sul Terzo settore e sulle altre manifestazioni del pluralismo sociale, anche informale (con tutti i problemi giuridici che tale informalità pone[29]). Ciò fa emergere, come è evidente, problemi e questioni di legittimità costituzionale che vanno al di là del rapporto di competenza fra Stato e Regioni, e aprono sentieri di politiche promozionali “regionali” estremamente interessanti, lungo frontiere non ancora esplorate dal diritto nazionale.

L’esercizio di funzioni amministrative ed il ruolo dell’autonomia regolamentare degli enti locali.

Dal lato dell’esercizio delle funzioni amministrative, la legislazione regionale in commento mira, evidentemente, a disciplina la modalità di esercizio delle funzioni amministrative attribuite dal legislatore, partendo dall’apprezzamento del valore, alla luce del principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale, della collaborazione con gli enti del Terzo settore (art. 3, L.R. Toscana n. 65/2020; art. 3, L.R. Molise n. 22/2021; art. 4, L.R. Umbria n. 2/2023; L.R. Emilia-Romagna n. 3/2023, art. 5). Al di là dei singoli procedimenti di amministrazione condivisa disciplinati, infatti, le leggi regionali scandiscono un canone interpretativo per l’attività amministrativa della Regione, degli enti dipendenti dalla Regione medesima e delle aziende regionali (come le aziende sanitarie) in grado di orientare la discrezionalità dell’amministrazione verso soluzioni di tipo collaborativo, in relazione alla funzione sociale dagli enti del Terzo settore. Si tratta di una possibile modalità di attuazione dell’art. 118, u.c. Cost. e, più in particolare, dell’obbligo giuridico di favorire la relazione con gli ETS quale modalità di esercizio delle funzioni amministrative, rispetto all’esternalizzazione (secondo le modalità del Codice dei contratti pubblici) o allo svolgimento in house. Così, ad es., l’art. 4, c.2 della L.R. Umbria n. 2/2023 prevede che gli enti pubblici «favoriscono» il ricorso all’amministrazione condivisa; l’art. 5, c. 1 della L.R. Emilia-Romagna prevede che la collaborazione con gli ETS sia riconosciuta, valorizzata e promossa, in senso ampio. A meno di non voler considerare queste espressioni normative come mero flatus vocis, bisogna riconoscere che esse costituiscono uno specifico tentativo di dare corpo, nelle materie di competenza legislativa regionale, ad un modello di amministrazione costituzionalmente ispirato, che costituisce uno specifico parametro di legittimità per l’attività amministrativa dell’amministrazione regionale e locale. In altri termini, nelle Regioni che hanno approvato siffatte clausole legislative (anche se talora molto verbose), l’effetto giuridico che si produce è che la collaborazione con gli enti del Terzo settore non è più una mera opzione, fra le diverse possibili, ma costituisce il criterio orientativo giuridicamente vincolante per l’esercizio della funzione amministrativa (sia nel campo dell’amministrazione condivisa, sia negli altri settori in cui, comunque, la promozione può avvenire: ad es., erogazione di risorse pubbliche; attribuzione di beni immobili pubblici non utilizzati; accesso al credito; ecc.).

Un tratto comune significativo è rappresentato dal rapporto fra legislazione regionale ed autonomia regolamentare degli enti locali (art. 117, sesto comma, Cost.)[30]. Le leggi regionali rimettono infatti all’autonomia regolamentare locale la disciplina, in concreto, dei rapporti con i soggetti del Terzo settore (art. 3, c.1 L.R. Toscana n. 65/2020; art. 4, c.2 L.R. Umbria n. 2/2023; art. 6 L.R. Emilia-Romagna n. 3/2023).

Il “ruolo” dei regolamenti locali è tutt’altro che secondario, in questa prospettiva. Se, infatti, ad una prima lettura si potrebbe ritenere che la fonte locale sia chiamata a svolgere funzioni puramente attuative della disciplina nazionale e della disciplina regionale, al contrario, sul piano nazionale, si può ben affermare che sono stati i regolamenti locali ad aver rappresentato uno dei terreni di più ampia e rilevante innovazione sul tema del rapporto fra Terzo settore e pubbliche amministrazioni. Cosicché, anche nelle Regioni prive di una legislazione regionale e, in taluni casi, ancora prima del Codice del Terzo settore, le fonti degli enti locali hanno costituito il terreno sul quale, comunque, la promozione e la collaborazione degli enti del Terzo settore è avvenuta (basti pensare ai regolamenti per l’amministrazione condivisa dei beni comuni, oppure ai regolamenti per l’erogazione di contributi a determinati soggetti del pluralismo sociale). La funzione che la legislazione regionale in commento svolge, quindi, non è tanto di irreggimentare, in una prospettiva top-down il rapporto fra Regione ed enti locali (limitando gli spazi di autonomia di quest’ultimi), bensì quello di provare a creare un quadro giuridico essenziale, a partire dall’esperienza già consolidata, in grado di assicurare, all’interno del territorio regionale, quel tasso di uniformità necessario al fine dell’esercizio coerente delle funzioni amministrative, nella consapevolezza che un certo tasso di uniformità è condizione essenziale per l’esercizio efficace delle funzioni amministrative.

