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ISSN 2282-1694
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Numero 4 / 2023

Intervista

Forum coprogettazione

Guido Ciceri, Emilio Emmolo, Paolo Felice, Nicoletta Bellin, Stefano Rossetti

Dopo il Forum sulla coprogrammazione dello scorso numero, Impresa Sociale propone qui un confronto sul tema della coprogettazione. Le coprogettazioni sono senza dubbio le espressioni di gran lunga più diffuse e numerose frutto dell’art. 55 del Codice del Terzo settore; non deve stupire, quindi, se tra le coprogettazioni si trovano tanto le buone prassi più significative quanto gli aspetti maggiormente problematici negli istituti dell’amministrazione condivisa. Per esplorare tutti questi aspetti, Impresa Sociale propone un forum a quattro voci, due provenienti dalla pubblica amministrazione, due dal terzo settore, in tutti i casi persone con una significativa esperienza diretta di amministrazione condivisa:

  • Guido Ciceri, direttore di Sercop Rho, è tra i maggiori esperti italiani di coprogettazione. L’esperienza di “Oltre i Perimetri” è tra quelle che da anni, da ben prima del Codice del Terzo settore, costituiscono un modello per chi si occupa di amministrazione condivisa. È tra gli esperti che in questi anni hanno realizzato più interventi formativi e consulenziali su questo tema. Recentemente, in Sercop, sta guidando un procedimento di coprogettazione sul tema della domiciliarità rivolta agli anziani, quindi su uno degli aspetti più tipici del welfare consolidato.
  • Emilio Emmolo è nello staff nazionale di Federsolidarietà Confcooperative. Si tratta di una posizione ideale per ricevere i riscontri di moltissime cooperative impegnate in coprogrammazioni e coprogettazioni che si rivolgono alla propria organizzazione di rappresentanza per condividere le loro esperienze, per segnalare aspetti problematici e per avere consigli e sostegno; si tratta di informazioni preziose per elaborare le riflessioni che sono qui proposte.
  • Nicoletta Bellin dirige il CISS 38 consorzio gestore della funzione socioassistenziale in un’area a nord della provincia di Torino e Stefano Rossetti è responsabile dell’area progettazione e inclusione dello stesso ente. Dopo avere condotto nel 2018 – 2019 le due prime esperienze di coprogettazione dell’ente, nel 2022 e 2023 hanno dato vita a ben cinque esperienze di coprogettazione, accomunate dalla volontà di caratterizzare la coprogettazione come strumento connotato in senso partecipativo e comunitario e coinvolgendo nei tavoli di lavoro una molteplicità di soggetti istituzionali e di terzo settore.
  • Paolo Felice, Presidente di LegacoopsocialiFVG, lavora allo sviluppo di percorsi di innovazione sociale occupandosi di inclusione sociale e lavorativa e riattivazione dei territori attraverso processi di progettazione partecipata con le popolazioni locali. Negli ultimi anni ha seguito il progetto regionale “cooperative di comunità”, che mira a promuovere percorsi di coesione sociale e nuove forme di cooperazione soprattutto nelle aree marginali.

1) Qual è l’impressione che vi siete fatti dopo questa prima stagione di coprogettazione a livello locale? Quali gli esiti positivi più significativi e quali criticità? Rispetto alle vostre attese siete soddisfatti o meno?

