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ISSN 2282-1694
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Numero 4 / 2023

Echi

Valutare l’amministrazione condivisa: quali specificità?

Gianfranco Marocchi


La questione

Vi sono elementi che legano in modo specifico il tema dell’amministrazione condivisa a quello della valutazione?

La domanda è solo in parte scontata, nella misura in cui, appunto, ci si voglia concentrare sui legami specifici tra le due tematiche, prescindendo dunque da considerazioni generali che possono portare a ritenere auspicabile che ogni azione tesa al soddisfacimento di bisogni dei cittadini sia 1) frutto e 2) oggetto di valutazione, soprattutto quanto comporta l’utilizzo di denaro pubblico:

  • frutto di valutazione, cioè intrapresa (o, anche, intrapresa in una determinata forma) a partire da considerazioni valutative che portano a prevederne l’utilità sulla base di azioni analoghe che in passato hanno avuto esiti positivi;
  • oggetto di valutazione, in quanto l’azione viene a sua volta valutata e sottoposta a considerazioni comparative, tese a comprendere se ne sia confermata l’utilità e se appaia più efficace di altre azioni alternative che potrebbero essere intraprese con il medesimo obiettivo.

Ma tutto ciò ha, appunto, una valenza generale: vale per interventi realizzati direttamente dalla pubblica amministrazione, da essa esternalizzati tramite appalto o sostenuti con contributi, o, ancora, frutto di coprogettazione con gli Enti di Terzo settore. Agire “a ragion veduta” appare in generale essere preferibile ad un agire casuale e scomposto, non orientato da evidenze che ne supportino la fondatezza. Poi, ovviamente, tutto ciò va collocato in contesti connotati da razionalità limitata, in cui si agisce forzatamente in condizioni di alta complessità e di non piena consapevolezza circa gli esiti dell’interazioni tra una molteplicità di variabili che contribuiscono a determinare gli esiti.

Ma, appunto, tutte queste considerazioni, sia quelle che portano ad auspicare l’impegnarsi nella valutazione, sia quelle che ci portano necessariamente ad agire in una condizione almeno in parte indefinita, si applicano agli interventi frutto di un processo di amministrazione condivisa così come a quelli scaturiti da altre origini. Nulla di specifico, quindi.

Le false specificità, da cui tenersi lontani

Proseguendo la nostra ricerca di specificità, incontriamo poi una serie di argomentazioni maliziose che tendono a legare fastidiosamente coprogettazione e valutazione.

I casi più espliciti di tale malizia sono quelli che legano coprogettazione e valutazione in una sorta di probatio diabolica che origina dall’intolleranza rispetto a tutto ciò che fuoriesce dal paradigma della competizione di mercato: se vuoi adottare meccanismi di amministrazione condivisa, devi provarmi che si otterranno risultati migliori rispetto alla competizione di mercato. Perché la competizione è la via maestra, quella che garantisce, sino a prova contraria, il miglior esito per i cittadini e se dunque si vuole distaccarsene, bisogna accettare l’onere della prova e dimostrare così si otterranno risultati migliori. L’amministrazione condivisa, dunque, come anomalia da giustificare, circondata dal sospetto che – sino a prova contraria raggiunta – si stia operando per fini inconfessabili o comunque contro l’interesse pubblico. Questa impostazione, per quanto gradualmente soppiantata da quella – inaugurata dalla storica sentenza 131/2020 della Corte costituzionale – che vede competizione e collaborazione come principi equiordinati (o, al contrario, come si deduce ad esempio da talune legislazioni regionali, con una opzione preferenziale per la collaborazione in quanto aderente al principio costituzionale di sussidiarietà), riemerge ciclicamente in qualche espressione di tribunali amministrativi o nelle posizioni di qualche amministratore pubblico. Al di là di essere sgradevolmente ideologica, questa menzione della valutazione assume generalmente il carattere di probatio diabolica, in quanto può risultare oggettivamente impegnativo comprovare gli esiti (tra l’altro ex ante), soprattutto laddove penda una minaccia di censura da parte del giudice amministrativo o del giudice contabile. Attribuire un “onere di prova” a carico dell’amministrazione condivisa a partire da una pratica sfuggente come la valutazione appare essere null’altro che un modo per scoraggiarne l’applicazione.