In particolare, l’amministrazione condivisa come cuore della strategia promozionale.

Il vero “cuore” degli interventi normativi legislativi regionali è costituito dalla disciplina procedimentale dell’amministrazione condivisa, che è il fil rouge che tiene insieme le diverse norme regionali[31].

Non è questa la sede per approfondire il tema della disciplina sostanziale e procedimentale dell’amministrazione condivisa; si ritiene utile, invece, sottolineare gli elementi di innovazione o di specificazione che le diverse leggi regionali hanno apportato, arricchendo così il quadro normativo nazionale. È innegabile, infatti, che il diritto dell’amministrazione condivisa si stia costruendo a partire dal paradigma nazionale (Codice del Terzo settore, D.M. 72/2021 e Codice dei contratti pubblici, nonché la fondamentale lettura della sentenza della Corte costituzionale n. 131/2020), ma che l’integrazione apportata dalle leggi regionali (e dal dialogo fra queste) offra ulteriori elementi interpretativi ed applicativi, destinati a riflettersi oltre ai confini regionali.

Gli elementi di maggior rilievo non possono essere esaminati approfonditamente singulatim; ci si limiterà ad enunciare, a mo’ di elenco, le principali:

  1. i presupposti di attivazione dei procedimenti di amministrazione condivisa e gli effetti della loro mancata attivazione (in particolare, di rilievo è l’obbligo di motivazione per la mancata attivazione di procedimenti di co-programmazione: L.R. Toscana, art. 9, c.1);
  2. la possibilità di partecipazione di soggetti diversi dagli enti del Terzo settore: la legislazione regionale individua spazi di partecipazione ai procedimenti di amministrazione condivisa anche ad enti non del Terzo settore (fondazioni di origine bancaria, enti ecclesiastici, imprese for profit, ), delimitandone il possibile ruolo ed apporto (L.R. Toscana, artt. 10, c.1, lett. b); art. 13, c.1, lett. b), n. 4), su co-programmazione e co-progettazione; L.R. Molise, art. 11, limitatamente alla co-programmazione)[32];
  3. l’istanza da parte degli enti del Terzo settore per l’attivazione di procedimenti di amministrazione condivisa: tutte le leggi regionali disciplinano, in coerenza con quanto previsto dal D.M. 72/2021, la possibile iniziativa degli enti del Terzo settore, singoli ed associati (L.R. Toscana, art. 13, c.1, lett. a); L.R. Molise, art. 11, in tema di co-programmazione e art. 13, c.1, lett. a); L.R. Emilia Romagna, art. 15, c. 3 in tema di co-programmazione; L.R. Umbria, art. 8, c.1 e art. 12, c.1, lett. c));
  4. la scansione temporale del procedimento, definendo un lasso di tempo minimo per le diverse fasi procedimentali (L.R. Toscana, art. 10, c.1, lett. c) e art. 13, c. 1, lett. c)), a tutela dell’effettività, della pubblicità e della parità di condizioni della partecipazione degli ETS;
  5. la possibilità che la condivisione avvenga attraverso risorse materiali, immateriali ed economiche, consentendo così la valorizzazione di tutti i contributi che gli ETS possono portare (anche di semplice know-how), con particolare riferimento alla co-progettazione (L.R. Toscana, art. 11, c.3; L.R. Molise, art. 12, c.2; L.R. Umbria, art. 13, c.3);
  6. la tutela contrattuale dei lavoratori impiegati nelle attività oggetto di co-progettazione, attraverso l’individuazione di contratti collettivi da applicare (L.R. Toscana, art. 11, c. 6; L.R. Molise, art. 12, c.3; L.R. Emilia-Romagna, art. 14, c.3, che riferimento anche soci lavoratori e volontari) e con esclusione, almeno come obbligo normativo, dell’applicazione delle c.d. clausole sociali (tema oggetto di un vivace dibattito nel diritto del lavoro del Terzo settore);
  7. la misurazione dell’impatto sociale dell’attività svolta in co-progettazione (L.R. Toscana, art. 13, c.2; L.R. Molise, art. 13, c.2; L.R. Emilia-Romagna, art. 14, c.1, lett. d) e, con specifico riferimento a co-programmazione all’art. 16, c.1, lett. d) e art. coprogettazione, art. 18, c.1, lett. d); L.R. Umbria, art. 17);