Ciceri. In una parola, siamo nel mezzo di un cammino di transizione, in un percorso caratterizzato da un lato da procedure amministrative ancora da consolidare e dall’altro – e soprattutto – da culture collaborative che devono evolvere dal modello di committenza al modello di partnership. Alla domanda “perché dobbiamo farlo?” – visto l’impegno che ciò richiede - mi sento di rispondere che ci siamo accorti da tempo che, dove la coprogettazione funziona, si risponde meglio ai bisogni dei cittadini. Si tratta di un cambiamento di prospettiva in cui conoscersi e riconoscersi, in cui rappresentarsi e raccontarsi; è così che tra soggetti pubblici e soggetti del terzo settore maturano l’affinamento della capacità di ascolto reciproco, l’acquisizione di capacità di collaborazione che prima non c’erano, lo scongelamento della diffidenza. Lo scongelamento della diffidenza tra P.A e terzo settore presuppone l’esistenza di ecosistemi dialoganti disposti ad affrontare insieme le criticità dei processi di collaborazione, cosa non facile perché permangono tuttora logiche centrate sul controllo che mal si coniugano con l’imprescindibile caratteristica alla base di ogni efficace collaborazione, sapersi fidare gli uni degli altri. Dal punto di vista amministrativo la coprogettazione presuppone un corposo lavoro finalizzato a definire procedimenti amministrativi coerenti in tutte le fasi (scelta del partner, governance dei tavoli, rendicontazioni, ecc.) e un significativo incremento del carico amministrativo al fine di dare evidenza formale dello svolgimento dei processi collaborativi (decisioni dei tavoli di coprogettazione), da cui però nel corso del tempo può derivare un progressivo consolidarsi di un modello di procedimento strutturato e coerente. nelle diverse fasi. Certamente il Decreto del ministero del lavoro numero 72/2021 è un’ottima guida, ma già oggi necessità di una revisione importante, non tanto per arrivare a una maggiore definitezza, analoga a quella che caratterizza il Codice dei Contratti pubblici, ma per valutare e correggere una serie di criticità che sono già emerse e che chiedono una risoluzione tempestiva. Ad esempio, uno dei cambiamenti amministrativi di maggior impatto tra soggetti coprogettanti è rappresentato dalla modalità di remunerazione delle attività coprogettate; nello specifico si tratta di passare dalla fatturazione tipica degli appalti alla rendicontazione del contributo per la realizzazione del progetto coprogettato. Nel lungo periodo l’aggravio amministrativo che la rendicontazione implica potrebbe rendere non sostenibile nel terzo settore la pratica della coprogettazione arrivando a preferire un ritorno all’appalto. Da parte del terzo settore, emerge, in diversi procedimenti, una preoccupazione relativa alla poca chiarezza in merito alla determinazione dell’ammontare del contributo. Guardando al lato degli Enti pubblici, la maggior parte ha ereditato dagli anni Novanta il modello del New public management e quindi un modello di efficienza centrato sulla esternalizzazione, sul controllo degli appalti, sulla soddisfazione dell’utente, un modello quindi poco coerente con quello della coprogettazione, centrato sulla emulazione del paradigma di efficienza efficacia e redditività delle aziende private, che deve essere quindi profondamente rivisto per approdare ad esiti collaborativi.

Emmolo. È importante e positivo che si sia aperto un dibattito: sull’innovazione dei servizi, sui modelli di gestione, sulla valutazione dell’impatto sociale. Sono molto interessanti tante coprogettazioni che hanno riguardato l’utilizzo di beni comuni, o ad esempio i percorsi del “Dopo di noi”. La stragrande maggioranza delle coprogettazioni è però limitata al welfare (l’unico campo in cui già si poteva fare), senza sfruttare la principale opportunità della riforma: l’allargamento a tutti i settori di interesse generale e la possibilità di considerarli in ottica intersettoriale. Le sentenze dei Tar e del Consiglio di Stato hanno poi evidenziato criticità importanti: in molti casi la coprogettazione è un espediente, spesso il contenuto della coprogettazione è risibile, la comparazione uguale alla competizione di un appalto. Ora, l’art. 6 del nuovo Codice dei contratti pubblici ha chiarito l’ambito di operatività della coprogettazione: specificando, appunto, che deve essere priva di rapporti sinallagmatici e deve trattarsi di attività a spiccata valenza sociale, fondate sulla condivisione della funzione amministrativa, in condizioni di parità di trattamento, in modo effettivo e trasparente e in base al principio di risultato. Guardando all’attuazione degli interventi, sono strumenti che devono essere usati per abbandonare una logica prestazionale basata sull’erogazione di “interventi standard” per una logica di intervento personalizzata e su modelli di governance innovativi.