Ma, a ben vedere, anche coloro che sostengono una specifica necessità di valutare le coprogettazioni con l’opposto intento di asserirne l’utilità – facciamo sì che vengano valutate le coprogettazioni, così emergerà che esse portano a risultati migliori rispetto agli appalti” -, non offrono un buon contributo alla causa. In primo luogo, perché implicitamente si accetta che la coprogettazione necessiti di giustificazione, ma soprattutto perché si tenderà a concepire la valutazione come strumento confermativo; e generalmente chi cerca conferme le trova sempre e comunque, senza che questo porti a comprendere effettivamente qualcosa in più di quello che si sta valutando.

Come valutare una coprogettazione

Quindi, se ci basiamo sui presupposti prima discussi, non emergono ragionamenti convincenti che leghino amministrazione condivisa e valutazione. Se si guarda però in altre direzioni, emergono almeno tre elementi almeno di notevole interesse, ben evidenziati in questo numero di Impresa Sociale anche da Ugo De Ambrogio, Cecilia Guidetti e Guido Ciceri.

La valutazione e l’evoluzione degli interventi. Uno degli elementi che caratterizza le coprogettazioni e che le differenzia dagli appalti è la maggiore flessibilità in corso di progetto. I contratti conseguenti agli appalti sono tendenzialmente statici, le convenzioni che discendono da coprogettazioni prevedono generalmente periodiche revisioni in quanto i partenariati programmano, già da principio, di considerare il loro rapporto come un cantiere aperto, in cui via via far evolvere gli interventi sulla base dei risultati conseguiti. Un partenariato di coprogettazione è, nei casi virtuosi, costantemente riflessivo, alla ricerca di elementi che possano indicare come far evolvere al meglio le azioni progettuali, correggendo quelle che mostrano difficoltà, diffondendo quelle di successo. È la dimensione della circolarità delle coprogettazioni, ben evidenziata da Guido Ciceri nell’intervista multipla.

Questa, effettivamente, è un’esigenza valutativa specifica delle coprogettazioni, non presente negli interventi che, per legami contrattuali, devono riprodursi in gran parte uguali a se stessi nel corso degli anni. Non si tratta ovviamente della valutazione “di impatto”, che presuppone di interrogarsi sulle conseguenze anche a medio e lungo periodo, ma di una valutazione che deve seguire i ritmi del progetto per favorirne il miglioramento, come evidenziato già in altri contributi su questa rivista; si tratta di una valutazione che generalmente si basa da una parte su un atteggiamento riflessivo dei soggetti coinvolti, dall’altra su un dialogo costante con una pluralità di stakeholder, sia quelli interni al partenariato come i lavoratori e i volontari, sia i destinatari, sia altri soggetti della società civile del territorio. In sostanza, si tratta di integrare la funzione valutativa nell’ambito dell’operatività quotidiana, come motore per l’evoluzione e il miglioramento del progetto.

A ben vedere, tale funzione di valutazione integrata nell’operatività richiede che l’atteggiamento valutativo viva “accanto” agli interventi progettuali, interagendo con essi. Ciò significa che, nella pratica, attività quali l’ascolto dei destinatari, ricerche specifiche sui bisogni, focus group con i diversi stakeholder non sono né solo un “prima” (acquisire informazioni per progettare il servizio), né soltanto un “dopo” (raccogliere elementi per sapere se l’intervento è andato bene o male), ma anche e soprattutto un “durante”: sono elementi che accompagnano la realizzazione dell’intervento e che vanno a costruire il materiale necessario a valorizzare una delle specificità dell’amministrazione condivisa, costituita dall’essere pensata per rivedere i progetti in modo continuo e circolare.