  8. la possibilità di procedere all’istituzione di elenchi di enti del Terzo settore con i quali svolgere – per un certo periodo di tempo - attività di co-programmazione e co-progettazione, secondo quanto previsto dal D.M. 72/2021 (L.R. Umbria, art. 12, c.1, lett. a); L.R. Emilia-Romagna, art. 17, c.3; la L.R. Toscana non prevede questa possibilità, lasciando intendere che sia una opzione non percorribile nella Regione);
  9. la possibilità del c.d. accreditamento per co-progettazione, fattispecie prevista all’art. 55, c.3 CTS in termini invero criptici[33], chiarita dal D.M. 72/2021 (ipotesi non prevista in Toscana per espressa volontà del legislatore; ipotesi, invece, prevista nella L.R. Umbria, art. 14 e nella L.R. Emilia-Romagna, art. 19);
  10. possibilità di svolgimento dei procedimenti di amministrazione condivisa in forme telematiche e digitali, al fine di assicurare la trasparenza, la pubblicità e l’effettiva ed ampia partecipazione (L.R. Emilia-Romagna, art. 15, c.4);
  11. la disciplina, in concreto, del principio di trasparenza nello svolgimento dei procedimenti di amministrazione condivisa (L.R. Umbria, art. 15; L.R. Emilia-Romagna, art. 14, c.3), anche in aggiunta a quanto previsto dal d.lgs. n. 33/2013;
  12. la possibilità che l’oggetto della co-progettazione sia la valorizzazione di beni mobili ed immobili pubblici, per lo svolgimento di attività di interesse generale (L.R. Emilia-Romagna, art. 17, c. 2, anticipando in questo l’orientamento espresso da Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, con la nota del 7 luglio 2023 n. 1059[34]);
  13. la realizzazione di azioni strutturali per la diffusione dell’amministrazione condivisa, come cultura e come diffusione di prassi amministrativa e la previsione di strumenti di sostegno ai soggetti pubblici e del Terzo settore impegnati nell’amministrazione condivisa (L.R. Umbria, art. 16; L.R. Emilia-Romagna, art. 14, cc. 4-7, che prevedono una diversa gamma di interventi);
  14. la possibilità di concludere accordi di collaborazione con centri servizio per il volontariato, fondazioni di origine bancaria, articolazioni delle reti associative, articolazioni dell’associazione di terzo settore più rappresentativa sul territorio nazionale al fine di favorire il ricorso all’amministrazione condivisa (L.R. Umbria, art. 18);
  15. la possibilità che le attività di interesse generale, svolte in co-progettazione, possano essere considerate come servizi di interesse generale ai sensi del diritto europeo, con la conseguente applicazione del regime europeo, sviluppando così quanto prefigurato dal D.M. 72/2021 (L.R. Emilia-Romagna, art. 14, c.2, ipotesi invero molto innovativa, ma problematica, anche solo considerando la condizione, legislativamente prevista, che «l’attività sia svolta senza scopo di lucro» da parte degli enti del Terzo settore)[35].

Questa breve – e parziale – elencazione di disposizioni regionali che intervengono per orientare gli avvisi di co-programmazione e co-progettazione, arricchiscono significativamente la gamma di varianti procedimentali al tronco stabilito dalla legge n. 241/1990 e di soluzioni operative che sono a disposizione delle amministrazioni regionali e locali. Si tratta in parte di un bilancio dell’esperienza di questi anni, magari in semplici atti di indirizzo o di soft law (come, ad es., l’adozione di linee guida regionali). Peraltro, il fatto che una legislazione regionale non preveda espressamente uno strumento (ad es., le sessioni con strumenti telematici o digitali), non esclude che esso possa essere utilizzato, potendo ciascuna singola amministrazione muoversi entro il perimetro di discrezionalità lasciato aperto dalle singole norme. D’altra parte, l’espressa previsione in una disciplina legislativa esprime un contenuto o immediatamente precettivo (ad es., la clausola di tutela contrattuale, più stringente di quella prevista dall’art. 16 del Codice del Terzo settore) o facoltizzante (ma, in tal caso, l’amministrazione procedente dovrà motivare la ragione per cui opta per altre soluzioni).