Felice: L’articolo 55 del Codice del Terzo Settore ha rappresentato, anche in Friuli-Venezia Giulia, una nuova primavera per il rapporto tra Terzo Settore e P.A. che ha fatto nascere grandi aspettative, ma che ha anche mostrato diverse criticità. In primo luogo, nella gran parte dei casi si tratta di coprogettazioni che non hanno alla base una coprogrammazione e che nascono da trasformazioni di precedenti appalti di servizi, senza che la scelta di coprogettare sia stato frutto di valutazioni condivise. Spesso, inoltre, le coprogettazioni ereditano un procedimento amministrativo ancora fortemente connotato dalla cultura degli appalti, cosa che insterilisce il potenziale sussidiario della coprogettazione. Sono inoltre solo due i casi di coprogettazioni originate da un’istanza del TS, cosa che evidenzia le difficoltà di quest’ultimo di farsi attore proattivo nelle politiche di welfare. In generale si assiste ad un arretramento, da parte in particolare della cooperazione sociale, nell’investimento su queste procedure, ritenute troppo “farraginose, non sostenibili, dagli esiti incerti”, con, in alcuni casi, il conseguente auspicio di un “ritorno” agli appalti di servizi. Queste procedure hanno inoltre riacceso, in alcuni specifici casi, alcuni aspetti competitivi e concorrenziali all’interno del TS tra imprese sociali e associazioni, in particolare dovuto ad alcuni elementi economici penalizzanti per le imprese sociali. D’altra parte, vi sono invece casi in cui l’amministrazione condivisa ha permesso e favorito un ottimo dialogo tra i diversi ETS. La differenza l’hanno fatta le persone partecipanti al tavolo. Circa gli aspetti positivi, bisogna poi evidenziare come le procedure di coprogrammazione e coprogettazione abbiano effettivamente rappresentato anche per il territorio regionale del FVG una nuova possibilità di confronto allargato a tutti gli ETS sui temi del welfare, che mancava dai tempi della pianificazione di zona e in molti casi abbiano riattivato il civismo e la proattività del terzo settore, come abbiano coinvolto attori ulteriori come università e centri di ricerca, creando un volano culturale rilevante. Da questo quadro, emerge come l’amministrazione condivisa sia un percorso culturale che deve essere accompagnato, con competenza, sia all’interno della PA che del TS. Si tratta di lavorare, come stiamo facendo con Legacoop per definire delle “linee guida” che possano definire una cornice, sia di senso che tecnica, condivisa tra tutti gli attori.

Bellin – Rossetti: Sfida impegnativa ma stimolante, soprattutto perché ci ha dato l’opportunità di riunire diversi attori intorno ad un tavolo e promuovere un dialogo collaborativo anziché competitivo. Questo approccio ha avuto origine da un’analisi approfondita del territorio e dei suoi bisogni, anziché basarsi solamente su proposte e progetti isolati. Nel 2022-2023 abbiamo realizzato cinque iniziative di coprogettazione (povertà, domiciliarità anziani nelle aree interne, accoglienza migranti, famiglie e genitorialità, autismo) e siamo riusciti a portare a termine con successo tutti i tavoli di coprogettazione, individuando chiaramente i ruoli di ciascun partner e creando una regia che ha facilitato l’interconnessione tra i tavoli. Nei fatti la coprogettazione è diventata forma ordinaria grazie a cui CISS38, gli Enti di Terzo settore e gli altri stakeholder territoriali lavorano insieme sulle nuove sfide che via via si pongono per il miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini. I tavoli hanno visto una partecipazione, oltre che degli enti del Terzo Settore nelle diverse forme (sia associazionismo e volontariato, sia imprese sociali), di 26 Comuni e di 5 Unioni Montane, della Città Metropolitana, dell’ASL TO 4 e di 5 istituti scolastici comprensivi. Tuttavia, ci sono alcune criticità da affrontare. Ad esempio, le amministrazioni comunali coinvolte spesso hanno mostrato difficoltà nel mantenere una partecipazione costante e, contemporaneamente, sembrano resistere all’azione di nuove procedure, preferendo affidarsi alle pratiche consolidate di affidamento dei servizi. Inoltre, anche alcuni ETS, specialmente quelli più strutturati, hanno trovato difficoltà nel percorso di coprogettazione, che è risultato a volte come un sentiero tortuoso e sconosciuto.


2) Come ogni novità, anche la coprogettazione ha bisogno di tempo per essere realizzata. Il tempo però da solo non basta: quali sono a vostro parere gli interventi concreti più urgenti per accelerare la riforma migliorando le pratiche di partnership tra pubblico e terzo settore?