Una valutazione condivisa. A questo secondo concetto, conseguente al precedente, hanno dedicato in questo numero il loro contributo Ugo De Ambrogio e Cecilia Guidetti e dunque ci si limita a brevi cenni. In sostanza, in un contesto di coprogettazione, non vi è un committente interessato a valutare (eventualmente con il supporto di un valutatore esterno) se sta “spendendo bene i suoi soldi” destinandoli ad un determinato fornitore, ma vi sono partner co-interessati a comprendere se gli sforzi che stanno unitamente facendo per una finalità condivisa stanno ottenendo i risultati sperati o meno e come in ogni caso gli interventi coprogettati possano evolvere. Al di là che si tratti di valutazione condotta autonomamente o supportata da un tecnico esterno, siamo in presenza di un partenariato in cui ciascuno mette in gioco il proprio operato, disponibile ad evolvere sulla base di quanto via via accade. Questa simmetricità dei ruoli fa sì che ciascuno sia valutatore e valutato al tempo stesso, nel senso che, tutti i soggetti, compresa la pubblica amministrazione, sono chiamati a mettersi in discussione e a modificare il proprio operato per il buon esito del progetto.

Una valutazione di processo. Un terzo aspetto che merita attenzione è costituito dagli elementi che entrano a far parte della valutazione. È abbastanza comune che, quando si chiede ai protagonisti di esperienze di amministrazione condivisa quali siano stati i risultati del progetto, quali siano stati i cambiamenti principali rispetto a prima, citino tra gli elementi rilevanti il “cambiamento delle relazioni tra i soggetti territoriali” o, detto con altre parole, la “costruzione di capitale sociale”, inteso come capitale fiduciario sia tra Ente pubblico e Terzo settore, sia tra i soggetti di Terzo settore, sia tra questi ultimi e altri soggetti, organizzati e informali della società civile e con i cittadini stessi. Ora, da una parte è chiaro che la valutazione non può esaurirsi in tale dimensione o comunque non può considerarla prescindendo dagli esiti che tale capitale sociale può originare: limitarsi a dire che le organizzazioni coinvolte nella coprogettazione “stanno bene insieme” di per sé potrebbe non apparire decisivo dal punto di vista del benessere dei cittadini. D’altra parte, quando questo esito fiduciario e relazionale è reale, generalmente non è difficile rintracciare benefici significativi anche per la comunità in cui ciò avviene: interventi prima parcellizzati che entrano in filiera, percorsi assistenziali che si integrano e si completano, scoperture nell’articolazione settoriale e territoriale degli interventi che vengono colmate; ma, soprattutto, innovazione nei servizi, ricerca di risorse aggiuntive più efficace e coordinata, maggiore capacità di individuare e attivarsi rispetto all’evoluzione dei bisogni. Quindi, una delle dimensioni specifiche della valutazione di una coprogrammazione o di una coprogettazione riguarda la creazione di capitale fiduciario e relazionale indotto dal processo collaborativo, che costituisce generalmente il presupposto per il miglioramento degli interventi a favore della cittadinanza.

Conclusioni

Alla luce di quanto detto, l’amministrazione condivisa richiede un approccio valutativo peculiare, non riconducibile a quello generalmente adottato in altre circostanze. Al di là dei dubbi più generali rispetto alla stagione dell’enfasi sulla cosiddetta “valutazione di impatto”, se ci si riferisce ad una coprogettazione appare necessario adottare una diversa prospettiva: è una valutazione che accompagna il progetto per farlo evolvere, che sfuma i confini tra committente e valutato, che riguarda almeno in parte anche aspetti processuali relativi alla creazione di capitale sociale. Insomma, qualcosa di molto diverso dalle esperienze di valutazione mainstreaming. Si tratta sicuramente di un ambito di riflessione che oggi vorremmo contribuire ad aprire, nella consapevolezza che richiederà non solo ulteriori riflessioni, ma soprattutto l’accumulo di pratiche e le indicazioni che dall’operatività contribuiranno a ridefinire un modello valutativo coerente con le specificità dell’amministrazione condivisa.

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