Sul significato di una legislazione regionale.  

Quale significato attribuire a questa legislazione? Anzitutto, nei prossimi anni, dovrà essere monitorata con particolare cura l’attuazione di queste leggi, al fine di evitare di considerare queste norme come elemento essenziale della disciplina del Terzo settore ma, in sostanza, poco più che norme-manifesto. Andrà quindi misurata l’effettiva capacità delle amministrazioni regionali e locali di tradurre i principi legislativi in una vera e propria prassi amministrativa.

Più in generale, se, in una prima fase, l’obiettivo della legislazione regionale (in particolare, Toscana e Molise) è stato di dare un chiaro fondamento di legittimità ai procedimenti di amministrazione condivisa, in un momento di forte contrasto giurisprudenziale (con riflessi applicativi), l’orientamento di politica del diritto prevalente è di tipo chiaramente promozionale, a tutto tondo, rafforzando l’impianto di misure di promozione previsto, in via stabile, dal Codice del Terzo settore.

La legislazione regionale, quindi, è chiamata non solo a regolare i procedimenti di amministrazione condivisa negli ambiti materiali in cui le Regioni dispongono di poteri legislativi e funzioni amministrative (che rimane pur sempre l’obiettivo principale), bensì pure di creare le condizioni affinché tali procedimenti possano realizzarsi più efficacemente, attraverso la creazione di sinergie fra gli attori del Terzo settore, gli attori istituzionali e gli altri soggetti portatori di interesse. Ciò è avvenuto, almeno in una prima fase, al prezzo di un intervento non sporadico del giudice costituzionale il quale, tuttavia, non è da considerarsi necessariamente un fattore patologico, ma parte di un processo di apprendimento del nuovo quadro normativo nazionale e delle sue ricadute sull’autonomia regionale. Peraltro, il quadro normativo nazionale, avendo riordinato un intero settore dell’ordinamento, ha bisogno anch’esso di qualche intervento manutentivo (ad es., sul piano fiscale), alla luce della giurisprudenza costituzionale e degli orientamenti europei.

Peraltro, il fatto che il legislatore regionale abbia intrapreso (e stia continuando ad intraprendere) procedimenti legislativi in tema di Terzo settore – pur con tutte le diversità di approccio che si sono provate ad elencare in precedenza), costituisce un elemento molto importante di consolidamento della legittimazione degli enti del Terzo settore come pilastro di una azione pubblica allargata, che non vede più l’attore pubblico come unico erogatore di beni e servizi a tutela dei diritti civili e sociali. In altri termini, questa prima legislazione regionale che si colloca nel quadriennio 2020-2023 mette in evidenza – con i suoi problemi, ma anche con le sue risorse – la saldatura esistente fra il principio di sussidiarietà verticale ed il principio di sussidiarietà orizzontale, così come compendianti nell’art. 118 Cost.: l’attribuzione di potestà legislativa e funzioni amministrative agli enti territoriali non è scindibile dal riconoscimento di quell’autonomia iniziativa – intesa qui come capacità di programmare e progettare insieme politiche pubbliche – che è parte – come ha ricordato la sent. n. 131/2020 della Corte costituzionale – del patrimonio costituzionale del Paese.

 

 

DOI 10.7425/IS.2023.03.03

 

Bibliografia

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  21. Sanchini, Il ruolo della legge regionale nella definizione dei rapporti p.a. – enti del Terzo settore. La “primogenitura” della Regione Toscana con la l. 22 luglio 2020, n. 65, in Osservatorio sulle fonti, 1, 2021
  22. Simoncini, Le “caratteristiche costituzionali” del terzo settore e la riforma del titolo V della Costituzione, in AA.VV., Diritti, nuove tecnologie, trasformazioni sociali. Scritti in memoria di Paolo Barile, Padova, 2003, 713 ss.
  23. Simoncini, Il Terzo settore ed il nuovo Titolo V della Costituzione, in P. Carrozza – E. Rossi (a cura di), Sussidiarietà e politiche sociali dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, Torino, Giappichelli, 2004, 82-83.
  24. Tondi Della Mura, Della sussidiarietà orizzontale (occasionalmente) ritrovata: dalle linee guida dell’Anac al Codice del terzo settore, in Rivista AIC, 1, 2018.