Ciceri. Il punto di partenza è la consapevolezza che le pratiche di coprogettazione non nascono come funghi, ma come un campo coltivato, vanno prima seminate e poi annaffiate e curate, serve un’intenzionalità che si spinga e che si concretizzi in una volontà di agevolare processi trasformativi reali: necessitiamo dunque di investimenti strutturali nella formazione alla collaborazione, non è sufficiente far sedere intorno ad un tavolo le menti pensanti di dipendenti pubblici e del terzo settore perché riescano a lavorare bene insieme. Questi investimenti strutturali richiedono tempo e denaro, soprattutto tempo. La coprogettazione non deve rimanere terreno privilegiato di un’élite di innovatori; è necessario quindi, per diffonderla in modo virtuoso, un confronto serrato con i soggetti coinvolti, un laboratorio permanente che coinvolga sostanzialmente tutti i soggetti amministrativi e tecnici. Nella realtà in cui opero, ad esempio, abbiamo esteso in modo capillare la formazione sulle pratiche collaborative coinvolgendo tecnici degli enti pubblici, politici e soggetti del terzo settore in modo da generare e coltivare un linguaggio comune che permettesse un confronto reale e trasformativo. Un secondo fronte è dato dalla necessità di interventi normativi nella direzione di un chiarimento rispetto all’erogazione dei contributi per la realizzazione del progetto coprogettato, del trattamento fiscale dello stesso, nonché delle modalità di rendicontazione delle spese sostenute. Elementi apparentemente secondari, ma che spesso costituiscono una sostanziale barriera all’entrata nei sistemi coprogettati sia per le PA che per i soggetti del terzo settore. L’attuale sistema di incertezze e indeterminazioni fa spesso preferire alle PA il mondo “sicuro” e conosciuto dell’appalto piuttosto che il terreno potenzialmente scivoloso della coprogettazione. Infine, va segnalato un aspetto su cui è necessario investire, e cioè l’utilizzo della coprogettazione per riorganizzare in senso collaborativo il welfare consolidato; la coprogettazione applicata solo a piccoli progetti innovativi è stimolante, ma rischia di essere troppo costosa rispetto ai risultati conseguiti e, cosa più importante, a non agire sugli aspetti più rilevanti del nostro welfare, che invece sono quelli che più di ogni altro necessitano di essere ripensati in collaborazione con il Terzo settore.

Bellin – Rossetti: È necessario implementare una formazione condivisa che non si concentri solo sulla procedura, ma che tenga conto anche degli obiettivi fondamentali della coprogettazione, visti come autentiche opportunità di sviluppo e miglioramento per il territorio. Alcune delle caratteristiche con cui abbiamo scelto di configurare i procedimenti – bassa selettività all’ingresso, coinvolgimento di più soggetti, partenariati compositi, strategie di intervento comunitarie, come evidenziato in questo articolo, tendono a fare della coprogettazione uno strumento per un lavoro di comunità, ma siamo consapevoli che sono presenti e diffusi anche altri orientamenti che possono rendere invece le coprogettazioni molto simili ad appalti. Su questo va avviata una riflessione importante. Un altro aspetto da considerare è che la teoria e la pratica si presentano spesso come due binari paralleli di un treno che, sebbene conducano alla stessa stazione, spesso non riescono a convergere. Per fare un esempio, noi stessi forse talvolta ci siamo concentrati in modo eccessivo su aspetti burocratici come i controlli e le verifiche dei requisiti e sulla gestione amministrativa, mentre i partecipanti ai tavoli stanno spingendo per mettere in atto le diverse azioni e iniziative. In alternativa, alcune organizzazioni più strutturate e abituate a erogare servizi stanno aspettando le indicazioni da parte del Consorzio invece di proporre iniziative e strategie in modo proattivo. Insomma, a partire dalle esperienze vediamo senza dubbio notevoli margini di possibile miglioramento.