 

[1] Sul problema del rapporto fra la legislazione nazionale e gli ambiti di autonomia legislativa regionale nel settore delle ONLUS, già prima della riforma del Titolo V Cost., si veda E. Rossi, I criteri di identificazione delle Onlus, in L. Bruscuglia – E. Rossi (a cura di), Terzo settore e nuove categorie giuridiche: le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, Milano, Giuffrè, 2000, 52 ss.; su questo aspetto, cfr., anche, A. Celotto, Legislazione regionale sul volontariato, in L. Bruscuglia – E. Rossi (a cura di), Il volontariato a dieci anni dalla legge quadro, Milano, Giuffrè, 2001, 104.

[2] Per un commento alla legge regionale, F. Sanchini, Il ruolo della legge regionale nella definizione dei rapporti p.a. – enti del Terzo settore. La “primogenitura” della Regione Toscana con la l. 22 luglio 2020, n. 65, in Osservatorio sulle fonti, 1, 2021; se si vuole, L. Gori – F. Monceri, Legge regionale n. 65/2020, Quaderno Cesvot, settembre 2021.

[3] Cfr., sul punto, L. Brunetti, I possibili effetti dell’attuazione dell’art. 116, c. 3, Cost., sulla disciplina del “Terzo settore” (D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 117). Quale destino per la legislazione statale?, in C. Bertolino – A. Morelli – G. Sobrino (a cura di), Regionalismo differenziato e specialità regionale: problemi e prospettive, Università di Torino, 17, 2020, 367 ss.

[4] Su questa sentenza, si veda il commento di E. Rossi, La riforma del Terzo settore per la prima volta davanti alla Corte, in Giur. cost., 5, 2018, 2067 ss

[5] A commento della sentenza, si vedano i fondamentali commenti di E. Rossi, Il fondamento del Terzo settore è nella Costituzione. Prime osservazioni sulla sentenza n. 131 del 2020 della Corte costituzionale, in Forum di Quaderni Costituzionali, 3, 2020 e di G. Arena, L’amministrazione condivisa ed i suoi sviluppi nel rapporto con cittadini ed enti del Terzo settore, in Giurisprudenza costituzionale, 3, 2020, 1455 ss. Sugli sviluppi più recenti, si veda G. Arena – M. Bombardelli (a cura di), L’amministrazione condivisa, Editoriale scientifica, Napoli, 2022 e U. De Ambrogio – G. Marocchi (a cura di), Amministrazione condivisa e buone pratiche, Bologna, Carocci, 2023.

[6] Interessante è notare che l’istituzione degli uffici regionali del RUNTS è l’attribuzione di una funzione amministrativa, disciplinata con norma statale, alle Regioni, che l’hanno esercitata in forma molto diversificate fra loro (ad es., istituzione di un ufficio unico regionale, istituzione di decentramenti provinciali, ecc.).

[7] Cfr., in prospettiva costituzionalistica, P. Addis – E. Ferioli – E. Vivaldi, Il Terzo settore nella disciplina normativa italiana dall’Unità ad oggi, in E. Rossi – S. Zamagni (a cura di), Il Terzo settore nell’Italia Unita, Bologna, 2011, 210.

[8] È questa la tesi di A. Simoncini, Le “caratteristiche costituzionali” del terzo settore e la riforma del titolo V della Costituzione, in AA.VV., Diritti, nuove tecnologie, trasformazioni sociali. Scritti in memoria di Paolo Barile, Padova, 2003, 713 ss.

[9] Come si legge in C. cost. n. 131 del 2020, con riguardo ai rapporti fra PP.AA. ed enti del Terzo settore, «il legislatore regionale, quindi, se da un lato è abilitato, nell’ambito delle attività che ricadono nelle materie di propria competenza, a declinare più puntualmente, in relazione alle specificità territoriali, l’attuazione di quanto previsto dall’art. 55 CTS, non può, dall’altro, alterare le regole essenziali delle forme di coinvolgimento attivo nei rapporti tra gli ETS e i soggetti pubblici».