Felice. In primo luogo, sarebbe importante la creazione di laboratori formativi e informativi permanenti, interni sia alla PA che al TS, che valorizzino le buone prassi e affrontino le criticità delle diverse procedure nell’ambito del riconoscimento reciproco delle aspettative, delle criticità e degli aspetti positivi. Sarebbe inoltre auspicabile la creazione di un organismo paritetico che faccia sintesi delle buone prassi regionali e nazionali e avvii un percorso di ridefinizione del DM 72 del 31/3/2021; in particolare deve essere definito meglio il “quando si può e quando non si può applicare l’articolo 55”, oltre ad alcuni aspetti legati al riconoscimento di alcuni elementi quali costi indiretti, utile, etc. e alla fiscalità – connessa alle implicazioni dell’operare i flussi economici come contributo invece che come corrispettivo - che preoccupano le imprese sociali. Tale organismo potrebbe anche fare sintesi dei diversi regolamenti che si stanno diffondendo a livello locale; tale proliferazione è sicuramente positiva da un punto di vista della dinamicità dei territori, può purtuttavia rappresentare una debolezza se determina una frammentazione delle esperienze e uno sviluppo non coordinato delle procedure. Non da ultimo, è cruciale porre la massima attenzione sul fatto che l’articolo 55 rappresenta in primis una visione politica, ben disegnata dalla sentenza 131 della Corte costituzionale; è dunque prima di tutto la politica a dover condividere questa visione e a diffonderla all’interno delle diverse strutture tecniche della PA. In assenza di questa riflessione, il percorso sarà inevitabilmente più complesso e probabilmente più burocratizzato.

Emmolo. Certamente l'intervento concreto e più importante è completare la riforma del terzo settore e dell'impresa sociale e, in particolare, di avere l'autorizzazione comunitaria per il regime fiscale. Per coprogettare è necessario un quadro chiaro dei soggetti, delle regole e degli incentivi per il terzo settore. Poi, i regolamenti della coprogettazione che a macchia di leopardo si stanno approvando e discutendo non entrano nel merito di declinare lo strumento. Il Codice del terzo settore non contiene previsioni sul contenuto degli avvisi e su alcuni aspetti dell’attuazione in concreto. Da questo punto di vista sarà importante che le previsioni regionali ed i regolamenti degli enti locali declinino, calandole sulle realtà territoriali, le modalità operative, i modelli di governance, come si determina in cofinanziamento, i criteri di valutazione comparativa, puntando sulla qualità delle risposte e non sul risparmio, e senza inutili duplicazioni di quanto già previsto dalle Linee guida del DM 72/2020. Da questo punto di vista è importante che si delineino meccanismi che diano un protagonismo nuovo e reale agli ETS. Infine: le forme di partenariato possono essere tante e non bisogna limitarsi solo ad uno strumento. Non dimentichiamo che il dialogo tra enti locali e terzo settore non passa solo attraverso la coprogettazione: ci sono gli strumenti previsti a livello regionale sul welfare, ci sono tutta una serie di altri istituti che sono stati semplificati e potenziati col nuovo Codice dei contratti pubblici in cui questo dialogo è consentito: il dialogo competitivo, le procedure negoziate, le consultazioni preliminari di mercato.


3) Le riforme si fanno con le idee, ma anche con risorse. Le coprogettazioni che avete conosciuto come si pongono rispetto a questo tema? Hanno visto un rilancio o un disinvestimento da parte delle pubbliche amministrazioni? Sono risultate sostenibili per il Terzo settore? Sono state procedure capaci di mobilitare nuove risorse e a che condizioni? 

Felice: Il tema delle risorse rappresenta lo specchio, talvolta lo spettro, dell’attuale applicazione dell’articolo 55 sul territorio regionale e, ritengo, nazionale. Nella stragrande maggioranza dei casi, soprattutto in servizi dall’alto valore economico (anche oltre i 10 milioni di euro) le coprogettazioni portano con sé un mancato riconoscimento di determinati costi effettivi per le imprese sociali (costi indiretti, utile, formazione, sviluppo, etc.), salvo contrattazioni virtuose tra le parti che talvolta si verificano. È evidente che questa riflessione vale per le imprese sociali a differenza delle associazioni che, correttamente, hanno mission e gestioni più leggere, con costi di gestione molto inferiori se non addirittura assenti. Questo genera effetti ovviamente viziosi sulla fiducia tra i diversi attori e inevitabilmente sulla qualità dei servizi. Al contrario, un tavolo di coprogettazione equilibrato tra gli attori, con una conduzione sapiente (mai scontata), ha determinato in diversi casi la messa a condivisione di risorse “terze”, estranee alla procedura, anche significative (provenienti da progetti europei o da altri finanziamenti privati) a dimostrazione che “si può fare”: si possono trovare risorse aggiuntive, soprattutto se le coprogrammazioni e le coprogettazioni sono pensate nel medio lungo periodo come cornici di politiche territoriali di welfare, non isolate ma anzi incastonate all’interno di una piattaforma più ampia. Da evidenziare infine come in casi di coprogettazioni su servizi innovativi (povertà, devianza, etc.) che prevedono risorse economiche esigue, si assiste ad un approccio più flessibile da parte delle imprese sociali e anche più propenso alla condivisione da parte della PA, in sinergia anche con molte risorse associative dei territori.

Bellin – Rossetti: Certamente, secondo la nostra esperienza, le coprogettazioni possono generare risorse aggiuntive, ma va chiarito che tali risorse non derivano certamente da richieste improprie alle imprese sociali di “cofinanziare” gli interventi. Siamo sempre molto attenti al fatto che le imprese e le persone siano remunerate per i lavori che svolgono. Se le coprogettazioni sono nel medio periodo convenienti è perché 1) si prestano a mobilitare risorse del territorio, sia da parte di associazionismo e volontariato, sia da parte di istituzioni e perché 2) assicurando la continuità delle azioni nel tempo spesso il consorzio e gli ETS sono in grado di individuare opportunità di finanziamento ulteriori. Questo si verifica se si dà alle coprogettazioni il tempo necessario – generalmente noi abbiamo previsto 4 anni o più e esercitando, da parte di CISS38, un ruolo costante di stimolo e accompagnamento.

Ciceri. Il tema delle risorse è strategico: ritengo che la coprogettazione non sia in grado di garantire un risparmio di risorse economiche. È un grosso errore immaginare che i processi collaborativi non siano onerosi rispetto al lavoro dei tavoli. Vedo invece con una certa preoccupazione tante coprogettazioni che mirano a realizzare risparmi imponendo condizioni inaccettabili al Terzo settore, facendo così crescere la diffidenza verso questo strumento. Il tema della rendicontazione, come si è già detto, è significativo e implica un impegno importante per tutte le parti in gioco. È importante avere chiaro il principio per cui non si tratta per drenare risorse dal terzo settore, ma casomai attivare dei processi di investimento di medio lungo periodo che conducano alla costruzione di una serie di alleanze stabili tra soggetti pubblici e soggetti del terzo settore per il territorio, da cui possono scaturire ulteriori risorse. In tal senso la coprogettazione si connota come un processo caratterizzato da un investimento sul territorio da parte sia del pubblico che del privato, non su singoli microprogetti ma come strategia ed estensiva sul sistema dei servizi. Si tratta quindi di mettere in gioco le capacità di tutti per attrarre nuove risorse sul sistema di servizi individuato come cuore del processo coprogettato.

Emmolo. Il nostro punto di vista è quello delle cooperative sociali e delle imprese sociali, che fanno investimenti, che, pur non distribuendoli, possono fare utili da mettere a riserva. Quello della sostenibilità è certamente l'aspetto più critico delle coprogettazioni negli ultimi anni, in particolare quando si passa da un appalto storico a una coprogettazione. Da una parte non dimentichiamo che le coprogettazioni avvengono fuori campo Iva, per cui le cooperative sociali e le imprese sociali non possono scaricare gli investimenti. In secondo luogo, il cofinanziamento viene utilizzato troppo spesso come un “cavallo di Troia” ovvero vengono richieste risorse aggiuntive (come i servizi aggiuntivi negli appalti, una pratica deleteria); faccio un esempio: in alcuni casi nella valutazione comparativa è inserito il valore del cofinanziamento, più si cofinanzia, più punti si hanno, cosa che è molto peggio anche del massimo ribasso negli appalti. Questo strumento può essere utilizzato per l’integrazione sociosanitaria, per collegare il welfare ai percorsi di inserimento lavorativo ed i vari ambiti previsti dal Codice del Terzo Settore: dalla cultura al turismo sociale, dal contrasto al disagio giovanile, alla rigenerazione urbana e l’housing sociale. Ma affinché queste iniziative non si rivelino elementi di dumping, sarebbe necessario focalizzarsi soprattutto sulla coprogrammazione. Perché è quello il contesto normativo che consente di evitare che queste iniziative siano appalti mascherati al ribasso.


4) Le coprogettazioni che conoscete hanno un disegno di valutazione? Come si può fare pragmaticamente a dare valore alle esperienze fino a ora fatte? Avete conoscenza di buone prassi o prassi di valutazione effettivamente applicabili sul piano della realtà?