[10] La Corte costituzionale ha affermato, nel leading case della sentenza n. 14 del 2014, che la «nozione di tutela della concorrenza abbraccia nel loro complesso i rapporti concorrenziali sul mercato e non esclude interventi promozionali dello Stato», e si atteggia non come «una materia di estensione certa» ma come «una funzione esercitabile sui più diversi oggetti» che si giustifica in base alla rilevanza macroeconomica dell’intervento da realizzare: «solo in tale quadro è mantenuta allo Stato la facoltà di adottare sia specifiche misure di rilevante entità, sia regimi di aiuto ammessi dall’ordinamento comunitario (fra i quali gli aiuti de minimis), purché siano in ogni caso idonei, quanto ad accessibilità a tutti gli operatori ed impatto complessivo, ad incidere sull’equilibrio economico generale». La legittimità costituzionale di tali misure è soggetta ad un test di adeguatezza e proporzionalità rispetto allo scopo perseguito, che tenga conto anche dell’esigenza di disciplina unitaria sul territorio nazionale[10]. Spettano alle Regioni, invece, nell’ambito della loro competenza legislativa concorrente o residuale «gli interventi sintonizzati sulla realtà produttiva regionale tali, comunque, da non creare ostacolo alla libera circolazione delle persone e delle cose fra le Regioni e da non limitare l’esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale (art. 120, primo comma, Cost.)».

[11] In giurisprudenza, si vedano le sentenze della Corte costituzionale nn. 131 e 255 del 2020. Sulla difficoltà di rintracciare una interpretazione univoca della materia «tutela della concorrenza» nella giurisprudenza costituzionale, cfr. A. Morrone, La concorrenza tra Unione europea, Stato e Regioni, in M. Ainis – G. Pitruzzella (a cura di), I fondamenti costituzionali della concorrenza, Bari, Laterza, 2019, 101 ss.

[12] Il Codice del Terzo settore, all’art. 82, autorizza le Regioni e gli enti locali, a determinate condizioni, a prevedere riduzioni o esenzioni di imposta (in particolare, l’art. 82, c. 8, dell’imposta regionale sulle attività produttive di cui al d.lgs. n. 446 del 1997).

[13] A. Simoncini, Il Terzo settore ed il nuovo Titolo V della Costituzione, in P. Carrozza – E. Rossi (a cura di), Sussidiarietà e politiche sociali dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, Torino, Giappichelli, 2004, 82-83.

[14] Si veda la disciplina prevista dall’art. 1, cc. 793 ss., legge n. 197/2022 (bilancio per il 2023); nel frattempo, è stata avviata la discussione sull’A.S. 615, Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, di iniziativa governativa.

[15] In giurisprudenza, si veda la sentenza C. cost. n. 166 del 2020.

[16] Si tratta di un carnet variegato di misure di promozione: artt. 55, 56 e 57 CTS in tema di rapporti con la pubblica amministrazione; art. 69 CTS, accesso al fondo sociale europeo; art. 70, strutture e autorizzazioni temporanee per manifestazioni pubbliche; art. 71 CTS, concessione in comodato di beni immobili e mobili di proprietà regionale e enti locali e concessione di beni culturali immobili di proprietà regionale.

[17] L’art. 82, c. 7 CTS, riduzione/esenzione di pagamento di tributi nei confronti degli enti del Terzo settore che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciale; art. 82, c. 8 CTS, riduzione o l'esenzione dall'imposta regionale sulle attività produttive; art. 89, c. 17 CTS, norma ricognitiva delle forme speciali di partenariato con enti del Terzo settore.

[18] Gli artt. 72 (Fondo per il finanziamento di progetti e attività di interesse generale nel terzo settore) e 73 (Altre risorse finanziarie specificamente destinate al sostegno degli enti del Terzo settore) del Codice del Terzo settore istituiscono due fondi statali, a carattere vincolato quanto alla finalità perseguita, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

[19] Si veda, sul punto, la rilevante sentenza n. 131 del 2020 a proposito dell’estensione di alcune misure specifiche per gli ETS a soggetti non ETS da parte della legge regionale. A proposito delle cooperative di comunità (L.R. Umbria n. 2/2019). Si vedano i contributi contenuti nel volume di Mori – Sforzi (a cura di), Imprese di comunità, Bologna, Il Mulino, 2018. Sull’impatto della sentenza, C. Borzaga – A. Bernardoni, Imprese di comunità, come inquadrarle? Una proposta alla luce della Sentenza 131/2020 della Corte costituzionale, in Forum Impresa sociale, disponibile all’indirizzo https://www.rivistaimpresasociale.it/forum/articolo/Sentenza%20131%20cooperative%20di%20comunit%C3%A0.Una questione analoga di omologazione si pone, almeno primo visu, con riferimento alla L.R. Calabria 11 novembre 2020, n. 22.

[20] Cfr., sul punto, M. Galdi, Riflessioni in tema di terzo settore e interesse generale. Osservazioni a C. cost. 26 giugno 2020, n. 131, in Federalismi, 32, 2020, 88 ss.; V. Tondi Della Mura, Della sussidiarietà orizzontale (occasionalmente) ritrovata: dalle linee guida dell’Anac al Codice del terzo settore, in Rivista AIC, 1, 2018.

[21] Cfr., sul punto, la significativa questione di legittimità costituzionale per violazione della competenza statale in tema di concorrenza, promossa dal Governo nei confronti della legge regionale della Puglia n. 22 del 2018, concernente la possibilità di attribuzione in comodato d’uso ad enti del Terzo settore, incluse le imprese sociali e le cooperative sociali, di alcuni beni immobili (C. cost. ord. n. 251 del 2019). Cfr., anche, L.R. Sardegna n. 16 del 2019, oggetto di impugnazione da parte del Governo in via principale, che prevede che le associazioni Onlus di qualsiasi tipo (incluse le cooperative sociali) possano ricorrere alla forma convenzionale ai sensi dell’art. 57 CTS, in contrasto con il Codice del terzo settore che contempla solo le organizzazioni di volontariato costituite con forma associativa. Le Regioni hanno istituito differenti qualifiche ed albi e registri, previsti in determinate norme di settore (associazioni di solidarietà familiare; associazioni e centri antiviolenza; associazione ed enti per il dopo di noi; ecc.). La L.R. Emilia-Romagna n. 281 del 2017, ad es., ha previsto la qualifica di «organismi unitari di rappresentanza maggiormente rappresentativi», quale aggregazione di soggetti liberamente costituiti a livello territoriale e regionale da soggetti del Terzo settore iscritti nei rispettivi registri, quali soggetti di partecipazione alla programmazione regionale (art. 2), al fine di partecipare alla definizione delle politiche regionali; L.R. Puglia n. 2 del 2020 ha istituto un Albo regionale delle associazioni per la protezione degli animali che costituisce una sorta di alternativa all’iscrizione al Registro unico nazionale del Terzo settore; L.R. Calabria n. 22 del 2020, che ha istituito un albo regionale delle pro-loco (artt. 5 e 6), confondendo i requisiti di iscrizione al RUNTS con quelli all’albo; L.R. Toscana n. 27 del 2021, in tema di valorizzazione del patrimonio storico - culturale intangibile e della cultura popolare della Toscana, che definisce un tipo di associazioni del Terzo settore «che hanno per fine statutario la valorizzazione della storia e della cultura materiale e intangibile del proprio territorio, nel rispetto di saperi storici acquisiti e di evidenze documentarie mediante le varie forme di studio, espressione artistica, realizzazione di attività, anche attraverso l’organizzazione o la partecipazione attiva a manifestazioni come descritte al comma 2, e alla creazione di reti collaborative a livello intraregionale, nazionale e sovranazionale» (art. 2, c.3

[22] Così C. cost. n. 285 del 2019 ha chiarito che, anche dal punto di vista interpretativo, occorre fare riferimento all’intera gamma di enti iscritti, attualmente, nei diversi registri, determinandosi, diversamente, discriminazioni ai sensi dell’art. 3 Cost.; analogamente, C. cost. n. 27 del 2020. In C. cost. n. 277 del 2019, invece, la Corte chiarisce che «sebbene le Regioni possano regolare le attività dei soggetti del Terzo settore nelle materie attribuite alla propria competenza, come nel caso in esame, limitare alle sole organizzazioni di volontariato animalista lo svolgimento delle attività consentite a tutte le associazioni animaliste risulta senz’altro discriminatorio. Non è possibile rinvenire, infatti, una ragione alla base dell’esclusione delle altre tipologie di soggetti (si veda la sentenza n. 166 del 2018), tenuto conto che la differenziazione si fonda esclusivamente sullo status giuridico di dette organizzazioni, che di per sé non è indice di alcuna ragionevole giustificazione della disciplina restrittiva della concorrenza dettata dalla Regione (sentenza n. 285 del 2016)».

[23] Cfr., sul punto, C. cost. n. 52 del 2021.

[24] Su questo, si può rinviare all’editoriale di L. Gori – G. Marocchi, La riforma del Terzo settore tra unità e differenziazione, in questa Rivista, 2, 2021, 3 ss.