Bellin – Rossetti: Si tratta di un percorso con alcuni risultati acquisiti e con molta altra strada da fare. Nella coprogettazione iniziata nel 2019, relativa ai centri per le famiglie, ogni tre o quattro mesi i partner della coprogettazione si sono ritrovati per discutere l’andamento delle azioni, hanno promosso un questionario di verifica e soprattutto hanno orientato alcune rimodulazioni e gli sviluppi del progetto resi possibili da ulteriori opportunità di finanziamento che hanno anche consentito di aggregare ulteriori partner. Siamo intenzionati a fare lo stesso nelle coprogettazioni partite quest’anno. Rispetto alla valutazione in senso proprio, va detto che ciò che viene richiesto dagli enti finanziatori è in gran parte rappresentato da dati quantitativi, mentre avvertiamo la necessità di sviluppare dei ragionamenti più complessi sulle azioni che realizziamo. Anche per questo vorremmo in un prossimo futuro coinvolgere l’università.

Emmolo. I contenuti degli avvisi sono spesso troppo generici.  Valutare i risultati e l'impatto delle coprogettazioni diventerà certamente uno degli aspetti fondamentali: pragmaticamente è indispensabile una maggiore valorizzazione delle Linee guida del Ministero del lavoro sulla valutazione di impatto sociale che vanno calati nelle singole coprogettazioni. Da questo punto di vista le nostre cooperative sociali hanno un patrimonio di esperienza e buone prassi che gli enti locali dovrebbero promuovere. Confcooperative Federsolidarietà mette a disposizione un’applicazione per la redazione del bilancio sociale che contiene una serie di metriche per la valutazione d’impatto che consente un’analisi ed una riclassificazione dei dati, anche economici, oggettiva e coordinata agli indicatori proposti dalle Linee guida sulla valutazione d’impatto del Ministero del lavoro.

Felice: Il tema della valutazione è ad oggi uno dei principali elementi critici; seppur citato nel DM 72/2001, l’esperienza regionale evidenzia la quasi totale assenza dello strumento della valutazione, che ritengo ancor più fondamentale nel caso in cui le coprogettazioni provengano da appalti di servizi. Il tema valutazione non è quindi previsto né ex ante, né in itinere, né ex post; questo rappresenta una lacuna sicuramente da colmare, anche grazie all’adozione di linee guida che presentino dei format standard di “valutazione condivisa”. Lo strumento della valutazione, se messo a sistema, garantirebbe la possibilità di definire le reali buone prassi dei territori, soprattutto se inserito in una riflessione più ampia di valutazione di impatto sul sistema di welfare e sui partecipanti alla coprogettazione, in termini di competenze acquisite e costruzione di patti fiduciari con la PA e con altre ETS.

 Ciceri. Un “atteggiamento valutativo” è elemento essenziale nel costruire culture collaborative coprogettanti. In questo senso la valutazione è un elemento strutturale e permanente della coprogettazione, intesa come processo circolare che parte da un elaborato progettuale iniziale, diventa pratica e realizzazione e quindi, sulla base dell’agito e appunto della valutazione che se ne fa, riprogettazione. La valutazione è, quindi, parte di un processo dinamico e circolare, in cui – al netto della diffusa retorica sulla valutazione di impatto - non interviene ex post, ma nel corso del progetto per riorientarlo. La valutazione è, quindi, parte di un lavoro permanente, riflessivo, di ripresa e aggiustamento del progetto. Poi, devo anche dire, in alcune nostre esperienze abbiamo provato a completare questo atteggiamento riflessivo - che non è mai mancato - con azioni di valutazione formalizzata, abbiamo definito le dimensioni da valutare e incaricato un valutatore, anche se di fatto questo non è mai stato portato a termine perché siamo stati assorbiti da altro. Un secondo punto che caratterizza la valutazione di una coprogettazione è la rottura del triangolo classico della valutazione “committente – valutatore – valutato”. In una coprogettazione, infatti, non vi sono un committente e un valutato come soggetti controinteressati e quindi il mandato del committente ad un valutatore per capire se sta “spendendo bene i soldi” investendo sulle azioni del valutato, ma si hanno due partner, interessati a far evolvere il progetto nel modo migliore, che si fanno aiutare da un valutatore per vedere degli aspetti che altrimenti possono sfuggire.

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