[25] Ad es., la Regione Toscana, subito dopo l’approvazione del Codice del terzo settore, ha adeguato la legislazione in tema di cooperazione sociale (L.R. 58/2018) ed ha approvato una legge concernente la registrazione degli enti del Registro unico nazionale del Terzo settore (L.R. 53/2021). La Regione Veneto ha adeguato la legislazione in tema di cooperazione (L.R. 32/2018). La Regione Emilia-Romagna, ancora prima dell’approvazione della legge n. 3/2023, ha adottato una prima legge di adeguamento dell’ordinamento regionale già nel 2017 (L.R. 281/2017).

[26] L.R. Toscana n. 65/2020, art. 20; L.R. Molise n. 21/2022, art. 18; L.R. Emilia-Romagna n. 3/2023.

[27] In Toscana, nel tornante di pochi anni, sono state approvate L.R. n. 67/2019 – comunque successiva alla riforma del Terzo settore – in tema di cooperative di comunità; L.R. 17/2020, intitolata Disposizioni per favorire la coesione e la solidarietà sociale mediante azioni a corrispettivo sociale; L.R. 71/2020, Governo collaborativo dei beni comuni e del territorio, per la promozione della sussidiarietà sociale in attuazione degli articoli 4, 58 e 59 dello Statuto; L.R. n. 27 del 2021 Valorizzazione del patrimonio storico - culturale intangibile e della cultura popolare della Toscana. Disciplina delle rievocazioni storiche regionali.

[28] Interessante annotare le modifiche che la L.R. Emilia-Romagna 7/2023 ha apportato alla L.R. 3/2023, a stretto giro dopo la sua approvazione, al fine di valorizzare l’autonomia statutaria degli enti del Terzo settore e delle reti associative, pur nell’ambito degli organi e delle funzioni di rappresentanza e partecipazione.

[29] Cfr., per considerazioni interessanti sul rapporto fra soggetti giuridicamente costituiti e gruppi informali, G. Arena, Sussidiarietà orizzontale ed enti del Terzo settore, in A. Fici – F. Giglioni – L. Gallo (a cura di), I rapporti tra pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo settore. Dopo la sentenza n. 131 del 2020, Napoli, Editoriale scientifica, 2020, 31, «bisogna tenere presente che nel polo dell’interesse generale non ci sono soltanto gli enti del TS, ma ci sono anche i cittadini attivi non iscritti ad enti del TS, comitati di quartiere, associazioni di cittadini, formazioni sociali informali, etc. Sono volontari, esattamente come quelli che operano all’interno degli enti del TS, tant’è vero che l’art. 17, secondo comma CTS afferma che “Il volontario è una persona che, per sua libera scelta, svolge attività in favore della comunità e del bene comune, anche per il tramite di un ente del Terzo settore, mettendo a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ed esclusivamente per fini di solidarietà»; cfr. F. Giglioni, Il diritto pubblico informale alla base della riscoperta delle città come ordinamento giuridico, in Rivista giuridica dell’edilizia, 1, 2018, 5.

[30] G. Leondini, Riforma del Terzo settore e autonomie locali, Torino, Giappichelli, 2019, 51 ss.

[31] Sull’impostazione generale del tema, si rinvia a E. Frediani, La co-progettazione dei servizi sociali, Torino, Giappichelli, 2021, 239 ss.; Alcune Regioni sono intervenute con Linee guida: così, ad es., Lazio, Linee guida Approvazione Linee guida in materia di co-progettazione tra Amministrazioni locali e soggetti del Terzo settore per la realizzazione di interventi innovativi e sperimentali nell'ambito dei servizi sociali – Giunta regionale del Lazio, 13 giugno 2017, n. 326 (adottata dalla L.R. 11/2016).

[32] Cfr., per una visione problematica sul punto, M. Galdi, Riflessioni in tema di terzo settore e interesse generale, cit., 98. Nell’ambito della legislazione regionale toscana, la L.R. n. 27 del 2021 introduce un criterio di ammissione alla co-progettazione di enti non del Terzo settore «purché in partenariato con almeno una delle associazioni iscritte al predetto elenco che eserciti la funzione di capofila, nel rispetto del disposto dell’articolo 13, comma 1, lettera b), numero 4), della L.R. 65/2020».

[33] D. Palazzo, Pubblico e privato nelle attività di interesse generale. Terzo settore e amministrazione condivisa, Torino, Giappichelli, 2022, 481 ss.

[34] Disponibile all’indirizzo https://www.lavoro.gov.it/documenti/nota-1059-del-7-luglio-2023.

[35] Cfr., sul punto, D. Palazzo, Pubblico e privato nelle attività di interesse generale, cit., 359 ss.

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